Destra di Popolo.net

DIRETTI AL CENTRO: LE STRATEGIE DI CHI CERCHERA’ DI FARSI CANDIDARE NELLA LISTA MONTI

Dicembre 30th, 2012 Riccardo Fucile

TRA ANSIE E PATTI DELLA MOZZARELLA, SPERANDO DI SUPERARE IL VAGLIO DI BONDI

Via dei Prefetti, angolo via Metastasio. Un ristorante specializzato in succulenti menù a base di mozzarella.
Una tavolata di politici che, un tempo, furono di strettissima osservanza berlusconiana.
C’è Isabella Bertolini, una forzista della prim’ora, all’epoca davvero una dura e pura, e poi ci sono Gaetano Pecorella e Roberto Tortoli, Alfredo Mantovano e Giorgio Stracquadanio (se si esclude Mantovano, sono tutti componenti di «Italia libera»: il movimento che dieci ex pidiellini hanno costituito nel gruppo misto alla Camera)
Si stanno scambiando gli auguri per il nuovo anno? No.
Stracquadanio fa un po’ il vago. «Ci sarebbe ancora un po’ di burrata?».
Ma poi le facce e il tono della voce basso (siamo a due passi da Montecitorio, e non puoi mai sapere chi è seduto nel tavolo dietro al tuo) sono piuttosto eloquenti.
«Okay, va bene: stiamo ragionando, riflettendo, ipotizzando su cosa sia più opportuno fare nei prossimi giorni», ammette alla fine Stracquadanio (che mollò Berlusconi già  a luglio, esausto e deluso, lui che pure l’aveva difeso sempre, persino nei giorni cupi dei bunga bunga).
Può essere più preciso?
«Allora: noi siamo usciti dal Pdl sperando in una rifondazione del centrodestra e, a questo punto, siamo tutti con Monti e con la sua Agenda. L’abbiamo spiegato in un comunicato e scritto nel blog che abbiamo sull’ Huffington Post . Ora però c’è il problema delle liste».
Prosegua.
«Monti stesso sostiene che per lui la lista unica anche alla Camera sarebbe la soluzione più efficace. Solo che Casini vuole andare per conto suo, e al massimo, come sappiamo, può accorparsi con Fini… poi c’è la lista di Montezemolo…».
Insomma voi rischiate di restare fuori dai giochi.
«No, guardi: che noi si resti tagliati fuori è escluso. Primo: perchè dopo le elezioni il Pdl tirerà  le cuoia definitivamente, e quindi uno spazio politico da ricostruire non solo c’è, ma ci sarà  anche dopo a maggior ragione. Secondo, perchè magari possiamo dar vita noi stessi a una lista di sostegno a Monti…».
Non fosse che suona male, si potrebbe titolare dicendo che stanno stringendo «il patto della mozzarella» (o della burrata).
Il gruppetto spiega che il loro pontiere tra i montiani è Mario Mauro, e che ai dieci di «Italia libera» è opportuno aggiungere oltre a Mantovano, che è già  qui attovagliato (cit. Dagospia ), anche altri ex pidiellini, a cominciare da Frattini e Cazzola, «con i quali ci teniamo in contatto strettissimo».
La Bertolini ci mette un filo di polemica.
«No, ecco… vorrei solo dire che non siamo dei poveri profughi, come qualche giornale della famiglia Berlusconi tende a definirci… siamo invece gente che fa politica sul territorio da vent’anni e non ci spaventa il rischio di non essere rieletti: perchè a noi interessa ricostruire il centrodestra e aiutare Monti. E per questo siamo pronti a metterci la faccia. Sia con una lista nostra, sia in un listone unico alla Camera, che sarebbe la soluzione più strategica».
Quest’idea di un listone alla Camera continua a piacere proprio tanto tra quelli che, vedendo arrivare la carrozza di Monti, e non in familiarità  con i tre cocchieri (Casini, Montezemolo e Fini) temono di non riuscire a salir su.
Piace, per dire, anche a quattro che, pur di farsi trovare pronti al passaggio della carrozza, non hanno esitato a lasciare il Pd.
Sono: Lucio D’Ubaldo, Benedetto Adragna, Giampaolo Fogliardi e Flavio Pertoldi (avrebbero persino registrato un logo: «Popolari democratici»).
D’Ubaldo (viene dalla Margherita) ha quel modo pratico di ragionare che lascia nella melassa dialettica molti suoi colleghi.«Sa cosa farei io se fossi Monti?».
Cosa farebbe?
«Io conterei le liste che, intorno a lui, si stanno formando. Allora: ci siamo noi, perchè è chiaro che noi una lista siamo pronti a farla. Poi c’è quella di Casini, quindi c’è quella di Fini, posto che Fini non pensi di accorparsi con Casini… poi ancora c’è Montezemolo… A quante liste siamo?».
A quattro: ma ha dimenticato la lista che sono pronti a varare pure gli ex pdl, come Bertolini e Stracquadanio
«Eh… Insomma: se Monti si mette a contare, io credo che finirà  anche con il ragionare sul rischio pratico, concreto, che una eccessiva frammentazione può comportare».
Quindi lei pensa che…
«Guardi, io e Adragna l’abbiamo spiegato con chiarezza in un articolo pubblicato dal Foglio : Monti cita De Gasperi, no? Ebbene, al pari di De Gasperi egli ha la responsabilità  di chiamare a raccolta uomini e donne di questo Paese che intendono concorrere alla ricostruzione di un’Italia civile e moderna…».
Le parole sono queste, in un miscuglio diffuso (tra ex pdl ed ex pd) di ansia, speranza e timore. I bacilli che alimentano il terribile virus dell’incertezza.
Nelle ultime ore, il virus si sarebbe diffuso anche nel corpo molle (ed elettoralmente debole) di Fli.
C’è infatti questa voce che Fini, volentieri, andrebbe in lista con l’Udc (chiedendo di portarsi solo quattro, cinque dei suoi).
Italo Bocchino, lei è sicuro di esserci? Teme che…
«Io non temo proprio niente!».

Fabrizio Roncone
(da “il Corriere della Sera”)

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PECORELLA, EX LEGALE DEL CAVALIERE: “CON VOTO SU RUBY TOCCATO IL FONDO”

Dicembre 30th, 2012 Riccardo Fucile

“GRAZIE AL PARTITO, PERSONE HANNO SVOLTO RUOLI PER CUI NON AVEVANO ALCUNA PREPARAZIONE”…”SONO DIVENTATI MINISTRI SOGGETTI SENZA STORIA POLITICA E CON VICENDE PERSONALI INCOMPATIBILI CON LE ISTITUZIONI”

“Il giorno che la Camera dei deputati della Repubblica italiana ha votato una mozione nella quale si sosteneva che Ruby fosse la nipote di Mubarak, non ce l’ho fatta più, la mia coscienza si è ribellata. Esiste un limite, quel limite si era varcato. Anche perchè fino a quel momento avevo già  dovuto mandare giù troppe cose”.
Gaetano Pecorella, parlamentare ed già  avvocato di Silvio Berlusconi nei processi storici come Sme e Imi-Sir, in una intervista al Corriere della Sera, spiega i motivi per cui si è allontanato dal Cavaliere e appoggerà  l’agenda Monti.
“Non è certo una scelta di oggi questo mio passaggio politico … la mia critica al partito di Silvio Berlusconi è cominciata oltre un anno fa. Lo avevo detto al Cavaliere: serviva più democrazia interna, altrimenti il partito si sarebbe logorato”.
Una democrazia che non è mai arrivata con la cancellazione delle primarie del Pdl e il ritorno a tutto campo del leader, che in questi giorni rilascia interviste e si fa ospitare in tutte le trasmissioni.
Pecorella, già  presidente della Commissione Giustizia alla Camera, riflette che è stata anche questa assenza di democrazia a lacerare il suo rapporto con il Pdl: “Anche. Ma questo è stato semplicemente un elemento logorante. È stato tutto il resto che lo ha devastato. E la verità  è che io sono rimasto nel Pdl cercando di trattenermi, di volta in volta. Il più possibile. Fino a quando possibile non mi è stato davvero più”. L’avvocato parla di “escalation.
Ad un certo punto nel Pdl si erano concentrati troppi procedimenti penali a carico di persone che venivano protette all’interno del partito”.
Insomma un affastellarsi di inchieste, indagini in cui si era chiamati, Cavaliere in primis, a infilarsi troppe volte la toga: “Intanto vorrei precisare che io sono diventato avvocato di Berlusconi quando già  ero diventato parlamentare. Non viceversa. E che ho difeso Berlusconi fin quando ho creduto nelle idee che il partito ci aveva propugnato. Avremmo dovuto cambiare la giustizia, dare al paese più libertà , più libertà  economica … Sulla giustizia come presidente della commissione della Camera ho seguito e fatto approvare i vari lodi (il cosiddetto lodo Alfano, ad esempio). Tutti quelli che ha voluto Berlusconi, in ogni caso. Erano indispensabili per continuare a governare, mi dicevo. Ho eseguito. Poi è venuto meno il presupposto politico del partito e tutto è crollato. Le riforme vere non si sono più fatte. Intendo le riforme costituzionali. E ad un certo punto abbiamo toccato il fondo”.
Con quel voto che di Montecitorio e con quei 315 deputati che hanno detto di essere convinti che una ragazzina marocchina, ospite delle serate ad alto tasso erotico di Arcore secondo la Procura di Milano, fosse parente dell’ex presidente dell’Egitto.
Il processo, che vede imputato l’ex presidente del Consiglio per concussione e prostituzione minorile, è ormai agli sgoccioli e il prossimo 14 gennaio Ruby dovrà  testimoniare.
Non c’è solo la marocchina nel cahier de doleance di Pecorella.
Grazie al partito ci sono state persone hanno svolto ruolo e incarichi per cui non avevano nè curriculum nè preparazione: “… Persone che senza nessuna storia politica e con storie assolutamente non compatibili con la politica arrivassero in Parlamento e avessero poi anche incarichi importanti. Non faccio nomi. Diciamo comunque che erano cariche da ministro”.
Quindi Pecorella ora guarda avanti e oltre: “Ho la sensazione che con la figura di Mario Monti potrò finalmente recuperare i valori nei quali avevo creduto. La capacità . Il merito. L’onestà . E, perchè no? Il rigore”.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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PRIMARIE PD E SEL: NELLA PRIMA GIORNATA BENE LA BINDI, SCONFITTO IL RENZIANO GORI

Dicembre 30th, 2012 Riccardo Fucile

IERI HANNO VOTATO 400.000 ELETTORI: BENE I 30-40ENNI E LE DONNE… SPICCANO I SUCCESSI DELL’EX MINISTRO DAMIANO, DI PIPPO CIVATI E DI BARBARA POLLASTRINI

L’obiettivo raggiungibile – dicono in casa Pd – è quota un milione.
Ieri, nelle nove regioni in cui si è votato, sono andati alle urne per le primarie 400 mila elettori (su una base elettorale di un milione di persone che hanno preso parte al ballottaggio del due dicembre).
“Sarebbe un ottimo risultato – dice il segretario Pierluigi Bersani – dai dati che stanno arrivando vedo delle cose francamente impressionanti: di questo passo arriveremo sicuramente a un milione di partecipanti e questo la dice lunga sulla volontà  di militanti ed elettori di partecipare”.
Oggi seggi aperti fino alle 21 in Veneto, Trentino, Friuli, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Lazio, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna (per Sel fino alle 20).
Ma dalle urne di ieri arrivano già  i primi importanti verdetti.
Rosy Bindi ha superato lo scoglio delle primarie in provincia di Reggio Calabria (insieme al consigliere regionale Demetrio Battaglia).
Battuta d’arresto invece per il renziano Giorgio Gori a Bergamo. Non ce l’ha fatta a vincere le primarie per la scelta dei parlamentari del Pd.
Nella circoscrizione di Bergamo, infatti, dove si era candidato, è arrivato solo quarto, con il 12 per cento delle preferenze (prima Elena Carnevali, capogruppo del Pd in Comune con il 31,18% dei voti. Secondo si è classificato il deputato Giovanni Sanga con il 20,47%).
Alla fine, con un tweet, ha ringraziato chi lo ha sostenuto.
Questo mentre il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, va alle urne oggi in Toscana: “Vado a votare alle primarie parlamentari Pd e faccio un grande in bocca al lupo a tutti i candidati che si sono messi in gioco”, ha scritto su twitter.
A sorpresa, infine, Massimo Mucchetti, vicedirettore del Corriere della Sera ha accettato la proposta di Bersani di candidarsi nelle liste del Pd.
Dalla Lombardia – dove hanno votato in 100 mila – arriva un altro segnale significativo. Sono i trenta-quarantenni a vincere: oltre a Veronica Tentori, ventisettenne che ha vinto a Lecco, appaiono ai primi posti nelle rispettive province Pippo Civati, (37 anni) a Monza, Alan Ferrari (37) a Pavia e Chiara Braga (33) a Como.
E’ Barbara Pollastrini la candidata più votata a Milano e provincia.
L’ex ministro ha avuto 4527 voti. E’ una donna anche la seconda nella lista ed è Lia Quartapelle con 4344 voti.
Più bassi i consensi raccolti dai candidati uomini: Matteo Mauri ha avuto 3921 voti, Franco Mirabelli 3747, Emanuele Fiano 3739, Francesco Laforgia 3694.
In Piemonte ha votato il 26 per cento degli elettori rispetto al due dicembre: è l’ex ministro del lavoro Cesare Damiano il più votato a Torino e provincia alle primarie del Pd.
Damiano ha raccolto 5.998 preferenze e si è collocato davanti al segretario provinciale del partito, Paola Bragantini, che ne ha totalizzate 4.226.
Spicca l’affermazione della giovane Francesca Bonomo, 28 anni, candidata proposta dai Giovani Democratici, che con i suoi 3.829 voti ha superato figure di spicco come parlamentari uscenti e amministratori di lungo corso.
In Liguria è un testa a testa serrato tra Lorenzo Basso, il segretario regionale e Mario Tullo, deputato.
Alle loro spalle la prima delle donne è la senatrice Roberta Pinotti. A Imperia promoss a sorpresa Donatella Albano, ex consigliere comunale a Bordighera, che denunciò le infiltrazioni della criminalità  organizzata in Comune (l’amministrazione è stata sciolta nel marzo 2011).
La paladina della lotta ai clan ha superato il favorito Leandro Faraldi, segretario provinciale.
Anche in Campania – come in Lombardia – sono andati alle urne in 100mila.
A Napoli boom del consigliere regionale Antonio Amato, dell’ex sindaco di Portici Enzo Cuomo e del deputato uscente Salvatore Piccolo.
Tra le donne in testa Valeria Valente e Assunta Tartaglione, responsabili regionale e provinciale del movimento femminile del Pd.
Nel salernitano il deputato uscente Fulvio Bonavitacola, ritenuto vicino al sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, è il vincitore delle primarie.
Ha ottenuto 8.756 voti. In provincia di Benevento, dove hanno votato in 15.120 persone, netta affermazione del capogruppo in Consiglio regionale, Umberto Del Basso De Caro, che ottiene oltre 12mila preferenze pari al 46% dei voti.
In Umbria, hanno vinto l’attuale deputato Gianpiero Bocci (in provincia di Perugia) e l’assessore regionale Gianluca Rossi (a Terni).
In Molise l’ex parlamentare Roberto Ruta si afferma a Campobasso, mentre a Isernia vince il segretario regionale del Pd, Danilo Leva.

(da “La Repubblica“)

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BERLUSCONI, DICHIARAZIONI A PESO D’ORO: I RIALZI DEL TITOLO MEDIASET SEMPRE IN COINCIDENZA DELLE SUE “DISCESE IN CAMPO”

Dicembre 30th, 2012 Riccardo Fucile

LE RICADUTE DELLE SUE USCITE: CHI SONO GLI INVESTITORI BENEFICIATI DALLE SUE AFFERMAZIONI?

“Cosa è successo al titolo Mediaset quando Berlusconi si è ripreso il microfono?” Una domanda nata, come spesso avviene, maliziosamente, in mezzo a tante altre che affollano ogni giorno i pensieri di un giornalista curioso.
Guardiamo le date: il 9 ottobre, in diretta a Canale 5, dichiara: «Appello a tutti i moderati che non si riconoscono nella sinistra: posso rigenerare il movimento creato nel ’94 (Forza Italia n.d.r.) per formare i giovani». Due giorni dopo Dell’Utri conferma: «Pronti a creare un’altra Forza Italia, con il fuoco che manca al Pdl, ripartendo dai circoli del buon governo».
Adesso prendiamo il grafico dei movimenti dei rendimenti giornalieri dell’indice di mercato, il FTSE-MIB, e del titolo Mediaset relativo ai primi 15 giorni di ottobre; e cosa si vede?
Il titolo Mediaset sale e scende in modo coerente all’andamento di mercato, ma il 10 ottobre (subito dopo l’annuncio della disponibilità  a scendere in campo), il titolo comincia a salire ed arriva ad un picco di quasi +8% (mentre l’indice FTSE-MIB viaggia fra il —2% e il +2%).
Proseguendo fino a Natale si trova una serie di altre “coincidenze”.
Il 26 ottobre arriva la condanna a 4 anni per i diritti Mediaset, e il mercato punisce il titolo, ma poco dopo lo premia con un altro picco del +4%, il 27 ottobre quando al tg5 Berlusconi dichiara: «Mi sento obbligato a restare in campo per riformare il pianeta giustizia, nei prossimi giorni decideremo se togliere immediatamente la fiducia a questo governo».
Il 16 Novembre arriva in elicottero e parla alla squadra: «Bilancio del governo Monti disastroso, e attacco alla politica economica della Merkel».
Nei giorni a seguire il titolo sfiora un picco del +6%.
Il 28 novembre La Russa annuncia la candidatura di Berlusconi per la premiership.
Il 1° dicembre al vertice di Arcore l’ex premier dice: «Sono assediato dalle richieste di ridiscesa in campo. Il Paese è sull’orlo del baratro, non posso permetterlo».
Sempre in controtendenza il titolo comincia a salire fino a raggiungere, il 3 dicembre, un altro picco del +7%.
Forse il mercato già  scommette che 3 giorni dopo il Pdl si asterrà  al Senato e alla Camera su decreto sviluppo e costi della politica nelle regioni.
D’altronde nei giorni prima il mercato ha imparato ad apprezzare che gli eventi ‘discesa in campo di Berlusconi’, ‘election day’ e ‘ritiro della fiducia’ sono tra loro assai collegati.
L’8 dicembre Berlusconi annuncia: «Torno in campo per senso di responsabilità ; un altro leader non c’è».
E il 12: «Vorrei riposarmi, ma se serve sono pronto; ho accettato di essere candidato premier, ma anche leader della coalizione».
Il titolo nuovamente si impenna, ma precipita subito dopo quando il Ppe sfiducia Berlusconi, per risalire immediatamente nei giorni successivi con l’intervento a Porta a Porta: «Avete bisogno di me, sento il dovere di prestare soccorso a chi ne ha bisogno».
In sostanza negli ultimi tre mesi si rilevano numerosi picchi rispetto al resto dell’anno, che hanno portato un guadagno per Mediaset del 27%, contro un andamento medio di mercato del 6%.
Se poi si considera che, a dicembre 2011, Mediaset aveva perso circa il 20% rispetto ad un incremento medio di mercato del 9%, ci si chiede: ma Berlusconi ignora le ricadute sul titolo (e chi se ne avvantaggia) delle sue uscite pubbliche
Risposta: probabilmente no.
Allora ne sorge un’altra: manipolazione informativa, insider trading?
Qualcuno se ne dovrebbe occupare: certo la Consob.
Chissà  se Vegas, tra una discettazione sulla Tobin tax ed una sulle sue proposte bizzarre per ridurre il debito pubblico (tempestivamente assunte a riferimento da Alfano), riuscirà  a trovare il tempo per fare anche il suo lavoro, ovvero le dovute verifiche?
Per esempio andare a vedere quali sono gli operatori, e soprattutto gli investitori che hanno beneficiato dell’andamento del titolo.
In fondo richiede meno tempo di quello che inopportunamente trovò per andare a votare la fiducia al governo Berlusconi nel dicembre 2010, quando era già  stato nominato Presidente della Consob.

Milena Gabanelli
(da “il Corriere della Sera”)

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PANNELLA DOVRA’ RISARCIRE L’EX SEGRETARIA: OLTRE 250.000 EURO

Dicembre 30th, 2012 Riccardo Fucile

GIUSEPPINA TORRIELLI, 81 ANNI, HA LAVORATO DAL 1982 NEL PARTITO RADICALE E NEL GRUPPO FEDERALISTA EUROPEO, VENENDO RETRIBUITA SPESSO IN NERO… AVVIATA LA PROCEDURA DI PIGNORAMENTO

Marco Pannella è stato ed è un paladino dei diritti civili da sempre.
Sorprende così la notizia di cronaca giudiziaria che lo riguarda e che viene riportata dalle principali agenzie di stampa.
Ovvero la sentenza che lo obbliga a risarcire una collaboratrice cui non sarebbero stati pagati neanche i contributi.
Non c’è soltanto il problema del sovraffollamento delle carceri italiane a preoccupare il leader storico dei Radicali.
Da qualche settimana, a turbare i sonni del leader radicale c’è la causa intentata e vinta da una signora di 81 anni, Giuseppina Torrielli, che a partire dal 1982 ha lavorato prima nel partito Radicale e poi nel Gruppo Federalista Europeo, venendo retribuita come lavoratrice autonoma oppure più spesso in nero, fino al licenziamento in tronco avvenuto nell’aprile del ’94.
E’ stata necessaria una battaglia giudiziaria di quasi 19 anni perchè alla signora Torrielli, segretaria per 10 ore al giorno e sei giorni la settimana nei vari uffici del partito con un’attenzione ai problemi della vita carceraria tanto da curare la corrispondenza dei detenuti oltre a gestire la posta personale di Pannella, venisse riconosciuto che il suo era un lavoro subordinato.
Ecco perchè la sezione lavoro e previdenza della corte di Appello di Roma ha stabilito che Pannella, come presidente del partito, deve pagare all’anziana donna 71mila euro a titolo di mancati pagamenti: somma che, con la rivalutazione e gli interessi, supera i 250mila euro, comprensivi del risarcimento per l’omesso versamento dei contributi assicurativi e previdenziali.
Soldi che Pannella non sembra in grado di poter versare se è vero che il suo avvocato ha tentato una transazione proponendo alla controparte il saldo a rate di metà  della cifra oggetto del contenzioso in cambio della rinuncia all’impugnazione della sentenza.
La Torrielli, però, sempre essere più tenace del suo ex datore di lavoro e ha tutta l’intenzione di pretendere quella somma.
Il suo legale, infatti, proprio in questi giorni, ha dato avvio al pignoramento presso terzi in danno di Pannella per l’importo totale di 256.420,82 euro.

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LE CINQUE DEMOCRAZIE

Dicembre 30th, 2012 Riccardo Fucile

IL VOTO DECIDERà€ IL MODELLO VINCENTE

Le prossime elezioni? Una competizione fra programmi, interessi sociali, leader. Come sempre, del resto.
Ma stavolta c’è una novità , anche se fin qui non ci abbiamo fatto caso.
Perchè nell’urna si misureranno non soltanto linee politiche, bensì modelli di democrazia. E i modelli in gara sono almeno cinque, quanti le dita d’una mano.
Certo, la democrazia risponde pur sempre a un unico criterio: è un sistema dove si contano le teste, invece di tagliarle.
Però se il voto rappresenta lo strumento di legittimazione del potere, le tonalità  di quest’appello al voto esprimono altrettante concezioni del potere legittimo.
E adesso tali concezioni s’elidono a vicenda, come i cinque protagonisti sulla scena.
Primo: Bersani.
Vanta un’investitura iperdemocratica, perchè è l’unico leader scelto attraverso le primarie. Anche le primarie, tuttavia, possono declinarsi in varia guisa.
Se sono troppo chiuse s’espongono alla critica formulata nel 1953 da Duverger, dato che il loro esito verrà  orientato giocoforza dalla burocrazia interna del partito.
Nel caso di specie il Pd ha alzato gli steccati per evitare inquinamenti, e il timore non era campato per aria.
Però al secondo turno è stato respinto il 92% delle richieste d’iscrizione.
Dunque Bersani è portavoce d’un modello di democrazia innervata dai partiti, che in qualche modo fa coincidere i partiti con le stesse istituzioni.
Secondo: Berlusconi.
Quando ha aperto bocca, l’estenuante discussione sulle primarie del Pdl è subito caduta nel silenzio.
Perchè in lui s’incarna il potere carismatico, nel senso indicato da Max Weber.
Quindi un rapporto diretto fra il leader e i suoi elettori, che scavalca il partito e offusca qualunque altro potere dello Stato.
Da qui una lettura verticistica del principio di sovranità  popolare.
Da qui, in breve, la metamorfosi di ogni elezione in referendum: o con me o contro di me.
Terzo:Monti.
Un professore prestato alla politica, che fa politica senza dismettere la toga.
Anzi: è proprio quell’abito a riassumerne l’offerta elettorale.
Un’offerta che perciò riecheggia un modello di governo aristocratico: i re-filosofi di cui parlò Platone, gli ottimati dei comuni medievali.
Però tale modello può anche convertirsi nel suo opposto.
La legittimazione attraverso le competenze significa difatti il rifiuto della politica come professione, significa insomma che ciascun cittadino può ambire al governo della polis.
Quarto: Grillo.
Lui le primarie le ha convocate in Rete, e d’altronde per il suo movimento il web costituisce pressochè l’unico canale di mobilitazione, di comunicazione, di elaborazione. Si chiama democrazia digitale, definizione coniata fin dagli anni Ottanta, quando a Santa Monica fu battezzato il primo esperimento.
Ora con Grillo approda anche in Italia; ma resta da vedere come si concili la vena anarchica del web con la vena autoritaria del suo apostolo.
Quinto: Ingroia.
E insieme a lui Di Pietro e DeMagistris, ex magistrati entrambi. Più che un partito giustizialista, un partito giudiziario.
La sua cifra democratica? Potremmo definirlo il governo dei custodi.
D’altronde anche negli Usa i giudici sono eletti dal popolo. Siccome però siamo in Italia, applichiamo un criterio rovesciato: qui gli eletti sono giudici.

Michele Ainis
(da “Il Corriere della Sera”)

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INGROIA SI CANDIDA E ATTACCA GRASSO E IL PD: “PARTITO SENZA COERENZA, DIMENTICA BERLINGUER”

Dicembre 29th, 2012 Riccardo Fucile

“GRASSO E’ DIVENTATO PROCURATORE NAZIONALE ANTIMAFIA PERCHE’ SCELTO DA BERLUSCONI”…”POCHI MESI FA VOLEVA CONFERIRE UN PREMIO AL CAVALIERE PER LA LOTTA ALLA MAFIA”

Antonio Ingroia scioglie la riserva e annuncia il suo ingresso in politica con la candidatura a premier della neonata lista “Rivoluzione civile”.
Il simbolo contiene in grande il nome del candidato con sopra la scritta in blu “Rivoluzione civile” e sotto, in rosso, le sagome dei manifestanti del “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo su uno sfondo che vira all’arancione.
La conferenza di Ingroia è un lungo e duro attacco al Pd e al Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso che proprio ieri ha ufficializzato la sua presenza alle prossime elezioni con i democratici.
Grasso, accusa l’ex magistrato palermitano, divenne Procuratore nazionale antimafia “scelto da Berlusconi in virtù di una legge con cui venne escluso Giancarlo Caselli, ‘colpevole’ di aver fatto processi sui rapporti tra mafia e politica”.
Ma contro Grasso, dal punto di vista di Ingroia, pesa anche la grave responsabilità  di aver pensato “nel maggio 2012” di consegnare “un premio al governo Berlusconi per essersi distinto nella lotta alla mafia”.
“Da magistrato – dice Ingroia – non avrei mai creduto di dovermi ritrovare qui per continuare la mia battaglia per la giustizia e la legalità  in un ruolo diverso”.
“Quando giurai la mia fedeltà  alla Costituzione pensavo di doverla servire solo nelle aule di giustizia. Ma non siamo in un paese normale e in una situazione normale – prosegue il magistrato palermitano – Siamo in una emergenza democratica. E allora, come ho detto, io ci sto. E’ venuto il momento della responsabilità  politica. Alla società  civile e alla buona politica dico ‘grazie’ perche hanno fatto un passo avanti”.
“Questa è la nostra rivoluzione, noi vogliamo la partecipazione dei cittadini. Antonio Ingroia non si propone come salvatore della patria, ma di essere solo un esempio come tanti cittadini che si mettono in gioco, assumendo rischi”, dice ancora.
Nell’autoinvestitura di Ingroia non mancano gli spunti polemici, innanzitutto nei confronti del Pd, colpevole di aver “smarrito la sua coerenza”.
“A Bersani, che ho definito persona seria e credibile – aggiunge l’ex pm di Palermo – dico di uscire dalle contraddizioni in cui la sua linea politica si è impantanata”.
Al segretario del Partito democratico, ricorda Ingroia, “ho fatto un appello” e “lui ha risposto in modo un po’ stravagante, dicendo che non risponde ad appelli pubblici, ma mi auguro che Bersani sappia che l’avevo cercato personalmente, ma non ho ricevuto risposta, me ne farò una ragione. Evidentemente si sente un po’ il padreterno, Falcone e Borsellino quando li cercavo rispondevano subito”.
Poi l’affondo più duro: “Caro Bersani, così non va, chi ha alle spalle storie così importanti dovrebbe ricordarsi il valore della moralità “, dice citando le battaglie di Enrico Berlinguer e Pio La Torre per la moralità .
“Tra Violante e Dell’Utri c’è una convergenza che dovrebbe far riflettere i dirigenti del Pd”, rincara riferendosi ai giudizi sulla candidatura di Piero Grasso nelle liste dei democratici.
Accuse che non impediscono comunque all’ex magistrato di sostenere che comunque la porta per il Pd “rimane aperta”, così come per il movimento di Grillo.
A sostenere la candidatura di Ingroia è un pacchetto di forze politiche che va dall’Italia dei Valori, a Rifondazione comunista, dai Verdi ai Comunisti italiani, passando per il sindaco di Napoli Luigi De Magistris che sta pensando alla presentazione di una sua lista ispirata agli “arancioni” che nella primavera del 2011 hanno portato alla vittoria del centrosinistra nelle elezioni amministrative.
Iniziativa dalla quale prende però le distanze il sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Anche “se non esiste un copyright”, è certo che “sono state Milano e la campagna elettorale per il sindaco della mia città  il punto di partenza e il centro di quel rinnovamento”, dice il primo cittadino lombardo esprimendo preoccupazione “per i pericoli che vedo concretizzarsi all’orizzonte: vedere il popolo arancione strattonato da tutte le parti, trasformato in un aspirante piccolo partito, strumentalizzato al fine di ottenere qualche deputato, plasmato per infilarlo in una lista, accodato a questo o quel candidato scelto dall’alto”.

(da “La Repubblica“)

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MONTI A VENEZIA CON LA FAMIGLIA COME ALLA PENSIONE MIRAMARE DI VOGHERA

Dicembre 29th, 2012 Riccardo Fucile

FA FOTO CON IL CELLULARE, ALLOGGIA IN UNA PENSIONE A TRE STELLE, GIOCA COI NIPOTINI E NON RISPONDE ALLE INGIURIE DEL CAVALIERE

Il presidente del Consiglio Mario Monti è tornato a Venezia per trascorrere gli ultimi giorni del 2012 assieme alla famiglia.
Ha preso alloggio alla pensione Accademia, un albergo a tre stelle vicino alle Gallerie e al ponte dell’Accademia.
Verso le 11.45 è uscito dall’hotel ed è andato in piazza San Marco dove si è fermato davanti al campanile, poi ha raggiunto il vicino museo Correr dove è aperta una mostra sul pittore Francesco Guardi.
In piazza si muove sempre tenendo la mano al nipotino e scattando foto del campanile, della basilica e delle Procuratie con il cellulare, come un normale turista. «Il 2013? Speriamo che sia stupendo come questa giornata veneziana L’Italia? Credo che migliorerà  se tutti lavoriamo». Queste le sole dichiarazioni strappate ai cronisti in pizza San Marco.
Durante la visita alla mostra la signora Elsa ha «fatto la nonna» coi nipotini in piazza San Marco. Poi la famiglia ha pranzato all’Hostaria da Franz, nel sestiere di Castello, vicino all’Arsenale e a cinque minuti da San Marco.
Si tratta di un ristorantino che propone prevalentemente pesce, già  frequentato dai grandi attori di Hollywood quando arrivano a Venezia. Vi hanno pranzato Brad Pitt e Angelina Jolie, Zac Efron, Nicholas Cage e, per restare in Italia, Riccardo Scamarcio e Valeria Golino.
Monti dopo pranzo non ha replicato ai nuovi attacchi arrivati dall’ex premier Silvio Berlusconi: «Ho parlato anche troppo» si è limitato a dire.
Il premier, sollecitato dai cronisti, ha anche commentato la sua vacanza nella città  lagunare: «una vacanza low cost ma high quality» ha detto. Il senatore in serata parteciperà  a una celebrazione eucaristica.
L’albergo dove alloggia il professore non è certo uno tra gli alberghi più lussuosi e conosciuti di Venezia. Si chiama pensione Accademia, è un piccolo albergo di charme ristrutturato recentemente.
Discreto, è molto amato dai turisti inglesi.
Dall’albergo il senatore si è mosso in taxi scortato da 15 agenti di polizia.
Monti era arrivato a Venezia giovedì assieme alla moglie, ai figli e al nipote.
Si era concesso una passeggiata in città  prima di lasciare i famigliari e tornare a Roma per l’incontro con le forze politiche stanno appoggiando l’Agenda Monti.
Dopo la conferenza stampa dal Senato, il senatore è rientrato a Venezia, dove dovrebbe rimanere per tre giorni. In mattinata il sindaco Orsoni aveva fatto arrivare alla signora Elsa Antonioli, moglie del premier, un mazzo di fiori.

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MARONI SE LA PRENDE DAVVERO IN TESTA: PER ORA E’ ROTTURA CON IL PDL

Dicembre 29th, 2012 Riccardo Fucile

VORREBBE ACCORDARSI CON IL PDL PUR DI OTTENERE LA POLTRONA IN LOMBARDIA, MA NON PUO’ CONCEDERE UN’ALLEANZA AL CAVALIERE PERCHE’ I VENETI GLI FAREBBERO LA FESTA…E ALLORA IL PORTAVOCE   DELLA VOTINO PERDEREBBE ANCHE LA SEGRETERIA DELLA LEGA

L’alleanza con la Lega “spero si possa fare ma non è obbligatoria, perchè pensiamo di avere la possibilità  lo stesso di vincere anche se andassimo separati. Ma ci sono alcuni cose che non mi convincono e che dobbiamo chiarire”.
Berlusconi lascia ancora aperta la partita con il Carroccio, al termine del vertice sulle alleanze fra i due partiti che si è tenuto nella sua casa milanese di via Rovani.
Un summit nel quale si è rischiata la rottura, come minacciato da un tweet non proprio beneagurante del segretario Pdl Angelino Alfano: “Discussione con Lega ancora in corso. Alcune importanti questioni, però, non ci convincono e potrebbero indurci a separare il nostro percorso”.
No a Silvio premier.
La Lega ha chiesto ancora una volta un passo indietro di Berlusconi da candidato premier come condizione irrinunciabile per stringere l’alleanza con il Pdl.
Al Cavaliere, Maroni e i suoi riconoscerebbero il ruolo di capo della coalizione.
Ma l’indicazione per la premiership dovrebbe essere per Angelino Alfano o aperta anche ad altri nomi, eccetto l’ex premier.
Che, dal canto suo, nega problemi sulle candidature: “Non abbiamo parlato di candidati premier – ha detto – non abbiamo posizioni inconciliabili con la Lega, è su altre cose che discutiamo”.
Il nodo delle alleanze.
Altro punto di divergenza fra i due partiti è la richiesta da parte della Lega di un’alleanza in Lombardia prima di discutere di quella (eventuale) sul piano nazionale.
Su questo punto Berlusconi non ha intenzione di cedere e l’ha ribadito anche in mattinata, precisando che   “se il Carroccio andrà  al voto da solo rischia di diventare un partito piccolo, assolutamente ininfluente” a Roma.
Il Cavaliere è tornato quindi a minacciare il ritiro del Pdl dalle alleanze nelle giunte di Piemonte e Veneto e in un centinaio di amministrazioni comunali, nel caso in cui i leghisti non dessero il via libera all’alleanza a livello nazionale.
La risposta di Zaia.
Chiamato in causa, ancora una volta il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha risposto alle affermazioni dell’ex premier: “Mandarci a casa adesso sarebbe un danno inimmaginabile per cinque milioni di veneti. Se dovesse prendere questa decisione, Berlusconi se ne dovrebbe assumere la responsabilità “.
Quanto alla chiusura dell’accordo nazionale tra Lega e Pdl, Zaia si è limitato ad osservare che “la delega è nelle mani di Maroni, che è doppiamente coinvolto, in quanto anche candidato alla Regione Lombardia”.
Salvini, il Pdl non mantiene gli impegni. All’attacco è andato anche il segretario regionale della Lega, Matteo Salvini che ha precisato: “La candidatura di Maroni ha un fondamento, che il 75% delle tasse pagate dai Lombardi rimanga in Lombardia. Questo è un punto non negoziabile e se il Pdl non è in grado di mantenere questo impegno, è un problema suo”.
In realtà  Maroni è circondato da alleati interni che alzano il prezzo per mettere in difficoltà  lui e costringerlo alla sconfitta per poi succedergli in modo indolore.
Se poi Pdl e Lega si presentassero alleati in Regione e Maroni perdesse lo stesso contro Ambrosoli e Albertini anche Bobo sarebbe spazzato via.

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