Ottobre 17th, 2012 Riccardo Fucile
TRECENTO MILIONI PRESI DAI FONDI PER IL SUD, E NON SONO GLI ULTIMI
Dopo il danno, la beffa.
Prima lo spreco di 300 milioni di denaro pubblico, spesi in studi preparatori, cioè per tenere in piedi il carrozzone della società Stretto di Messina.
Adesso lo stanziamento di altri 300 milioni per risarcire i costruttori della mancata esecuzione di un’opera, il mitico ponte a campata unica di 3300 metri, da sempre considerata irrealizzabile.
Beffa nella beffa: con la legge di Stabilità il governo ha messo le penali in conto al “Fondo per lo sviluppo e la coesione”, quello per il Sud gestito dal ministro Fabrizio Barca, secondo la tradizione di mettere la faccia più presentabile sulle operazioni più impresentabili.
Ma adesso si apre la vera partita: non è detto che i costruttori del consorzio Eurolink (la Impregilo di Gavio e Benetton, la cooperativa rossa Cmc di Ravenna, la Condotte del gruppo Ferro-cemento) si accontentino dei 300 milioni.
La capacità dei manager pubblici di fare autogol potrebbe portare il conto molto vicino a un miliardo.
Basti pensare che la spesa prevista è passata dagli originali 3,9 miliardi a 8,5. E le penali potrebbero adeguarsi.
Il re dell’autogol si chiama Pietro Ciucci.
Una vita fa era un dirigente dell’Iri, e piaceva molto a Romano Prodi che lo impose alla presidenza dell’Anas.
L’Anas è il primo azionista della Stretto di Messina spa, di cui Ciucci è oggi presidente, dopo che si è appassionato al ponte.
Ciucci è anche commissario governativo per la realizzazione dell’opera, su nomina di Silvio Berlusconi che apprezzò la sua passione per il ponte tanto costoso quanto impossibile.
Nel 2005 la Stretto di Messina fece la gara internazionale per l’appalto del ponte più ardimentoso mai pensato dall’uomo, e curiosamente gareggiarono solo costruttori italiani, la cordata Impregilo, allora guidata dalla famiglia Romiti, e l’Astaldi.
I grandi gruppi internazionali si tennero alla larga, senza capire che c’era la possibilità di guadagnare un sacco di soldi con il minimo sforzo.
Infatti Impregilo, pur di vincere, fece un’offerta stracciata, 3,9 miliardi contro una base d’asta di 4,4.
L’Astaldi fece ricorso al Tar, sostenendo che quell’offerta doveva essere esclusa per il “ribasso anomalo”.
Il Tar del Lazio, presieduto da un esperto di grandi affari con soldi pubblici come Pasquale De Lise, respinse il ricorso.
Ciucci si precipitò a firmare, il 27 marzo 2006, il contratto con Eurolink, che prevedeva ovviamente l’unica cosa davvero interessante del ponte impossibile: una penale pari al 10 per cento dell’opera a favore di Eurolink se alla fine avesse prevalso il buonsenso e tutto si fosse fermato.
Da quel momento è scattato il conto alla rovescia: dopo sei anni di paziente attesa, adesso Impregilo, Cmc e Condotte passano all’incasso.
Ma i sei anni non sono passati invano.
Secondo le accuse di associazioni ambientaliste non estremiste (Wwf, Fai, Italia Nostra, Legambiente), che si sono già rivolte alle procure della Repubblica competenti, Ciucci in tutti questi anni ha condotto una danza che non poteva non portare al pagamento delle penali.
Nella sua molteplicità di funzioni (controllore, controllato, affidatore dei lavori, commissario governativo, azionista della Stretto di Messina, manager della Stretto di Messina), mai contestata da alcuno perchè l’affare del ponte soddisfa tutte le parti politiche, ha prodotto una serie di atti e contratti in questi anni nei quali gli stessi avvocati faticano a districarsi.
Il risultato è che, se nel contratto firmato nel 2006 era previsto il recesso dal contratto senza pagamento di penali se il Cipe (cioè il governo) avesse bocciato il progetto definitivo redatto da Eurolink, nel 2009 la Stretto di Messina ha modificato il contratto, stabilendo che la penale scatta anche senza pronunciamento del Cipe.
Basta che il progetto sia stato approvato dalla Stretto di Messina, cosa che Ciucci si è affrettato a fare nel 2011.
Quando poi il governo Monti, all’inizio del 2012, ha “definanziato” il ponte, Ciucci, come presidente di una società formalmente privata, la Stretto di Messina, ha fatto ricorso direttamente al presidente della Repubblica.
Il ministro delle Infrastrutture, Corrado Passera, non ha fiatato.
Se devono comandare i tecnici, chi è più tecnico di Ciucci?
E i grandi costruttori incassano, come piace al governo Monti.
Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 17th, 2012 Riccardo Fucile
MEZZO MILIARDO DI EURO TRA AUMENTI DELL’IVA E RIDUZZIONE DEGLI ASSEGNI DI ACCOMPAGNAMENTO
“Ci sono alcune cose che personalmente non piacciono neanche a me, che richiedono
correzioni, lo farò presente al presidente Monti e al ministro Grilli: credo che si possa correggere qualcosa, in particolare sulle questioni che riguardano le politiche sociali”. Ieri mattina s’è scoperto così che la legge di stabilità non piace proprio a nessuno, nemmeno al ministro del Lavoro Elsa Fornero.
La professoressa torinese si riferisce, “personalmente”, a quei provvedimenti che Susanna Camusso ha definito “di un cinismo insopportabile, riassunte nel modo seguente dal portavoce del Forum del Terzo Settore, Andrea Olivero (Acli): “Un ulteriore e insensato attacco con ricadute gravissime per la vita dei cittadini più deboli”.
La prova?
È in questo elenco, che si occupa anche di descrivere plasticamente come il governo dei tecnici si rapporti con la marginalità sociale, persino quando ad occuparsene è il benedetto privato.
INVALIDI E PENSIONATI DI GUERRA
Le loro pensioni, e per i primi anche l’assegno di accompagnamento, si sommeranno ad eventuali altri redditi e verranno tassate a partire dalla somma minima di 15 mila euro l’anno: non tutta la platea (oltre 4,7 milioni) sarà costretta a pagare, ma il governo ha calcolato di incassare comunque, a regime, 255 milioni l’anno.
ASSISTENZA/1
Quasi cinquanta milioni di euro: è quanto l’esecutivo conta di risparmiare tagliando i permessi lavorativi di chi deve assistere un parente disabile.
In sostanza — se l’assistito non è il lavoratore stesso, il coniuge o i suoi figli — la paga viene dimezzata: l’idea, spiega la relazione tecnica al ddl, è abbassare “la maggiore incidenza percentuale nella fruizione dei permessi nel settore pubblico e ricondurla a livelli fisiologici (quelli del privato, ndr)”.
ASSISTENZA/2 .
Aumenta dal 4 al 10% l’aliquota imposta alle cooperative sociali, una realtà che eroga servizi a oltre 5 milioni di cittadini e dà lavoro a più di 330mila persone nei settori dell’assistenza, della sanità , dell’educazione (si pensi agli asili nido).
Il governo pensa di spremere da questo settore 153 milioni l’anno: loro avvertono che il costo verrà scaricato all’ingrosso per il 70% sugli enti locali per cui effettuano servizi e per il restante 30% sulle famiglie.
SANITà€
I tagli orizzontali, mascherati da spending review , per il settore ammontano a 600 milioni nel 2013 e ad un miliardo ciascuno nei due anni successivi: vanno a sommarsi, peraltro, agli oltre venti miliardi di contrazione delle spese già previsti dalle manovre del 2010, 2011 e 2012.
ESODATI.
Viene istituito un fondo ad hoc. Buona notizia, si dirà : non tanto perchè dentro ci sono solo 100 milioni di euro e si rischia la creazione di un diritto valido solo finchè ci sono le risorse per garantirlo.
ONLUS/ 1.
L’effetto regressivo di un taglio generale delle detrazioni è abbastanza intuitivo, ma nel ddl del governo c’è un ulteriore effetto perverso: visto che la franchigia sale da 129 a 250 euro anche per le donazioni a favore di onlus e associazioni di volontariato — e che il contributo medio nel 2011 è stato di 210 euro — si può parlare di un vero e proprio disincentivo all’erogazione liberale che manderà in crisi specialmente le realtà più piccole. “Il colmo della vergogna — dice Antonio Borghesi, deputato Idv — è che secondo indiscrezioni non saranno invece toccate le donazioni a favore dei partiti politici”.
ONLUS/2.
Nonostante fosse un provvedimento atteso, nella legge di stabilità non c’è al momento la stabilizzazione del 5xmille e nemmeno la sua conferma per il 2013.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 17th, 2012 Riccardo Fucile
VELTRONI SE NE VA, LA BINDI PUNTA I PIEDI NELLA CORSA ALLE PRIMARIE… ESCLUSO GOZI
C’è chi si getta nella sfida delle primarie e chi si ritira a vita privata nel Pd.
Ieri sera si sono chiusi i termini per presentare le candidature per i membri del partito: ai nastri di partenza.
Pier Luigi Bersani, Matteo Renzi e Laura Puppato.
Aveva già rinunciato Pippo Civati, c’ha provato fino all’ultimo Sandro Gozi, senza riuscire a raccogliere il sostegno necessario (gli mancavano 20 delegati).
Il tutto tra polemiche, crisi di nervi, appelli al segretario.
È così per chi entra, è ancor di più così per chi ha paura di doversene andare.
Il tormentone rottamazione — a primarie ancora da fare — sta già dettando il passo all’agenda del Pd.
Negli scorsi giorni Livia Turco, Ugo Sposetti, Pierluigi Castagnetti hanno annunciato il loro passo indietro (si erano detti in passato pronti a farlo anche Arturo Parisi e Franco Marini).
L’annuncio che ha spiazzato tutti, però, è stato quello di Walter Veltroni, domenica sera a “Che tempo che fa”: “Non mi ricandido”, scandisce, mentre ricorda che nella stessa trasmissione annunciò che “una volta conclusa la mia esperienza da sindaco avrei chiuso la mia esperienza politica”.
Poi arrivò l’offerta della candidatura a premier, i 12 milioni di voti presi, le dimissioni da segretario. Però la decisione, spiega Veltroni domenica, era presa. Ma, “questo vale per me non per altre persone. Si parla molto di Bindi e D’Alema, ma non si dice che con la rottamazione non entrerebbero Morando, Castagnetti, Parisi, che fanno del bene al Parlamento”.
Spiazza tutti Veltroni, costringe l’intero partito a prendere una posizione.
A parte tanti ringraziamenti, l’unico a chiedergli di restare è Enrico Letta.
La domenica sera è tutta per lui, con buona pace di Bersani che a Bettola apre la sua campagna elettorale. E ha un bel spiegare il suo staff che l’appuntamento con Fazio era in agenda da settimane.
Bersani stesso, che sapeva tutto da giorni, si limita a dire che “Walter resterà protagonista”.
E certo, Veltroni non fa un piacere al segretario, come nota la fedelissima Chiara Geloni, la direttrice di Youdem, esponente di punta del “tortellino magico” del segretario: “Più spazio a uno che non si ricandida a deputato che a uno che si candida premier. massimo rispetto per la scelta di wv, ma #rottamalastampa”, scrive ieri su Twitter.
Ancora: “Sono appena uscita da una trasmissione “su pd e primarie”. hanno fatto solo domande su Veltroni. normale? per me no”.
Risveglio amaro per il Pd.
Canta vittoria Renzi: “Bene Veltroni e non sarà l’unico”.
Spiazzato è D’Alema, che ad andarsene ci pensa (e ci ripensa) da mesi, ma che si trova nella sgradevole posizione di trovarsi a fare una scelta di vita, pressato dall’annuncio del rivale di sempre.
Così ieri fa una contromossa interlocutoria: “Io non mi ricandiderei , lo faccio se me lo chiede il partito”.
Ma quella più nervosa è Rosy Bindi, che sta vivendo un vero e proprio dramma politico (e personale).
Lei la deroga la vuole senza se e senza ma ed è incredula nel vedersi additare come il vecchio da rottamare.
Ieri Repubblica riportava che avrebbe chiesto il soccorso di Bersani, in difesa dagli attacchi. “Non l’ho mai detto” “manipolazione” scrive in una lettera che verrà pubblicata sul quotidiano.
A parte questo resta in silenzio, senza parole, rispetto all’amarezza di sentirsi all’angolo, agli eventi che la spingono fuori.
Il silenzio di chi non ha neanche la faccia tosta di uno come Beppe Fioroni che dice “Io non mi faccio rottamare”.
Certo, le liste (e le deroghe) sono una bella gatta da pelare, che finirà sul tavolo del segretario.
Per ora, però, spiega il responsabile Organizzazione Nico Stumpo è meglio non parlarne.
“Rimandiamo tutto a dopo le primarie e alla legge elettorale”.
Nel frattempo, infatti, al Nazareno e dintorni, si consumano le polemiche per le primarie.
Renzi alla fine arriva con le firme dei delegati e con la chiavetta con quelle degli iscritti (18 mila la soglia minima).
Laura Puppato sta sul filo fino all’ultimo, incontra Bersani per esprimergli tutto il suo disappunto: “Non mi piace il partito del gatto e della volpe, quello che modifica le regole. Impresa durissima rispondere ai requisiti per la candidatura”.
E poi, “è stato deciso che ora i candidati debbano in soli dieci giorni (entro il 25 ottobre) raccogliere 20 mila firme di elettori di centrosinistra, con il limite di non più di 2.000 a Regione”.
Per darle una mano, raccontano sia intervenuto lo stesso segretario.
Sandro Gozi, invece, ha pensato a chiedere un rinvio.
E alla fine si è arreso: “Nonostante la delibera unanime dell’Assemblea nazionale che doveva garantire il pluralismo delle candidature, la resistenza a far passare nomi diversi da quelli già decisi è stata fortissima”.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 17th, 2012 Riccardo Fucile
NEL PDL I SINGOLARI CASI DI COLUCCI E VAGLIATI
Come un’onda che si ritira dal bagnasciuga, ogni indagine anti ‘ndrangheta si lascia alle
spalle conchiglie di contatti e rapporti che, senza superare la soglia del rilievo penale, interpellano però la concezione che certa politica mostra dei rapporti con i potenziali elettori. Anche i due ultimi blitz non fanno eccezione.
Mentre investigano per voto di scambio sull’assessore regionale alla Casa Domenico Zambetti, il 10 maggio 2011 i carabinieri intercettano ad esempio il medico Marco Scalambra (ora arrestato con l’accusa di corruzione del sindaco di Sedriano, Alfredo Celeste, ai domiciliari) mentre racconta di essere stato sollecitato il giorno prima dall’assessore di Formigoni ai Sistemi verdi e Paesaggio, Alessandro Colucci (16.000 preferenze nel 2010, figlio di un questore della Camera ed ex coordinatore provinciale pdl), a fare campagna elettorale per un candidato Pdl al Comune di Milano, Renzo De Biase: «Allora – racconta il medico – io ieri ho visto Alessandro, ho visto… Formigoni… e ho chiacchierato un po’ con Alessandro. Mi ha detto “ma come, tu non stai facendo niente per la campagna di Milano? Ma io pensavo che tu facevi per Renzo Di Biase”».
Due ore dopo, l’assessore Colucci richiama il medico per reiterare la richiesta di far appoggiare quel candidato, «ti faccio pervenire del materiale io se ti può tornare utile».
Il medico si attiva subito. Ma nel modo che conosce: cerca cioè Eugenio Costantino, ora arrestato come referente della cosca Di Grillo-Mancuso nella compravendita di voti con l’assessore Zambetti.
Solo che riesce a rintracciarlo appena due giorni prima delle elezioni, quando Costantino spiega di non poter più farcela.
Nulla di penale, Colucci non è indagato: così come non lo fu quando nel 2010 un avvocato (poi arrestato e condannato per associazione mafiosa) fu intercettato mentre assicurava il sostegno elettorale a Colucci perorato da un consigliere pdl avellinese; o quando nel 2005 Colucci si ritrovò al tavolo di un ristorante con uomini della cosca Morabito, in una cena il cui «scopo esplicito – scriveva il pm Laura Barbaini – era quello di raccogliere consensi per l’elezione alla Regione di Colucci».
Ma questi campanelli d’allarme sembrano non suonare ancora nella dichiarazione in cui l’assessore, oltre a «escludere tassativamente qualsiasi mio coinvolgimento sia pure indiretto», sente di aggiungere: «Denunzio comunque il tentativo di criminalizzare qualsivoglia rapporto che si intrattenga con gli elettori connesso alla mia attività di pubblico amministratore attento ai bisogni del territorio», tentativo «ancora più grave se si considera che la riforma elettorale in corso, da tutti auspicata, tende a eliminare il fenomeno dei politici nominati per privilegiare il rapporto diretto tra eletti ed elettori».
Non dissimile l’inconsapevolezza rilevata da un precedente blitz nel consigliere comunale milanese pdl Armando Vagliati, che – premette il gip Giuseppe Gennari archiviandone l’accusa di corruzione – mette il presunto boss «Giulio Lampada in contatto con imprenditori immobiliari», e in cambio «si rivolge a Lampada anche per ottenere un appoggio nella possibile nomina a vicepresidente della Fondazione Fiera di Milano».
Vagliati «dice di non aver mai avuto idea dello spessore criminale di Lampada, e di non aver mai capito per dabbenaggine, ingenuità , buona fede».
Il giudice osserva però che almeno dalla conversazione del 29 gennaio 2010 «Vagliati sa perfettamente che Lampada aveva il fratello delinquente, che aveva paura di essere intercettato e che accettava solo incontri di persona come un latitante ricercato».
Eppure «questo ancora non basta al politico, certo vittima di dabbenaggine e ingenuità , a interrompere bruscamente ogni tipo di rapporto con un soggetto quantomeno sospettato di legami con la criminalità organizzata».
Luigi Ferrarella
(da “il Corriere della Sera“)
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