Febbraio 8th, 2012 Riccardo Fucile
A CATANIA LA NAZIONALE PARLAMENTARI PARTECIPA A UNA PARTITA PER RACCOGLIERE FONDI….VIAGGIO GRATIS, ALBERGO PAGATO DALLO SPONSOR E CONTO SALDATO DA UN DEPUTATO CATANESE…NEPPURE UN EURO VERSATO PER ACQUISTARE TRE CARROZZINE DA DONARE AI DISABILI
Doveva essere una partita per raccogliere dei fondi da devolvere in beneficenza, ma alla fine ad essere beneficiati sono stati solo loro.
Sono i giocatori della nazionale parlamentari, la nazionale bipartisan degli onorevoli che annovera nella sua rosa deputati del Pdl fino al Pd, invitati lo scorso weekend a Catania per disputare un torneo di raccolta fondi da donare ad alcune associazioni benefiche.
Quindici gli onorevoli-giocatori, tra questi Mauro Paniz (Pdl), Michele Cappella (Pd), Giocchino Alfano (Pdl) e il catanese Giuseppe Beretta del Pd.
E la partita l’hanno certo disputata contro i politici locali e i magistrati catanesi. Peccato che a parte il biglietto aereo pagato a loro spese e del resto già rimborsato, il resto lo hanno dovuto pagare gli sponsor e un parlamentare catanese del Pd, Giuseppe Beretta, il quale ha saldato il conto del ristorante dove gli illustri giocatori hanno cenato.
Ma non è finita lì perchè a carità gli onorevoli si sono superati proprio al termine del triangolare, quando un funzionario municipale ha fatto il giro degli spogliatoi con l’intento di raccogliere ulteriore denaro ed acquistare tre carrozzine per disabili da donare all’associazione “Sorelle della carità ”.
Sia i magistrati sia i politici locali hanno devoluto qualcosa eccetto i parlamentari nazionali, e ancora una volta Beretta il quale ha donato 100 euro.
A chiarire la figuraccia dei parlamentari è lo stesso Beretta, che al telefono scherza sulla poca prodigalità dei colleghi:
“Anzitutto i soldi per l’albergo sono stati raccolti dagli sponsor per organizzare il torneo, anche perchè non credo che qualcuno sarebbe stato disposto a pagare per venirci a vedere”, dice.
Alla fine, quelli che materialmente hanno donato qualcosa sono proprio gli sponsor, mentre i parlamentari avrebbero “donato” la loro partecipazione.
Ma il biglietto aereo almeno l’avete pagato voi, è vero onorevole Beretta?
“I parlamentari nello svolgimento della loro attività viaggiano gratuitamente, tanto più se si recano in una città per gareggiare e raccogliere dei fondi”.
E a questa trasferta avrebbero partecipato pure i funzionari parlamentari, i quali naturalmente non hanno pagato biglietto, visto che per loro ci ha pensato la nazionale parlamentari, come spiega ancora Beretta.
Lui, Beretta, dice di aver pagato la cena per dovere d’ospitalità : “Era normale per me offrire una cena ai miei colleghi a Catania, la mia città . Erano ospiti…”.
Il costo della cena? “No, questo non lo dico”, risponde Beretta, che però difende i parlamentari accusati di tirchieria.
“Ai parlamentari – dice – non è stata fatta una richiesta esplicita. Sono sicuro che ci sia stata un’incomprensione”
Carmelo Caruso
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 8th, 2012 Riccardo Fucile
PROTAGONISTA IL PRESIDENTE DEL CARROCCIO LEONARDO CARIONI, APERTO UN FASCICOLO PER PECULATO, SEQUESTRATI I SATELLITARI DELLE DUE AUDI A6
Lettere che viaggiano con l’auto blu, spostamenti per migliaia di chilometri, straordinari per gli autisti e registri che non si trovano.
A Como, a pochi mesi dalle elezioni che porteranno al rinnovo dell’amministrazione provinciale, è scoppiato l’auto-blu gate: uno scandalo chilometrico che vede il presidente leghista Leonardo Carioni nell’occhio del ciclone.
Da qualche settimana i riflettori della stampa locale e gli occhi della magistratura sono puntati su di lui e sull’uso che ha fatto delle auto a disposizione dell’ente (una per la giunta, una per il presidente), tanto che nei giorni scorsi la procura di Como ha anche aperto un fascicolo per peculato (al momento non ci sono indagati), mentre gli uomini della Guardia di finanza hanno provveduto al sequestro dei navigatori satellitari delle due Audi A6, oltre all’acquisizione dei tabulati relativi ai pagamenti del telepass effettuati dalla Provincia di Como.
I militari delle Fiamme gialle hanno anche sentito uno degli autisti in servizio presso l’ente, cercando di fare luce sugli spostamenti dell’auto presidenziale.
La macchina a disposizione di Carioni è infatti sprovvista dell’apposito libro macchina, sul quale ogni conducente dovrebbe annotare il giorno e le ore di utilizzo, le percorrenze effettuate (con indicazione delle esigenze di servizio che le hanno motivate) e i chilometri percorsi.
Un registro simile esiste per l’auto della Giunta ma non è mai stato compilato per quella del presidente.
La ricostruzione dei dati sull’uso dei due mezzi, pubblicati nei giorni scorsi dal quotidiano La Provincia di Como, non lasciano spazio a dubbi o interpretazioni.
Il presidente Carioni, tra gennaio e novembre del 2011, ha percorso con le due Audi di rappresentanza un totale di 33 mila 898 chilometri.
In particolare il presidente ne ha percorsi 25 mila 590 con la sua (fermata a settembre per la malattia dell’autista) e 8.308 con quella in uso a tutta la giunta, che di chilometri ne ha percorsi complessivamente 28 mila 905.
Andando a ritroso il risultato non cambia: le due auto in quattro anni hanno percorso 239 mila chilometri in tutto, circa 30 mila all’anno ciascuna (160 mila quelli addebitabili al presidente).
Carioni (che oltre ad essere presidente della Provincia di Como dal 2002, è anche consigliere del Cda di Expo, consigliere di Pedemontana e presidente di Sviluppo sistema fiera) ha risposto alle domande del quotidiano comasco, cercando di spiegare come ha fatto a macinare i 34 mila chilometri che gli vengono attribuiti per il 2011: “Tutte le mattine il mio autista viene a prendermi a Turate, e sono 26 chilometri. All’ora di pranzo mi riporta a casa e fanno 52. Poi alle 3 mi riporta in Provincia e la sera mi riporta a casa, e fanno 104. Se andassi a casa a mangiare tutti i giorni sarebbero anche il doppio, visto che poi ci sono i viaggi di ritorno. Ma stiamo comunque sui 104 chilometri al giorno, per meno di 200 giorni siamo già a 24mila”.
E poi continua: “Quando ero malato l’autista è venuto spesso a casa mia a farmi firmare le carte”.
Ma le carte della Provincia non viaggiavano solo tra la sede dell’ente e la residenza del presidente.
Dalla lettura dell’unico registro disponibile (quello dell’auto della giunta), emerge come in quattro anni la seconda auto abbia percorso circa 8 mila chilometri per “servizi vari”, ovvero consegna di buste, documenti e plichi indirizzati ad altri enti.
Il presidente della provincia di Como parla di “accanimento”, ma sulla vicenda pesano anche altre evidenze, come i 13mila euro di straordinari liquidati ai due autisti delle due auto blu nei primi dieci mesi del 2011.
Stando alle informazioni divulgate dallo stesso ente, al primo autista (in malattia da settembre) sono stati liquidati 6510 euro di straordinari per il periodo gennaio — agosto.
Al secondo autista (che da settembre è l’unico in servizio), sono stati pagati 6199 euro di straordinari per il periodo che va da gennaio ad ottobre.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 8th, 2012 Riccardo Fucile
NON SI NASCONDONO PIU’: COMUNICATO CONGIUNTO DEI DUE PARTITI…PREPARANO UN PORCELLUM MA SENZA LISTE BLOCCATE
Allo stesso tavolo, per un’ora. Nell’ufficio di Luciano Violante, ex presidente della Camera, a Montecitorio.
A parlare di legge elettorale, mentre altrove litigano ferocemente sulla Rai.
Questione di priorità . Alle quindici e trenta la formazione del Partito democratico è già schierata e seduta: il senatore Luigi Zanda, il deputato Gianclaudio Bressa, lo stesso Violante, che non è più parlamentare ma responsabile per le riforme del Pd.
Per il Pdl di Silvio Berlusconi (e Angelino Alfano) arrivano Ignazio La Russa, Gaetano Quagliariello (che ha avuto una lunga serie di incontri riservati con Violante nelle scorse settimane) e il previtiano Donato Bruno.
Un’ora di inciucio o di ammuina, giusto per fare “un po’ di riscaldamento in attesa che i leader entrino in campo e decidano”, come riassume un autorevole ex ministro di centrosinistra?
All’uscita, è La Russa a smentire i sospetti di ammuina: “Non facciamo ammuina: o il governo Monti va avanti e allora noi abbiamo il dovere di fare le riforme, oppure il governo non va avanti e allora c’è l’impossibilità di farle”.
I sei stendono pure un comunicato congiunto, evento impensabile quando a Palazzo Chigi c’era ancora il Cavaliere.
Ma oggi c’è il governo tecnico e il clima è cambiato, per usare una delle formule più in voga. Pd e Pdl salvano il bipolarismo come principio generale, contro la frammentazione, e bocciano il criterio dei nominati del Porcellum, l’attuale legge elettorale. Mai più.
Poi la riduzione dei parlamentari, la riforma del bicameralismo.
Accordo fatto? Quando alle otto e mezzo di sera, Lilli Gruber su La7 fa questa domanda a Pier Luigi Bersani, il segretario inizia la risposta con un verbo eloquente, declinato al plurale: “Rallentiamo”. Quindi: “Se son rose fioriranno”.
Insomma la partita è ancora lunga e ieri è andato in scena il primo round.
Il Pdl si è presentato un po’ sorpreso e spiazzato dalla decisione di Berlusconi di incontrare Bossi l’altra sera.
Per il Pd, invece, a un certo punto si è sparsa la voce che lo stesso segretario Bersani si fosse aggiunto alla riunione.
Falsa, ma che dà il quadro di un partito diviso in cui nessuno si fida dell’altro. Figuriamoci poi dell’ex nemico berlusconiano, oggi avversario e alleato allo stesso tempo sotto l’ombrello capiente della maggioranza tecnica.
Il punto è capire soprattutto la distanza che separa la difesa a parole del bipolarismo, con una legge senza più nominati, dalla convizione che taglia trasversalemente quasi tutte le forze politiche: che alla fine prevarà un sistema metà spagnolo (uninominale ), metà tedesco (liste nelle circoscrizioni), senza premio di maggioranza e senza doppio turno, in cui le alleanze di governo si fanno direttamente nelle urne. Tradotto in tre parole: grande coalizione permanente.
Dice uno dei sei partecipanti alla riunione di ieri, versante democrat: “Al Pdl abbiamo fatto capire a muso duro che non vogliamo una legge fatta contro gli altri, ma con un consenso largo”.
Poi il bicchiere mezzo pieno: “Abbiamo preso atto che nessuno ha il coraggio di presentarsi agli elettori con questo Porcellum”.
Male che vada, quindi, nonostante l’elaborazione di modelli spagnoli, tedeschi e ungheresi, potrebbe uscire un Porcellum corretto con le preferenze.
Anche se il Pd ha già detto che al posto di queste ultime, le preferenze, sarebbe meglio avere i collegi uninominali. Il caos della discussione è appena all’inizio e durerà almeno due mesi, quando ci saranno le amministrative.
E ieri i sei si sono seduti con i dati dell’ultimo sondaggio riservato, che danno il Pdl ancora più in calo. Eccoli: Pdl al 21 per cento, Pd al 29, Lega al 10, Udc all’8, Idv al 7,5, Sel al 7, Fli al 5.
Ed è per questo che per il momento, al di là degli scenari futuri e le previsioni sul ritorno del proporzionale come vorrebbero i centristi del Terzo Polo, la chiave autentica della fase apertasi ieri la offre un altro autorevole esponente del Pd, a microfoni spenti: “Questi primi incontri serviranno a far gettare la maschera a chi vuole votare ancora con questa legge , con il Porcellum”.
Magari approfittando di un incidente del governo Monti sulla riforma del lavoro.
Tra i democrat l’indiziato numero uno è proprio Bersani.
Nessuno oserebbe dirlo apertamente, ma sono in tanti a pensarlo. E ieri al tavolo chi ha fatto melina sul Porcellum è stato La Russa: conservare questo sistema consentirebbe di salvare l’alleanza con la Lega, che vuole mantenere il sistema dei nominati.
Al contrario, sullo schema bipartisan Alfano-Lupi-Enrico Letta, è stato il vicecapogruppo del Pdl al Senato Quagliariello.
Si tratta di capire chi prevarrà nei due partiti. Senza dimenticare l’eterna ambiguità di Berlusconi che, per dirla con le parole di un suo fedelissimo, “sta puntando su tutti i tavoli, sia quello bipolarista, sia quello proporzianale”.
Ieri, nel Pdl si è registrata anche un ulteriore picco di tensione contro l’ex ministro Giulio Tremonti, dopo le rivelazione del Giornale di Sallusti: “Lettera dal Quirinale, fu il ministro a opporsi al decreto salva Italia. Così il governo fallì la missione sviluppo e il Cavaliere fu costretto a lasciare”.
Da questo gigantesco clima di dialogo, a tirarsi fuori è stato Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei valori: “Riteniamo pericolosi e oscuri per la democrazia questi incontri da sottoscala fatti non alla luce del sole”. La risposta di Bersani è stata: “Qui non ci sono sottoscala, qui se si vuol fare una una legge elettorale bisogna parlarsi e noi stiamo parlando. Non voglio fare inciuci con nessuno, ma fare una cosa che la gente capisca”.
La sensazione è che questo sia l’incipit di una telenovela destinata a durare parecchio tempo. Ieri la prima puntata, con la comparsa dei principali protagonisti.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 8th, 2012 Riccardo Fucile
I PIANI PER AFFRONTARE LE MEVICATE CI SONO, MA SI SONO INCEPPATI MOLTI PUNTI…INFRASTRUTTURE OBSOLETE E SCARSI MEZZI A DISPOSIZIONE
L’Italia era pronta ad affrontare l’emergenza neve? Sulla carta, sì.
Dal momento in cui la Protezione civile ha emesso l’allerta meteo, la catena di comando doveva intervenire per prevenire il blocco delle infrastrutture vitali del paese (strade, autostrade, ferrovie, rete elettrica e servizi idrici) e mettere in moto la macchina dei soccorsi.
Ma i mille disagi sofferti dagli italiani in questi giorni documentano la grande disorganizzazione dell’apparato statale, delle Regioni e dei comuni, di cui il caos vissuto a Roma è stata solo la conseguenza più chiara e rumorosa.
Previsioni meteorologiche contraddittorie, piani antineve obsoleti, normative sulle calamità naturali lacunose.
E ancora, insufficienza di mezzi di soccorso, condutture dell’acqua che si spaccano con il ghiaccio, treni fermi per ore a causa di una porta gelata, ritardi nel chiudere le strade colpite dalla bufera.
Ecco cosa ha paralizzato l’Italia.
L’ALLERTA
Gli allarmi meteo diramati dalle Regioni non sono sempre chiari. L’allerta 2 (medio) dell’Emilia Romagna è diverso dallo stesso allerta lanciato in Liguria o Piemonte.
“Sono poi troppo generici – spiega Roberto Reggi, sindaco di Piacenza e responsabile Anci per la protezione civile – non è stato codificato il comportamento da tenere in caso di allerta uno, due o tre. Ognuno decide da sè. In base ai vari bollettini meteo, ci sono prefetture che si permettono di chiudere le scuole quando è il sindaco, e solo lui, a poterlo fare”.
Emilia Romagna e Piemonte, inoltre, hanno un centro meteo autonomo che spesso confligge con le previsioni nazionali
LA CAPITALE
A Roma non ha funzionato niente. A partire dal sindaco Alemanno che giovedì scorso non ha capito in tempo il fatto che i 35 mm di pioggia previsti dalla Protezione Civile per il giorno dopo potevano, in caso di termometro sotto lo zero, diventare 35 centimetri di neve.
Gli spargisale sono entrati in azione troppo in ritardo, quando ormai erano inutili. I mezzi spalaneve messi in campo erano troppo pochi e spesso sono rimasti inutilizzati perchè bloccati dal traffico.
Intasate le vie consolari di accesso alla città , gli automobilisti sono rimasti fermi per ore nella neve. Caos nella chiusura delle scuole: per eccesso di prudenza sono rimaste chiuse anche lunedì e ieri.
LE FERROVIE
Poche “scaldiglie” (impianti di riscaldamento degli scambi ferroviari), squadre di pulitori non sufficienti a coprire l’intera rete, porte dei convogli bloccate dal ghiaccio.
Il piano neve delle Rete Ferroviaria italiana in molte zone è naufragato su piccoli dettagli. Le scaldiglie, ad esempio.
Non ce ne sono abbastanza nel centro Nord, per cui non è stato garantito a pieno il servizio pendolari in Emilia e in Piemonte.
Non sono previste al Sud, ad esempio in Sicilia e in Basilicata. E con gli scambi congelati, i treni non passano. Così si spiegano i 66 Eurocity e Intercity a lunga percorrenza cancellati ieri.
C’è poi un problema di vegetazione: a Cassino 4 km di ferrovia sono stati bloccati perchè gli alberi si erano piegati sulle rotaie.
LE STRADE
Negli ultimi giorni dalle case cantoniere dell’Anas sono partiti 3000 uomini e 2500 mezzi per la pulizia di 25 mila km di strada. Ma gli interventi non sono sempre stati efficaci.
Sul Grande Raccordo Anulare di Roma, ad esempio, il sale sparso giovedì notte è stato sciolto dalla pioggia mattutina del venerdì, senza che venisse poi ripristinato.
Quel giorno, quando è cominciata la grande nevicata, i mezzi Anas non sono entrati in funzione perchè tir e auto senza catene, causa ghiaccio, si sono messi di traverso, bloccando il passaggio sulla corsia d’emergenza. In Abruzzo la chiusura della SS 690 è stata decisa in ritardo (alberi e tralicci finiti sulla carreggiata), decine di automobilisti sono rimasti bloccati.
LE AUTOSTRADE
Sulle autostrade è stato il caos, il coordinamento di Viabilità Italia del Viminale ha limitato i danni: chiusure temporanee, deviazioni, automobilisti fermi ai lati della carreggiata (ieri nevicava su oltre 1000 km di rete autostradale).
La prima misura adottata dai gestori è stato il filtraggio ai caselli dei tir di stazza superiore alle 7,5 tonnellate, una misura che ha facilitato l’ingresso in carreggiata dei mezzi spargisale e spalaneve.
L’effetto collaterale è stato l’intasamento delle strade provinciali con incolonnamenti di camion vicino agli svincoli. Sull’A24 Teramo-l’Aquila-Roma i cittadini accusano la Strada dei Parchi Spa di avere impiegato 28 ore per rimuovere la slavina di Carsoli, causandone la chiusura.
L’ELETTRICITA’
Il piano di emergenza della Rete elettrica, sulla carta, è inattaccabile.
Prevede la predisposizione di gruppi elettrogeni supplementari nel caso di interruzione delle linee e rinforzo delle risorse (tecnici e operai) sul campo.
Dovrebbe reggere anche di fronte a un’intensa nevicata. Non è andata così, e anche ieri l’Enel ha dichiarato che 12.680 forniture nel centro sud sono senza elettricità .
È successo che manicotti di ghiaccio si sono formati attorno alle linee, causandone la rottura. Non solo, sui cavi sono caduti anche alberi d’alto fusto.
Le squadre di intervento, con i mezzi leggeri a loro disposizione, non sono riuscite a raggiungere le aree di campagna invase dalla neve o con la viabilità intasata.
L’ACQUA
Ancora ieri c’erano quarantamila famiglie senza acqua a Genova, più di 22 mila utenze interrotte nel Lazio (luce e acqua), tubi che sono esplosi a Firenze.
La spiegazione si trova sottoterra, lungo i 500 mila km di condutture idriche italiane. 170 mila sono da rottamare perchè prodotti in ghisa grigia, un materiale che si spacca con il freddo.
Il sistema idrico si scopre così del tutto indifeso.
I gestori, oltre a potenziare le squadre di intervento (che però hanno problemi a raggiungere i paesi più sperduti) diramano agli utenti consigli “della nonna”: coprire i tubi esterni con panni di lana, polistirolo e giornali, sbrinare i contatori con dei normali phon per capelli.
GLI ENTI LOCALI
Perchè i governatori di diverse Regioni colpite dal maltempo non hanno chiesto lo stato di emergenza o l’hanno fatto con troppo ritardo?
Perchè con la nuova normativa, in vigore dallo scorso anno, sono gli stessi enti regionali a dover tirar fuori i soldi per gli interventi urgenti, aumentando tributi, addizionali, accise regionali sulla benzina.
Solo nel caso in cui le risorse non bastino, si può accedere al Fondo nazionale di Protezione Civile. Che però ammonta a zero.
Ci sono stati poi inspiegabili ritardi istituzionali. Ad esempio il Coordinamento della Protezione civile presso la Regione Abruzzo è stato convocato solo 72 ore dopo l’inizio dell’emergenza.
L’ESERCITO
È il prefetto, e solo lui, il soggetto che può chiedere l’intervento dell’Esercito in casi di emergenza.
Militari spalatori sono al lavoro nelle Marche, in Abruzzo, a Urbino, a Sora, nel basso Lazio.
Alcuni mezzi pesanti hanno però avuto difficoltà a raggiungere i paesi di montagna e le località più isolate.
C’è poi la questione del pagamento, che ha frenato gli interventi iniziali.
L’indennizzo richiesto era di 800 euro al giorno per ogni ruspa usata, 200 per i mini escavatori, 60 euro a soldato per vitto e alloggio, e a pagare dovevano essere le amministrazioni locali.
Il governo ieri ha stabilito invece che l’impiego dei militari non graverà sulle casse comunali.
LE DOTAZIONI
La mancanza di personale e di mezzi in aziende strategiche in queste occasioni di emergenza acuisce i problemi. La Cgil rivela che la Rete ferroviaria italiana, riferimento societario per Trenitalia, ha firmato un accordo per l’assunzione di 550 persone nell’area manutenzione.
Ad oggi sono entrati in Rfi solo in cento e sul fronte manutenzione (binari, scambi, linea aerea) Trenitalia ha accusato i guai maggiori.
A Roma venerdì scorso solo cinque volanti su quindici hanno potuto presidiare la città : dieci non avevano catene nè gomme termiche.
E il sindacato di polizia denuncia da tempo il contingentamento delle pattuglie della Polstrada sulle autostrade italiane.
FabioTonacci e Corrado Zunino
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 8th, 2012 Riccardo Fucile
LA LOCAZIONE DELLA SEDE DI VIA MACAGGI DELLA SEGRETERIA PROV. DI AN ERA PAGATA DA AN NAZIONALE… QUANDO AN SI E SCIOLTA E’ DIVENTATA LA SEDE DEL PDL, CON UN NUOVO CONTRATTO DI AFFITTO: NON INTESTATO AL PDL NAZIONALE, MA STRANAMENTE ALLA FONDAZIONE AN
Lo scandalo della scomparsa del tesoro di An denunciato stamane dal “Fatto Quotidiano” e la relativa inchiesta aperta dalla Procura di Roma presenta degli aspetti che lasciano allibiti (leggere l’articolo in home page).
All’atto dello scioglimento di An, in seguito allla nascita del nuovo soggetto politico Pdl, avrebbe infatti dovuto seguire la messa in liquidazione del patrimonio mobiliare e immmobiliare del partito stesso, sulla base della determinazione congressuale.
A tal fine avrebbero dovuto essere nominati uno o più liquidatori per decidere come procedere in tal senso.
Questo avrebbe dovuto essere il compito dell’apposita fondazione creata per gestire questa fase, così come avvenuto per altri partiti.
Il comitato di gestione della stessa nominò un comitato di garanti che avrebbe dovuto “controllare gli obiettivi strategici da perseguire per la conservazione, la tutela e lo sviluppo delle risorse”, fissando un paletto: “il divieto di confusione tra il patrimonio di An e quello del neonato Pdl”.
Questo valeva per gli immobili di proprietà (e invece risulta dalle indagini della Procura di Roma che ben 28 immobili sono stati concessi gratis alla organizzazione giovanile del Pdl) e valeva a maggior ragione per gli affitti che avevano gravato fino a quel momento su An.
Veniamo al dunque: l’affitto della sede genovese di An, sita in via Macaggi, era pagata, finchè An era un partito in vita, dalla direzione nazionale di An.
Se An si scioglie la cosa più logica sarebbe stata quella di disdire l’affitto e restituire le chiavi.
Salvo che, cosa che è avvenura, i dirigenti locali del partito di Berlsconi e quelli di An non decidessero di farne la sede del nascituro Pdl.
Cosa perfettamente legittima, ma a quel punto logica e legge impongono che l’affitto venga intestato al Pdl (nazionale o locale che sia).
E invece che è accaduto?
Che l’affitto è stato intestato proprio alla “Fondazione An” di cui si parla: con il risultato che l’affitto della sede del Pdl genovese finisce così per essere pagato dai contributi degli iscritti ad An, magari compresi quelli che non avrebbero mai voluto avere nulla a che fare con il Pdl.
In pratica il Pdl è ospite di una fondazione privata che ha ereditato i beni dell’ex An che a sua volta li aveva in buona parte ereditati dal Msi, molti dei quali iscritti, se fossero ancora in vita, al solo pensiero di finanziare i berluscones, inseguirebbero coi forconi i componenti del comitato di gestione della fondazione suddetta.
A questo punto una domanda sorge spontanea: a che titolo la fondazione ha preso in carico una locazione che non era di sua competenza?
Chi ha avallato una palese violazione delle norme indicate nello statuto della fondazione in direzione opposta alle determinazioni del congresso di scioglimento di An?
E il canone di locazione è stato effettivamente versato e in che misura?
Attendiamo risposte.
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Febbraio 8th, 2012 Riccardo Fucile
AMICO PER TRENT’ANNI E SUO EX ASSESSORE, UMBERTO CROPPI, UNO DEI POCHI “CERVELLI” DELLA DESTRA ITALIANA, SPIEGA LA FIGURACCIA DEL SINDACO DI ROMA TRAVOLTO DALL’EMERGENZA NEVE
Un parco studio nel centro di Roma. Due quadri, una scrivania, qualche libro.
La barba di Umberto Croppi, un bianco sporco, come la neve che ha sepolto forse definitivamente l’esperienza politica del sindaco Gianni Alemanno.
Croppi lo conosce da 30 anni: “E ancora gli voglio bene, ma la dissennata corsa di queste ore a farsi fotografare gli costerà cara. Gianni certamente non sarà rieletto e soprattutto, ogni istantanea di questa vicenda rimarrà nella storia. Perchè ogni frammento, in un effetto domino, corrisponde a un’ulteriore gaffe”.
Esempi
Alemanno con la pala in mano che sposta una pigna. Alemanno immortalato vicino ai sacchetti di sale da cucina. Alemanno mentre toglie neve da un marciapiede e la ributta in mezzo alla strada. Devastante. Inutile. Controproducente.
Quante responsabilità reali ha avuto nella disfatta?
Non molte. Roma non è attrezzata e molti altri, prima di lui, si erano trovati a mal partito con un fenomeno alieno alla città . Ha sbagliato altrove. Invece di reagire alle mancanze altrui nelle sedi competenti, è stato assalito da una furia iconoclasta. All’assalto, quando nessuno, almeno all’inizio, l’aveva accusato di nulla.
Perchè?
È difficile dirlo. L’Alemanno attuale è il manifesto di un disagio psicologico. Quando sabato mattina l’ho visto sventolare quei fogli bianchi con le previsioni mi è venuto un brivido. Ho capito subito che si trattava di un’interpretazione sbagliata. Di dati equivocati.
Un fatto grave?
Da un laureato in Ingegneria ambientale, responsabile dell’unica metropoli d’Italia, ci si aspetterebbe una cognizione maggiore. Incorrere nell’errore ed esporlo all’Italia e al mondo è uno scivolone incomprensibile.
Ci sono altri responsabili?
Certo. Tre o quattro assessorati, forse la Protezione civile e i vigili del fuoco. Ma il problema è altrove. Perchè Alemanno non ha chiesto spiegazioni ai suoi? Dove è finita la giunta di questa città ?
Poteva essere fatto di più?
Sicuramente sì, tutti sapevamo da 15 giorni che avrebbe nevicato. Se da un lato offro a Gianni la mia solidarietà , dall’altro non posso non vedere che in questa situazione appare, a essere bene-voli, del tutto smarrito.
Perchè?
Perchè è preoccupato soltanto della gestione della propria immagine. Uno slalom tra twitter e le tv, come se la nevicata lo ponesse di fronte a un referendum sulla sua capacità di governo.
Da cosa nasce l’urgenza?
Dai sondaggi del recente passato. Quando esondò il Tevere e Gianni si presentò in stivali sul greto, ebbe il picco massimo di popolarità . Ha deciso di riproporre l’esperi-mento, cadendo nel ridicolo. Nella drammatica caricatura. Nella saga di se stesso. È vero che all’epoca delle piene si percepì la sua presenza, ma è altrettanto innegabile che il Comune istituì un’unità di crisi attiva 24 ore su 24.
Questa volta?
Nessuna traccia. Un’anarchia desolante. Una città in balia di se stessa. Dopo una buona intuizione, la chiusura delle scuole, Gianni è sprofondato nelle contraddizioni. Aveva un vantaggio, non c’era neanche bisogno che lo sventolasse. Lo ha depauperato giocando d’attacco e innescando un meccanismo in cui una volta compreso di aver sbagliato, ha deciso di rilanciare senza sosta.
Come è stato possibile?
È stato mal consigliato. La sovraesposizione di Gianni è grottesca. Nell’ultimo anno lo si è visto con il casco sui cantieri, in bicicletta a inaugurare le piste, troppo. Dovrebbe rendersi conto che l’attenzione eccessiva lo danneggia.
Nella ricostruzione del sindaco, le responsabilità sono sempre degli altri.
Come nei tennisti italiani descritti da Nanni Moretti, per i quali la colpa della sconfitta risiede sempre altrove o nella metafora del cacciatore, per cui l’obiettivo mancato è addebitabile al cattivo funzionamento della cartuccia.
Dal suo blog ha lanciato messaggi allarmistici
Il blog è un boomerang. Si presenta come il simulacro della modernità 2. 0 e poi, in un amen, ti fa riprecipitare nella preistoria delle pale. Se sabato mattina, invece di dare addosso alla Protezione civile, Gianni fosse apparso per dire: “Ce la stiamo mettendo tutta, dateci una mano”, la percezione collettiva sarebbe stata diversa.
Invece
È parso dicesse: “Arrangiatevi”.
Lei lo conosce da sempre. È cambiato?
Non molto. Ha dedizione e ambizione, pregi e limiti. Il più grande? Chiude tutto all’interno di schemi rigidi. È molto ideologico.
La cacciò dalla giunta
Non covo alcuna revanche, ma in quell’istante, si è chiusa la sua esperienza politica. Invece di puntare alla qualità , ha pensato di cedere alle pressioni. Parentopoli e le assunzioni senza freni sono solo un riflesso di quel cedimento.
Ma lei gliel’ha detto?
Decine di volte. Cercava giustificazioni che erano soprattutto scuse da presentare a se stesso.
Litigaste anche sulla vicenda Colosseo-Della Valle?
Da assessore non sono mai stato contrario, ma estraneo alla vicenda. Mi sono mosso su binari paralleli. La camera di commercio mise a disposizione una cifra analoga a quella di Della Valle e io andai ad Abu Dhabi, riscontrando interesse per il restauro a cifre ben superiori a quelle poi erogate. Della Valle, onore al merito, si è preoccupato di reperire i fondi. Le modalità dai profili curiosi atte a trovare il denaro non mi riguardano. Comunque, anche in quell’occasione, Gianni sbagliò. Sul piano politico poteva fregiarsi dell’operazione, ma su quello delle procedura non c’entrava niente e avrebbe potuto, anzi avrebbe fatto meglio a stare zitto.
Malcom Pagani
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 8th, 2012 Riccardo Fucile
INDAGINE DELLA PROCURA: PRESTATI SENZA AVERNE TITOLO 3,7 MILIONI AL PDL, UN ALTRO MILIONE CONCESSO A FONDO PERSO. AFFITTO GRATUITO DI 28 IMMOBILI AI GIOVANI BERLUSCONES, PARCELLE ANOMALE PER DECINE DI MIGLIAIA DI EURO
Dalla Fondazione “Alleanza Nazionale”, nata in seguito allo scioglimento e alla confluenza del partito nel Pdl datata marzo 2009, sono spariti 26 milioni di euro.
E allo stato, tra pezze d’appoggio mancanti, prestiti milionari al partito di Berlusconi e immobili dati in uso gratuito ai giovani del Pdl, non c’è certezza di dove siano finiti.
Il retropalco dei partiti sopravvissuti alla Seconda Repubblica è uno spettacolo quotidiano.
L’ultimo in ordine di tempo, dopo lo scandalo Lusi-Margherita, sventola i simboli di una delle grande aggregazioni del dopoguerra italiano.
La casa di Giorgio Almirante e di Gianfranco Fini.
Un patrimonio di difficile stima che tra liquidità e immobili non risultava inferiore ai 400 milioni. Una cifra troppo alta per non scatenare brame e appetiti regolarmente finiti in tribunale.
La storia parte da lontano.
Nei giorni di marzo del 2009, in cui dopo il congresso nazionale, An decise per il 2011 di trasformare il partito in: “Fondazione che ne assuma l’emblema e la denominazione.
Alla fondazione competono tutti i diritti propri di An e ad essa sono assegnate le risorse materiali (…) e segnatamente ogni bene mobile e immobile direttamente o indirettamente posseduto comprese le partecipazioni in società e tutti icrediti verso soggetti pubblici o privati”.
Si optò per un comitato di gestione che avrebbe operato secondo le indicazioni di un altro organo, il comitato dei garanti.
Vennero designati i nomi dei singoli individui deputati al controllo degli “obiettivi strategici, anche di periodo, da perseguire per la conservazione, la tutela e lo sviluppo delle risorse (…) l’impiego e la destinazione dei fondi”.
I comitati si insediarono il primo aprile del 2009 e in un amen, fu guerra tra gli ex colonnelli di An e i fedelissimi di Gianfranco Fini.
Una guerra sporca, senza esclusione di colpi, durata per mesi e persa dai secondi costretti ad assistere a un “golpe” nelle mura di casa.
Dal comitato di gestione, non a caso in piena bufera Montecarlo, venne estromesso Franco Pontone (espulso dal comitato dei garanti nel 2010) e al suo posto nominato il senatore Mugnai.
Da allora e fino ad oggi, complice la frattura tra Fini e Berlusconi, quello che era stato definito “il divieto di confusione del patrimonio di An con quello del Popolo della Libertà ” divenne un’autostrada senza caselli, controlli o pedaggi.
Con gestioni allegre, rappresaglie ad hoc (la vicenda del Secolo d’Italia), purghe staliniane e campo libero a transazioni impensabili. Immobili di An affidati in uso gratuito ai giovani del Pdl (28), prestiti bizzarri come quello del 12 luglio 2011, in cui il comitato di gestione della Fondazione di An concesse su richiesta degli onorevoli Crimi e Bianconi del Pdl, la cifra di 3.750.000 a titolo di prestito infruttifero al partito rivale.
Da aggiungere a un altro milione a fondo perduto per sostenere le elezioni regionali del Pdl e ad altri contributi di importo ancora incerto, a fronte “dell’impegno morale” di Bianconi di vigilare sul loro “puntuale utilizzo”.
E poi, ancora altro denaro, dalla casa madre dei neo “nemici”.
Forme di generosa erogazione “del tutto anomale” distribuite con fumose motivazioni definite “Iniziative promozionali in sede al Pdl”, senza rendiconti verificabili e con giustificazioni risibili ad accompagnare il salasso verso il feudo di B.: “Promuovere all’interno del partito la costituenda fondazione”.
In mezzo, vennero bloccate le iscrizioni degli ex An alla fondazione (300 euro di versamento) e rese surrettiziamente invalide quelle giunte dopo il 30 aprile 2010.
In una situazione simile, con l’uso disinvolto del denaro di un partito appannaggio di un altro (rivale e in costante battaglia) i finiani rimasti vicini al presidente della Camera e confluiti in Fli, hanno provato il contrattacco.
Prima ha tentato l’avvocato di Fini, Giuseppe Consolo.
Poi lo studio del deputato di Fli Antonio Buonfiglio si è messo al lavoro e ha presentato con l’omologo di cordata Enzo Raisi, un esposto al Tribunale di Roma a fine novembre.
Quattro pagine fitte di date e cifre utili a chiedere alla magistratura di procedere “alla nomina di uno o più commissari liquidatori e comunque all’adozione di ogni e più opportuno atto affinchè fossa data corretta e puntuale esecuzione alle determinazioni congressuali in ordine alla liquidazione e allo scioglimento formale di An”.
Liquidazione non avvenuta (comportandosi la fondazione, in compulsivo erogamento di fondi della comunità di An al Pdl, in regime di “continuità ” e in direzione del tutto opposta) e determinazioni originarie tradite.
Il tribunale si è mosso e ha prodotto una relazione sull’attivita di liquidazione: misteriosa e raggelante.
Analizzati i documenti delle parti, i periti del tribunale hanno evidenziato come non solo non si sia verificata alcuna liquidazione nè alcun passaggio formale sulla stessa, ma del denaro scomparso, non vi sia traccia.
Dentro il buco nero si trova di tutto.
Accensione di conti correnti intestati all’associazione senza riscontri per individuarli. Parcelle saldate per decine di migliaia di euro ad avvocati impegnati a difendere il Pdl.
Il famoso prestito da quasi 4 milioni erogato al partito di Berlusconi, poi restituito a distanza di qualche mese, senza che ci sia foglio di carta che nel rendiconto chiuso a ottobre del 2010 che lo ratificasse.
E poi altri milioni, sempre destinati al Pdl, a fondo perduto.
Una situazione incredibile che relega l’affaire Margherita alle piccole cose di valore non quantificabile e lascia sul terreno una differenza di valori, tra la Fondazione gestita dai colonnelli e quella immaginata da Fini & C., di 26 milioni in meno di due anni (2009-2011).
Una perdita di capitali e ideali di cui adesso qualcuno chiederà conto.
Alessandro Ferrucci e Malcom Pagani
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 8th, 2012 Riccardo Fucile
IL QUADRO DEGLI STOCCAGGI VEDE UN UTILIZZO ARRIVATO AL 60% DEL TOTALE, CON UNA RIMANENZA DI 4 MILIARDI MI MC, CUI SI AGGIUNGONO 5 MILIARDI DI MC DI STRATEGICO
L’Europa è nella morsa del gelo e la Russia non riesce a far fronte alla domanda crescente di gas per il riscaldamento.
Per questo l’Italia stacca la spina alle aziende che hanno contratti di gas di tipo interrompibile.
Loro pagano una bolletta ridotta, ma sono consapevoli che possa accadere di ricevere meno gas del necessario. Nessuna riduzione per i condomini, assicura Corrado Passera.
Torniamo per un attimo in Russia, sabato 4 febbraio.
In tutto il Paese, malgrado il gelo si svolgono manifestazioni di piazza. A Mosca, con meno 20°C, ci sono 40mila contro e 140 mila pro-Putin.
“Non abbiamo paura del freddo”, scandiscono i manifestanti. Sono sicuri che quando torneranno nelle loro case dentro ci saranno 23 gradi.
Ovviamente sopra lo zero.
La Tv fa vedere tutte e due le manifestazioni. E anche la riunione del premier Vladimir Putin con il suo vice per l’energia — il potente Igor Sechin — e i vertici di Gazprom. Manca il capo, Alexey Miller (probabilmente ammalato), ma sono presenti i suoi due vice, Alexander Medvedev e Andrey Kruglov.
Sul tavolo, emergenza freddo e forniture di gas a russi e clienti esteri.
“Per il momento Gazprom non può fornire i volumi supplementari che i nostri partner dell’Europa occidentale ci chiedono”, ha dichiarato Kruglov. “Nei giorni scorsi si è verificato un calo del 10% delle forniture, ma i volumi forniti sono ora ritornati ai livelli normali”.
A Gazprom lo stesso primo ministro Vladimir Putin ha chiesto di “fare tutti gli sforzi per soddisfare le necessità dei nostri partner stranieri”, pur ricordando che “l’obiettivo principale della compagnia deve essere di rispondere ai bisogni interni della Russia”.
Una mossa naturale, e non solo pre-elettorale, visto che ci sono zone della Russia dove le temperature sono scese a -50.
Alla domanda di Putin — perchè l’Europa non compra il gas mancante sul mercato spot — Alexander Medvedev ha ribadito che il “mercato spot è piuttosto virtuale, esiste solo quando non serve tanto gas, e quando serve non riesce a soddisfare le esigenze”.
Ciò permette a Putin di attaccare l’Europa (“sarebbe da ricordare adesso chi rallentava la costruzione di Nord Stream”), e confermare la necessità di nuovi gasdotti, come la seconda linea di Nord Stream e di South Stream.
Nonostante le rassicurazioni di Putin, le agenzie di stampa di mezza Europa sono andate in tilt. I Tg europei e italiani aprono con i titoli “Putin riduce le forniture gas all’Europa”. E a rincarare la dose ci si è messo anche Paolo Scaroni. “Siamo in emergenza e abbiamo reagito all’emergenza aumentando le importazioni di gas dall’Algeria e dal nord Europa attraverso la Svizzera. Quindi non abbiamo problemi fino a mercoledì”, ha dichiarato l’amministratore delegato di Eni. “Ma da giovedì ci attendiamo un’altra ondata di freddo, e non sappiamo come si comporterà Gazprom”.
Ma siamo veramente in emergenza? Dai numeri, non sembrerebbe.
Al momento il quadro degli stoccaggi vede un utilizzo arrivato al 60% circa del totale del working gas, con una rimanenza di circa 4 miliardi di metri cubi cui si aggiungono i 5 miliardi di metri cubi di strategico.
Nei tempi peggiori della guerra del gas russo-ucraina, siamo arrivati a prosciugare gli stoccaggi (non strategici).
Se facciamo il calcolo della mancanza di rifornimenti, glissata anche dalla commissione europea, arriviamo a piena primavera.
Anche Antonio Urbano, amministratore delegato di Puraction, concorda: “Capita periodicamente che quando fa freddo ci siano problemi temporanei di rifornimento di gas. Questo si supera normalmente sfruttando le flessibilità dei tubi dall’Algeria e dalla Libia e ricorrendo a gas in stoccaggio (in questo periodo più disponibile del solito grazie all’inverno fin qui caldo).
Quando serve si sfruttano i contratti interrompibili di consumatori industriali, che già ricevono un compenso per aver fornito questa loro disponibilità a fare da cuscinetto.
Pur tuttavia ogni volta che ci sono questi problemi si mettono le mani avanti per richiamare l’interesse politico e dell’opinione pubblica sulla necessità di nuove infrastrutture di trasporto o sulla importanza e strategicità delle strutture esistenti.”
Ma sembra che con il freddo anche i rigassificatori non funzionino bene.
Ad esempio, quello di Rovigo va solo al 20%.
L’unica soluzione reale è avere più stoccaggi, e pomparli con il gas a buon prezzo d’estate, per usarle nelle emergenze invernali.
Facile dire che il freddo conviene a Putin.
In questo modo Gazprom vende più gas all’Europa e si arricchisce di più. Non esattamente.
Gazprom vorrebbe vendere più gas all’Europa, sarebbe il suo sogno prima di portare il gas in Cina, ma con contratti stabili, definiti, senza emergenza, quello che fa di solito.
E Paolo Scaroni immagina come si comporterà Gazprom giovedì.
Solo che ci sono in corso negoziazioni di contratti con il monopolista russo (e non solo di Eni, ma anche di altri operatori europei), e un po’ di rumore intorno non guasta.
Da ricordare, nella prima guerra di gas, nel 2006, quando i rubinetti del gasdotto russo-ucraino sono stati semplicemente chiusi, che anche alcune aziende italiane avevano guadagnato vendendo l’elettricità prodotta dal gas (mancante) e rivendendola a prezzi alti ai paesi vicini.
Mauro Meggiolaro ed Evgeny Utkin
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 8th, 2012 Riccardo Fucile
L’ITALIA E LA DIPENDENZA STORICA: VIENE IMPORTATA IL 90% DELL’ENERGIA…. PETROLIO E GAS COPRONO QUASI L’80% DEL FABBISOGNO NAZIONALE
Il gas mancherà o non mancherà ?
L’inverno del 2012 passerà alla storia come un anno critico per le sorti energetiche del Paese.
Ma per avere una ragionevole certezza del «lieto fine» bisognerà che una regola non scritta sia rispettata: quella secondo la quale è altamente auspicabile che non vada fuori uso più di una linea di rifornimento alla volta.
Gli esperti, nel loro gergo, parlano di «enne meno uno», e con il gasdotto della Russia che perde colpi e il rigassificatore dell’Alto Adriatico bloccato dal maltempo (onde fino a 5 metri che impediscono l’attracco delle navi metaniere) ci siamo sostanzialmente arrivati.
Per un Paese come l’Italia, che per la sua energia dipende al 90% dall’estero e che copre il 40% dei suoi bisogni civili e industriali con il gas naturale (un altro 40% è petrolio, cosa che di certo non rassicura), una prescrizione come questa diventa fondamentale.
Un’occhiata alla mappa dei gasdotti e alle rotte marittime interessate permette di comprendere la situazione più di mille parole.
Le arterie principali che nutrono la fame di energia dell’ottava economia del mondo arrivano da Algeria e Russia.
L’interruzione totale di una sola delle due metterebbe in ginocchio il sistema di approvvigionamento.
Su base giornaliera, se ci riferiamo allo scorso 2 febbraio, verrebbero a mancare 80-90 milioni di metri cubi su 420. Finora non ci si è mai arrivati, ma negli anni scorsi ci si è andati vicini.
Ad esempio nell’inverno 2005-06 e nel 2008 con le «guerre del gas» Russia-Ucraina. Mentre pochi ricordano che nel dicembre 2008 l’ancora di una nave strappò una delle 5 condotte del tubo dall’Algeria nello stretto di Messina, bloccando per settimane il flusso di gas.
Ma andiamo avanti: subito dopo i due gasdotti principali arrivano quello dal Nord Europa e il libico Greenstream, pari rispettivamente a 35-40 e 16-18 milioni di metri cubi al giorno.
Quello libico, è storia recente, ha ricominciato a trasportare metano solo da pochi mesi, e a prezzo di enormi sforzi degli uomini dell’Eni.
Ma è rimasto fermo per mesi dopo la rivoluzione anti-Gheddafi della primavera 2011. E l’inverno precedente, tanto per rimettere in fila tutti gli eventi «sfortunati», una frana nel Canton Berna aveva bloccato per mesi il tubo proveniente dal Nord Europa.
Tutti fatti imprevedibili, è vero.
Per di più – in un momento di bassi consumi generalizzati come negli ultimi anni – accolti persino con favore da clienti che hanno potuto invocare una «causa di forza maggiore» per non pagare forniture altrimenti inutilizzabili.
Ma la casistica delle disavventure, mai avvenute in contemporanea tanto da indurre a qualche scongiuro, serve a mettere in evidenza la fragilità di un sistema che probabilmente non si è mai diversificato abbastanza.
E che con questa sua rigidità di fondo ha anche mancato di cogliere delle «occasioni» favorevoli: con qualche rigassificatore in più (un investimento che forse i consumatori accetterebbero di sostenere in bolletta) si sarebbe potuto pagare il gas ai prezzi più favorevoli del mercato «spot», risparmiando fino al 20%.
Ora invece, oltre che sulla buona sorte, bisognerà fare conto soprattutto sulle riserve immagazzinate negli «stoccaggi» (i vecchi giacimenti esauriti da tempo che si trovano soprattutto nella Pianura Padana) e nelle contromisure d’emergenza prese dal Comitato per la Sicurezza.
Gli stoccaggi, però, funzionano con il «principio del palloncino».
Quando sono pieni e in pressione, all’inizio dell’inverno, possono arrivare a fornire fino a 260-270 milioni di metri cubi al giorno, ma alla fine della stagione, quando sono un po’ più «spompati», si scende a 150 milioni.
Nel 2006, l’anno difficile della crisi ucraina, erano pari a 12,9 miliardi di metri cubi. Ora, dopo 6 anni, siamo saliti a 14,7 miliardi, compresi 5,1 miliardi di «riserve strategiche», quelle che la leader di Confindustria Emma Marcegaglia vorrebbe utilizzare subito.
Un incremento non proprio spettacolare, verrebbe da dire, nella speranza che non ci sia da pentirsene.
Sempre nel 2006 si applicarono le medesime contromosse decise ieri, e il distacco degli «interrompibili» durò quasi un mese, dal 23 gennaio al 22 febbraio.
Fu autorizzata l’entrata in funzione delle più inquinanti centrali a olio combustibile per risparmiare il prezioso gas. Un terzo delle riserve strategiche fu intaccato.
Nulla, tuttavia, è a costo zero.
Allora, per le tasche degli italiani, l’emergenza si tradusse in una ulteriore tassa di 400 milioni di euro.
L’Autorità presieduta da Alessandro Ortis dovette riconoscere 66 milioni di euro all’Enel come reintegrazione per i maggiori oneri sostenuti con l’uso delle centrali a olio. Ci fu il tempo persino per qualche battuta salace in vista delle elezioni: «Il gas non è mancato grazie alla mia amicizia con Putin», disse Berlusconi.
«Mi chiedo di quale gas Berlusconi abbia parlato con Putin», rispose il Ds Massimo D’Alema.
Stefano Agnoli
(da “Il Corriere della Sera”)
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