Luglio 24th, 2012 Riccardo Fucile
DAL CAPOGRUPPO DONADI A LANNUTTI, BARBATO E ZAZZERA: MESSA IN DISCUSSIONE LA LINEA “GRILLINA”
Sulla carta si tratta solo di divergenze minimali, di “letture diverse di una stessa realtà ”, con una visione d’insieme che “comunque è più che concorde”.
Poi, però, si scava e si scopre, per dirla proprio con Antonio Di Pietro, che troppi indizi fanno una prova.
Nell’Idv è in corso un bel maremoto.
Messo in piazza, domenica, da una dura intervista all’Unità di Massimo Donadi, capogruppo dipietrista alla Camera.
“Caro Di Pietro — ecco i termini del “dissapore”secondo Donadi —io non ti seguo. E nel partito non sono il solo”.
La linea politica del segretario messa all’indice; nessuna voglia di mollare il Pd, perchè “la foto di Vasto è un punto di partenza e può essere allargata ad altre forze politiche” e poi piano ad attaccare il Quirinale “il rispetto per l’istituzione non va perso”.
Ieri, poi, un altro “indizio”. Elio Lannutti, presidente Adusbef, senatore e fondatore dell’Idv, che presenta a Di Pietro una lettera di dimissioni: “Caro Antonio, io con te ho chiuso; non condivido i suoi attacchi al Pd, alle istituzioni e primo tra tutti al presidente Napolitano; vuoi scavalcare a destra Grillo”.
Lannutti, che resterà nel gruppo del Senato, da indipendente e non si ricandiderà , ha abbracciato le posizioni di Donadi in ogni suo punto.
“Abbiamo fatto fuoco e fiamme per far venire Bersani a Vasto — ha raccontato il senatore — e poi non passa giorno che Di Pietro gli spari addosso; non si può andare avanti”.
Come un fiume carsico, insomma, la fronda mina Italia dei Valori proprio ora che “toccherebbe tirare le file e chiudere l’alleanza a sinistra — sono sempre parole di Lannutti — e invece ci si perde a dire che il declassamento di Moody’s è stato giusto solo per attaccare Monti, quando siamo stati noi per primi a sostenere la Procura di Trani che ha poi portato al rinvio a giudizio dei due dirigenti dell’agenzia di rating… si è dato più rispetto, in passato, ai Razzi e agli Scilipoti di turno… ”.
Parole amare. Che, però, non sono solo di Lannutti.
Ci sono nomi che pesano nella “fronda” dipietrista.
E sempre facendo conto che Franco Barbato, alla Camera, è già considerato una sorta di “apolide interno”, con Donadi si è schierato anche il vice capogruppo, Antonio Borghesi assieme ad Aniello Formisano, segretario regionale campano dell’Idv.
C’è poi una “dissidenza” (ufficialmente negata) persino di famiglia, con Gabriele Cimadoro, il cognato di Di Pietro, che non ha mancato di manifestargli dissenso, sospinto nella critica da personaggi di spessore come Fabio Evangelisti, segretario regionale toscano, Sergio Piffari, segretario Lombardo, Augusto Di Stanislao, coordinatore a Teramo, Federico Palomba, uomo chiave in giunta per le autorizzazioni alla Camera e, in ultimo, Pierfelice Zazzera, ex coordinatore in Puglia.
Un gruppo che ieri, durante una delle due riunioni del partito, non ha lasciato nulla all’immaginazione del segretario.
La tensione, a un certo punto, sarebbe stata tale da indurre Di Pietro ad accusare platealmente alcuni di puntare a un seggio Pd e il risultato è intuibile:
“Tonino si è bevuto il cervello”, è stata la battuta migliore, seguita da “è da quando Grillo gli ha detto di no all’alleanza, nonostante la mediazione di Casaleggio” che “ha perso lucidità e strategia di lungo respiro”.
Invero, Di Pietro la strategia ce l’avrebbe molto chiara in testa; un’alleanza con Grillo, per fare il pieno di voti e strappare il ruolo di futuro ago della bilancia all’Udc (che già se lo sente in tasca). “Le fiammate contro Napolitano e contro Monti — racconta esasperato Lannutti — sono dettate dalla necessità di accreditarsi con Grillo di non far parte del sistema. Solo che una bella fetta del partito non lo segue; se vogliamo vincere dobbiamo stare con il Pd”.
La fronda si allarga, ma Di Pietro non molla.
Anche a costo di lasciare qualcuno (più di uno) sul campo.
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 24th, 2012 Riccardo Fucile
IL PARTITO DEI FALCHI E LA CAMPAGNA CONTRO IL PREMIER… MA GRAN PARTE DEL PDL HA PAURA DEL VOTO
Il Paese brucia”, come tuona l’Italia dei Valori ma Silvio Berlusconi continua a ragionare in base ai propri interessi, come ha sempre fatto nel suo ventennio breve. Anche per questo, il Cavaliere, di nuovo dominus del Pdl e del centrodestra, prenderà la sua decisione sulle urne anticipate in autunno all’ultimo giro possibile.
Ovviamente non in nome della responsabilità e della coesione nazionale, secondo lo schema Napolitano-Monti che ha preso in contropiede i tre partiti della strana maggioranza (Pd, Pdl e Udc).
Semmai, il contrario.
Berlusconi, infatti, potrebbe risolversi a favore del voto a novembre nel momento più nero del governo sobrio di Mario Monti.
Quando magarì lo spread s’impennerà verso quota 600, con l’Unione europea bloccata e impotente.
A quel punto, come sostengono vari falchi a lui vicini, la tentazione sarebbe troppo forte e grande: andare davanti al popolo sovrano e gridare finalmente la sua verità : “La colpa dello spread l’estate scorsa non era mia, anzi con Monti va peggio ancora”.
A suggerire questa accelerazione sarebbero i soliti sondaggi della fidata Ghisleri.
Due i punti sottolineati da B. in modo ossessivo: l’85 per cento di quel che resta degli elettori del Pdl è contro Monti e la gran parte degli scontenti di centrodestra emigrati verso Grillo o l’astensionismo. Non solo.
A far propendere il Cavaliere per le urne autunnali potrebbe essere il no di Pier Luigi Bersani, che vorrebbe le elezioni nella primavera del 2013.
B. è molto attento alle mosse del segretario del Pd. È stato così anche meno di un mese fa. Argomento, sempre il voto anticipato.
Dopo la svolta di Fiuggi di Berlusconi (“Torno se mi date il 51 per cento”), Bersani ebbe uno sfogo con alcuni giornalisti: “A questo punto Berlusconi vuole il voto anticipato”.
A Palazzo Grazioli, residenza privata di B. a Roma, incassarono con stizza: “Bersani intesta al presidente un proprio desiderio personale. È il segretario del Pd che vuole il voto in autunno per conservare il Porcellum”.
Insomma, la solita storia che va in scena dall’inizio della parentesi tecnica.
Cioè: in realtà Berlusconi e Bersani avrebbero spesso la stessa posizione.
Venti e passa giorni fa, il voto anticipato. Oggi ne avrebbero paura.
Sondaggi permettendo, appunto, per il Cavaliere.
Se l’ex premier dovesse davvero smettere di tentennare quotidianamente e andare alla guerra d’autunno, farebbe una campagna elettorale in quattro punti: no tasse (Imu ed Equitalia); dismissioni per pagare il debito pubblico; ridefinire l’euro; riscrivere i trattati dell’Ue.
Nel Pdl, la sua linea già fa sognare i falchi come Daniela Santanchè e gli ex An. Ovviamente, il candidato premier sarebbe lui, sommando caos ad altro caos sulle macerie del Pdl.
Che farebbero i responsabili di Liberamente (già corrente in quota Letta-Bisignani) Frattini e Gelmini, aspiranti ministri in un governo politico della Grande Coalizione perpetua?
Senza contare il duello di manifestazioni lungo l’asse Roma-Mila-no di giovedì 26 luglio.
Nella capitale i fautori delle primarie guidati dall’ex An Andrea Augello.
Al nord, il redivivo Diego Volpe Pasini che ha organizzato “Sognando Forza Italia”.
Ecco perchè, ancora una volta, le mosse del Cavaliere potrebbero sciogliersi nel solito bluff.
Tatticamente, in ogni caso, ha un alleato nell’Udc di Casini, leader del montismo eterno consacrato al più presto possibile.
Un esponente del Pd vicino a Bersani riassume così la confusione in corso generata dalla sobria voglia di voto anticipato: “Nei partiti quelli che fanno il tifo per l’autunno pensano solo al loro tornaconto personale”.
Incluso l’amico Casini, naturalmente.
Fin qui, il centrodestra che tifa per le elezioni anticipate e s’intesta un presunto sì di B. a questa ipotesi.
Poi c’è il resto, che è la maggioranza.
In teoria, tantissimi i contrari, dal presidente del Senato Schifani al capogruppo della Camera Cicchitto. Ma, si sa, a comandare è tornato Berlusconi e solo lui prenderà la decisione finale. La schiera del no al voto tratteggia un Cavaliere diverso da quello raccontato dai falchi: “Il presidente ha bisogno di tempo, non è ancora pronto, qui bisogna riorganizzare tutto”.
C’è un Berlusconi per ogni tesi, a favore o contro il voto anticipato.
Anche a prescindere dalla legge elettorale. Magari, se la crisi precipitasse non ci sarebbe neanche il tempo per cambiare il Porcellum.
Questo un retropensiero ascoltato tra le prime file del centrodestra.
Senza sottovalutare la tentazione di un nuovo asse con la Lega.
Rivela Roberto Maroni: “Ho incontrato Berlusconi e gli ho chiesto di togliere il sostegno a Monti qualosa lo spread fosse salito sopra i 500 punti. Lui non mi ha detto sì ma lo spread non aveva ancora toccato quella quota. Dopodichè lo incontrerò nei prossimi giorni per dirgli di considerare questa cosa”.
Un ex ministro di centrodestra, invece, però è molto scettico: “Monti e Napolitano hanno fatto solo pressione. Non ci sono i tempi. Con il Parlamento sciolto a fine settembre, si voterà a metà novembre, se non a dicembre. Ipotesi remotissima”.
Spread permettendo.
Fabrizio D’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 24th, 2012 Riccardo Fucile
ECCO TUTTO CIO’ CHE NON HA FUNZIONATO NELLE MISURE ANTI-RECESSIONE
«La Sicilia oberata di debiti rischia di diventare la Grecia d’Europa», avverte il New York Times.
«Tracollo del credito», prevede la JP Morgan Chase.
E con i tassi spagnoli ormai sopra il 7%, gli investitori stranieri scommettono sulla bancarotta sovrana di Madrid, che richiederebbe un salvataggio assai più costoso di quello greco.
Recessione incalzante, spread che aggrava la perdita di competitività dell’Italia: ecco tutto ciò che non ha funzionato, nei rimedi usciti dagli ultimi summit europei.
IL “SALVA-BANCHE” NON CONVINCE
È una constatazione: la caduta dei titoli bancari in Spagna indica che i mercati non credono all’efficacia del salvataggio.
Malgrado l’eurozona abbia previsto di stanziare 100 miliardi, di cui 30 entro pochi giorni, gli investitori continuano a vendere le azioni delle banche.
Le ragioni sono diverse.
Da una parte gli istituti di credito spagnoli, insieme con la loro vigilanza e il loro governo, hanno mentito troppo a lungo sullo stato di salute reale dei bilanci: non hanno più credibilità .
L’altra causa di sfiducia, è un effetto perverso degli aiuti della Bce: la liquidità che Mario Draghi fornisce agli istituti di credito, viene reinvestita nei buoni del Tesoro spagnoli. Di fatto in ogni paese le banche sono diventate i principali acquirenti di bond pubblici nazionali: col risultato di affondare i loro bilanci, in quei paesi dove il valore dei titoli di Stato perde quota.
E’ la famosa “spirale perversa” che non è stata spezzata.
I RITARDI DELLO SCUDO
Con i rendimenti dei buoni decennali del Tesoro che in Spagna hanno raggiunto il 7,5%, i mercati si stanno convincendo che Madrid non ce la farà più a rifinanziarsi.
Lo “scudo anti-spread”, che avrebbe dovuto mettere un tetto a questi rialzi degli interessi in Spagna e Italia, è latitante.
Troppe le resistenze, tedesche olandesi e finlandesi. Pesa il dubbio che i due “contenitori” di risorse per aiutare i paesi in difficoltà (Efsf, Esm) siano del tutto insufficienti.
La Bce ha le mani legate, ogni espansione del suo ruolo nell’acquisto di titoli pubblici può provocare obiezioni di anti-costituzionalità in Germania.
Di qui la previsione della più grande banca americana, JP Morgan, che vede un “credit crunch” all’orizzonte. Ce la farà Madrid a rifinanziare i 27 miliardi di titoli in scadenza da qui a ottobre?
DEFAULT DELLE REGIONI
A minacciare la solvibilità degli Stati, ci si mettono anche le loro regioni.
Gli scricchiolii periferici sono iniziati da Valencia, che ha chiesto di poter attingere a un fondo di emergenza di 18 miliardi creato dal governo centrale di Madrid per scongiurare la bancarotta delle regioni.
Poi un Sos ancora più inquietante è venuto dalla Catalogna, la “Lombardia iberica”, un tempo ammirata per il suo dinamismo economico.
Neppure Barcellona riesce più a farsi fare credito sui mercati. Infine l’allarme italiano, partito dalla Regione Sicilia, che si è conquistata il titolone del New York Times.
L’AUSTERITY FABBRICA RECESSIONE
Non è vero che l’austerity piace ai mercati.
Non quando è la ricetta per rendere ancora più insostenibili i debiti. Gli investitori internazionali osservano che più la Spagna si sforza di applicare le direttive di Bruxelles Francoforte e Berlino, più si allontana la ripresa: ora il governo Rajoy prevede recessione fino al 2014, con disoccupazione fissa al 24%.
E’ una logica implacabile che i mercati hanno già visto all’opera in Portogallo, Irlanda e Grecia: di tagli si uccide il paziente.
Da notare l’andamento anomalo della Francia. Dall’elezione di Franà§ois Hollande il suo spread con la Germania si è ridotto. Hollande «fa cose di sinistra», come l’addizionale sull’imposta patrimoniale e l’assunzione di insegnanti. Eppure viene premiato dai mercati. Perchè ha una strategia pro-crescita (fondi alla scuola) e persegue il rigore di bilancio a carico di chi può finanziarlo (i ricchi).
LA BEFFA (PER NOI) DEI TASSI NEGATIVI
Beata Germania: colloca i suoi buoni del Tesoro biennali con un tasso negativo (meno 0,07%).
Il tasso negativo sembra un controsenso: significa che l’investitore-risparmiatore è disposto a pagare il Tesoro tedesco pur di prestargli i suoi soldi.
Il fenomeno innaturale avviene nelle situazioni di grave incertezza: equivale al prezzo che paghiamo per affittare una cassetta di sicurezza, dove pensiamo che i gioielli di famiglia sono al sicuro.
L’effetto perverso è che i tassi negativi dei bond tedeschi trascinano al ribasso tutta la struttura dei rendimenti in Germania.
Il credito costa sempre meno per le imprese tedesche, mentre diventa più caro per quelle italiane. Si accentua così quella perdita di competitività del made in Italy, che è la vera causa strutturale capace di rendere insostenibile tutta l’unione monetaria.
SE È LA GERMANIA A FARE SECESSIONE
Questo lunedì nero dei mercati ha avuto un antefatto: le indiscrezioni del settimanale tedesco Der Spiegel su un ritiro degli aiuti del Fondo monetario internazionale alla Grecia.
A questo si sono aggiunti i segnali di irrigidimento della Germania: «Un’uscita della Grecia dall’eurozona non sarebbe un dramma, e io sono sempre più scettico sulle possibilità di Atene di riuscire a restarvi», ha detto il vicecancelliere tedesco Philipp Roesler.
“Grexit”, cioè lo scenario di uscita della Grecia, preoccupa non tanto in sè quanto per la creazione di un precedente: a chi tocca dopo?
Inoltre sembra segnalare che la Germania può considerare un euro a due velocità , con paesi espulsi in una fascia esterna.
Fino a non molto tempo fa, era fantapolitica.
Ora i mercati ci riflettono.
Federico Rampini
(da “La Repubblica“)
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Luglio 24th, 2012 Riccardo Fucile
LAV E LEGAMBIENTE RACCOLGONO ADESIONI: SONO GIA’ 2.300 SU 2.700 BEAGLE SEQUESTRATI
La Procura di Brescia ha firmato il decreto con il quale si autorizza l’affidamento provvisorio dei 2.700 beagle dell’azienda Green Hill di Montichiari, in provincia di Brescia, posta sotto sequestro mercoledì scorso nell’ambito di un’inchiesta per maltrattamento di animali.
Il provvedimento cambia così il custode giudiziario dei cani (prima erano la stessa azienda, il Comune di Montichiari e la Asl): saranno affidati a Legambiente e Lav (Lega anti vivisezione).
E nei prossimi giorni potranno essere affidati alle famiglie che ne faranno richiesta.
“Per adesso la priorità è riuscire ad affidare questi cani a delle famiglie, a toglierli dall’allevamento di Montichiari per garantire la loro sicurezza”, fa sapere il responsabile adozioni della Lav, Giacomo Bottinelli, durante il vertice nella sede romana dell’associazione animalista che ha sancito l’inizio dell’operazione ‘Sos Green Hill’ e a cui hanno preso parte le tante associazioni animaliste che in questi mesi hanno seguito da vicino la vicenda dell’allevamento (Comitato Montichiari contro Green Hill, Coordinamento fermare Green Hill, Occupy Green Hill e le sigle della Federazione italiana diritti animali e ambiente).
Così i cani nati e cresciuti nei capannoni sul colle San Zeno di Montichiari potranno uscire all’aria aperta, per la prima volta, abbandonare quello che è stato ribattezzato un “allevamento lager”.
Per ora questi beagle allevati per finire nei laboratori scientifici “sono stati affidati a titolo provvisorio esclusivamente a Legambiente e Lav”, spiega il pm Ambrogio Cassiani, titolare della nuova inchiesta assieme al procuratore aggiunto Sandro Raimondi.
Questione di giorni e le operazioni di spostamento dei cani potranno cominciare.
I beagle verranno consegnati nelle mani dei loro nuovi custodi giudiziari: fino al loro trasferimento, però, gli animali resteranno sotto la custodia giudiziaria di Asl, sindaco di Montichiari e Green Hill.
Legambiente e Lav, tengono a specificare dalla Procura, sono gli unici custodi provvisori dei cani autorizzati a rivolgersi ad altre associazioni che possano dar loro un aiuto nella ricerca di strutture idonee ad accogliere i beagle.
Ed è qui che entrano in gioco anche la famiglie.
Le associazioni ambientaliste che hanno partecipato al vertice a Roma stanno raccogliendo e valutando le richieste di affidamento: ci si può rivolgere alle loro sedi o collegarsi ai rispettivi siti web. “Vorremmo famiglie consapevoli, che si rendano conto che questi animali non sono ‘normali’: hanno bisogno di estrema attenzione dal punto di vista comportamentale e fisico”, spiega Bottinelli della Lav.
Poi un appello: “Non cerchiamo chi, sull’onda dell’emozione, ci chiede un cucciolo pensando che si tratti di un affidamento qualsiasi”.
Anche perchè ciascun cane ha un microchip con un codice identificativo immodificabile: le sue condizioni verranno scritte nei verbali di consegna e la sua tracciabilità verrà sempre garantita.
Ora la lotta degli animalisti continua e la speranza è che il sequestro probatorio dell’allevamento disposto dalla Procura di Brescia possa diventare al più presto sequestro preventivo: in quel momento gli affidamenti potranno diventare definitivi.
(da “La Repubblica“)
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