Febbraio 20th, 2012 Riccardo Fucile
DOPO OLIARO, BARTOLINI, COSTANTINO E COSTA ANCHE ZARBANO RIFIUTA DI CANDIDARSI PER IL PDL… IL LEGHISTA BRUZZONE, INVECE CHE I FRINGUELLI, STAVOLTA IMPALLINA RIXI E (S)PIANA LA STRADA AL SECONDO COLPO DELLA SUA DOPPIETTA… DORIA E MUSSO IN POLE POSITION SE QUALCUNO NON GIOCA LORO QUALCHE BRUTTO SCHERZO DALL’INTERNO
Meno male che doveva essere la carta segreta del Pdl da giocarsi al tavolo della kermesse elettorale di maggio per le elezioni del nuovo sindaco di Genova: non hanno fatto in tempo a ipotizzare il nome di di Alessandro Zarbano, bocconiano e aministratore delegato del Genoa, che anche lui ha detto “no grazie”.
Se il Pdl genovese ricevesse tanti voti, quanti dinieghi ricevuti alla proposta di candidatura a sindaco, come minimo andrebbe al ballottaggio: dopo aver bruciato le candidature interne di Matteo Rosso, Raffaella Della Bianca e Vinai, dopo aver allontanato ogni intesa con il candidato della lista civica Enrico Musso, ex Pdl ora vicino al Terzo Polo, il Pdl ci ha provato con Roberta Oliaro, leader degli spedizionieri, Enrico Bartolini, presidente dell’ordine dei medici, Beppe Costa, imprenditore della omonima famiglia di terminalisti, Michele Costantino, petroliere, solo per limitarci ai più noti:
Con la medesima risposta: no grazie.
Lo sfascio del Pdl genovese e la mancanza di credibilità dei suoi maggiorenti incartapecoriti pare abbia fatto precipitare il partito a quota 13%, percentuale che lo taglierebbe fuori persino dal ballottaggio.
Anche perchè la Lega (che viaggia intorno al 10%) presenterà un proprio candidato, dopo settimane di coltellate interne al Carroccio, in perfetta sintesi con lo scontro nazionale tra bossiani e maroniani.
Dopo un mese di “autocandidatura”, il badante Edoardo Rixi, capogruppo in Regione è stato costretto a battere in ritirata, vittima del fuoco amico del clan calderoniano, convertito sulla via maroniana, facente capo alla doppietta Bruzzone-Piana, lobbie dei cacciatori, non a caso, alle spalle.
Costretto a trangugiare bocconi amari per mesi, emarginato dalla coppia Rosi Mauro-Belsito ai tempi in cui il cerchio magico dettava legge, il buon Bruzzone ora sembra l’interprete del motto “la vendetta va servita fredda”.
Appena ha avuto conferma che Belsito non aveva più titoli (quelli li ha impegnati in Tanzania) per parcheggiare la Porsche Cayenne negli spazi della locale questura, Bruzzone è partito all’attacco, pur non potendo mostrare neanche in fotocopia una laurea all’estero (come d’altronde il sottosegretario subacqueo).
Ha rinfacciato a Rixi le sue notti da badante, nonostante il poveretto cercasse di sostenere di averle trascorse in impegnative “ronde padane”, e alla fine Bruzzone, invece che i fringuelli, ha impallinato proprio lui.
Candidato sindaco lo farà il secondo colpo della doppietta, Alessio Piana, anonimo consigliere comunale, una garanzia per il segretario federale ligure Bruzzone, in quanto incapace di fargli ombra.
E poi via, a breve, al congresso prov., per acquisire maggiore potere.
Questa dovrebbe essere il centrodestra in grado di opporsi al centrosinistra che governa la città da decenni.
E forse da qui capirete perchè la sinistra a Genova vince sempre.
Aumentano le possibilità così per Enrico Musso, a capo di una lista civica vicina al Terzo Polo, di arrivare al ballottaggio, forte di un consenso personale sicuramente superiore alla somma dei partiti che lo appoggiano (Fli e Udc).
Anche perchè se si basasse su quelli non arriverebbe neanche al 6%.
Doria potrebbe anche passare al primo turno, ma è anche possibile che qualcuno nel Pd non perda l’occasione per mandarlo al ballottaggio e alzare la posta interna.
Ma anche Musso deve guardarsi in casa perchè l’Udc in Regione è alleato con il Pd e qua l’alleanza nel terzo Polo l’ha subita, non cercata.
E nel segreto dell’urna, con il voto disgiunto, tutto può succedere.
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Febbraio 20th, 2012 Riccardo Fucile
PER FINANZIARE LA RIDUZIONE SI USERANNO 5,5 MILIARDI RECUPERATI DALL’EVASIONE FISCALE… SPUNTA L’IPOTESI DI UN DECRETO
Il governo Monti dà una secca accelerata sulla riforma fiscale.
Il nuovo testo sulle misure da introdurre sarà discusso in pre-Consiglio dei ministri già domani, mentre il varo definitivo è previsto per venerdì.
Per gli interventi da mettere in campo dovrebbe essere previsto un doppio binario: da una parte un decreto legge contenente le decisioni urgenti da emanare entro la settima, dall’altra un disegno di legge per i provvedimenti a più largo respiro.
Sarebbe così superato il percorso tracciato dalla legge delega avviata dall’ex-ministro Tremonti (“La useremo, ma intendiamo andare oltre” aveva d’altra parte annunciato il premier Monti).
Gli obiettivi che il governo intende raggiungere attraverso i due canali sono ambiziosi, a partire da un riduzione di tre punti della prima aliquota Irpef (dal 23 al 20 per cento) da finanziare attraverso i proventi della lotta all’evasione fiscale (stimati in 11 miliardi di maggiori entrate, metà dei quali utilizzata per coprire il taglio delle tasse).
Ma nella riforma fiscale dovranno trovare posto anche gli interventi destinati a scongiurare il nuovo aumento dell’Iva e il taglio indiscriminato alle 720 agevolazioni fiscali previste per famiglie e imprese.
Il governo è al lavoro per dividere quelle “intoccabili”, destinate a famiglie e pensionati, da quelle sulle quali si può intervenire.
Nuove entrate sono attese da una revisione degli estimi catastali (in particolare nelle grandi città ) e dai tagli alla spesa pubblica sui quali sta lavorando il ministro Piero Giarda.
Il decreto potrebbe contenere anche l’applicazione dell’Ici sui beni della Chiesa (saranno esentati solo quelli in cui si svolge in modo esclusivo un’attività non commerciale) e l’abolizione dell’Agenzia per il Terzo settore.
L’imposta sul reddito
Un taglio alle tasse grazie ai proventi della lotta all’evasione.
Il testo sulla riforma fiscale che il governo si prepara a varare metterà nero su bianco questo principio già annunciato più volte dall’esecutivo.
Ora ci sono anche le cifre: dalla lotta all’evasione, Palazzo Chigi stima di recuperare circa 11 miliardi , metà dei quali destinati appunto ad alleviare il carico fiscale delle famiglie. Si parla quindi di una copertura di 5 miliardi e mezzo che, nelle intenzioni del governo, dovrebbero permettere di abbassare di tre punti la prima aliquota (che passerebbe dal 23 al 20 per cento), quella applicata ai redditi compresi fra i 7 e i 15 mila euro.
Oltre al taglio delle aliquote un’altra ipotesi di intervento prevede una possibile modifica delle detrazioni.
In questo caso i proventi ottenuti grazie alla lotta all’evasione sarebbero in un primo tempo destinati ad un Fondo cui attingere successivamente per finanziare le maggiori detrazioni applicate.
Il taglio delle tasse finanziato attraverso una lotta all’evasione ed elusione fiscale è, d’altra parte, un cavallo di battaglia dell’esecutivo in carica e una delle misure a più alto tasso di popolarità .
Ciò spiega la risonanza data ai blitz contro gli evasori messi in atto in questi giorni dall’Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza.
Le nuove norme di controllo introdotte, dalla tracciabilità dei pagamenti al monitoraggio dei movimenti bancari hanno già prodotto un effetto deterrenza, anche se – per avere un primo bilancio dell’andamento del gettito – bisognerà aspettare i risultati dell’autotassazione di maggio e giugno.
Il nodo Iva
Disinnescare la mina di un possibile aumento dell’Iva.
Alla fine dello scorso anno, sotto l’emergenza di un bilancio da risanare, il governo ha messo in campo la possibilità di varare un secondo aumento dell’Iva dopo quello già applicato con la precedente manovra estiva.
Si tratterebbe di un aumento di due punti percentuali che scatterebbe a partire dal prossimo mese di ottobre e che porterebbe l’aliquota intermedia dal 10 al 12 per cento e quella più alta dal 21 al 23%.
Un aumento che dovrebbe restare immutato per tutto il 2013 e registrare un ulteriore ritocco di mezzo punto nell’anno successivo.
L’operazione fu annunciata dal governo in carica per evitare che scattassero i pericolosi tagli lineari del cinque per cento su tutte le agevolazioni fiscali previste dall’ex ministro Tremonti in caso di emergenza-bilancio.
Ma l’ipotesi di un intervento sull’Iva , considerato il clima di recessione, è visto come fumo negli occhi sia dai commercianti che dai consumatori che temono l’effetto inflattivo della misura sui bilanci delle famiglie.
Lo stesso premier Monti, d’altra parte, sembra perplesso sulla possibilità di utilizzare questa leva e ha più volte detto di voler valutare una revisione della norma.
Per poterlo fare però il governo – tramite la riforma fiscale e gli interventi di taglio alla spesa – deve recuperare 4 miliardi per quest’anno e 16 per il prossimo.
La strada per recuperare i fondi necessari dovrebbe passare attraverso il taglio agli sgravi tributari e all’operazione di “spending review” affidata al ministro Giarda che dovrebbe essere pronta nel giro di tre mesi.
Le agevolazioni
La marea di agevolazioni fiscali di cui famiglie e imprese possono oggi usufruire va ridotta.
Sul fatto che siano troppe e non tutte giustificabili sono ormai tutti d’accordo: si tratta di 720 diverse tipologie di sgravi per un valore totale di 161 miliardi.
Non possiamo più permettercele. Il lavoro sui tagli da applicare era in realtà già stato avviato da Tremonti, ma il precedente governo, aveva definito – in caso di fallimento della manovra di riduzione – una cura da cavallo destinata a stroncare i redditi delle famiglie (quelle dei lavoratori dipendenti in particolare): si parlava infatti di un taglio orizzontale per tutte le agevolazioni del 5 per cento nel 2013 e del 20 per cento nel 2014. Niente sconti per nessuno: lo stesso trattamento sarebbe stato riservato alle agevolazioni per carico familiare come a quelle riservate per il mantenimento dei palazzi storici.
Il governo Monti ha stoppato questa possibilità di taglio incondizionato riservandosi l’eventualità di un pur pesante intervento sull’Iva (che vista la recessione cerca di scongiurare).
Il necessario taglio agli sgravi ci sarà , ma non incondizionato.
Una Commissione ad hoc sta elaborando l’elenco di quelli sui quali si potrà intervenire prevedendo però una riserva “intoccabile”.
Ci sarà una rosa di detrazioni destinata a famiglie e pensionati che non subiranno tagli. Fatte salve le agevolazioni “basic”, comunque, il bacino d’intervento resta ampio. La riforma del fisco dovrà provvedere allo sfoltimento: si guarda anche al riordino dei 10 miliardi di agevolazioni oggi destinate alle imprese.
Le Onlus
E’ diventata operativa dieci anni fa, un anno fa ha cambiato nome, ora sembra destinata a sparire per sempre.
La riforma fiscale targata Monti dovrebbe abolire l’Agenzia per il Terzo settore (ex Agenzia per le Onlus), ente di emanazione governativa – con sede a Milano – che ha poteri di indirizzo, promozione, vigilanza sulle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, i soggetti del terzo settore e gli enti non commerciali.
L’Agenzia opera a sua volta sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri e del ministero dell’Economia, quindi è attualmente sottoposta alle dirette competenze del premier Monti.
Fra i compiti ad essa attribuiti quella di promuove campagne per la conoscenza delle organizzazioni, la raccolta dati sugli organismi esistenti e – nei casi di scioglimento di un ente – l’obbligo a dare parere vincolante sulla devoluzione del patrimonio.
L’Agenzia vigila anche sulle attività di sostegno a distanza e individua le categorie delle organizzazioni cui destinare i contributi pubblici: è quindi l’ente che ha delineato l’elenco di organizzazioni ammesse a beneficiare della destinazione del 5 per mille.
Le amministrazioni pubbliche sono chiamate a chiedere il parere dell’Agenzia per l’organizzazione dell’anagrafe unica delle Onlus e nel caso prevedano di far decadere in modo totale o parziale le agevolazioni loro destinate.
L’organismo è costituitodal Presidente e da dieci consiglieri nominati dalla Presidenza del consiglio. L’incarico dell’attuale direttore generale scade a fine mese.
Gli estimi catastali
Una riforma del catasto vera e propria richiede tempi molto lunghi per essere definitivamente attuata (più o meno cinque anni) e – per quanto incisivo – l’intervento già varato dal governo sul settore immobiliare attraverso l’aumento dell’Imu (la vecchia Ici) reintrodotta sulla prima casa, non è bastato a creare un equilibrio fra il valore fiscale e quello reale delle abitazioni.
L’intervento sull’Imu ha infatti rincarato le rendite catastali del 60 per cento e porterà nelle casse dello Stato circa dieci miliardi, ma soprattutto nelle grandi città la divergenza fra valori di mercato e valore catastale delle zone periferiche da quelle centrali resta elevato. La rivalutazione delle rendite catastali esistenti ha elevato la base imponibile a 4 mila miliardi, ma il valore di mercato stimato è valutato in 8.200 miliardi.
Più del doppio. Ecco perchè nel disegno di legge sul fisco potrebbe trovare spazio una riforma del catasto a livello locale.
L’obiettivo è quello di avviare una revisione degli estimi urbani medi agendo comune per comune o su zone omogenee o per quartieri all’interno dello stesso centro abitato. Le prime a chiedere un intervento di questo genere sono state proprio le amministrazioni dei Comuni più grandi, interessate ad aumentare le entrate.
Non a caso i Comuni si stanno mettendo in rete per individuare strategie comuni per combattere l’evasione fiscale e immobiliare
Nel decreto dovrebbe invece trovare spazio la definizione delle aliquote Imu da applicare con il primo acconto di giugno. L’ipotesi più accreditata prevede che si parta con le aliquote più basse, 4 per mille per la prima casa e 7,6 per mille per gli altri immobili.
I beni ecclesiastici
Sempre nel testo che entra in pre-Consiglio domani dovrebbe trovare spazio l’introduzione dell’Ici – annunciata nei giorni scorsi dallo stesso premier Monti – per gli immobili della Chiesa oggi esentati dall’imposta.
Secondo quanto previsto dal governo le nuove norme consentiranno l’esenzione solo per le proprietà nelle quali si svolge in modo esclusivo una attività non commerciale. Palazzo Chigi ha comunque annunciato un emendamento che definirà in modo preciso la tipologia degli immobili interessati al versamento dell’imposta.
L’introduzione dell’Ici sui beni ecclesiastici potrebbe entrare nella parte di riforma veicolata attraverso il decreto.
Quanto vale l’Ici sulla Chiesa? Su quello che dovrebbe essere l’incasso garantito sono circolate nei giorni scorsi le più svariate cifre.
L’Anci, associazione dei comuni, ha parlato di versamenti per 600 milioni l’anno, uno studio dell’Ifel stima invece che il risultato finale potrebbe raggiungere il miliardo di introiti.
Un balletto di valutazioni dovuto al fatto che un censimento vero e proprio degli immobili non è ancora disponibile.
Sull’introduzione dell’Ici per i beni ecclesiastici si è sviluppato un acceso dibattito, tuttora in corso. Ieri infatti il senatore del Pdl Mantovano si è detto certo che “nonostante le note difficoltà economiche nelle quali versano i comuni, nessun sindaco del Popolo delle Libertà applicherà mai l’Ici di Monti agli asili parrocchiali e a quei beni della Chiesa ove si svolgano attività sociali, formative e religiose così utili per le nostre comunità “.
Luisa Grion
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 20th, 2012 Riccardo Fucile
LE RAFFICHE, GLI ORARI, LA ROTTA… CHI HA DECISO DI OBBEDIRE AI SOLDATI INDIANI DIRIGENDO LA NAVE IN PORTO?… LA MARINA AVEVA ORDINATO DI NON FAR SCENDERE I MILITARI A TERRA
La terza raffica di avvertimento «è stata sparata in acqua, a prua del peschereccio che non è stato colpito, tanto che ha invertito la rotta e si è allontanato».
Così, nella relazione trasmessa due giorni fa ai carabinieri del Ros e alla Procura di Roma, Massimiliano Latorre ricostruisce i momenti cruciali del conflitto a fuoco avvenuto al largo delle coste indiane, relazione che indica gli autori della sparatoria.
E nega che l’azione abbia potuto provocare feriti, tanto meno vittime.
Era lui il capo del «nucleo di protezione» imbarcato sulla petroliera Enrica Lexie per contrastare gli atti di pirateria.
E proprio lui – adesso accusato insieme con Salvatore Girone dell’omicidio di due pescatori che erano a bordo del St. Antony – firma il rapporto con foto allegate, che servirà al pubblico ministero Francesco Scavo Lombardo a verificare quanto accaduto. Nel fascicolo sono contenute le testimonianze degli altri cinque soldati presenti a bordo e le conclusioni del responsabile del team.
Sono ancora numerosi i dubbi che avvolgono la vicenda, le incongruenze tra la versione fornita dai militari italiani e quella delle autorità di New Delhi.
E ruotano attorno a tre misteri: l’orario dell’azione, il luogo esatto dove è avvenuta, l’imbarcazione che ha attaccato la petroliera.
Ma c’è pure un altro interrogativo: perchè, nonostante gli italiani abbiano comunicato di essere in acque internazionali, sono poi entrati nell’area controllata dagli indiani così consentendo il fermo dei due marò.
E lo hanno fatto dopo il parere contrario espresso dalla Marina Militare.
Gli orari diversi
Secondo il report trasmesso a Roma l’allarme scatta alle 11.30 del 15 febbraio mentre la Enrica Lexie si trova a «33 miglia dalla costa sudovest dell’India».
La posizione della nave è confermata dai dati forniti dal satellite, attivato da chi era a bordo ma viene contestato dalle autorità locali.
Anche gli orari non coincidono, visto che la polizia indiana colloca gli spari almeno due ore dopo.
E questo ha fatto nascere l’ipotesi che i due pescatori siano stati uccisi in un diverso conflitto, anche tenendo conto che quella stessa sera risulta avvenuto un altro attacco di pirateria in un tratto di mare poco distante.
Alla relazione Latorre allega tre fotografie che dovrebbero servire a dimostrare proprio questa divergenza: il peschereccio sarebbe infatti diverso dal St. Antony dei marittimi uccisi.
Le immagini risultano però sfuocate, poco chiare e dunque non possono bastare a chiarire il dubbio.
Nè a confermare il fatto – sottolineato dal marò – che a bordo di quel natante non ci fossero pescatori, ma cinque uomini armati.
Le tre raffiche
Per cercare di accertare la verità si torna dunque ai momenti dell’avvicinamento. Secondo quanto riferisce il rapporto «è il radar a segnalare la barca che viaggia in rotta di collisione e i militari presenti a bordo si dispongono per reagire. Vengono messe in atto le procedure previste in questi casi. Quando il natante è a 500 metri di distanza vengono sparati i primi «warning shots», ripetuti quando si trova a 300 metri e infine a cento».
Latorre specifica che gli ultimi vengono rivolti verso lo specchio d’acqua «senza colpire l’imbarcazione».
Completamente diversa la ricostruzione fatta dalle autorità indiane secondo le quali «sul peschereccio ci sono i segni di 16 proiettili, mentre quattro sono andati a segno e hanno ucciso i due marittimi».
Una tesi ritenuta incredibile dalle autorità diplomatiche e investigative italiane perchè significherebbe che tutti i colpi a disposizione sono stati sparati ad altezza d’uomo.
L’ordine non rispettato
In queste ore la magistratura sta valutando l’ipotesi di inviare una squadra investigativa in India, che lavori in stretto contatto con la diplomazia italiana.
Le indagini sono affidate al colonnello del Ros Massimiliano Macilenti che sta già acquisendo la documentazione presso i comandi militari e presso la società armatrice anche per verificare se siano stati loro a decidere di far entrare nel porto di Kochi la Enrica Lexie .
La Marina aveva espresso parere contrario, così come aveva raccomandato di non far scendere a terra i militari.
E invece si è deciso di assecondare le richieste indiane. La procedura prevede che le decisioni a bordo siano prese dal comandante d’accordo con la Compagnia, ma generalmente in situazioni di emergenza ci si muove in accordo con le autorità militari e con il governo italiano.
Adesso bisognerà dunque verificare se davvero sia stato l’armatore a ordinare di abbandonare le acque internazionali e con chi sia stata condotta la trattativa.
Un negoziato che, al momento, si è concluso nel peggiore dei modi.
Fiorenza Sarzanini
(da “Il Corriere della Sera“)
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Febbraio 20th, 2012 Riccardo Fucile
STASERA IN UN VERTICE A LESMO DOVREBBE ESSERE RATIFICATA LA DECISIONE: NIENTE LISTE DEL PDL A MAGGIO… TRA LE TESSERE FALSE E I CANDIDATI DELLA SOCIETA’ CIVILE CHE SI TIRANO INDIETRO, PER IL PDL E’ MEGLIO MIMETIZZARSI
Cancellare il Pdl e presentarsi alle prossime amministrative con delle liste civiche, tentando così di avvicinare anche l’Udc e l’elettorato moderato.
Ed evitare soprattutto il paragone con i risultati delle ultime elezioni: i sondaggi più recenti, infatti, danno il partito di Arcore intorno al 20%.
Silvio Berlusconi sa che al voto di primavera ci sarà un bagno di sangue ovunque, da Palermo a Verona.
Così ha intenzione di far sparire il Pdl e archiviarlo.
Poi, al congresso nazionale che si svolgerà presumibilmente in autunno, prenderà vita un nuovo partito come il Cavaliere vuole da tempo.
Anche per questo il Cavaliere ha convocato tutti gli amministratori locali e vertici del Pdl stasera a Lesmo, nella villa Gernetto sede dell’università del pensiero liberale.
Appuntamento ore 20.30 per una cena tutti insieme, poi una riunione ristretta con Angelino Alfano, i coordinatori Denis Verdini e Ignazio La Russa, alcuni amministratori tra cui Roberto Formigoni, i capigruppo e pochi altri per stabilire come muoversi per non rischiare di sparire dalle amministrazioni.
I nodi da sciogliere sono molti. P
rimo fra tutti l’alleanza con la Lega ormai “morta e sepolta”, come ha ribadito ieri Roberto Calderoli.
Il Cavaliere si è infatti definitivamente rassegnato: l’asse con il caro amico Umberto Bossi non esiste più. Berlusconi ha temporeggiato fin quando ha potuto, ma Alfano e in particolare Verdini sono riusciti a convincerlo che è arrivato il momento di muoversi per limitare i danni.
C’è il nodo dei candidati sindaci che il Pdl non riesce a individuare, in particolare nei comuni strategici come Palermo, Genova e Verona.
Inoltre il caos più totale delle tessere false non aiuta a migliorare il clima di confusione che regna nel partito in vista delle amministrative.
Alfano tenta di tenere insieme i pezzi e ripete che con oltre un milioni di iscritti, è possibile che ci siano casi isolati di irregolarità , ma “i furbetti non passeranno”, ripete il segretario nazionale.
Ma c’è il rischio che possano essere invalidati anche i congressi già celebrati. L’ordine di scuderia è ritrovare l’unità e agire compatti.
“E’ il momento di rimboccarsi le maniche e di lavorare ventre a terra per evitare una debacle elettorale, che in tanti prevedono al voto di maggio”, riferisce un ex ministro azzurrro.
Si voterà in molti centri di piccola e media dimensione, ma gli occhi sono puntati su 5 città considerate strategiche per i futuri assetti politici, tutti comuni dove il Terzo Polo ha stabilito di correre in modo unitario: Palermo, Genova, Verona, L’Aquila e Lecce.
E se nel capoluogo ligure c’è ancora un margine d’azione, mentre a Verona si attende che la Lega risolva lo scontro con Flavio Tosi per una lista civica che il Carroccio invece vuole vietargli, le attenzioni si concentrano sulla Sicilia, la terra dove il delfino del Cavaliere rischia di cadere in mano nemica.
Allo stato, la discesa in campo del 34enne Massimo Costa per Palazzo delle Aquile (sostenuta da Api, Fli, Udc e l’Mpa di Raffaele Lombardo), fa ancora sbandare i vertici azzurri locali.
E imbarazza Alfano, che non può fare a meno dell’appoggio di Gianfranco Miccichè.
Ma il leader del Grande Sud non intende apparentarsi con il Pdl e minaccia di correre da solo o di dare il suo appoggio al candidato terzopolista.
Alla fine, il Pdl potrebbe puntare su Francesco Cascio, presidente dell’Ars, che avrebbe il gradimento dei big del partito.
Raccontano che in questi giorni il Terzo Polo stia cercando un accordo con Miccichè per incassare il suo sostegno a Costa, in modo da replicare poi l’intesa alle Regionali proprio su un candidato del Grande Sud, magari lo stesso Miccichè.
La trattativa ha messo in allerta Alfano, cui spetterà trovare presto un’alternativa, magari attraverso le primarie.
Ci sono poi altri comuni dell’isola che preoccupano il Pdl: Trapani, dove l’Udc e Fli si alleeranno con il Pd, e Agrigento, la terra natia di Alfano.
Qui il sindaco uscente è targato Udc e probabilmente sarà sostenuto dall’ex Guardasigilli, non dal resto del Terzo Polo che stringerà un’intesa con i democratici.
A Lecce il rebus è molto difficile da risolvere.
Adriana Poli Bortone di Grande Sud sarà l’ago della bilancia: da lei (che ha ricevuto un’apertura da Gianfranco Fini) dipenderanno le mosse di Pdl e Terzo Polo.
A Genova, la lista civica di Enrico Musso, sostenuta dal Terzo Polo con l’apporto determinante dell’Udc, ha sparigliato le carte e messo nell’angolo i vertici azzurri, visto che la Lega correrà per conto proprio.
Claudio Scajola ha proposto primarie aperte alla società civile per individuare un unico candidato dell’area moderata, ma difficilmente si eviterà una sfida Terzo Polo-Pdl.
Circolano vari nomi, da Roberta Ogliaro, presidente di Spediporto Genova, a Beppe Costa imprenditore e amministratore dell’Acquario della città , e Pierluigi Vinai. Ma la caccia al candidato è ancora tutta aperta.
L’unica certezza è dunque che il partito di Berlusconi correrà da solo ovunque. Così domani a villa Gernetto si metteranno le basi per quello che sarà il nuovo movimento di Arcore che si presenterà in campo alle prossime amministrative.
E partirà proprio dai nuovi candidati.
Lo conferma Roberto Formigoni, parlando in merito alla situazione lombarda. “La Lega ha detto” che andrà da sola “quindi si tratta di presentare dei candidati, nelle diverse situazioni, che possano essere vincenti.
E il Pdl sta lavorando per questo. Domani sera ne parleremo in dettaglio”, ha spiegato.
L’obiettivo, al dì la della possibilità di liste civile, “è di dare buoni governi alle città scegliendo le persone giuste. Poi la formula una o più liste può essere decisa caso per caso”, aggiunge Formigoni.
E a Lesmo si parlerà anche della “sua” Regione.
Il governatore, infatti, guarda con crescente interesse a Roma e si è detto disponibile a lasciare il Pirellone prima della scadenza naturale del suo mandato prevista per il 2015.
La poltrona lombarda è da sempre nel mirino della Lega e Berlusconi sta ancora tentando di usarla come merce di scambio con Bossi in cambio di una rinnovata alleanza.
Il Senatùr vorrebbe insediare qui il “barbaro sognante” Roberto Maroni, risolvendo così in parte anche la lite interna che si sta consumando tra Cerchio Magico e maroniani.
Ma i militanti vogliono l’ex titolare del Viminale candidato premier alle prossime politiche. Inoltre lo stesso Bobo è stato chiaro sul tema alleanze: mai più insieme al Pdl fino a quando Berlusconi sosterrà il governo guidato da Mario Monti.
Per il momento, dunque, è tutto rimandato a dopo le amministrative. Poi si vedrà .
Del resto, dice Formigoni, “la stagione di Monti si conclude con le prossime elezioni amministrative, dopo di che i partiti dovranno essere in grado di presentare dei programmi e delle persone credibili”.
E soprattutto si comincerà a lavorare alle politiche del 2013: il congresso nazionale dell’attuale Pdl si terrà il prossimo autunno e lì, conferma Formigoni, prenderà vita il nuovo partito di Arcore.
Quello attuale, spiega, “non è che sia un brutto nome, ma certamente non è evocativo come Forza Italia e ci sono stati dei problemi perchè quando si dice Pdl la gente fa fatica a ricordare. Probabilmente nel congresso che terremo in autunno cambieremo anche il nome”. In quel “anche” c’è tutto.
E le basi del futuro partito saranno gettate domani a Lesmo, sotto la guida di Berlusconi.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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