Giugno 14th, 2013 Riccardo Fucile
L’EMENDAMENTO : SOLTANTO DOMICILIARI PER CONDANNE INFERIORI A SEI ANNI
L’emendamento-Arcore è stato depositato ieri in Parlamento dal sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri.
Si potranno scontare a casa, e non in cella, pene per delitti puniti con pena massima fino a 6 anni.
È una delle proposte del governo Letta per alleggerire il sovraffollamento delle carceri italiane. “Ma così finirà che in cella resteranno solo gli extracomunitari, perchè non hanno un domicilio o un’abitazione adeguata”, commenta a caldo un magistrato milanese.
Niente più carcere per le truffe, l’appropriazione indebita, l’abuso d’ufficio, il furto in abitazione, la ricettazione, i maltrattamenti sui bambini e perfino la detenzione di armi.
Di certo non finirà in carcere Silvio Berlusconi, visto che il reato per cui è stato già condannato in appello (frode fiscale) ha come pena massima proprio 6 anni, come anche quello per cui potrebbe essere condannato in primo grado nelle prossime settimane (prostituzione minorile).
Resta fuori dalla soglia soltanto l’altro reato contestato all’ex presidente del Consiglio nel processo Ruby: la concussione per induzione, pena massima 8 anni.
È chiaro che, comunque vada, Berlusconi in cella non entrerà mai, perchè ha 76 anni e il codice dispone che sopra i 70 anni si scontino le pene ai domiciliari.
Ma certamente la soglia dei 6 anni è molto alta e salverà dal carcere i condannati per un gran numero di reati anche gravi.
L’emendamento del governo prevede che “la reclusione presso il domicilio del condannato (o altro luogo di pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza) sia una vera e propria pena principale, stabilita dal giudice al momento della sentenza, e non più una misura alternativa qual è oggi considerata”.
Nell’originario ddl biparti-san, firmato da Donatella Ferranti (Pd) ed Enrico Costa (Pdl), era previsto che la detenzione domiciliare fosse possibile per reati sanciti fino a 4 anni di pena.
Ora il governo ha innalzato la soglia fino a 6 anni.
Fissando alcuni “paletti”: il governo viene infatti delegato dal Parlamento a “valutare la possibilità di escludere l’applicazione della reclusione presso il domicilio per singoli reati di grave allarme sociale, se puniti con pene non inferiori nel massimo a 4 anni”.
I due relatori, Ferranti e Costa, hanno presentato una decina di emendamenti per ampliare anche la cosiddetta “messa alla prova”, ossia la sospensione del processo per reati puniti con non più di 4 anni, al fine di consentire all’imputato di accedere a un programma di rieducazione. La “messa alla prova” non può essere concessa “più di due volte, nè più di una volta se si tratta di un reato della stessa indole”.
Ora la parola passa al Parlamento, che dovrà discutere le proposte fin qui avanzate: da martedì, sarà la commissione Giustizia della Camera a votarle.
Critica la Lega: “Invece di costruire nuove carceri e far scontare ai detenuti stranieri la pena nel proprio paese d’origine, il governo e la maggioranza hanno scelto di liberare i delinquenti dalle carceri”, dichiara Nicola Molteni, capogruppo del Carroccio in commissione Giustizia alla Camera.
Protesta anche Antonio Di Pietro: “Per risolvere il sovraffollamento delle carceri hanno trovato il solito sistema all’italiana, mettendo in libertà chi ha violato la legge. Così si offende la giustizia e chi è stato vittima degli atti criminali commessi da chi ora è detenuto”.
Dure critiche arrivano anche da Edmondo Cirielli, deputato di Fratelli d’Italia il cui nome è rimasto attaccato, in passato, alla riforma della prescrizione (poi disconosciuta): “Il cosiddetto decreto svuotacarceri è peggio dell’amnistia”.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 14th, 2013 Riccardo Fucile
INGROIA DICE ADDIO ALLA TOGA: “E’ STATA LA SCELTA PIU’ SOFFERTA, ORA FARO’ SOLO POLITICA”
Antonio Ingroia sta per fare la sua scelta di vita. Lascia la magistratura e passa alla politica. 
«È stata la decisione più sofferta dei miei 54 anni».
Dopo averne passati 25 con la toga addosso il suo addio è colmo di amarezza.
Verso i colleghi, e verso il Csm e l’Anm, cui muove puntuali rimproveri.
«Per mesi mi sono sentito un uomo e un magistrato solo, ma non ho mai smesso di difendere la Costituzione e di cercare la verità su chi, e soprattutto perchè, ha ucciso il mio maestro Paolo Borsellino ».
Ora la sfida è un’altra, «portare in politica la grande passione per la giustizia, la verità e la Carta, visto che stiamo attraversando una vera e propria emergenza costituzionale».
Si avvicina il 22 giugno, quando prenderà forma Azione civile, il suo movimento. Come prevede di presiedere quell’assemblea, con o senza toga?
«No, ho deciso a malincuore di abbandonarla. Non ci sono più le condizioni perchè la tenga ancora indosso e ci sono invece delle gravi ragioni per le quali è venuto il momento di dedicarsi a tempo pieno all’attività politica. Lo dico perchè in queste ore si comincia a giocare una partita decisiva per il futuro della democrazia nel nostro Paese e dello Stato di diritto come delineato dai padri costituenti. Mi sono sempre dichiarato partigiano della Costituzione, l’ho difesa strenuamente da magistrato, ma mi sembra chiaro che stiamo andando verso la soluzione finale perchè si sta per mettere mano ai suoi capisaldi. Quindi non basta più un magistrato “partigiano della Costituzione”, ma occorrono tanti cittadini organizzati in un movimento politico per difendere con la loro azione la nostra magnifica Carta».
Davvero si chiude per sempre la porta alle spalle? Non pensa che tutti diranno “lo fa ora perchè non ha più un futuro”?
«Accetto il rischio perchè la posta in gioco è molto più importante di quello che si dirà sul mio conto. Sono abituato a maldicenze e travisamenti. Certo, sono così affezionato a questa toga che sarei rimasto in magistratura se mi fosse stata data la possibilità di mettere a frutto la mia esperienza ventennale di pm antimafia in Sicilia. Ma c’è chi non vuole, il Csm in testa».
Giudizio pesante. In questi mesi ha visto lì dentro dei nemici contro di lei e contro le indagini che ha condotto?
«Non mi piace ragionare con la logica militare dell’amico-nemico. Però è sotto gli occhi di tutti che appena l’inchiesta sulla trattativa è partita e si è capito che non sarebbe stata archiviata, ho avvertito forte prima un senso di allarme e preoccupazione rivolta contro di noi, poi un’ostilità strisciante, che alla fine è diventata avversione evidente, isolamento, ostacoli a ripetizione, fino ai ripetuti tentativi di neutralizzare le indagini, bloccando quei pm troppo ostinati nella ricerca della verità ».
La sua sarebbe una scelta obbligata perchè non le hanno lasciato lo spazio pieno per indagare sui misteri d’Italia?
«È proprio così, me n’ero resoconto già un anno fa quando, mentre lavoravo alla richiesta di rinvio a giudizio, presi atto che si erano richiuse le porte della stanza della verità che quasi miracolosamente si erano aperte qualche anno prima senza che si riuscisse a scoprire tutta la verità su quella stagione oscura di patti e sangue».
Non sarà , detto più terra terra, che stanno pesando le iniziative disciplinari contro di lei?
«Quelle non m’impressionano più di tanto, anche perchè nessuna è fondata e tutte sono indirizzate a reprimere la libera manifestazione del pensiero e il legittimo esercizio del diritto di critica anche nei confronti delle sentenze».
Dica la verità , si è sente isolato dai suoi colleghi per le scelte investigative e politiche che ha fatto. Non le pesa il voto unanime del Csm, insieme destra e sinistra della magistratura, contro Messineo, che in realtà è contro di lei?
«Avevo deciso ben prima di questa delibera. Ma ora lo posso dire. Negli ultimi anni è cresciuto dentro di me il senso di estraneità rispetto alle logiche “politiche” del Csm e alle timidezze e all’ingenerosità dell’Anm nel difendere i magistrati più esposti della procura di Palermo».
Aosta: come ha vissuto la decisione di mandarla lì?
«Certamente una scelta punitiva con motivazioni politiche. Bisognava dare una lezione alla magistratura che non si omologa, che quando indaga non ha riguardi per nessuno, a prescindere dalla collocazione politica. Il Csm poteva, anzi doveva, destinarmi alla procura nazionale antimafia, ma ha voluto tenermi alla larga da fascicoli connessi alle stragi e alla trattativa».
Poteva lasciare a dicembre, quando si è candidato per Rivoluzione civile. Perchè ci ha pensato tutti questi mesi?
«Perchè non ho mai creduto ai professionisti della politica e ricordavo l’esempio di un giudice antimafia prestato alla politica come Cesare Terranova, che poi era tornato a fare il giudice a Palermo, ma prima che potesse farlo fu ucciso dallamafia».
Che si lascia dietro? Rimpianti? Non le mancheranno indagini e processi?
«Non è stato facile. È una scelta molto travagliata. Ho dedicato gran parte dei miei anni da pm a cercare di ricostruire la verità sulla stagione in cui ha perso la vita il mio maestro Paolo Borsellino. Ma adesso sono convinto che la magistratura, nelle condizioni in cui si trova, non possa fare grossi passi avanti se non cambia la politica. Solo quando avremo una politica alleata della magistratura e della ricerca della verità a ogni costo il nostro Paese potrà crescere, perchè senza verità non c’è democrazia. Ecco allora che metto tutte le mie forze e il mio impegno per cambiare la politica e aiutare la magistratura a trovare la verità ».
Cosa l’ha convinta nonostante la pesante sconfitta elettorale di febbraio?
«Innanzitutto non è stata una disfatta perchè quegli 800mila voti sono un capitale umano di partenza da non disperdere. Girando per l’Italia in queste settimane ho sentito una gran voglia di partecipazione che è stata prima indirizzata verso l’M5S e che ora deve diventare la molla per costruire un nuovo fronte popolare e democratico per difendere la Costituzione e i diritti dei cittadini senza potere, a cominciare dal diritto al lavoro. Questo è l’obiettivo politico al quale voglio dedicarmi».
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Giugno 14th, 2013 Riccardo Fucile
SACCOMANNI: “NON CI SONO I SOLDI, MANCANO OTTO MILIARDI, SERVONO TAGLI SEVERI”….POSSIBILE SOLO UN RINVIO DEL RINCARO
Colpo di freno di Saccomanni sull’Iva. Il ministro del Tesoro ieri, ha rotto gli indugi e, di fronte alle pressanti richieste della maggioranza, ha declinato tutte le sue perplessità sull’intervento mirato a disinnescare l’«ingorgo fiscale».
L’eliminazione completa dell’Imu sulla prima casa e il blocco dell’aumento del-l’Iva costano 8 miliardi all’anno cifre, ha detto rispondendo ad una raffica di interrogazioni al Senato, e «fanno ipotizzare interventi compensativi di estrema severità che al momento non sono rinvenibili».
E’ vero che l’aumento dell’Iva può provocare «effetti negativi» in questo momento ma il reperimento di coperture alternative, ha ammonito il ministro, potrebbe essere «non meno gravoso».
La coperta è corta, la situazione è difficile e dunque bisogna moderare le aspettative e il ministro per lo Sviluppo Zanonato, oggetto mercoledì delle contestazioni dei commercianti, ieri è tornato sull’argomento con tono definitivo: «E’ impossibile evitare l’aumento dell’Iva».
Bellicosa la replica del Pdl Brunetta: «Il rincaro sarebbe benzina sul fuoco»
Tutto ciò non significa che l’esecutivo guidato da Enrico Letta abbia rinunciato del tutto alla possibilità di un intervento parziale sull’imposta sui consumi: «Il governo ha allo studio tutte le soluzioni», ha aggiunto il ministro ed ha elencato: dallo stop all’aumento che costa subito 2 miliardi e 4 miliardi per ciascuno degli anni successivi, al rinvio di tre mesi o «per un periodo di tempo più lungo» in attesa di un «miglioramento » dei conti pubblici.
Discorso appena più fiducioso sul versante Imu: per ora è stata fatta una «anestesia» mentre si prepara l’operazione», ha assicurato Saccomanni.
Una «revisione », secondo il ministro, arriverà «ben prima della fine di agosto » (comprenderà anche la Tares- rifiuti) e comprenderà anche la riduzione del peso della tassa sui capannoni con la possibilità di «dedurla dal reddito d’impresa ».
La strada dunque non sembrerebbe chiusa ad interventi intermedi e del resto Saccomanni ha sottolineato che «è in corso una quantificazione delle esigenze globali» per valutare costi e compatibilità di un intervento su Iva e Imu.
Tuttavia la situazione non può essere definita «incoraggiante » e il titolare dell’Economia ha speso una serie di argomenti piuttosto pesanti per descriverla.
In primo luogo c’è l’esigenza del «rispetto assoluto» del target del 3 per cento (una replica anche ai rilievi della Bce), inoltre la procedura di disavanzo eccessivo sull’Italia «non è ancora conclusa» e dunque bisogna agire, ha detto Saccomanni, «con estrema cautela». Tanto più che il gettito assicurato dall’Iva (che è in calo) è stato fondamentale per la formulazione del parere dell’Europa sull’eliminazione del «cartellino rosso» all’Italia.
Per rendere ancora più esplicito il quadro l’inquilino di Via Venti Settembre ha ricordato che il quadro, rispetto a qualche settimana fa, «sta peggiorando», e tornano a profilarsi nuove «tensioni sui mercati» dovute a Stati Uniti e Giappone.
L’unica strada per trovare risorse per rilanciare l’economia, ha detto Saccomanni (che ieri ha incontrato il premier Letta) passa per «la riduzione della spesa pubblica e per il disboscamento delle agevolazioni e dei sussidi», in pratica la terza fase della spending review.
Anche perchè per un recupero del Pil bisognerà attendere il terzo trimestre dell’anno, come effetto del decreto sblocca-pagamenti della pubblica amministrazione e ieri il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Legnini ha annunciato per luglio si prevede una «immissione di liquidità » per 30 miliardi.
Tuttavia il percorso non è finito perchè, come ha ricordato il ministro del Tesoro, oltre ai 40 miliardi stanziati, «ci sono ulteriori 20-30 miliardi» di crediti verso lo Stato da parte delle imprese.
Intanto il governo guarda, oltre che alla questione lavoro, alla riunione di domani dove dovrebbe esserci sul tavolo il decreto semplificazioni: dalle scadenze fiscali, alla sicurezza sul lavoro, agli appalti al fondo di garanzia per il credito.
Roberto Petrini
(da “La Repubblica“)
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Giugno 14th, 2013 Riccardo Fucile
SILVIO VUOLE ARRUOLARE I TOP MANAGER ITALIANI… PER IL COORDINAMENTO PENSA A BERTOLASO
Berlusconi supera se stesso. Spinge la propria vena visionaria a propugnare un nuovo partito
dove i politici saranno tutti estromessi (fin qui fa pari con Grillo), e dove la manovalanza sarà costituita da imprenditori.
Però, attenzione, non piccoli «cumènda» o personaggi da due soldi.
L’ex premier pretende al suo fianco i grandi padroni del vapore, i super-manager, i capitani d’industria.
La crème del capitalismo: Benetton, Montezemolo, Averna, Colaninno senior…
Uno per ogni regione d’Italia, insediati al posto degli attuali coordinatori Pdl. Nella sua idea grandiosa e megalomane, il Barilla o il Tronchetti Provera che mai accettasse di mettersi al suo servizio (ma il primo ha già dichiarato pubblicamente che «non ha interesse a entrare in politica») verrebbe dotato di scrivania e di segretaria.
Dopodichè dovrebbe prodigarsi a raccogliere fiumi di euro sotto lo sguardo sospettoso dei magistrati perchè la politica costa e lui, Berlusconi, confessa ai fedelissimi di non potersela più permettere (in verità si è sempre limitato a sottoscrivere fideiussioni, in pratica non ha mai scucito un cent). Non finisce qui.
A coordinare la Nazionale del «Made in Italy», Berlusconi vuole mettere personaggi svelti e concreti.
Circolano i nomi di Verdini ma soprattutto di Bertolaso, ex boss della Protezione civile.
Il Cavaliere lo considera a ragione il più adatto per scavare tra le macerie del Pdl.
Che una volta rifondato non si chiamerà più così: il balzo nel futuro coincide con il ritorno alla vecchia insegna di Forza Italia, abbandonata per fare posto agli ex di An.
Da settembre, che questi gradiscano o no, tornerà in auge.
L’intero gruppo dirigente è a dir poco attonito.
Colti in contropiede perfino i cosiddetti «falchi», che temevano di avere osato troppo con la loro proposta di partito all’americana basato sul «fund rising», e invece sono stati surclassati dal Capo.
Riconosce Capezzone: «Berlusconi ha spinto ancora più avanti la bandiera dell’innovazione». È andato oltre nel corso della solita cena di Palazzo Grazioli dove intorno al desco erano attesi in 7 ma si sono presentati in 25. Introduzione del padrone di casa sulla gente che detesta i politici, sul Pdl che non lo ha mai convinto davvero, sul dio denaro da soddisfare. E qui l’elenco degli industriali da coinvolgere, snocciolato tra gli sguardi sbalorditi dei presenti. Quando ha citato Averna, per poco Alfano e Schifani non ruzzolavano dalla sedia, visto che il titolare dell’omonimo amaro è politicamente orientato altrove… Marchini non è stato citato, ma aleggiava (sebbene «Arfio» smentisca qualunque velleità di tirarlo in ballo).
Cicchitto, l’unico al quale è consentito contraddire il leader, a un certo punto è esploso: «Ma quali grandi imprenditori! Vicino a noi io conosco solo Briatore… Andrà a finire come l’altra volta, che abbiamo puntato su Montezemolo e ci siamo ritrovati con Samorì», non esattamente la stessa cosa.
Altro vivace scontro più tardi, sempre protagonista il ruvido ex capogruppo, però stavolta con la Santanchè, messa da Silvio a capo dell’organizzazione. «I professori hanno fallito, i tecnici hanno fallito», è convinzione della Daniela, «ora è il momento degli imprenditori, gente che ha un mestiere, che produce e lavora a differenza dei politici di professione».
È stato lì che Cicchitto l’ha mandata a quel paese, «chi fa politica sul serio si fa un c… così dalla mattina alla sera».
Rissa sedata da un discorso della Carfagna, nel contesto apparsa figura di straordinario equilibrio.
Alla fine nulla è stato deciso.
Se ne riparlerà alla prossima cena chez Berlusconi.
Ugo Magri
(da “La Stampa“)
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Giugno 14th, 2013 Riccardo Fucile
“BERSANI E’ UNO SFIGATO, GENTE CHE MANTENIAMO DA QUANDO SONO NATI”…”RENZI PUO’ PESCARE NELL’ELETTORATO DI GRILLO E BERLUSCONI”
“Ma Bersani non è rimasto in Africa a smacchiare i giaguari?”. Neanche il tempo di cominciare l’intervista e Flavio Briatore traccia di sua sponte il profilo dell’ex segretario del Pd, che “mi usa come un modello negativo per prendersela con Renzi”: un “vecchio comunista che non ha capito che il mondo è cambiato, che ci sono i tweet e la banda larga. Uno che pensava di aver stravinto, era a 30 metri dal traguardo, con due minuti di anticipo sugli altri, e invece di tirare la volata finale si è fermato, compiaciuto, a farsi fotografare dai paparazzi. Pareggiare era un’impresa, ma lui ce l’ha fatta”.
Se l’è presa per quello che ha detto Bersani, Briatore?
Mi dà fastidio. Lui e gli altri politici sono degli sfigati, nel senso letterale del termine. Gente che manteniamo da quando sono nati. Pensano solo a salvaguardare il loro stipendio da 15 mila euro al mese perchè sanno bene che sul mercato ne valgono 1500, al massimo.
Bersani ha detto: “Renzi leader del Pd? E che cosa pensa di fare, di iscrivere Briatore e gente così?”
Renzi è uno normale. E detto di un politico questo è già un super complimento. Ho già detto che lo voterei.
Anche a costo di iscriversi al Pd?
(Ride) Sa che le dico? Sì. Così faccio un favore a Bersani.
Cos’è che le piace del sindaco fiorentino?
È uno open minded, che ascolta e recepisce. Quando siamo andati a lunch insieme non abbiamo parlato solo di campi da golf, ma anche di come incentivare il turismo, che è l’unica risorsa che ci è rimasta. L’anno scorso ho portato Leonardo Di Caprio a Pompei, volevo fargli fare un giro in elicottero, ma mi hanno detto di no per via delle vibrazioni. Poi siamo andati a piedi e c’erano i cani che facevano la pipì nei siti archeologici. Non ci arrivano.
E Renzi ci arriva?
Lui è l’unica speranza vera.
Renzi delfino di Briatore? In cosa vi assomigliate?
Non facciamo chiacchiere: siamo uomini del fare, tutti e due. Io ho sempre ottenuto risultati, ho vinto 7 mondiali e do lavoro a un sacco di gente. E Renzi lo vedo come il futuro leader del Paese. A patto che si cambi la Costituzione.
Quale parte?
Il premier deve avere molto più potere, altrimenti non concluderà mai niente. E poi bisogna modificare la legge elettorale: ora destra e sinistra sono insieme al governo eppure non fanno niente. Però quando c’è da tagliare le pensioni si mettono d’accordo subito.
Lei rappresenta un mondo lontano dalla sinistra: pensa che Renzi avvicinandosi a Briatore perda voti?
Al contrario: quelli che odiano me e la gente come me non voterebbero comunque per Renzi. Sono le vecchie mummie della sinistra vera. Invece il sindaco può pescare tra l’elettorato sia di Berlusconi sia di Grillo. A patto, però, che la smetta di giocare e si decida: o fa il primo cittadino o guida il Pd.
A proposito, cosa pensa dei Cinque Stelle?
Ormai hanno capito tutti che tipi sono, più interessati ai buoni pasto che alla politica. Grillo poi non si è accorto che la campagna elettorale è finita: parla da solo, nelle piazze che ormai sono vuote. La gente non ne può più.
Anche il suo amico Berlusconi però non è messo troppo bene: alle comunali il Pd ha vinto ovunque.
Silvio lo danno sempre tutti per morto e non è mai vero. In questo periodo è tranquillissimo. E poi contano solo le elezioni nazionali, perchè quando la gente vota per il sindaco le dinamiche sono diverse, conta di più il rapporto diretto con i candidati che non il leader di partito. E, ripeto, quello è il metodo vincente: io voglio poter votare chi mi pare anche alle Politiche, e poi, se fa male, mandarlo a casa. Sarebbe gravissimo se non cambiassero la legge elettorale. Avrebbero anche l’appoggio completo del presidente della Repubblica.
Cos’ha pensato quando hanno rieletto Giorgio Napolitano?
Boh. Mi è sembrato tragico che sia dovuto rimanere. Non aver trovato un candidato valido è stata una sconfitta della politica. E del Pd. E soprattutto dell’amico Bersani, quello che se la prende con Briatore.
Beatrice Borromeo
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 14th, 2013 Riccardo Fucile
“NEL CODICE DI COMPORTAMENTO NON C’E’ IL TREATO DI CRITICARE IL LEADER”
«Se la cacciano, me ne vado anch’io». Reagisce d’istinto Lorenzo Battista. Stupito, arrabbiato,
indignato da una prospettiva che non capisce e che considera catastrofica per il Movimento.
È per strada, davanti al Senato.
Si ferma: «Davvero? Devo riflettere».
Perchè il caso di Adele Gambaro, la senatrice sul punto di essere espulsa, rischia di essere esplosivo.
E il più giovane senatore di questa legislatura, informatico triestino dalle idee chiare, stavolta è davvero oltre la preoccupazione.
Preoccupazione che qualche minuto dopo sfocerà in rabbia alla drammatica riunione dei senatori a Cinque Stelle.
Pare che propongano l’espulsione della senatrice Gambaro.
«E chi la proporrebbe? Non ne so nulla».
L’iniziativa viene annunciata dai suoi capigruppo Nicola Morra e Vito Crimi.
«Ecco, giusto, lo vengo a sapere a mezzo stampa. E per cosa la proporrebbero?».
Morra dice che ha procurato danno al gruppo.
«Ma in che modo? Cosa vuol dire sostenere che si è messa contro il movimento? Ha detto che è a favore delle centrali nucleari? Ha votato un provvedimento contro il gruppo? Niente di tutto questo e allora? È incredibile. E poi Morra doveva essere il capogruppo di tutti, non mi sembra che lo sia. Aveva detto che siamo 53 fratelli. Bene, io non voto l’espulsione di mio fratello».
Non sono piaciute, sembra di capire, le critiche a Grillo e ai suoi toni.
«Ah ecco, allora introduciamo nel nostro codice di comportamento il reato di parlare male di Grillo. Dai, ora stiamo davvero esagerando».
Le condivide le critiche a Grillo?
«Ma di cosa state scrivendo da tre giorni? Me lo dice? Di Grillo, naturalmente, e dei suoi post. Vorrei averlo qui di fronte a me Grillo e dirglielo: di cosa parla la stampa da tre giorni? Perchè non scrivi post sulle attività dei parlamentari? Non capisci che così oscuri il nostro lavoro?».
Da qualche tempo pare che tra i Cinque Stelle non sia più consentito parlare liberamente. Ogni critica, una minaccia di espulsione. Eppure la libertà di espressione dovrebbe essere garantita anche dalla Costituzione, no?
«Ma noi siamo oltre, abbiamo fatto la Costituzione a 5 stelle. Ma per favore».
In molti sembrano essere sulle sue posizioni. Il rischio scissione è chiaro.
«Se vanno avanti così è chiaro che c’è un pericolo reale di spaccatura del Movimento».
Ma secondo lei il gruppo la voterà l’espulsione?
«I senatori sono sicuro che diranno no».
E i deputati?
«Questo non lo so. Vedremo».
C’è ancora uno spazio per discutere dentro il Movimento?
«Ha sentito cosa ha proposto l’altro giorno la deputata Laura Castelli?».
Cosa?
«Ha chiesto che i parlamentari possano dire soltanto quello che decide l’assemblea. Ha capito a che punto siamo?».
Alessandro Trocino
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 14th, 2013 Riccardo Fucile
LA SCISSIONE DEI RIBELLI: VERSO UN GRUPPO AUTONOMO AL SENATO…. TRA URLA, PIANTI E ABBANDONI IERI SERA SI E’ ALLARGATO IL DISSENSO
La prova di forza è compiuta. Da ieri Adele Gambaro è candidata all’espulsione.
Il processo, istruito in gran fretta dall’ala dura, è in programma per lunedì pomeriggio, anche se l’ultima parola spetterà al web.
A Palazzo Madama, nel corso di una drammatica riunione, urla e porte sbattute fanno da sfondo a una frattura insanabile.
La linea dello scontro, fortissimamente voluta da Beppe Grillo, frantuma il Movimento e pone le basi per una scissione.
Una piccola pattuglia di senatori, infatti, è in contatto con ambasciatori del Pd.
L’obiettivo è raccogliere informazioni per costruire un gruppo autonomo. Come alla Camera, dove i dissidenti si sono dati appuntamento per martedì.
È la dead line, poi alcuni di loro potrebbero mollare gli ormeggi e salutare il porto grillino.
Eppure, secondo il quartier generale cinquestelle, non sarebbe dovuta finire così.
Gli ambasciatori avevano ideato un piano per siglare un armistizio. Prevedeva un incontro tra Beppe Grillo — in missione romana — e la senatrice Gambaro.
L’autocritica della parlamentare avrebbe chiuso il caso, a favore di telecamere e in nome del bene supremo del movimento. «Poche ore fa la senatrice ha incontrato Morra. Eravamo d’accordo — rivela un falco — poi ha subito pressioni e si è sfilata».
La questione è in realtà parecchio più complessa.
Perchè il leader da giorni cerca il braccio di ferro. Lo desidera. In nome della chiarezza preferisce affrontare una scissione.
«Chi non ci merita va stanato», gli sussurrano i duri e puri. Alla fine sono Morra e Crimi a mettere all’ordine del giorno la cacciata. Preannunciata da un secco tweet di Grillo: «Gambaro a giudizio».
L’accusa alla senatrice è di aver consegnato ai media «analisi politiche attaccando Grillo» e mettendo così in atto «un’azione lesiva dell’immagine e dell’attività del M5S».
Da ieri, chi vota contro l’epurazione vota contro il Fondatore.
Il problema è che la maggioranza dei senatori si batte da giorni contro misure così drastiche e ha assistito incredula all’accelerazione.
Quando inizia a circolare voce del processo, quasi tutti cadono dalle nuvole.
«Espulsione? Lo può scrivere fin d’ora — non si nasconde Maurizio Romani — io non voto contro di lei». Come lui, tanti altri.
Lo scontro è stato feroce e ha sfibrato l’infinita assemblea di Palazzo Madama.
Urla, lacrime, volti stravolti. Sul calar della serala porta della sala riunioni non riesce a trattenere l’appello di uno dei presenti, quasi disperato: «Ragazzi, vi prego, fermiamoci un attimo. Sospendiamo l’incontro. Così ci facciamo solo del male».
Vanno avanti ancora per ore. Senza risultati. E infatti l’incontro proseguirà stamane.
Ma alcuni strappi si sono già consumati e assomigliano a scelte definitive.
Perchè a summit in corso sbattono la porta i senatori Lorenzo Battista, Paola De Pin, Rosetta Blundo, Cristina De Pietro e Ivana Simeoni. Si lasciano alle spalle il gruppo.
Quello che alcuni cinquestelle intendono abbandonare.
Qualche senatore, riservatamente, ha chiesto consiglio ai più esperti colleghi del Pd. Hanno preso nota delle procedure per dar vita a un nuovo gruppo, informandosi anche delle eventuali risorse che avrebbero a disposizione.
Laura Puppato sembra confermare: «Gli addii? Sono diverse le persone a disagio».
La senatrice del Pd, d’altra parte, sogna fin dall’avvio della legislatura un governo del cambiamento con i grillini.
Anche alla Camera tira aria di resa dei conti.
Il caso Gambaro, in fondo, è il vero spartiacque del movimento. Alcuni deputati sono pronti a lasciare, forse già martedì. E molti altri difenderanno apertamente Adele.
Uno è Tommaso Curro: «Ha esercitato un suo legittimo diritto, quello di esprimere un dissenso. Posso avere qualche dubbio sui toni, ma sui contenuti condivido».
L’ala dura però tira dritto, come dimostra il capogruppo Roberto Nuti: «Certo che sono per l’espulsione, abbiamo perso già troppo tempo ».
Tommaso Ciriaco
(da “la Repubblica“)
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Giugno 14th, 2013 Riccardo Fucile
BERLUSCONI AVREBBE PRONTA UNA LISTA SI 12 DEPUTATI GRILLINI… IL CENTROSINISTRA APPROCCIA SU PIU’ FRONTI
Operazione piranha. Per spolpare il Movimento 5 Stelle.
Le profezie di autodistruzione dei grillini nell’arco di una sola legislatura (il senatore Bartolomeo Pepe dixit) hanno di nuovo trasformato in un suk il cortile di Montecitorio e i tristi e sabaudi anfratti di Palazzo Madama.
Come ai tempi di Scilipoti e Razzi, i due dipietristi passati armi, bagagli e debiti con Berlusconi. Un esempio, non a caso.
Perchè, incredibile a dirsi, anche il Cavaliere avrebbe attivato un canale per attirare nella nuova ma ancora presunta Forza Italia 2.0 una dozzina di grillini.
La rivelazione arriva da un pidiellino che ha parlato con B. appena lunedì scorso, ad Arcore: “Al presidente è stato riferito che ci sono almeno una ventina di grillini con simpatie per la destra e la sua lista ha già dodici nomi”.
La fonte sorride e si concede una battuta: “Quella sporca dozzina”.
Il prezzo da pagare, ovviamente, stando alle indiscrezioni, è sempre lo stesso: la garanzia del seggio alle prossime politiche, anticipate o no.
Così di capannello in capannello, alla Camera, circola un nome certo di destra tra i 107 parlamentari pentastellati.
Quello di Walter Rizzetto, manager di 37 anni della provincia di Udine.
Il suo peccato originale è la provenienza dal Fuan, il movimento universitario dei postmissini. Probabilmente lui nemmeno sa di questo pseudo-corteggiamento.
O forse sì, dal momento che spiegano: “Rizzetto è quello che parla sempre con Crosetto”. Ossia il gigante Guido Crosetto, ex deputato berlusconiano oggi leader in condominio con Giorgia Meloni dei Fratelli d’Italia, formazione di destra tirata in ballo per una Cosa nera che dovrebbe fare da pendant alla rinata Forza Italia.
Solo veleni? Fatto sta che la strategia dei piranha del Pdl è partita da qualche giorno.
Come conferma un frammento di Omnibus notte di martedì scorso, su La7, quando a sorpresa il berlusconiano Antonio Leone, già vicepresidente della Camera, ha difeso il lavoro dei grillini in aula: “Non è vero che non fanno nulla, oggi per esempio hanno votato con la maggioranza tutti i provvedimenti discussi. Non avevo mai vissuto una giornata così unanime nella mia carriera da parlamentare”.
Il piranha prima si avvicina, poi ti accarezza, infine ti spolpa.
Del resto è il nuovo clima di apertura dei grillini a favorire i contatti, non solo con i giornalisti
Il grosso delle “bancarelle” del nuovo suk sta soprattutto nel recinto del centrosinistra.
Il sogno di un governo diverso non è mai tramontato. Anzi.
E a coltivarlo non sono i soliti Civati o Puppato, ambasciatori filogrillini del Pd.
Un fronte permanente di attenzione ha le insegne di Sel.
Obiettivo: un ribaltone nel nome delle maggioranze variabili (a proposito, la prossima settimana ci sarà la mozione sugli F-35).
Dice un vendoliano a microfoni chiusissimi: “Letta potrebbe guidare un governo anche con noi e venti grillini al posto del Pdl al Senato. Se Berlusconi fa il matto, non andiamo a casa”.
Le obiezioni del cronista incredulo non fermano il ragionamento.
E Napolitano che minaccia le dimissioni qualora dovessero saltare le larghe intese? Risposta: “Si dimettesse pure, faremo un nuovo capo dello Stato e stavolta non commetteremo gli stessi errori dell’altra volta con Prodi”. Non solo.
Un governo coi grillini a guida Letta? Seconda e ultima risposta: “I lettiani si stanno già muovendo per mettere in sicurezza il premier. Non è fantapolitica. E per noi di Sel, in questa fase, è più facile dialogare con Letta che con Renzi”.
Ecco cosa è Montecitorio.
Il regno dell’impossibile. A parole.
Da Sel al Pd, la scena non cambia.
Se prima l’obiettivo era di racimolare almeno dieci grillini al Senato, adesso si ragiona già su un nuovo partito a Palazzo Madama.
Sulla stessa Gambaro, la senatrice dello “scandalo” di queste ore, girano voci di una presunta e vecchia militanza tra i democratici.
Nel partito del fu Bersani si nutrono speranze su una spaccatura a metà del gruppo grillino dei senatori.
“I ventidue che hanno votato contro il nuovo capogruppo sono di fatto un altro partito. A questo punto bisogna capire quale può essere il punto di approdo”.
La sensazione è che la politica degli incontri segreti, avviata durante il preincarico a Bersani, sia ricominciata.
In ogni caso, da destra a sinistra ognuno vuole avere i suoi grillini.
Persino Giacomo Portas, eletto nel Pd ma leader dei Moderati di centrosinistra. Portas è un tipo molto sveglio.
I suoi estimatori dicono che abbia un naso infallibile. Dice: “Anche io ho i miei contatti con il Movimento 5 Stelle. La mia forza prende il dieci in Piemonte e il cinque in Campania. Leggi qua”.
Segue lettura di un foglietto su cui sono appuntati i nomi di alcuni comuni campani, con la percentuale raggiunta dai Moderati”.
Continua Portas: “Questo è il momento dei contenitori dove raccogliere i grillini in libera uscita. Io sto qua, sono la sinistra civica del Pd, e qualcuno di loro verrà con me. No, non ho problemi, scrivi pure il mio nome”.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 14th, 2013 Riccardo Fucile
LA REGIONE IGNORA I TAGLI AI SEGGI COMUNALI DECISI A LIVELLO NAZIONALE: AGLI ENTI PIU’ PICCOLI 12 ANZICHE’ 6
Non ce l’aveva fatta nemmeno la Santa Inquisizione.
Poteva forse un qualunque governo italiano riuscire nell’impresa di tagliare in Sicilia posti e benefici, fossero anche quelli di qualche consigliere comunale?
Correva l’anno 1577: arrivato a Palermo come Vicerè di Spagna, Marcantonio Colonna ebbe subito modo di fare conoscenza con l’autonomia siciliana.
La riforma dell’Inquisizione, voluta dal Sant’Uffizio per evitare il moltiplicarsi di privilegi a vantaggio dei suoi esponenti, nell’isola non era mai entrata in vigore.
Così la pletora già abnorme degli inquisitori, pari a 1.572, aveva esteso di riflesso le proprie guarentigie a una cerchia immensa di famigli che contava non meno di 24 mila persone: numero, guarda caso, non troppo lontano da quello raggiunto in epoca ben più recente dai dipendenti della Regione.
Come raccontano nel loro bel libro La Zavorra Enrico del Mercato ed Emanuele Lauria, il Vicerè non riuscì neppure a scalfirla, assistendo invece impotente al varo di una nuova riforma che lasciò intatti i privilegi dell’Inquisizione siciliana
Capaci di resistere perfino ai Torquemada spagnoli, che ricorrevano a metodi ben più convincenti di quelli dello Stato italiano, quattro secoli e mezzo più tardi nessuno si è fatto impressionare da una legge nazionale sulla sforbiciata dei consiglieri comunali.
Ed ecco subito pronta una scialuppa di salvataggio per 834 poltroncine.
Qualcuna addirittura insignificante.
Ma sempre meglio che niente, soprattutto in un momento come questo.
Alle elezioni amministrative di domenica e lunedì, convocate per il rinnovo di 142 municipi siciliani, sono stati eletti 2.281 consiglieri: se si fossero applicati i parametri stabiliti dalle leggi che hanno ridotto il numero dei seggi comunali in rapporto agli abitanti, il loro numero sarebbe stato di 1.447.
Il conto l’ha fatto Antonio Leo sul Quotidiano di Sicilia, ricordando quanto già accaduto in occasione delle amministrative del 2012, quelle che avevano incoronato nuovamente Leoluca Orlando sindaco di Palermo.
La conseguenza della mancata adozione dei criteri nazionali aveva fatto eleggere allora 845 consiglieri comunali in più rispetto agli standard.
Il che porta a 1.679 il numero dei seggi in eccesso accumulatisi negli enti locali siciliani nel giro di poco più di un anno.
Senza dire dell’aggravio di spesa che l’aggiramento delle leggi statali comporterà . In cinque anni, ha stimato il giornale, centoquaranta milioni tondi: somma corrispondente ai tagli che erano previsti per l’università e la ricerca pubblica nel 2014.
Oppure al 10 per cento dell’intero stanziamento statale annuale per i Beni culturali
Per capire come si è giunti a questo, facciamo un passo indietro.
A dicembre del 2009 il Parlamento approva la legge finanziaria che taglia del 20 per cento il numero dei consiglieri comunali, riduce le circoscrizioni, elimina i difensori civici e alcune forme consortili, prevedendo pure che le Regioni a statuto speciale come quella siciliana si adeguino quanto prima.
Sette mesi dopo un’altra rasoiata, questa volta ai gettoni, alle indennità e ai doppi e tripli emolumenti.
La risposta siciliana è tutta in una circolare firmata il 13 gennaio del 2011 dall’assessore alle autonomie locali della precedente giunta regionale, Caterina Chinnici, sull’«applicabilità agli enti locali della Sicilia delle norme statali in materia (…) di riduzione del costo degli apparati politici amministrativi».
Un documento che si conclude con queste lapidarie parole: «Gli enti locali continueranno ad applicare, in relazione agli istituti delle sopra richiamate norme statali, in atto non recepite dal legislatore regionale, la normativa vigente nella Regione siciliana».
Le «norme statali» sono appunto quelle due leggi, che secondo la circolare «non trovano applicazione nell’ordinamento regionale» in quanto «seppur finalizzate alla riduzione dei costi connessi al funzionamento degli organi rappresentativi ed esecutivi degli enti locali, refluiscono in maniera rilevante sullo status di amministratore locale e sull’assetto ordinamentale ed organizzativo degli enti medesimi».
Insomma, rappresenterebbero un’entrata a gamba tesa su una «materia riservata alla potestà legislativa esclusiva della Regione siciliana».
Cadono quindi nel vuoto.
Stessa sorte tocca alla seconda manovra estiva del 2011, l’ultima del governo di Silvio Berlusconi, che inasprisce ulteriormente il giro di vite per i consigli comunali.
A dimostrazione, e questo è il punto, di come talvolta uno statuto speciale possa trasformarsi in una comoda barriera a difesa di privilegi pur banali.
E dove nulla possono gli appelli alla sacralità dell’autonomia regionale, entrano in campo stratagemmi gattopardeschi.
La Regione siciliana ha dovuto per forza recepire la norma nazionale che riduce il numero dei consiglieri regionali, con conseguente dimagrimento dell’assemblea isolana da 90 a 70 membri?
Prima che la Camera possa ratificare la legge regionale piombano a palazzo dei Normanni le dimissioni del governatore Raffaele Lombardo.
Le elezioni vanno anticipate solo di qualche mese, ma tanto basta per andare a votare con le vecchie regole: i 90 seggi sono salvi per altri cinque anni.
E pazienza se lo scherzetto ci costerà 5 milioni l’anno solo di stipendi, diarie e rimborsi.
Non che tale creatività sia una prerogativa esclusiva siciliana.
Basta ricordare che soltanto qualche mese fa il Comune di Roma ha ridotto da 19 a 15 le circoscrizioni in cui è suddiviso il municipio, con la giustificazione di risparmiare sui costi dell’amministrazione.
Peccato però che all’accorpamento degli uffici abbia corrisposto l’immediato incremento del numero degli «assessorini». Con il risultato che i posti lieviteranno dagli attuali 95 a 105.
Ma certe vette sono destinate a restare inarrivabili.
Nella sua inchiesta sul Quotidiano di Sicilia Leo sottolinea che il Comune di Catania, appena riconquistato dopo tredici anni di governo di centrodestra dall’ex margheritino Enzo Bianco, ha 45 consiglieri, nove in più di quanti sarebbero previsti dai parametri nazionali.
Mentre il Campidoglio, che quelli non può invece eludere, ne ha 48: ma con 2,8 milioni di abitanti contro i 291 mila del capoluogo etneo. Quasi dieci volte di più.
Per non parlare di Bompensiere, 611 abitanti in provincia di Caltanissetta, che ha potuto eleggere ben dodici consiglieri anzichè sei: uno ogni cinquanta anime. E hanno il coraggio di dire che c’è la crisi della politica…
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: la casta | Commenta »