Ottobre 22nd, 2012 Riccardo Fucile
GLI ULTIMI RITOCCHI DEL GOVERNO, SARANNO UFFICIALIZZATE A NOVEMBRE
Niente da fare per Benevento, che invocava la «storia del territorio sannita», e nemmeno per
Rovigo, che sul piatto metteva la «peculiarità del Polesine».
Giorni contati per Treviso, troppo piccola di appena 23 chilometri quadrati, e per Terni, che pur di sopravvivere aveva suggerito il trasloco a qualche Comune dalla vicina Perugia.
La nuova cartina delle Province italiane è agli ultimi ritocchi: arriverà con un decreto legge all’esame del primo Consiglio dei ministri di novembre.
Una mappa che mette insieme le proposte che stanno arrivando in queste ore dalle Regioni.
E che respinge le tante richieste di deroga, applicando senza sconti le regole fissate con la legge sulla spending review : le Province che hanno meno di 350 mila abitanti o un’estensione inferiore ai 2.500 chilometri quadrati dovranno essere accorpate con quelle vicine.
Considerando solo le Regioni a Statuto ordinario, le Province scenderanno da 86 a 50, comprese le dieci Città metropolitane.
Quelle tagliate saranno trentasei, alle quali bisogna aggiungere un’altra decina di cancellazioni nelle Regioni a statuto speciale, che però hanno sei mesi di tempo per adeguarsi e decideranno loro come farlo.
Le uniche che potrebbero essere recuperate sono Sondrio e Belluno. Per il resto palla avanti e pedalare.
I COMMISSARI
«Non possiamo pensare che una riforma importante come questa – dice il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi – possa venir meno solo per delle resistenza localistiche». Anzi.
Per mettere al sicuro il risultato ed evitare la tentazione del dietrofront, vedi campagna elettorale e nuovo governo, il decreto prevede un processo a tappe forzate.
Dalla fine di giugno del 2013 tutte le Province, anche quelle che non si vedranno toccare i confini, saranno guidate da un commissario. Toccherà a lui curare la transizione verso il nuovo regime.
Un’accelerazione non da poco perchè la legge sulla spending review lasciava intendere che sarebbero andate a scadenza naturale, mentre nelle Città metropolitane il processo sarebbe dovuto partire all’inizio del 2014.
Resta da decidere solo se il commissario sarà esterno, nominato dal prefetto, o se il ruolo verrà affidato al presidente uscente della Provincia.
NUOVE SEDI
Più probabile la seconda ipotesi perchè, nei limiti del possibile, si andrà incontro alle richieste del territorio. È il caso della Basilicata.
La Regione avrà una sola Provincia ma vorrebbe spostarne la sede a Matera, lasciando invece a Potenza gli uffici regionali. Si può fare.
Pronti al confronto anche sugli uffici periferici dello Stato, come le questure o le prefetture.
Il decreto dice che ci sarà una «consultazione del governo con il territorio» in modo da spalmare la presenza dello Stato.
Per capire: se la nuova Provincia di Modena e Reggio Emilia avrà la sede politica a Modena, la questura o la motorizzazione potrebbero andare invece a Reggio.
Cosa succederà ai dipendenti?
«Nell’immediato – dice il ministro – non ci sarà una contrazione del personale ma ci potrebbe essere uno spostamento fisico. Naturalmente i criteri di quest’operazione andranno studiati con un esame congiunto insieme ai sindacati».
SISTEMA ELETTORALE
Una modifica riguarderà anche il nuovo sistema elettorale, quel meccanismo di secondo livello con i consiglieri eletti non più dai cittadini ma dai consiglieri comunali sul quale a giorni si pronuncerà la Corte costituzionale.
La sostanza non cambierà ma i voti saranno ponderati per evitare che, all’interno dei nuovi consigli provinciali, i Comuni piccoli pesino come quelli grandi. Ci siamo, insomma.
«Qualche intoppo può sempre arrivare – dice Patroni Griffi – ma faremo di tutto per superarlo». E non finisce qui. «Bisognerà andare avanti riflettendo sia sulle dimensioni delle Regioni sia sul numero dei Comuni: sono 8 mila, troppi, e la metà ha meno di 5 mila abitanti».
Un altro decreto, sulle macro Regioni e le fusioni dei Comuni? «Per carità , tocca a chi ci sarà nella prossima legislatura».
Lorenzo Salvia
(da “Il Corriere dellla Sera”)
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Ottobre 22nd, 2012 Riccardo Fucile
IL CAPOGRUPPO PDL: “PRIMA INTERCETTAZIONI E RESPONSABILITA’ CIVILE”
Voto di scambio e prescrizione lunga, il governo va avanti.
Già mercoledì il ministro della Giustizia Paola Severino, partecipando al plenum del Csm, potrebbe fornire dettagli sul nuovo provvedimento del governo.
Che riguarda entrambi gli aspetti, il voto di scambio non solo di fronte al passaggio di denaro, ma anche «di altra utilità », e i tempi della prescrizione calcolati con un meccanismo diverso da quello in vigore.
In queste ore Monti e i suoi s’interrogano, anche a livello tecnico, sulla strada da seguire, se optare per un decreto oppure ripiegare su un disegno di legge.
Intensi anche i rapporti con il Quirinale cui spetta l’ultima parola sulla possibilità di agire effettivamente per decreto legge, valutando le ragioni di necessità e urgenza.
Va da sè che la scelta è determinante.
Solo il decreto dimostrerebbe che il governo fa sul serio e non cerca solo di bloccare le polemiche sul ddl anticorruzione e sulle carenze che contiene.
Un’operazione di facciata, insomma. Il ddl, con la legislatura agli sgoccioli, non avrebbe nessuna chance di passare.
Anche la sede deliberante proposta da Finocchiaro, che ha bisogno del consenso unanime, verrebbe fermata dal Pdl. Dal Pd arriva invece un pieno via libera a muoversi per via d’urgenza, visto che il reato di voto di scambio, se modificato, sarà un utile deterrente per le elezioni nel Lazio e uno strumento determinante nelle mani dei magistrati che lo potranno contestare subito.
Ma dal Pdl all’opposto giunge un esplicito altolà sia sui contenuti del futuro provvedimento, sia sullo strumento da utilizzare.
Non solo, lo stesso Pdl ripropone il solito refrain del cosiddetto trittico, anti-corruzione, intercettazioni, responsabilità civile dei giudici.
Ad assumere le sembianze del falco è il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto che all’ora di pranzo gela gli entusiasmi del governo. Niente decreto, niente nuovo reato di voto di scambio, niente prescrizione, ma intercettazioni e responsabilità civile.
A palazzo Chigi i segnali dell’ostilità berlusconiana erano già arrivati, ma ora diventano ufficiali e con toni assai bruschi.
Cicchitto definisce l’aumento della prescrizione per decreto come «parole in libertà ». Parla di «giustizialismo cieco che fa leva evidentemente sull’emozione suscitata da una serie di intollerabili episodi».
Episodi gravi, come l’arresto dell’assessore regionale alla Casa Zambetti a Milano e quello di Fiorito a Roma che aveva al suo attivo 28 mila preferenze.
Il capogruppo Pdl stoppa la riforma della prescrizione soprattutto qualora non fosse accompagnata da un meccanismo tipo il famoso processo breve che il Pdl ha tentato inutilmente di far passare (con l’obiettivo di chiudere i dibattimenti del Cavaliere) e che prevedeva tempi rigidi per ogni grado del processo, tre anni in primo grado, due in secondo, uno e mezzo in Cassazione. Zeppa del Pdl anche sul voto di scambio potenziato, Cicchitto consiglia di «stare attenti a evitare dilatazioni che possano portare ad escludere il rapporto eletti-elettori».
Il Pd contesta Cicchitto.
Gli dice il responsabile Giustizia Andrea Orlando: «Non si capisce che c’entri il giustizialismo con l’aspirazione a veder conclusi importanti processi».
Al segretario del Pdl Alfano, che chiede di accelerare sul ddl anticorruzione alla Camera, Orlando ricorda che le colpe dei tempi lunghi sono tutte dei berlusconiani. Sembra di rileggere le risse scoppiate per il ddl anticorruzione.
Un segno cattivo per il destino della prescrizione lunga e del voto di scambio allargato.
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 22nd, 2012 Riccardo Fucile
L’ALLARME DELLA FNSI… IL PDL INSISTE PER APPROVARLA
La legge che doveva salvare dal carcere Alessandro Sallusti, e rischia di inguaiare in suo nome
tutta la libera stampa, comincia a diventare un affare imbarazzante.
I primi firmatari sono i senatori Vannino Chiti e Maurizio Gasparri: doveva essere un impegno bipartisan, quello di eliminare la possibilità del carcere come pena per la diffamazione.
Oggi, però, quella legge Chiti non la riconosce più. E Pd e Udc si dicono pronti a frenare qualsiasi strisciante tentativo di censura.
“Se verrà fuori un pasticcio sono pronto a togliere la mia firma”, dice Chiti.
Il senatore pd spiega che il suo primo obiettivo era eliminare il carcere. E che aveva poi previsto, per ragioni motivate, un obbligo di rettifica da parte del giornale con lo stesso spazio e lo stesso rilievo della notizia.
Questo però doveva servire a bloccare il procedimento penale.
Sulle pene, si era pensato a un massimo di 50mila euro.
E per il web, il tutto avrebbe dovuto riguardare solo i giornali online, non i singoli blog.
Nelle mani della commissione giustizia, “a forte maggioranza di centrodestra”, le cose sono cambiate.
“Si rischia di fare una legge puramente sanzionatoria. Se è così meglio fermarsi, limitarsi a eliminare il carcere, e lasciare che sia un Parlamento più sereno a occuparsi del resto”. Chiti non fa parte della commissione Giustizia, dove invece la vicenda è seguita da vicino dall’ex pm Felice Casson.
Suo uno degli emendamenti che prevede che il giornalista “recidivo” nella diffamazione sia interdetto per un periodo da uno a tre anni.
“Ma il punto di partenza era l’interdizione perpetua – spiega Casson – di questo bisogna tener conto. Poi certo, c’è una tendenza di alcuni senatori, soprattutto del centrodestra ma non solo, a inasprire le sanzioni pecuniarie e quelle accessorie”. Rivendica, Casson, di aver proposto di eliminare la possibilità di riparazione pecuniaria in caso ci sia già una multa.
Mentre Luigi Zanda spiega: “Il sentimento comune del Pd è contro l’arresto, contro le maximulte, contro le esagerazioni che abbiamo letto nel pezzo di Repubblica. Non le faremo passare”.
E la stessa capogruppo Anna Finocchiaro ricorda che il partito si è battuto perchè il testo arrivasse in aula, e non venisse votato direttamente in commissione come aveva previsto il presidente del Senato Schifani: “Ci siamo opposti alla deliberante che abbiamo fatto saltare. Oltre all’abolizione della pena detentiva, ci vuole un sistema che bilanci la risarcibilità dell’onore e della dignità del diffamato. È una battaglia che il Pd fa da 15 anni”.
Il relatore della legge per il Pdl, Filippo Berselli, è invece convinto che si stia andando nella direzione giusta: “La storia dell’emendamento anti-Gabanelli non ha senso, nessuno ha mai preso davvero in considerazione l’idea di togliere al giornalista la copertura economica dell’azienda. Il senatore Caliendo lo ritirerà . Quanto alle pene pecuniarie, è ovvio che togliendo il carcere dovevamo aumentarle. Se poi c’è una giusta rettifica, vengono diminuite. E se il direttore responsabile non vuole farla, il giornalista può chiedere ai giudici di imporgliela”.
Roberto Rao, Udc, avverte: “Dobbiamo scongiurare che le norme sulla diffamazione a mezzo stampa riguardino tutti i blog. Quanto all’aumento delle pene, la diffamazione dev’essere duramente sanzionata, ma questa legge non può essere un cavallo di Troia per fare norme intimidatorie contro i giornalisti”.
Molto preoccupato il presidente della Federazione nazionale della stampa Roberto Natale, che ricorda come sanzioni da 100mila euro rappresentino un problema per le grandi redazioni, e un rischio di sopravvivenza per le altre.
E avvisa: “Siamo pronti alla stessa battaglia fatta contro la legge sulle intercettazioni. Se nelle prossime 36 ore non ci sarà un ravvedimento operoso, sarà meglio lasciare in piedi la legge che c’è”.
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica“)
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