Febbraio 25th, 2012 Riccardo Fucile
CINQUE ANNI DI MANDATO PARLAMENTARE E’ IL MINIMO PER OTTENERE L’INDENNITA’ A VITA….MA I DEPUTATI CHE SONO ENTRATI PER LA PRIMA VOLTA NEL 2006 E CHE SONO CADUTI CON LA FINE DEL GOVERNO PRODI ORA SCOPRONO CHE, SE RIELETTI NEL 2008, HANNO MATURATO I REQUISITI LO STESSO
Lo ha visto aggirarsi tra i banchi della Camera con aria festante.
“È fatta!”, esultava “è fatta!”.
La giovane deputata del Pd ci ha messo un po’ a capire i motivi di tanto giubilo.
Il collega che è entrato in Parlamento prima di lei, quando al governo c’era Romano Prodi, ha capito solo adesso che è arrivato a quota 5.
Cinque anni di mandato, il minimo per ottenere il vitalizio. Forse anche lui, come tanti cittadini, aveva capito che dopo la riforma del 2007 il diritto alla pensione maturava solo dopo due anni sei mesi e un giorno di legislatura (prima bastavano 24 ore, oggi serve un lustro).
Invece ha scoperto che quei due anni che ha passato con il governo di centrosinistra erano un “credito” di cui poter godere, visto che è stato rieletto.
Perchè i cinque anni sono obbligatori sì, ma non necessariamente consecutivi.
Così, nel maggio del 2011, raggiunti i tre anni dall’elezione del 2008, è arrivato ai fatidici cinque anni che gli garantiscono il vitalizio vecchio stile, visto che il passaggio al contributivo è scattato a gennaio 2012.
E come lui la regola vale per decine di altri entrati per la prima volta in Parlamento nel 2006 (Prodi cadde due anni dopo) e tornati a sedere sugli scranni nel 2008: c’è Mara Carfagna, Mariastella Gelmini, Daniele Capezzone, Massimo Donadi, Antonio Borghesi, Manuela Di Centa, Giorgia Meloni.
Tutti con la pensione garantita da maggio scorso.
Per un parlamentare che festeggia a scoppio ritardato, c’è n’è uno, invece, che arriva pronto all’appuntamento.
Pietro Cannella, deputato siciliano 47 enne, porta a casa l’assicurazione per la vita: ha lasciato il suo incarico da assessore al Comune di Palermo a dicembre, per subentrare a Niccolò Cristaldi, che ha optato per la carica di sindaco di Mazara del Vallo.
I due hanno dato vita a un leggendario incrocio di casta: entrando in Parlamento Cannella ha potuto accumulare quei due mesi che gli mancavano per concludere i quattro anni e dieci mesi trascorsi alla Camera nella XIV legislatura, dal 2001 al 2006.
Cristaldi, invece, lasciando la Camera prima del 31 dicembre è riuscito a mantenere il vitalizio vecchio stampo e a sfuggire alla riforma che scattava dal primo gennaio.
Se il caso (anzi, il Pdl) non li avesse messi in lista uno sopra l’altro, si sarebbero meritati un premio all’ingegno.
Ai parlamentari che hanno conquistato “a rate” il vitalizio, comunque, restano altri due anni da accumulare.
Uno è praticamente già passato, l’altro difficilmente non ci sarà .
In ogni caso, se mai il governo Monti dovesse cadere prima della primavera del 2013, nella riforma di gennaio c’è un’altra clausola dalla loro: gli ultimi sei mesi si possono riscattare e arrivare così a legislatura completa.
Due anni in più in Parlamento, significa prendere il vitalizio con due anni di anticipo rispetto alla soglia dei 65 anni stabilita sempre dalla stessa riforma.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 25th, 2012 Riccardo Fucile
PROCESSO MILLS, L’EX PREMIER PRESCRITTO GRAZIE ALLA EX CIRIELLI CHE AVEVA ABBASSATO DA 15 A 10 ANNI I TERMINI PER LA CORRUZIONE IN ATTI GIUDIZIARI… IL REATO SI SAREBBE ESTINTO UNA DECINA DI GIORNI FA
Prescrizione per Silvio Berlusconi al processo Mills. Scattata, a quanto si apprende, appena una decina di giorni fa.
Il giudice Francesca Vitale, dopo circa due ore di camera di consiglio, ha dichiarato “il non doversi procedere”, perchè “il reato è estinto per intervenuta prescrizione”.
Il presidente ha citato l’articolo 531 del codice di procedura penale. Berlusconi, accusato di corruzione in atti giudiziari, non è stato ritenuto innocente dal collegio giudicante, che altrimenti avrebbe optato per l’assoluzione.
Tanto è vero che il difensore Piero Longo ha affermato a caldo: “Una sentenza così la impugno tutta la vita”.
Insieme al collega Niccolò Ghedini, infatti, aveva chiesto come prima istanza l’assoluzione nel merito.
Per motivi opposti, anche la Procura sembra intenzionata a ricorrere in appello. ”Noi abbiamo l’auspicio di avere un’assoluzione piena”, ha aggiunto Ghedini, “perchè crediamo che il presidente Berlusconi se la meriti”.
I legali attendono comunque le motivazioni della sentanza di primo grado, che saranno rese pubbliche entro novanta giorni.
Lo scoccare della prescrizione è determinato da una legge ad personam, la “ex Cirielli” approvata nel 2005 dalla maggioranza berlusconiana. Prima, infatti, il reato di corruzione in atti giudiziari si prescriveva in 15 anni, scesi a dieci dopo l’approvazione della norma.
La prescrizione sarebbe scattata appena una settimana-dieci giorni fa.
A quanto si apprende, infatti, il Tribunale ha calcolato che i termini per perseguire il leader del Pdl sono scattati tra il 15 e il 18 febbraio.
Il conteggio sarebbe stato fatto scattare l’11 novembre 1999, giorno del presunto versamento di 600 mila dollari da Berlusconi al legale inglese, il punto chiave dell’accusa di corruzione.
Da lì la decorrenza dei dieci anni previsti per la prescrizione ha subito alcune interruzioni previste dalla procedura, e così, secondo i giudici di primo grado, si è arrivati all’estinzione del reato una manciata di giorni prima della lettura della sentenza.
Lo stesso Mills, nel processo per la stessa vicenda, aveva ottenuto la prescrizione in Cassazione per soli venti giorni di “ritardo”, dopo le condanne in primo e secondo grado.
In questi conteggi, il collegio avrebbe adottato la giurisprudenza secondo la quale quando si verifica una sospensione in attesa della decisione della Corte Costituzionale (cosa accaduta due volte in questo processo) su eccezioni di legittimità di una norma, i termini di prescrizione riprendono a decorrere dalla pubblicazione della sentenza della Consulta in Gazzetta Ufficiale.
Per il pm Fabio De Pasquale, invece, ci sarebbe ancora tempo, perchè la prescrizione scatterebbe il 3 maggio oppure si potrebbe arrivare anche fino a metà luglio, se si considera che il reato sarebbe stato commesso il 29 febbraio 2000.
Nei suoi calcoli, poi, il pm parte dal presupposto che le sospensioni della prescrizione, in attesa delle due decisioni della Consulta, sono terminate solo quando il dibattimento è ripreso.
Ancora diversi i calcoli della difesa, che prendeva in considerazione altre variabili, concludendo che il reato poteva essere già dichiarato prescritto l’8 gennaio scorso, o anche il 31 gennaio, o al massimo il 3 febbraio.
Per l’ex premier, il pm Fabio De Pasquale aveva chiesto 5 anni di reclusione con l’accusa di corruzione in atti giudiziari.
L’avvocato Longo, difensore dell’ex premier con Niccolò Ghedini, al termine della sua arringa aveva avanzato ai giudici la richiesta di assolvere Berlusconi perchè il fatto non sussiste.
In subordine, l’assoluzione dell’ex premier per non aver commesso il fatto o il proscioglimento per prescrizione.
Proprio sulla prescrizione si è giocata la partita nelle ultime fasi del processo, con calcoli discordanti tra accusa e difesa.
Nella sua arringa, Longo aveva sottolineato che “non esiste falsa testimonianza di Mills nei due processi” che si sono svolti alla fine degli anni Novanta — quello per le tangenti alla Guardia di finanza e All Iberian, al centro dell’accusa di corruzione in atti giudiziari.
E l”’eventuale reticenza” di Mills in aula andrebbe valutata in base al fatto che un testimone “reticente su cose che possano incriminarlo non commette falsa testimonianza”.
Infine, per la difesa di Berlusconi, “manca la prova dell’accordo corruttivo”. Il legale aveva concluso con un’esortazione ai giudici: “Decidete senza timori e senza speranza”.
Per la Procura di Milano, l’ex premier avrebbe corrotto il legale inglese David Mills con un versamento di 600 mila dollari per indurlo a testimonianze reticenti nell’ambito dei processi All Iberian e tangenti alla Guardia di finanza che lo vedevano imputato.
Mills, che su quei 600 mila dollari ha fornito via via versioni discordanti, ha ottenuto la prescrizione in Cassazione, con una sentenza che però confermava le tesi dell’accusa, che avevano portato alla condanna dell’avvocato per corruzione in primo grado e in appello.
La posizione di Berlusconi, inizialmente imputato con Mills, era stata stralciata per l’approvazione del lodo Alfano sull’immunità delle più alte cariche dello Stato, poi dichiarato incostituzionale.
In questo nuovo processo l’avvocato inglese, sentito in videoconferenza da Londra con un fitto contorno di schermaglie procedurali, ha negato di essere stato corrotto da Berlusconi e ha spiegato di aver ricevuto i 600 mila dollari dall’armatore napoletano Diego Attanasio, che a sua volta ha sempre smentito la circostanza.
Berlusconi non si è presentato in aula per la lettura della sentenza.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 25th, 2012 Riccardo Fucile
LA LEGA SCIOLGA LA RISERVA E ANNUNCI IL SUO ASSO NELLA MANICA: IL TESORIERE DELLA LEGA E’ L’UOMO ADATTO PER FAR QUADRARE I CONTI DEL COMUNE
L’UNICO CANDIDATO CAPACE DI RIDARE LUSTRO AGLI STUDI UNIVERSITARI E IMPULSO A NUOVE ISCRIZIONI ALL’ATENEO GENOVESE, ELIMINANDO E “SEMPLIFICANDO” NOIOSE PASTOIE BUROCRATICHE
IL POLITICO ADATTO A RISOLVERE IL PROBLEMA DELLA VIABILITA’ E DEI PARCHEGGI IN CITTA’, COME AMPIAMENTO DIMOSTRATO CON LA CREAZIONE DI NUOVI SPAZI PER LA SUA PORSCHE CAYENNE DAVANTI ALLA QUESTURA
UN CONCLAMATO ESPERTO DI PROBLEMI DEL LAVORO AVENDO DIMOSTRATO DI SAPERNE CAMBIARE TANTI E CON CRESCENTE SUCCESSO: POTREBBE FARE IL SINDACO AUTISTA, IL SINDACO PORTABORSE, IL SINDACO IMPRENDITORE, IL SINDACO FINANZIERE, IL SINDACO TESORIERE, IL SINDACO IMITATORE DI FIRME, IL SINDACO BANCARIO CAMBIA-ASSEGNI, ALTRO CHE BERLUSCONI.
UNO SPECIALISTA DI INVESTIMENTI FINANZIARI ALL’ESTERO, IDONEI A RIDARE FIATO ALLE ESANGUI CASSE COMUNALI OLTRE CHE AD APRIRE ALLA CITTA’ NUOVI SPAZI E RAPPORTI COMMERCIALI CON LA TANZANIA
UN ESPERTO DI PROBLEMI DEL MARE, COME AMPIAMENTE DIMOSTRATO DALLE SUE IMMERSIONI SUBACQUEE AI RADUNI PADANI DI CAMOGLI, DI TRASPORTI (IN AUTO BLU) E DI TRASPARENZA NEGLI ATTI AMMINISTRATIVI
I PROFESSORI DORIA E MUSSO COMINCINO A TREMARE, NON POSSONO CERTO ESSERE ALL’ALTEZZA DEL “DOTTOR” BELSITO
LIGURIA FUTURISTA
Ufficio di Presidenza
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Febbraio 25th, 2012 Riccardo Fucile
IL PREMIER LO CANCELLA IN EXTREMIS PER IL TIMORE DI CREARE TROPPE ASPETTATIVE E DI FAR NASCERE MOTIVI DI SCONTRO TRA I PARTITI… A SORPRESA INSERISCE INVECE L’IMU ALLA CHIESA
Dopo ore di discussione, con il Consiglio dei ministri che si protrae fino alle dieci di sera, è Monti a tagliare la testa al toro.
Via quell’articolo dal decreto legge: il fondo per la riduzione delle tasse, da alimentare con i proventi della lotta all’evasione, si farà (forse) ma non ora. Non tutti i ministri erano d’accordo, tuttavia per il premier il rischio dell’operazione stava diventando troppo alto: “Ho paura – ha spiegato infatti il capo del governo durante il consiglio dei ministri – che se creiamo la mistica del “tesoretto” alla fine si alimentano aspettative e appetiti che non possono essere soddisfatti”.
Appetiti dei ministri, certamente. Ma quelli Monti è in grado di gestirli senza ansie.
È soprattutto ai partiti che pensava il capo del governo quando ha deciso di cancellare la norma.
Nell’esecutivo, del resto, molti osservano che le elezioni amministrative sono alle porte e tra un anno ci sarà la campagna per le politiche.
Appuntamenti in vista dei quali i partiti sono pronti a scatenarsi.
Anche perchè le stime parlavano di un gruzzolo da diversi miliardi di euro. Mai calcolato con precisione, ma negli anni 2006-2010 la cifra che i governi hanno pensato di ottenere dalla lotta all’evasione è stata pari a 63 miliardi di euro.
Oltre 12 miliardi all’anno, una cifra enorme. Il Professore teme quindi che con il Fondo tutti possano pensare che le risorse si moltiplichino all’infinito.
Il “tesoretto” dunque avrebbe destabilizzato la maggioranza, scatenando liti a non finire tra i partiti e, forse, anche all’interno del governo.
E tuttavia per Monti il problema più serio sarebbe stato fuori dai confini.
“Ci muoviamo su un sentiero ancora troppo stretto – fa notare un ministro – e il rischio di non centrare la meta purtroppo ancora esiste. Come dice Monti: è vero che ci siamo allontanati dal ciglio, ma il baratro è ancora davanti a noi”. Insomma, ha prevalso l’imperativo del risanamento.
Ogni euro in più, per ora, dovrà essere messo a bilancio per raggiungere il pareggio. In Europa, ma soprattutto sui mercati, se Roma iniziasse di nuovo a fare la cicala sarebbe annullato d’un colpo quel “tesoretto” di credibilità accumulato a caro prezzo da Monti in questi primi 100 giorni.
“Non ce lo possiamo permettere”.
A costo di scontentare i leader della maggioranza, che nell’ultimo vertice gli avevano chiesto in maniera corale di “dare un segnale” sulla riduzione delle tasse.
Per Monti, quindi, l’obiettivo rimane, ma ancora è troppo presto: se ne riparlerà quando effettivamente l’esecutivo sarà in grado di sapere gli incassi dall’evasione.
Senza contare che il premier ci tiene a seguire un percorso di “serietà ” con atti “concreti” e non per “apparire”.
E tuttavia il problema del fondo “abbassa-tasse” non è l’unico che ha impegnato ieri il premier.
È un momento difficile per il governo – con il decreto sulle liberalizzazioni bersagliato dalle lobby al Senato e la riforma del lavoro frenata dall’ostilità dei sindacati – e Monti ha cercato di nuovo la sponda del Colle.
Le due ore passate ieri dal premier al Quirinale sono servite non solo a illustrare il decreto sulle semplificazioni fiscali ma, soprattutto, a spiegare la ragione di quell’emendamento sull’Imu alla Chiesa presentato in Senato.
Una mossa che sembrava contraddire la lettera spedita proprio il giorno prima da Napolitano alle Camere e al governo per evitare di ingolfare i decreti con emendamenti fuori contesto.
Niente affatto, ha detto Monti al capo dello Stato, la questione dell’Imu rientra perfettamente nella materia del decreto sulle liberalizzazioni.
Non a caso, nel comunicato di palazzo Chigi, si rivendica la “stretta attinenza” della norma “ai temi della concorrenza, della competitività e della conformità al diritto comunitario, che sono alla base del decreto”.
Napolitano si è trovato d’accordo. E ne ha discusso anche con i presidenti delle Camere. Un triangolazione istituzionale che viene confermata anche dall’entourage di Schifani.
“L’ammissibilità della proposta emendativa – dicono da palazzo Madama – non contrasta affatto con i criteri richiamati dal presidente della Repubblica”. Quanto al decreto, per Monti è stata una mossa obbligata: la condanna di Almunia sarebbe arrivata a maggio, con il rischio di dover chiedere al Vaticano gli arretrati Ici degli ultimi 5 anni.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 25th, 2012 Riccardo Fucile
IL 9 MARZO IL BRACCIO DESTRO DI BERLUSCONI, CONDANNATO A 7 ANNI IN APPELLO PER MAFIA, VERRA’ GIUDICATO IN CASSAZIONE…. 14 MESI DI STRANI RITARDI CHE HANNO PERMESSO CHE IL PROCESSO APPRODASSE ALLA V SEZIONE DOVE VERRA’ GIUDICATO DA UN FEDELISSMO DI CORRADO CARNEVALE
Marcello Dell’Utri non poteva trovare giudice migliore.
Sarà la quinta sezione penale a dover decidere il 9 marzo prossimo il destino del senatore del Pdl, condannato in Appello per concorso esterno in associazione mafiosa.
Il collegio che potrebbe salvarlo dalla galera è presieduto da Aldo Grassi un giudice finito sui giornali negli anni Novanta per le sue conversazioni con il collega Corrado Carnevale, meglio noto come l’“Ammazzasentenze”.
Già negli anni Ottanta, quando era sostituto procuratore di Catania, Grassi finì al centro di un’ispezione ministeriale per le sue scelte investigative timide nei confronti dei Cavalieri di Catania, i costruttori Costanzo e Rendo, anche loro processati e assolti dalle accuse di contiguità con la mafia perchè avrebbero pagato per la protezione dei boss ma in uno stato di necessità .
Storie vecchie, ma che tornano di attualità ora che il fascicolo giudiziario più delicato del momento è arrivato alla quinta sezione della Suprema Corte, proprio quella presieduta da Grassi.
Un magistrato che non fa mistero delle sue idee sulla riforma della giustizia: separazione delle carriere e fine dell’obbligatorietà dell’azione penale.
La tempistica dell’assegnazione è stata particolarmente lenta e tortuosa.
Un dato non secondario visto che il processo potrebbe finire con la prescrizione nel giugno 2015 se la Cassazione decidesse, per esempio, un annullamento della sentenza di secondo grado con rinvio alla Corte di appello.
Venerdì 9 marzo il collegio presieduto da Aldo Grassi però potrebbe anche mettere la parola fine sulle speranze di Dell’Utri decretando il rigetto del ricorso presentato dagli avvocati Massimo Krog, Giuseppe Di Peri e Pietro Federico o potrebbe addirittura accogliere il ricorso presentato dal procuratore generale di Palermo Antonino Gatto che, al contrario, critica la parte della sentenza che assolve Dell’Utri per il periodo successivo al 1992.
L’11 dicembre del 2004 Marcello Dell’Utri era stato condannato dal Tribunale di Palermo a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa proprio perchè l’accordo con la mafia e in particolare con i fratelli Graviano era stato ritenuto provato anche dopo il 1993.
Mentre il 29 giugno 2010 la Corte di appello di Palermo ha ridotto la pena a 7 anni proprio perchè — nonostante l’apporto del nuovo collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza — non ha ritenuto provata con certezza l’esistenza di questo patto nella fase politica dell’impegno di Dell’Utri.
Le motivazioni della Corte di appello sono state depositate nel novembre 2010.
Nel gennaio 2011 il procuratore generale di Palermo Nino Gatto presenta il suo ricorso in Cassazione.
A fine febbraio il fascicolo arriva all’ufficio per l’attribuzione dei ricorsi della Cassazione.
A marzo la causa viene assegnata alla sezione quinta. Dall’estate è al lavoro il relatore, Maria Vessichelli, e il collegio sarà presieduto da Aldo Grassi.
Certo ne ha fatta di strada questo magistrato da quando nel 1984 gli ispettori ministeriali erano scesi a Catania per accertare cosa c’era di vero negli esposti presentati contro di lui e contro un altro magistrato della Procura etnea.
Al termine dell’ispezione i magistrati inviati dal ministro di allora, Mino Martinazzoli, chiesero il trasferimento per incompatibilità ambientale per Grassi, ma il ministro e il Csm furono di diverso avviso.
Così l’attuale presidente di sezione della Corte di Cassazione restò al suo posto e proseguì la sua carriera.
Le pagine della relazione degli ispettori dedicate a Grassi sono quindi irrilevanti per la giustizia interna della magistratura ma restano ancora interessanti: “Il comportamento del dr. Grassi, analizzato con riferimento al periodo temporale intercorso tra la fine del 1981 e la metà del 1982, evidenzia anch’esso una linea direttiva preordinata ad accantonare le denunzie contro i grandi costruttori per fatturazioni per operazioni inesistenti. Quanto precede viene compiuto attraverso lo strumento di mantenere, o di passare, nel registro atti relativi i suddetti incarti al trasparente fine di evitare l’indicazione di precedenti sui certificati di carichi pendenti, richiesti per la partecipazione alle gare di appalto”.
Nell’ispezione si racconta anche che Grassi aveva affittato una casa di proprietà di una società del gruppo Costanzo e, sempre secondo le accuse degli ispettori ministeriali, il magistrato avrebbe anche chiesto al costruttore Rendo un contributo per una fondazione. Accuse che però sono state considerate insignificanti dal Csm e dal ministro della Giustizia.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 25th, 2012 Riccardo Fucile
SONI 21 I MICRO GRUPPI IN GUERRA TRA LORO: OBIETTIVO SPODESTARE BERSANI….CHI GUARDA ALL’UDC, CHI A SEL, CHI ALL’IDV, CHI ALLA FIOM E CHI NO… SU OGNI TEMA FONDAMENTALE E’ LOTTA
La solitudine di Pier Luigi Bersani. A bordo di un treno, guarda fuori dal finestrino. Senza un sorriso dell’avvenire, nè del presente.
Dopo lo scatto “rubato” del segretario del Pd triste, solitario davanti a una birra in un pub del centro di Roma, adesso c’è il Bersani seduto in un moderno vagone ferroviario.
La sua nuova campagna pubblicitaria: “Destinazione Italia”.
Il titolo sembra l’incrocio tra una canzone, “Destinazione Paradiso” di Grignani, e un film di Totò, “Destinazione Piovarolo”, dove il tempo non passa mai e tutto gira attorno a una frase misteriosa di Garibaldi: “Qui si fa l’Italia socialista o si muore”.
Ma Bersani non è Garibaldi.
Semmai, la sua figura pensosa e disperata, lacerata dall’incubo della dispersione (meglio, scissione) del partito ricorda le fatiche bibliche di Mosè per tenere insieme le 12 tribù d’Israele durante la traversata del deserto.
Anzi, per il leader democrat, figlio del partito emiliano, numericamente è peggio ancora.
Basta rovesciare il 12 ed ecco il 21. Tante sono infatti le correnti, macro e micro, del Partito democratico.
Ventuno tribù litigiose da traghettare oltre il deserto del governo Monti.
Con l’incognita della terra promessa .
Quale: la foto di Vasto o la Grande coalizione permanente? Due visioni agli antipodi e che adesso stanno esplodendo sulla riforma del mercato del lavoro e il tabù dell’articolo 18.
Così, di suo, Bersani non può che frenare in continuazione e tentare mediazioni su mediazioni e conciliare paradossi.
Il primo qualche settimana fa: “Noi siamo qui ma non siamo questo”.
Il secondo nell’atteso incontro con Monti, dove fa capire che anche in caso di mancato accordo sulla riforma del lavoro e sulla governance della Rai, il Pd manterrà il patto di lealtà con il governo fino al 2013.
Sarà sufficiente questo compromesso a tenere ferme le ventuno anime del partito?
La prima, ovviamente, è bersaniana e comprende Fassina, Stumpo, Migliavacca, Orlando, Marantelli, l’ex dalemiano Orfini, l’ex ministro Damiano, il tesoriere Misiani.
A loro volta, i bersaniani si dividono in riformisti e laburisti.
Quest’ultimi sono sulla linea della Cgil, come Fassina e Damiano.
E anche in questo caso non mancano formule surreali per tenere insieme l’impossibile.
Fassina, per andare alla manifestazione della Fiom del 9 marzo, ha fatto ricorso alla “partecipazione senza adesione”.
La seconda tribù, dimagritissima, è quella dei dalemiani: ormai solo lui, l’ex generale Massimo (citazione dal “Gladiatore”), e l’inciucista Luciano Violante.
Subito oltre, terza microcorrente, gli ex dalemiani che si muovono per conto loro: Nicola Latorre, Gianni Cuperlo, Ugo Sposetti, Anna Finocchiaro.
I franceschiniani sono invece la nuova frontiera della possibile scissione, quelli pronti ad andare via assieme ai lettiani (da Enrico, nipote di Gianni), ai veltroniani, ai gentiloniani, forse ai fioroniani.
Nella tribù del capogruppo alla Camera Dario Franceschini ci sono i nomi di Giacomelli, Rosati, Pina Picierno, Bressa (uno dei tre sherpa della delegazione democrat per i colloqui dell’inciucione con Alfano e Casini), pure la Serracchiani.
I Veltroniani, quinta tribù, sono reduci dall’ultima uscita del loro leader: quella contro l’articolo 18, di fatto considerata la nascita del partito montiano.
In Transatlantico circola una battuta: “Sinora Letta e Veltroni non avevano osato la scissione perchè non sapevano dove andare. Adesso invece il contenitore c’è: il partito di Monti”.
Il contenitore ancora non ha simboli e sedi, ma una sola certezza: è di centro, rigorosamente di centro.
L’avanguardia veltroniana è questa: Tonini, Ceccanti, Verini, Martella, Colaninno, l’ex dalemiano Minniti.
La destra del Pd prosegue con i lettiani, sesta corrente: Francesco Boccia, Mosca, Meloni, Ginefra.
Poi ancora con i gentiloniani, i cosidetti ecodem: ovviamente Gentiloni, poi Realacci , Della Seta, Ferranti.
L’ottava tribù è dei fioroniani, dall’ex ministro Beppe: Gasbarra, neo-segretario del Pd laziale, e Gero Grassi.
Nona, sempre a destra, è la corrente dei liberal: Enzo Bianco, Morando, Ichino.
A questo punto, la segnaletica per navigare tra le tribù del Pd si complica di più. Perchè veltroniani, gentiloniani, fioroniani, liberal sono tutti riuniti nel correntone Modem.
I franceschiniani invece si vedono con i fassiani, decima anima (il sindaco di Torino e Marina Sereni), nell’Area Dem.
Dalla destra che sogna la Grande Coalizione permanente agli ulivisti (Parisi, Santagata, Levi, Zampa), ai bindiani (Meduri e Burtone), alla Sinistra di Vita e Nerozzi, all’area Marino-Meta che recentemente ha perso Civati e Scalfarotto.
I mariniani, quattordicesima stazione della via Crucis bersaniana comprendono Morassut e la paladina dei diritti civili Paola Concia, ieri molto incazzata per il dibattito nel partito: “Qua si sta a litigare tra maschi, in modo virile. E i maschi sono distruttivi”. Immagine efficacissima.
Con la quindicesima tribù si torna al centro: gli ex popolari o dc Castagnetti, Duilio, D’Antoni, Marini. Anima numero sedici è il partito dei nuovi cacicchi, cioè neo o ex sindaci. In ordine sparso: Chiamparino, Renzi, Bassolino, De Luca, Emiliano.
C’è anche Zingaretti: per il momento presidente della Provincia di Roma ma probabile candidato per il Campidoglio.
Alla casella 17 la “terra di mezzo” di Marco Follini e Stefano Graziano.
Alla 18, in posizione solitaria, la sinistra Cofferati, che però non lega con Nerozzi. Così come solitario è Bobba, l’unico teodem rimasto.
La ventesima tribù è dell’ex veltroniano Goffredo Bettini, sostenitore del neo-oltrismo.
Oltre Bersani e oltre il Pd. Chiude la lista, l’ultimo arrivato Giacomo Portas, che ha fondato “I moderati”.
Il catalogo del Pd è questo.
La traversata nel deserto rischia di precipitare nei gironi infernali. Ventuno per la precisione.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 25th, 2012 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE DEL TG DE LA7 NON HA PELI SULLA LINGUA: “I CRONISTI VENGONO PORTATI IN GIRO A SPESE DELLE GRANDI AZIENDE”
Lei sa che ai tempi di Unabomber venne suggerito a giornali e telegiornali di dimenticare un particolare?”
Quale, Enrico Mentana?
“Che il dinamitardo aveva inserito una carica nel prodotto di punta della più importante azienda dolciaria italiana”.
Pomeriggio romano, quartiere Prati, bar rumoroso al centro di una quadriglia di clacson e isterismi.
Il direttore del Tg di La7 beve ginseng, incontra amici di passaggio (l’architetto Fuksas che si siede, disegna un grattacielo su un foglio e poi scivola via) e scava nella memoria.
I 7 milioni di euro che il Tribunale civile di Torino intima di pagare a Corrado Formigli per un servizio sull’Alfa Mito andato in onda ad Annozero gli sembrano il riflesso sbiadito di un’antica malattia.
“Mettiamo che Formigli abbia sbagliato. Io non difendo la corporazione. Nè lui o Santoro in quanto tali. Ci fosse stato Vespa avrei fatto lo stesso. Io parlo di un principio più importante. Di un problema che è altrove.
Dove, Mentana?
Nel sistema. Dove non nuotano buoni e cattivi, ma soltanto il sistema stesso. E la Fiat che ne ha fatto sempre parte circondata da consensi imbarazzanti e applausi aprioristici della stampa generalista non può ignorarlo nè pretendere di essere trattata come un potere svincolato dalle leggi. Non può censurare il diritto di critica.
Perchè Fiat lo pretenderebbe?
Perchè è mal abituata. Nel settore automobilistico si fanno da sempre le recensioni incrociate. Meno che in Italia, naturalmente. Mi trovi una stroncatura della Stilo, se ci riesce. La storia parte da lontano.
Ripercorriamola.
Il capo delle relazioni esterne dell’Alitalia e il capoufficio stampa della Fiat erano il santo graal più inseguito dalle redazioni italiane a metà degli anni 80. Dal Manifesto al Giornale. Mammelle ausiliarie. Il tornaconto era reciproco. Sa com’è, per derogare al rigore bisogna essere in due.
Come funzionava?
A metà degli anni 80 in redazione girava una battuta.
Quale?
Invece di chiamare la Hertz telefonate all’ufficio stampa della Fiat. Ma magari la Fiat di allora fosse stata la Hertz. (Ride) Alla Hertz le macchine le paghi. L’abitudine al comodato gratuito invece era generalizzata. I miei colleghi prendevano macchine in prestito senza pagare. Una cosa ridicola, francamente ridicola. Un altro tipo di commercio a chilometri zero . I giornalisti sono stati e sono ancora una categoria “disponibile”. Senza dubbio.
Esempi?
Per anni i cronisti di moda e quelli che si occupano di sanità sono stati scorrazzati gratis in giro per il mondo. Venivano perfino inviati a spese delle case farmaceutiche ai congessi sulla lotta contro l’Aids.
Non capita anche ai vaticanisti?
Non possiamo trattare il Vaticano come un’azienda o considerare il Papa come un amministratore delegato.
Rimaniamo sul divino. Come evitare di cadere in tentazione?
Se non usi passaggi aerei non devi dire grazie a nessuno. Invece nel silenzio generale di Fnsi, Ordine e Rai assistiamo ogni anno a campionati di sci per i giornalisti, a tornei di tennis e sagre senza mai aver letto un richiamo netto: “È vietato prendere auto in prestito”. O sbaglio?
La Fiat fa storia a sè?
È come tante altre grandi aziende. Quando si passò da Stream a Sky, Murdoch disse che sarebbero cessati gli abbonamenti gratuiti.
Risultato?
Panico e tristezza. Si spensero metà dei televisori di Roma.
Altrove è diverso?
Ogni tanto nella polemica con i poteri pubblici si ricorda come in Gran Bretagna non si possano ricevere regalie superiori a certe cifre. Per i giornalisti italiani questa regola non esiste.
E per le grandi aziende le regole esistono?
Sappiamo che i poteri forti non sono mai stati quelli politici. E in questo stagno è persino normale che un’azienda enorme si senta legittimata a esercitare pressioni e diffide. Ma se la 500 è nella nostra storia, sarebbe bello poter affermare senza temere la decapitazione che la Duna è un orrore postmoderno. Possibile sia vietato?
Marchionne non transige.
Coerentemente, si è uniformato allo spirito bellicoso d’azienda che è parte di un dna distante dal nostro. Però la maggior parte dei dirigenti Fiat italiani sa bene dove ci troviamo.
Non attaccherà Marchionne solo perchè ha allontanato il suo amico Montezemolo?
Se parlo male del passato, caso mai salvo proprio Marchionne. E se cito un vizio antico della Fiat non mi pare di esentare nessuno dalle colpe. Perchè la verità è che non c’è stata una sola persona che abbia mai tentato di invertire la tendenza. La Fiat non deve fare la verginella con l’informazione.
Il suo ad Stella teme cali pubblicitari?
Non lo so. Non è un dovere che le aziende investano, ma decidere di pagare pubblicità fa parte di una strategia di mercato. Chi prende uno spazio non fa un piacere alla rete. Se non lo vuol fare, e parlo in generale, fatti suoi.
Altrimenti qualunque testata di informazione può apporre una postilla: “Questo spazio è libero ma a volte, per sopravvivere, può attenuare la sua carica critica”.
Malcom Pagani
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 25th, 2012 Riccardo Fucile
CASO FORMIGLI-FIAT… LA SPROPORZIONE TRA PRESUNTO DANNO ED ENTITA’ DEL RISARCIMENTO… L’OPINIONE DI MARCO TRAVAGLIO
Della sentenza del Tribunale civile di Torino che ha condannato Corrado Formigli e la Rai a risarcire 7 milioni alla Fiat abbiamo scritto e riscritto.
Anche chi ritiene che avesse ragione la Fiat (noi pensiamo di no) ha dovuto convenire sull’assoluta sproporzione fra il presunto danno e l’entità del risarcimento.
Se non fosse che le sentenze civili sono esecutive fin dal primo grado (salvo quando riguardano la banda B.), si potrebbe confidare nel giudizio di appello, se non altro per una riduzione dell’importo entro limiti più umani: quelli che, di prassi, non superano mai le decine o al massimo le centinaia di migliaia di euro.
Ciò naturalmente non esclude un bel gesto della Fiat (ai tempi dell’avvocato Agnelli ne era capace, nell’èra Marchionne c’è da dubitarne), che potrebbe accontentarsi di un euro simbolico.
Ma forse questo “caso” può diventare l’occasione per riformare seriamente la materia della diffamazione.
Quando l’Italia era un paese quasi normale, i potenti usavano con estrema parsimonia l’arma della causa civile e persino della querela contro la libera stampa.
La Fiat non querelava mai e raramente lo facevano i democristiani (Andreotti, per esempio): i giornalisti preferivano magari comprarli, ma attaccarli no.
Cominciò Craxi (non a caso), con gl’insulti a Galli della Loggia (“intellettuale dei miei stivali”) e con la famigerata denuncia contro Alberto Cavallari che, sul Corriere, aveva osato scrivere ciò che tutti sapevano: cioè che molti socialisti rubavano.
Poi, nella Seconda Repubblica, le aggressioni berlusconiane alla libera stampa divennero pane quotidiano, imitate dai papaveri del centrosinistra.
Sono vent’anni che giornali e giornalisti sono tempestati da migliaia di richieste di danni milionarie, spesso tenute nascoste per non far crollare i titoli delle società editrici in Borsa.
Talvolta qualcuno ha provato a regolamentare la materia, ma senza riuscirci: la spada di Damocle sul capo dei giornalisti (non tutti: i più indipendenti e coraggiosi) è una minaccia troppo efficace per tenerli sotto scacco.
Intendiamoci. Nessuno pretende licenza di uccidere: la stampa ha un potere immenso, che dev’essere controbilanciato da severe garanzie per i cittadini che si sentono diffamati.
Basterebbe prevedere un meccanismo doppio.
Da una parte per “calmierare” l’entità delle richieste di danni, imponendo una cauzione a chi le inoltra (se poi vince, si riprende la cauzione; se perde, se la dividono lo Stato e il denunciato assolto).
Dall’altro per consentire a chi si ritiene offeso di ottenere spazi adeguati per dire la sua: dopodichè, se vede pubblicata con evidenza la sua rettifica, potrà comunque adire le vie legali, ma, se ha ragione, otterrà risarcimenti molto attenuati o puramente simbolici.
Soprattutto se chi ha sbagliato l’ha fatto in buona fede, cioè non ha mentito sapendo di mentire.
Invece accade sempre più spesso che i diffamati (veri o presunti) saltino a piè pari il momento della replica e passino direttamente alle vie di fatto in Tribunale.
Non solo: quando vengono interpellati dal giornalista che si occupa di loro, i potenti rifiutano di rispondere, salvo poi lamentarsi perchè l’articolo è uscito senza la loro versione dei fatti.
Esempio: noi del Fatto dedichiamo ogni giorno buona parte della pagina delle lettere a “i nostri errori” e al “diritto di replica”.
Eppure siamo bersagliati da continue denunce.
Soltanto ieri due ministri — Severino e Terzi — hanno annunciato che ci trascineranno in tribunale (o “si riservano” di farlo) perchè ci siamo permessi di pubblicare notizie vere sul loro conto.
L’altroieri i nostri cronisti avevano regolarmente interpellato i due ministri tramite i loro portavoce, per registrare la loro versione e correggere eventuali imprecisioni. Risposta: due “no comment”.
Che l’indomani si sono trasformati in due minacce di querela, o forse di causa per danni.
Come ai tempi di B. Pessimo segnale.
Questo sarà pure un governo “strano”, come dice Monti.
Ma diverso mica tanto.
Marco Travaglio
( da “Il Fatto Quotidiano“)
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