Febbraio 18th, 2012 Riccardo Fucile
IL CENTRODESTRA GENOVESE COMINCIA A INTERROGARSI SULLA DENUNCIA DI “LIGURIA FUTURISTA” CIRCA LA MANCANZA DEI SIMBOLI DI UDC E FLI NELL’APPOGGIO AL CANDIDATO ENRICO MUSSO…
L’esperimento Musso-Terzo Polo, oltre ad aver disorientato del tutto il Popolo della Libertà genovese, riesce a fornire diverse chiavi di lettura da parte dei protagonisti della politica cittadina nell’area moderata.
Tutti quelli che, dopo la vittoria di Marco Doria alle primarie del centrosinistra, avevano pensato alla possibilità di ricompattare tutte le forze politiche alternative alla sinistra intorno ad un unico volto.
Una grande alleanza alla quale aveva risposto «no, grazie» per primo Enrico Musso definendola un’ammucchiata e sulla quale ha chiuso ogni ragionamento anche l’Udc con la scelta di confluire nella lista civica messa in cantiere dalla Fondazione Oltremare.
Scelta che non tutte le anime del Terzo Polo hanno condiviso: l’Api di Rutelli non ha ancora ufficializzato il suo appoggio al senatore liberale, mentre l’associazione Liguria Futurista, corrente di Futuro e Libertà , legge dietro a questo accordo un clamoroso «trappolone» per Fli e per lo stesso Musso.
La teoria dei futuristi si basa sui dati delle scorse amministrative e cerca di dimostrare che il Terzo Polo avrebbe un valore aggiunto che non supererà il 5 per cento e al quale potrebbe aggiungersi un 12 per cento raccolto dagli elettori duri e puri dell’ex esponente Pdl.
E qui Monteleone potrebbe organizzare il proprio «trappolone»: «Il segretario ligure Udc punterà secco su due candidati e riuscirà a farli eleggere sfruttando la lista civica, mentre se si fosse presentato da solo ne avrebbe raccolto solo uno – è la ricostruzione di Liguria Futurista.
Non solo: “Alla base Udc locale che vedeva meglio un’alleanza con Doria, il segretario regionale Monteleone potrà dire di usare pure il voto disgiunto per il sindaco, indicando il candidato della sinistra».
Conseguenza dell’argomentazione è che “chi si è adoperato per la lista civica di Musso rischia di non entrare nella sala rossa di palazzo Tursi a tutto vantaggio degli ultimi arrivati dell’Udc”
Senza contare che, in caso di vittoria di Doria, in un secondo momento «gli eletti Udc potrebbero poi riposizionarsi con la sinistra».
Federico Casabella
(da “Il Giornale”)
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Febbraio 18th, 2012 Riccardo Fucile
LA CORTE DEI CONTI HA CONDANNATO ANCHE L’EX DIRETTORE DEI MONOPOLI, GIORGIO TINO, A PAGARE 6 MILIONI E IL DIRETTORE DEI GIOCHI, ANTONIO TAGLIAFERRI, A VERSARE 2,5 MILIONI… L’ACCUSA AVEVA CHIESTO DI RESTITUIRE 92 MILIARDI
La Corte dei Conti ha appena pubblicato la sentenza relativa alla vicenda delle maxi penali sulle slot machines, la cosiddetta inchiesta sui videopoker. Nel provvedimento si leggono condanne per 2,5 miliardi complessivi a carico dei dieci concessionari (Lottomatica, Snai, Sisal, Cirsa, Codere, Cogetech, Gmatica, Gamenet, Bplus, Hbg).
Una cifra lontana dai 98 miliardi chiesti dalla procura, ma in ogni caso di grande entità .
Sanzioni anche per l’ex direttore Generale dei Monopoli di Stato Giorgio Tino, 6 milioni di euro e per il Direttore dei Giochi, Antonio Tagliaferri, poco più di 2,5 milioni.
Esente da responsabilità secondo i giudici, Annamaria Barbarito, ai tempi responsabile dell’ufficio apparecchi da intrattenimento dei Monopoli di Stato.
La sentenza della Corte dei Conti potrebbe mettere fine a una lunga battaglia legale.
Una vicenda difficile e complessa per il settore che nel 2011 ha garantito — grazie a una rete di 360 mila slot e più di 39 mila Videolotteries, le macchine di ultima generazione con jackpot fino a 500 mila euro – incassi per circa 45 miliardi sui 79,9 complessivi dell’intero mondo dei giochi made in Italy, con entrate erariali di circa 4 miliardi (56% della raccolta complessiva).
La sentenza arriva a quasi tre mesi di distanza dall’ultima udienza del 24 novembre 2011, in cui le parti in causa hanno confermato le proprie posizioni.
In pratica è come se per i prossimi cinque anni, con una raccolta – e un prelievo fiscale – inalterato rispetto al 2011, i concessionari lavorassero a guadagno zero.
Nell’ultimo anno il settore apparecchi ha registrato una raccolta da 45 miliardi di euro sugli 80 complessivi (il 56%), con quasi 4 miliardi di incassi erariali (il 45% di quanto incamerato dallo Stato) e vincite per 35,7 miliardi: secondo un’elaborazione di Agipronews il margine lordo per i concessionari – quindi al netto di ammortizzamenti e pagamento di spese correnti – nell’ultimo anno è stato di circa 450 milioni di euro.
Se il pagamento delle multe inflitte dalla Corte dei Conti fosse confermato anche nel secondo grado di giudizio il guadagno per i concessionari sarebbe quindi annullato fino alla fine del 2016.
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Febbraio 18th, 2012 Riccardo Fucile
CONSIGLIERI, ALTI FUNZIONARI, DIRIGENTI, MAGISTRATI SPESSO COSTITUISCONO DI FATTO UN GOVERNO OMBRA
Non è vero che il contrario della democrazia sia necessariamente la dittatura.
C’è almeno un altro regime: l’oligarchia.
E tra i due regimi possono esserci poi varie forme intermedie. Una di queste è quella esistente da qualche tempo in Italia.
Dove ci sono da un lato un Parlamento e un governo democratici, i quali formalmente legiferano e dirigono, ma dall’altro un ceto di oligarchi i quali, dietro le quinte delle istituzioni democratiche e sottratti di fatto a qualunque controllo reale, compiono scelte decisive, governano più o meno a loro piacere settori cruciali, gestiscono quote enormi di risorse e di potere: essendo tentati spesso e volentieri di abusarne a fini personali.
I frequenti casi scoperti negli ultimi anni e nelle ultime settimane hanno aperto squarci inquietanti su tale realtà .
Non si tratta solo dell’alta burocrazia dei ministeri, cioè dei direttori generali.
A questi si è andata aggiungendo negli anni una pletora formata da consiglieri di Stato, alti funzionari della presidenza del Consiglio, giudici delle varie magistrature (comprese quelle contabili), dirigenti e membri delle sempre più numerose Authority, e altri consimili, i quali, insieme ai suddetti direttori generali e annidati per lo più nei gabinetti dei ministri, costituiscono ormai una sorta di vero e proprio governo ombra. Sempre pronti peraltro, come dimostra proprio il caso del governo attuale, a cercare di fare il salto in quello vero.
È un’oligarchia che non è passata attraverso nessuna selezione specifica nè alcuna speciale scuola di formazione (giacchè noi non abbiamo un’istituzione analoga all’Ena francese).
Designati dalla politica con un grado altissimo di arbitrarietà , devono in misura decisiva il proprio incarico a qualche forma di contiguità con il loro designatore, alla disponibilità dimostrata verso le sue esigenze, e infine, o soprattutto, alla condiscendenza, all’intrinsichezza – chiamatela come volete – verso gli ambienti e/o gli interessi implicati nel settore che sono chiamati a gestire.
Ma una volta in carriera, l’oligarchia – come si è visto dalle biografie rese note dai giornali – si svincola dalla diretta protezione politica, si autonomizza e tende a costruire rapidamente un potere personale. Grazie al quale ottiene prima di tutto la propria sostanziale inamovibilità .
Sempre gli stessi nomi passano vorticosamente da un posto all’altro, da un gabinetto a un ente, da un tribunale a un ministero, da un incarico extragiudiziale a quello successivo, costruendo così reti di relazioni che possono diventare autentiche reti di complicità , sommando spessissimo incarichi che incarnano casi clamorosi di conflitto d’interessi.
E che attraverso doppi e tripli stipendi e prebende varie servono a realizzare redditi più che cospicui, a fruire di benefit e di occasioni, ad avere case, privilegi, vacanze, stili di vita da piccoli nababbi.
Se i politici sono la casta, insomma, l’oligarchia burocratico- funzionariale italiana è molto spesso la super casta.
La quale prospera obbedendo scrupolosamente alla prima (tranne il caso eccezionale della Banca d’Italia non si ricorda un alto funzionario che si sia mai opposto ai voleri di un ministro), ma facendo soprattutto gli affari propri.
Il governo Monti ha un’agenda fittissima, si sa.
Ma se tra le tante cose da fare riuscisse anche a scrivere un rigoroso codice etico per la super casta, sono sicuro che qualche decina di milioni di italiani gliene sarebbe grata.
Ernesto Galli Della Loggia
(da “Il Corriere della Sera“)
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Febbraio 18th, 2012 Riccardo Fucile
DA NORD A SUD, UN MESE DI CORRUZIONE AI RAGGI X… TRA QUANTI SONO STATI PRESI CON LE MANI NEL SACCO ANCHE UN MARESCIALLO DEI CARABINIERI CHE CHIEDEVA 1.000 EURO AD UN AUTOMOBILISTA… CHI VA A PROCESSO PUNTA SULLA PRESCRIZIONE
Uno pensa: si sa, i politici rubano.
Ma basta un mese di “radiografia” del settore delle mazzette per riscoprire, se a qualcuno fosse sfuggito, che viviamo in un Paese dove dilaga il tangentaro della porta accanto.
Infermieri che vendono la lista d’attesa e tecnici che “mangiano” sui controlli, amministratori delegati e consiglieri comunali, tanti s’arrangiano.
Ed è bastato un solo mese, anzi proprio quest’ultimo mese di arresti e indagini sulla corruzione spicciola e alta, per avere, a vent’anni esatti da Tangentopoli, il senso dell’Italia per la mazzetta.
Si comincia, e non si può diversamente, da Milano.
Per cento euro viene arrestato il 24 gennaio un tecnico comunale. Ha 54 anni e andava in giro per i negozi, tranquillo e autorevole, ad annunciare che le insegne non erano “in regola”, che guaio, ma chi le ha fatte?
Però con una cifretta ci si poteva accordare, così fan tutti, e lui lo sa bene, visto che solo un mese prima, un suo collega, Gianluca Carta, era incappato in un investigatore, dopo aver chiesto la tangente nel quadrilatero della Moda, in via Spiga, alla boutique Blu Marine.
Ma a lui non capiterà , va in periferia: e come poteva immaginare che fossero carabinieri i due grassottelli della Prima Sezione che lo aspettano in una povera pasticceria?
Dieci giorni dopo, a Palermo, è però un maresciallo dei carabinieri, stazione di Olivuzza, ad andarci di mezzo.
I suoi colleghi lo beccano mentre intasca una mazzetta di mille euro, glieli dà un grafico pubblicitario, coinvolto in un incidente, che si è sentito rivolgere un’offerta di “aiuto” dal militare per taroccare gli atti.
Più si sfogliano le carte giudiziarie del mese, più i “prendenti” riescono a vivere con allegra noncuranza le giornate della bustarella.
Si registrano gli arresti (28 gennaio) per il sindaco di Portoscuso, in Sardegna, che si occupava del mix tra un parco eolico e i fumi di un’acciaieria, e ci vuole una bella fantasia.
Stessa sorte – il 30 gennaio – per sindaco e vicesindaco di Castelnuovo di Ceva, 130 abitanti e 132 anni in due, che incontrano la polizia giudiziaria dopo due mesi di intercettazioni e 20mila euro incamerati.
Un’altra pantera grigia della mazzetta viene catturata ieri: è consigliere comunale Udc di Sabaudia, 76 anni, si chiama Nicola Bianchi, è stato sindaco di San Felice Circeo, e per cambiare la destinazione d’uso dello stabile chiedeva 5mila euro a un imprenditore.
Quante ne avrà combinate, uno così?
L’indagine vuole rispondere a questa domanda e – attenzione – sempre ieri, e sempre in Lazio, e sempre un consigliere comunale (questo del Pd, per par condicio) s’impegna a dar ragione all’allarme della Corte dei Conti: viene acciuffato a Pomezia, davanti al Municipio, dove aveva teso la pigra mano verso il finestrino di un’auto, ricevendo dal guidatore una busta bianca, con all’interno 2.500 euro.
Gli “affari grossi” non mancano mai, ma è meglio lasciarli sullo sfondo, perchè incombono le indagini sulla Regione Lombardia e sull’ospedale San Raffaele, e perchè la cosiddetta Sanitopoli abruzzese è ripartita, con Lamberto Quarta, braccio destro di Ottaviano De Turco, arrestato di nuovo, insieme ad altri sette od otto, il 16 gennaio scorso.
Emergono a Venezia, a fine gennaio, “le tangenti pagate attingendo al nero dalle mie società ” (parola di imprenditore).
Portano agli arresti domiciliari Lino Brentan, l’amministratore delegato della società autostrade Venezia-Padova.
Un cartello di corrotti e corruttori s’incontrava in Friuli e in Slovenia per concordare la percentuale sugli appalti, e il pubblico ministero Carlo Mastelloni torna in pista nell’inchiesta “faticosa e difficile”.
Attendiamola, negli esiti, mentre torna a gennaio un evergreen, le ferrovie: nove ex dipendenti di Rfi, società del gruppo Ferrovie, sono accusati di gonfiare i costi degli appalti dei lavori sulla rete ferroviaria in provincia di Roma, un surplus del 15, del 20 per cento.
Nei vari processi si vede che parecchi puntano alla prescrizione, seguendo l’augusto esempio di Silvio Berlusconi, mentre per uscire di scena il patteggiamento è più raro. Lo fanno a gennaio in due.
Uno è l’ex sindaco di Varese, due anni, pena non sospesa, perchè la presunta tangente incassata ammontava a una milionata.
L’altro caso avviene nella mitica Bolzano, dove tutto è trasparente, si dice, più tedeschi che italiani, si dice: infatti Peter Kritzinger, dipendente di una società che si occupava di edilizia sociale, favoriva un “tinteggiatore” e patteggia la pena.
Avviene in Puglia l’episodio culturalmente più interessante del mese, riguarda un infermiere di Molfetta, Ignazio Brattoli, accusato di chiedere una miseria, 20 euro a botta.
Perchè? “Per anticipare gli appuntamenti delle visite mediche specialistiche, obbligatorie e gratuite, alle quali i marittimi devono sottoporsi annualmente se vogliono imbarcarsi”. Preciso, il camice bianco segnava nomi e date su un’agenda di colore rosso, sequestrata. Pare andasse avanti da anni.
Come non capire che le vite esemplari del tanti tangentari facciano proseliti?
A Catania è stato appena arrestato un interprete tunisino.
Pretendeva 500 euro da un libico ospite nel centro di detenzione permanente, per truccarne le dichiarazioni e “trasformarlo” da clandestino in rifugiato politico.
Che a dicembre fosse stato arrestato dalla squadra Mobile, per analoghe ragioni, un collega interprete, non l’aveva preoccupato affatto.
Forse perchè, per un arresto che scatta, chissà quanti altri sono a farla franca, tra queste infine “cricche della bistecca” in grado di moltiplicarsi e prosperare in un Paese che, vent’anni dopo l’arresto di Mario Chiesa, ha partorito – e va detto – soprattutto leggi ad personam, e lasciato perdere corruzioni, falsi in bilancio, truffe totali al fisco…
Piero Colaprico
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 18th, 2012 Riccardo Fucile
NEL 2011 CALO DEL 13%… QUASI 800 MACCHINE RISULTANO FERME, ABBIAMO UN’AUTO BLU OGNI MILLE ITALIANI
Nel 2011 le auto della pubblica amministrazione sono calate del 10%, con una riduzione più accentuata (-13%) per le auto di rappresentanza, le cosiddette auto blu.
È il dato che emerge dal censimento del parco auto della Pa i cui risultati sono stati presentati dal ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi.
In base all’indagine effettuata su 8.276 amministrazioni centrali e locali, con un’adesione del 90,8%, sono risultate 59.216 auto, che salgono a un totale di 64.524 auto stimate comprendendo anche quelle degli enti che non hanno ancora risposto.
Fra le amministrazioni rispondenti, le principali sono state le Regioni, Università , Camere di Commercio, Province, Comuni capoluogo, Asl e Pa centrale.
Delle quasi 65mila auto stimate, la maggioranza sono auto di servizio (auto grigie) mentre poco più di 10mila servono per funzioni di rappresentanza (auto blu).
L’obiettivo dell’azione del ministero è contenere i costi e a realizzare, a regime, risparmi per le Pa per 300 milioni di euro all’anno.
Particolare attenzione viene data alla verifica dei risparmi del 20% indicata dal decreto del 2010, con il quale si è introdotto l’obbligo di non effettuare spese superiori all’80% della spesa sostenuta nel 2009 per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio delle auto.
Una linea d’azione confermata dai decreti successivi e che ha visto prendere piede una tendenza positiva, con alcuni esempi virtuosi come il ministero di Giustizia, che nel 2011 ha ridotto il parco auto di 325 unità , e il Comune di Salerno, che lo ha praticamente dimezzato grazie ad una razionalizzazione dei settori e servizi.
Come ha sottolineato il ministro Patroni Griffi, nonostante il trend positivo di riduzione dei costi, «il parco auto della Pa risulta ancora eccessivamente sbilanciato sulle auto di proprietà » (79%), rispetto a quelle in noleggio senza conducente (19%) mentre le auto in leasing e comodato pesano solo per l1%.
Tra le criticità segnalate, il fatto che il parco macchine sia «obsoleto e diseconomico», con ben 16mila auto (27%) che ha oltre 10 anni, con relative conseguenze sull’inquinamento.
Inoltre, quasi 800 macchine risultano inutilizzate.
Quanto alla cilindrata, il 16% risulta superiore ai 1.900 cc, e sono state censite anche 300 macchine di cilindrata superiore al limite dei 1.600 cc imposto dal decreto del luglio 2011. Restano, inoltre, rilevanti le disomogeneità territoriali.
Tuttavia, dati alla mano, ha sottolineato il ministro, «ci sono margini di miglioramento e razionalizzazione molto elevati».
Grazie anche al sito web, sul quale è possibile seguire in tempo reale la situazione, il ministero ha avviato un monitoraggio permanente per verificare i risparmi del 20% previsti dal decreto del 2010, l’applicazione dei criteri di razionalizzazione, il rispetto dei limiti di cilindrata, la dismissione delle auto obsolete e le misure di riconversione del personale adibito alla guida e alla gestione delle auto.
Inoltre, ha aggiunto Patroni Griffi, si possono «studiare forme di utilizzazione a fini di utilità sociale delle auto non utilizzate».
Per il ministro, «in un momento di grandi sacrifici, riteniamo di integrare ulteriormente le già rigide previsioni normative di riduzione di utilizzo di auto blu, prevedendo ulteriori azioni e se necessario disposizioni per accertare che le riduzioni previste si traducano in effettivo risparmio».
«Sulla trasparenza in tema di uso di auto pubbliche – ha concluso – l’Italia può diventare un esempio virtuoso per tutta l’Unione europea dove raramente esiste un monitoraggio continuo e così dettagliato».
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Febbraio 18th, 2012 Riccardo Fucile
LE INDAGINI POTREBBERO ESSERE ESTESE FINO A NAPOLI…FIGURANO ANCHE TESSERE INTESTATE A MINORI E PROVENIENTI DA ZONE CONTROLLATE DALLA CAMORRA
Under 14 (cioè al di sotto dell’età prevista dallo statuto), persone decedute o completamente all’oscuro della propria adesione al Pdl.
I magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Salerno sospettano che anche questo sia accaduto durante la frenetica campagna di adesione al partito da Scafati a Sapri.
E, se i riscontri già in corso sulle tessere sequestrate due giorni fa dai carabinieri del Ros nella sede romana del Pdl dovessero confermare i sospetti che hanno fatto scattare le indagini, si potrebbe arrivare all’estensione delle indagini stesse anche alla provincia di Napoli.
Sono state 26mila le adesioni raccolte a Salerno, numeri d’altri tempi, che riuscivano, forse, a raggiungere solo i grandi partiti di massa negli anni d’oro della prima repubblica, ma che sembrano in contraddizione palese col vento dell’antipolitica che spira forte ormai da anni.
L’attenzione dei magistrati si sarebbe concentrata soprattutto sul tesseramento effettuato nell’Agro nocerino, una zona calda, già finita nel mirino per l’inchiesta «Linea d’ombra», un’indagine sul presunto scambio di voti tra politici e camorristi, nel cui ambito è stato ritenuto necessario l’arresto dell’ex sindaco di Pagani e consigliere regionale Alberico Gambino, sempre del Pdl.
Pare anche che siano già state inviate alcune informazioni di garanzia.
Naturalmente nel Pdl, il garantismo è la linea obbligata da seguire.
«Pur non conoscendo le motivazioni di tale disposizione – affermano a proposito del sequestro i coordinatori provinciali del Pdl salernitano Antonio Mauro Russo e Antonio Iannone – nutriamo piena fiducia nell’operato della magistratura. Se le indagini dovessero evidenziare eventuali presenze di mele marce, saremmo i primi a plaudire all’iniziativa. È forte in noi la convinzione di essere persone perbene che sono tra persone perbene. Il Pdl salernitano ha una classe dirigente e una base sane che non possono essere macchiate da comportamenti individuali».
L’inchiesta sulle iscrizioni al partito potrebbe avere conseguenze sulla celebrazione del congresso provinciale.
In base ai numeri, il gioco sarebbe in mano al presidente della Provincia Edmondo Cirielli, il cui schieramento è largamente maggioritario.
Molto meno vasto il pacchetto riconducibile in qualche modo all’ex ministra Mara Carfagna.
Sul tesseramento del Pdl aveva espresso alcune perplessità il governatore Stefano Caldoro.
Di fronte all’impressionante numero di adesioni raccolte dal partito campano, l’inquilino di Palazzo Santa Lucia aveva commentato: «L’organizzazione del consenso in un partito non si costruisce con il tesseramento o soltanto con esso. Di certo, non è utile a selezionare una nuova classe dirigente, anche se un milione e mezzo di adesioni sono un segnale di partecipazione che va raccolto. Il rischio di infiltrazioni improprie esiste in alcune aree del territorio, ma è un rischio che corre chiunque ricorra alle adesioni. Per l’organizzazione del consenso sarebbe importante pensare a una nuova forma di rappresentanza».
Ora, dopo il sequestro, il deputato salernitano Pasquale Vessa confida di essere d’accordo col governatore.
«In realtà – afferma – ero da sempre contrario alle tessere che non aiutano la selezione della classe dirigente. E, coerentemente con questa convinzione, ho sottoscritto solo la mia. magari avrò anche incoraggiato qualche amico a iscriversi al Pdl, ma poi, non ho nemmeno controllato se lo ha fatto davvero. La mia posizione coincide con quella di Caldoro». Last, but non least il commissario regionale del Pdl Francesco Nitto Palma che, da un lato, cerca di ridimensionare gli effetti politici dell’iniziativa della magistratura, dall’altro, assicura che la stagione congressuale a meno di clamorose e imprevedibili sorprese «non dovrebbe slittare».
L’ex Guardasigilli ricorda: «Sia la dirigenza nazionale del partito che il sottoscritto abbiamo sempre subordinato la celebrazione dei congressi alla verifica del tesseramento. naturalmente avremmo potuto effettuarla solo con gli strumenti formali a nostra disposizione. Del resto, è naturale che la celebrazione dei congressi stessi sia successiva alla pubblicazione degli elenchi degli iscritti. Ora siamo di fronte a questa iniziativa della magistratura salernitana. Il procuratore Roberti, che conosco dal tempo della Direzione nazionale antimafia, è persona di grande esperienza e affidabilità . Per noi ulteriori verifiche rappresentano una garanzia. Ma se, per ipotesi, si scoprisse che un tale ha tesserato un morto o un calciatore che non conosce nemmeno il Pdl, questi avrebbe solo regalato al partito 10 euro visto che gli iscritti irregolari non potranno mai votare. Nei congressi non ci saranno deleghe, si voterà singolarmente».
Sulle perplessità espresse a suo tempo da Caldoro, Palma commenta: «Stefano non è mai stato favorevole al tesseramento. Ma le possibilità sono due. O si celebra il congresso o decide uno solo: la democrazia ha un prezzo». E sui congressi conclude: «Ho già inviato a Roma la proposta. Se non sarà il 3 e il 4 marzo, sarà il 10 o l’11».
Angela Cappetta e Gimmo Cuomo
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Febbraio 18th, 2012 Riccardo Fucile
PIERCAMILLO DAVIGO: “MANI PULITE, 20 ANNI DOPO…SU TANGENTOPOLI QUANTE BUGIE”… COSàŒ DESTRA E SINISTRA HANNO SALVATO I LADRI
Sono passati vent’anni da quando, il 17 febbraio 1992, a Milano fu arrestato Mario Chiesa, fatto che è stato considerato l’inizio di quelle indagini che i mezzi di informazione hanno chiamato “Mani pulite”.
Quella non era la prima volta in cui un pubblico amministratore veniva sorpreso in flagranza
di corruzione, e non fu l’ultima.
Per quale ragione, vent’anni dopo, quell’accadimento viene ancora ricordato, tanto da portare alla seconda edizione di un volume che ricostruisce quella vicenda e quelle che seguirono? Credo che la spiegazione sia da ricercare nel sorprendente (anche per gli inquirenti) sviluppo delle indagini, innescate da quell’episodio, che in un tempo relativamente breve
(specie se rapportato ai tempi dell’amministrazione giudiziaria) portò alla scoperta di un numero impressionante di reati e al coinvolgimento di migliaia di politici, funzionari e imprenditori. Che cosa aveva fatto la differenza fra quelle indagini rispetto ad altre precedenti e successive? In questi vent’anni si sono sentite in proposito, da parte di vari commentatori, numerose sciocchezze, quali “lo sapevano tutti”, “dov’era prima la magistratura?”, “è stato un golpe” (orchestrato, a seconda dell’ideologia di chi sosteneva tale tesi, dai comunisti, dalla Cia, dai poteri forti ecc.) e altre stravaganze.
Anzitutto non è vero che “lo sapevano tutti”.
Nè i miei colleghi nè io, pur avendo la percezione che i reati di concussione, corruzione, finanziamento illecito dei partiti politici e false comunicazioni sociali fossero ben più numerosi di quanto risultava dalle statistiche giudiziarie, immaginavamo le dimensioni dell’illegalità , quali emersero dalle indagini.
Neppure i cittadini immaginavano che la corruzione avesse raggiunto tali dimensioni e soprattutto che appartenenti a partiti di opposti schieramenti si dividessero le tangenti, e rimasero attoniti quando Bettino Craxi, alla Camera dei deputati il 29 aprile 1993, parlò di un sistema di finanziamento illegale alla politica che coinvolgeva tutti , senza che nessuno dei deputati presenti in aula (fra cui certamente ve ne erano pure di onesti, ma ignari di ciò che era accaduto all’interno dei loro partiti) si alzasse a rivendicare la propria estraneità e il proprio sdegno nel sentirsi accomunare al generale ladrocinio.
Del resto nelle statistiche giudiziarie i reati di corruzione apparivano (e appaiono tuttora) come poco numerosi, ma ciò non deve stupire.
La corruzione ha infatti alcune caratteristiche della mafia, fra cui la sommersione e il contesto omertoso, e ha una cifra nera (differenza fra delitti commessi e delitti denunziati) altissima.
La corruzione non si commette di fronte a testimoni; è un reato a vittima diffusa, non viene subita da una persona fisica determinata che abbia l’interesse a denunciarla; e le pratiche comprate sono quasi sempre le più “a posto”, le più curate; se a ciò si aggiunge che le leggi vigenti rendono difficile scoprirla e reprimerla, vi sono ragioni sufficienti per spiegare perchè prima (ma anche dopo) sia emerso nelle statistiche giudiziarie pochissimo di quel sistema di illegalità diffusa che le indagini del 1992-’95 svelarono.
Queste considerazioni rispondono anche alla domanda “dov’era prima la magistratura?”.
Mi sono sempre chiesto perchè mai tale domanda (almeno per quel che ne so, ma non mi stupirei del contrario) non sia stata formulata anche a proposito dei procedimenti di mafia.
Le indagini sulla mafia, solo dalla collaborazione di Tommaso Buscetta in poi, hanno potuto evidenziare l’esistenza di Cosa Nostra come struttura unitaria con regole radicate. Prima i magistrati e le forze di polizia non avevano la minima idea della struttura interna a tale organizzazione.
Per altro è ben possibile che alcuni di coloro che pongono queste domande retoriche sapessero sia della corruzione che della mafia, ma allora il quesito da porre a costoro dovrebbe essere: “Se lo sapevi perchè non hai informato le Procure della Repubblica?”.
Bisogna cercare di individuare le ragioni per le quali questo è avvenuto e perchè allora. Anzitutto perchè, come ha insegnato il professor Franco Cordero, la caccia e la preda sono due cose distinte.
Si può andare a caccia seguendo le regole venatorie e non prendere nulla, così come si può essere pessimi cacciatori e tuttavia avere fortuna, tornando dalla battuta con un ricco bottino. Tuttavia ritengo che siano individuabili alcuni specifici fattori che possono contribuire a spiegare l’esito particolarmente favorevole che quelle indagini ebbero nel periodo dal 1992 al 1995.
L’enorme debito pubblico e la crisi economica del 1992 avevano determinato la riduzione della spesa pubblica per l’acquisto di beni e servizi e questa, a sua volta, aveva ridotto la possibilità per i corruttori di traslare le tangenti sulla Pubblica amministrazione e di sperare in futuri lucrosi appalti.
Molti imprenditori, che fino ad allora avevano partecipato a cartelli corruttivi, si scoprirono concussi e, anzichè far fronte comune con i corrotti, cominciarono a scaricarli, fornendo agli inquirenti l’elenco delle tangenti pagate.
All’inizio i vertici dei partiti scaricavano i soggetti che venivano arrestati, descrivendoli come mariuoli isolati, singole mele marce. E quelli, sentendosi abbandonati dai loro complici, descrivevano il resto del cestino delle mele.
Ciò determinò una reazione a catena nelle chiamate in correità incrociate e quello che in questo volume viene chiamato «effetto domino».
Le indagini fecero emergere che la corruzione è un fenomeno seriale e diffusivo: quando qualcuno viene trovato con le mani nel sacco, di solito non è la prima volta che lo fa. Inoltre i corrotti tendono a creare un ambiente favorevole alla corruzione, coinvolgendo nei reati altri soggetti, in modo da acquisirne la complicità finchè sono le persone oneste a essere isolate (…)
Nel 1992, con il crollo delle ideologie, era anche entrata in crisi la tradizionale forma-partito come strumento di aggregazione del consenso e soggetto destinatario dell’assoluta fedeltà degli iscritti.
Ricordo che in una trasmissione televisiva, poco dopo l’arresto del segretario cittadino del Pds, un iscritto a quel partito, intervistato, commentò il fatto dicendo che da trent’anni andava ai festival dell’Unità come volontario a cuocere le salamelle sulla griglia e che ora veniva a sapere che, mentre lui girava le salamelle sulla griglia, i suoi capi rubavano, e concludeva dicendo che dovevano andare in galera. L’insieme di queste cause consentì la scoperta della vasta trama di corruzione, e la reazione dell’opinione pubblica, la cui sensibilità era acuita dalla crisi economica, ebbe effetti (all’apparenza) dirompenti sul panorama politico: scomparvero dalla scena cinque partiti (…).
Il sistema politico si è rapidamente ricomposto in forme nuove, continuando tuttavia a calpestare sia la volontà dell’opinione pubblica (ad esempio aggirando l’esito del referendum sull’abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti politici, che oggi ottengono dallo Stato più denaro di prima del referendum, giustificato come rimborsi per spese elettorali) sia le esigenze, imposte anche da istanze internazionali (Onu, Consiglio d’Europa, Unione europea, Fondo monetario internazionale , Ocse), di ridare legalità e trasparenza alle istituzioni e al mercato.
Da allora (e fino a non molto tempo fa) è invece stato avviato un tentativo di restaurazione, che ha ottenuto il duplice risultato di far crollare il numero delle condanne per corruzione e di far precipitare l’Italia, negli indici della corruzione percepita, al penultimo posto (nel senso degli ultimi della classe) nel mondo occidentale, dietro molti paesi africani e asiatici.
Il numero di condanne per corruzione, ridotto a un decimo di quello di 15 anni fa, non appare dunque frutto di una riduzione della corruzione, ma della difficoltà a fronteggiarla.
Il clima in cui da anni operano i magistrati (attaccati da ogni parte) e lo sfascio della giustizia non impedito e talora accentuato da parte delle maggioranze parlamentari che si sono trasversalmente avvicendate in questi vent’anni, spiegano sia le maggiori difficoltà delle indagini sia l’esito negativo dei processi, sempre più spesso conclusi con pronunzie di prescrizione.
Non ci si deve quindi stupire se la corruzione è probabilmente aumentata e, se mai, ci si deve domandare perchè questi reati dovrebbero emergere in procedimenti giudiziari. (…)
Non si può indagare su un caso di corruzione se i protagonisti possono comunicare fra loro. Inoltre la serialità e diffusività di questi reati integra pressochè sempre il pericolo di reiterazione dei reati.
L’esperienza insegna anche che questo pericolo non viene meno neppure con l’allontanamento dei corrotti da incarichi pubblici, perchè li si ritrova di lì a poco a svolgere il ruolo di intermediari fra i vecchi complici non scoperti. In un interrogatorio reso nel 1992, una persona sottoposta a indagini, riferendo di appalti relativi a un importante ente pubblico a livello nazionale, dichiarò che esisteva un cartello di circa duecento imprese che si spartivano tali appalti, che si pagava praticamente chiunque, sia con riferimento alla struttura dell’ente sia ai segretari amministrativi dei partiti di maggioranza e dei principali partiti di opposizione, e che ciò «è standardizzato da almeno vent’anni».
Essendo questo il quadro, secondo le regole del codice di procedura penale, nessuno dei soggetti che delinquono da anni, inseriti in un contesto criminale e criminogeno, dovrebbe essere in stato di libertà .
Ma le campagne mediatiche contro le presunte «manette facili» (chissà perchè riferite solo ai crimini dei colletti bianchi e non, ad esempio, agli scippatori) hanno sortito effetto: oggi i magistrati arrestano molto meno per questi reati e comunque si ricorre agli arresti domiciliari, anzichè alla custodia in carcere, con il risultato che molte indagini vengono irrimediabilmente inquinate.
Gli indagati, anche quando fingono di collaborare, confessano solo quel che non possono negare o che immaginano sarà comunque provato e lo raccontano a modo loro, spesso dopo aver concordato versioni di comodo con i complici e ritagliando spazi di omertà da far valere per assicurarsi un futuro politico ed economico basato sulla capacità di ricatto acquisita con il silenzio mantenuto. (…)
La legge elettorale fa dipendere l’elezione dalla collocazione in lista, sicchè i vincoli verso coloro che formano le liste elettorali si sono rinsaldati e la tendenza a fare quadrato prevale su ogni altra considerazione.
D’altro canto a rapporti diretti di corruzione sembrano essersi affiancati comitati d’affari che rendono ancora più difficile ricondurre le relazioni a fattispecie penali, non essendo stato inserito nel codice penale il delitto di traffico d’influenza, alla cui introduzione pure le convenzioni internazionali obbligano l’Italia (…).
Altre convenzioni, in sede di ratifica, non sono state attuate o sono state depotenziate.
Ad esempio: è stata introdotta nel codice penale la confisca per equivalente (cioè di beni di pari ammontare) del prezzo, ma non del profitto di reato.
La legge, come ha confermato una recente pronuncia della Corte di cassazione a sezioni unite in materia di peculato, infatti, non consente la confisca dei beni per l’equivalente del profitto sottratto.
Si può soltanto confiscare l’equivalente del prezzo del reato. Come se si sequestrasse all’autore di una rapina l’equivalente della paga avuta per partecipare al delitto, ma non l’equivalente della refurtiva.
Leggi salvacondotti. La sequenza di leggi di origine soltanto nazionale è invece di segno opposto.
Molte pronunzie assolutorie sono derivate dalla sopravvenuta (per leggi nel frattempo approvate) inutilizzabilità di prove prima utilizzabili e — nel silenzio dei mezzi d’informazione — presentate come attestazioni di innocenza.
Elevatissimo è stato il numero di sentenze di non doversi procedere per prescrizione, mai rinunziata dagli imputati, anche da coloro che hanno ricoperto cariche pubbliche, dimentichi che l’articolo 54 della Costituzione richiede a costoro «disciplina e onore», senza che mai nessuno all’interno dello stesso o di opposti schieramenti ricordasse il dovere dell’onore.
La legge ex Cirielli, oltre a ridurre i termini di prescrizione e a mandare in fumo decine di migliaia di processi in più, ha sortito un effetto spesso ignorato: prima, se ad esempio un corrotto riceveva tangenti per dieci anni, tutte le corruzioni rientravano in un unico disegno criminoso e l’istituto della continuazione gli riduceva la pena: ma la prescrizione decorreva dall’ultimo episodio di corruzione.
Con la legge ex-Cirielli, invece, ogni reato in continuazione si prescrive autonomamente.
Le conseguenze sono che non è più possibile risalire nel tempo a investigare precedenti episodi per individuare i complici e risalire ai fatti più recenti da costoro realizzati.
Chi vuol corrompere un funzionario pubblico deve avere dei fondi neri, cioè deve falsificare i bilanci.
Dietro un bilancio falso molto spesso si nascondono anche tangenti. Le leggi più dannose sono state perciò quella approvata dalla maggioranza di centrosinistra sui reati finanziari e quella della maggioranza di centrodestra sul reato di false comunicazioni sociali.
La prima ha ridotto la punibilità per l’annotazione di fatture per operazioni inesistenti (il sistema più usato per creare fondi neri) solo ai casi in cui si riverberano oltre una certa soglia sulla dichiarazione dei redditi: basta indicare spese gonfiate o inventate fra i costi non deducibili anzichè fra quelli detraibili e si ottengono risorse fuori bilancio senza più commettere reato.
Con la seconda (riforma del falso in bilancio del 2001) sono state abbassate le pene e dunque ridotta la prescrizione, sicchè è quasi impossibile concludere i processi in tempo utile.
Ma soprattutto , per le società non quotate, il delitto è stato reso perseguibile solo a querela della parte offesa, creditore o azionista. (…)
Stabilire la perseguibilità del falso in bilancio a querela dell’azionista è come pretendere la perseguibilità del furto a querela del ladro.
Con entrambe le riforme sono state comunque introdotte soglie di non punibilità molto alte: è stata così prevista la liceità penale della «modica quantità » di fondi neri, come per la droga!
I risultati di queste modifiche normative non si sono fatti attendere: al solo processo per l’aggiotaggio Parmalat si sono costituite circa 40.000 parti civili, cioè 40.000 vittime che volevano essere risarcite.
Quanto impiega uno scippatore a fare 40.000 vittime?
Quanto all’abuso d’ufficio (reato utilissimo per iniziare a indagare) è stato depenalizzato quello non patrimoniale e sono state abbassate le pene per quello patrimoniale, così vietando la custodia cautelare.
Oggi sembra (sembra?) che i partiti, quasi sempre, continuino a difendere i propri uomini che finiscono nei guai.
Quella che viene chiamata “casta” fa quadrato, nessuno (o quasi) viene scaricato.
L’opinione pubblica è stata a lungo indifferente o rassegnata o semplicemente non informata. Nel 1992 giornali e tv raccontavano i fatti, e questi erano più importanti dei commenti perchè parlavano da soli.
Peraltro i commenti erano frequentemente favorevoli all’opera di pulizia (…). Successivamente molto spesso i fatti vennero nascosti, filtrati e manipolati da un sistema mediatico controllato da potentati politici e imprenditoriali, frequentemente coinvolti nei procedimenti giudiziari.
Il commento fuorviante ha finito per prevalere sulla cronaca, relegata in posizioni marginali per consentire ai mezzi di informazione di parlar d’altro.
Frequentissimi sono stati gli attacchi (…).
Per l’insipienza di chi li sferrava, gli attacchi hanno investito non solo i magistrati del pubblico ministero, ma anche tutti i giudici di ogni grado, fino alle Sezioni unite della Cassazione, così ottenendo il risultato di tenere uniti i magistrati. Il fatto che in tutta Italia ci siano ancora inchieste e processi sui reati della classe dirigente, nati quasi sempre da iniziative giudiziarie e quasi mai dalle forze di polizia (che non hanno le guarentigie di indipendenza dal potere politico che tutelano i magistrati), è segno che la magistratura è riuscita a conservare la sua indipendenza.
La crisi economica che oggi, come nel 1992, grava sul paese probabilmente ridarà slancio a iniziative serie per ridurre la corruzione e di conseguenza a una repressione più incisiva.
Tuttavia tanti anni sono passati invano ed è necessario ricominciare dall’inizio a fronteggiare questi fenomeni, che contribuiscono a rendere l’Italia poco efficiente e poco credibile sul piano internazionale , per l’ingente sperpero di risorse pubbliche, i tempi biblici per la realizzazione di opere pubbliche e la scarsa qualità dei beni e servizi acquistati dalle Pubbliche amministrazioni, quantomeno sotto il profilo qualità -prezzo.
Allora è necessario ricordare i fatti accaduti vent’anni or sono (…).
Il volume di Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio è un ottimo compendio di quei fatti.
Uscì nella sua prima edizione nel 2002, dieci anni dopo l’inizio di quelle indagini, nel momento in cui cominciava ad affievolirsi il ricordo di quanto era accaduto e i mezzi di informazione tentavano di accreditare l’idea che i magistrati avevano esagerato in passato, che in ogni caso erano stati parziali, avendo salvato alcune forze politiche, ma che ora si era finalmente tornati alla normalità e via discorrendo di simili amenità , anzichè guardare inorriditi il fango che era emerso, l’ipocrisia di un’intera classe dirigente, il palese spregio del giuramento prestato da parte di moltissimi funzionari pubblici.
Il racconto dei fatti, ricostruiti con certosina pazienza e con la maestria che contraddistingue gli autori, spazza via le sciocchezze e le menzogne che per anni sono state divulgate dai mezzi di informazione.
Accanto ai delitti commessi emerge con nitore l’incapacità (se non peggio) della classe dirigente di questo paese di creare le condizioni perchè si possa vivere secondo le regole comunemente accettate del mondo occidentale, del quale dichiariamo di voler far parte.
Quest’opera è un vademecum che aiuterà a ricordare ciò che è accaduto, perchè è l’oblio dei misfatti che lentamente consuma la libertà delle istituzioni.
Piercamillo Davigo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Giustizia | Commenta »