Marzo 11th, 2014 Riccardo Fucile
OGGI LA RESA DEI CONTI ALLA CAMERA SUL VOTO ALLE PREFERENZE
«Sarete spazzati via anche con i vostri scranni…». Sandra Zampa si sfoga dopo «lo schiaffo» sulla parità bocciata nella legge elettorale.
Le deputate del Pd si autoconvocano in assemblea, ma tutto il partito è attraversato dai venti di rivolta. Un’altra volta i Democratici hanno covato in seno i “franchi tiratori”. Torna lo spettro dei “101” che impallinarono la corsa al Quirinale di Romano Prodi. E Zampa, che del Professore è stata la portavoce, nell’aula della Camera poco prima che sia bocciato anche l’emendamento anti discriminatorio, quello della soglia del 40% di capolista donne, interviene: «Mancano voti nostri, lo dicono i numeri. Fuori c’è un mondo che cambia, non lo fermeremo votando in modo ingannevole, coperti dal voto segreto, perderemo ancora di più credibilità »
Appello inutile. Cade nel vuoto come tutti gli altri.
I “franchi tiratori” dem oscillano tra i 130/120 del voto sui primi due emendamenti sul riequilibrio di genere, a 70/80 che mandano all’aria anche l’ultima chance.
Le deputate del Pd — che si sono presentate a Montecitorio vestite di bianco — minacciano di non partecipare al voto.
Sotto accusa c’è l’accordo di Renzi con Berlusconi che ha portato all’Italicum. La riunione democratica è incandescente. Il partito è un calderone in ebollizione.
È tempo di veleni. I renziani accusano la minoranza dem di avere tentato in questo modo di boicottare tutto l’accordo; i “cuperliani” denunciano la blindatura del patto con il Cavaliere e, in nome di questo, il tranello alle modifiche per la parità .
«Con sdegno» i renziani rifiutano i paragoni con i 101: nessuna regia per boicottare le quote rosa. Però il rischio concreto è che oggi molti democratici, a cominciare dalle deputate, non votino l’Italicum.
Gianni Cuperlo, leader del “correntino” pressa: «Si è persa un’occasione sulla parità . L’Italicum non è una buona riforma, il Senato dovrà discutere diversimiglioramenti».
Pippo Civati rilancia in un blog tutta la rabbia: «Non è passato nemmeno il 60-40. Complimenti a tutti. E scusate. Che vergogna. Ho perso una pizza con Rosy Bindi. Che diceva, purtroppo giustamente, che non sarebbe passato nemmeno questo: 298 no contro 253 sì. E il Pd che non dà indicazione di voto, ma lascia libere le coscienze su un emendamento che già era“diminuito” rispetto agli interventi e alle parole altisonanti che si sono udite in aula».
Stefano Fassina a sua volta denuncia quanto è accaduto: «Vergogna per il voto contro norma antidiscriminatoria. Ora doppia preferenza di genere».
Molti mormorii: «Quando c’è di mezzo il Caimano…», alludendo all’intesa del segretario-premier con Berlusconi.
Paola De Micheli, lettiana, che coordina l’assemblea dem serale fa fatica a tenere a bada la ribellione. Invita a non perdere la fiducia: «Si potrà cambiare al Senato, le grandi conquiste richiedono grandi battaglie».
Gli inviti alla cautela, alla calma, le rassicurazioni di Renzi sullo statuto del Pd che tanto la parità già la prevede, non bastano.
Barbara Pollastrini, ex ministro delle Pari Opportunità , è delusa e furente. Stella Bianchi rassicura: «Otterremo la modifica al Senato ». Ma Giuditta Pini twitta: «Che lo spirito di Lorena Bobbitt accompagni stanotte i colleghi che hanno bocciato l’emendamento ».
E ritwitta, dopo la bocciatura anche del 60-40%: «Il Pd ha un problema».
Alessandra Moretti non ci sta: «La battaglia per la parità è per la qualità della democrazia ».
E c’è Roberta Agostini, prima firmataria dei tre emendamenti bocciati, che attacca: «È gravissimo, ora riflettiamo sulla legge».
Oggi l’ennesima resa dei conti in un Pd flagellato.
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica”)
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Marzo 11th, 2014 Riccardo Fucile
“FERITA GRAVE E PROFONDA, NON PARTECIPERO’ AL VOTO FINALE SULLA LEGGE ELETTORALE
Rosy Bindi, l’ex presidente del Pd, è furibonda.
Sono stati appena bocciati tutti gli emendamenti sulla parità , anche quello anti discriminatorio su cui uno schieramento di deputate bipartisan puntava.
Bindi, si aspettava andasse a finire così?
«Lo temevo. Lasciare la libertà di voto e la mancanza di indicazione a favore degli emendamenti sulla parità da parte del nostro partito, ci esponeva molto. Questo mi fa dire con molta amarezza che questo risultato è colpa dei Democratici. La responsabilità è tutta del Pd, il quale ha sacrificato la fedeltà alla Costituzione e ai propri valori all’accordo con Berlusconi. Una legge elettorale che nasce su questo tradimento non può essere una buona legge».
Non voterà l’Italicum?
«No, non parteciperò al voto finale. Continuerò a fare la mia battaglia contro le liste bloccate e contro le soglie di sbarramento, votando gli emendamenti che ancora ci restano in proposito. Ma al voto finale non ci sarò. Temo inoltre che una legge elettorale che esce dalla Camera così fatta non potrà avere vita facile al Senato ».
Ma il Senato potrebbe cambiarla, migliorarla?
«I numeri favorevoli erano in questa Camera. Il Pd ha perso l’occasione per fare una buona legge. Questa è una ferita molto grave che le donne italiane ricorderannoa lungo».
Quale è il vulnus?
«Un vulnus che non resterà senza conseguenze, perchè non solo sono state bocciate le modifiche per la parità di genere, cioè l’alternanza nelle liste e il rapporto 50-50% dei capolista. Ma è stata anche norma anti discriminatoria per assicurare a ciascun genere almeno il 40% dei capolista. Questa non era una norma per la parità di genere, come appare evidente, ma contro la discriminazione delle donne».
Di nuovo molti “franchi tiratori” nel Pd?
«Sì. La responsabilità è del Pd, che da solo aveva i numeri per approvare questi modifiche. È tutta nostra la ferita e non si rimarginerà facilmente, mi ricorda i 101 di Prodi».
Cosa hanno avuto la meglio, gli interessi spiccioli, gli egoismi?
«La richiesta di voto segreto è stato il modo per offrire copertura a ogni forma di maschilismo che comunque c’è. Ma dal mio punto di vista, lo ribadisco, è prevalso l’accordo con Berlusconi».
Renzi ha invitato a non farne una tragedia. Ha anche detto che la parità non si misura sulle poltrone. Lei però non lo sta a sentire?
«Voglio rispondere al segretario del mio partito. Ha detto che noi chiedevamo poltrone. Se questo fosse il piano, allora dovremmo chiedere a tutti i colleghi uomini di lasciare le loro poltrone. La parità di genere non è occupare poltrone, è una battaglia di civiltà , di buona democrazia. Il problema è un altro».
E qual è il problema?
«Se non ci sono le donne, non ci sono le leggi per le donne. I paesi con le legislazioni più avanzate, sono quelli in cui da anni c’è una buona rappresentanza di donne. Anche in Italia le leggi di parità portano la firma delle donne».
Cosa farà ora?
«Non voto una legge elettorale che ha rifiutato una norma anti discriminazione. E la mia prossima proposta sarà la richiesta di abolizione del voto segreto in Parlamento, perchè è lo strumento attraverso il quale tutti si coprono la faccia».
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Marzo 11th, 2014 Riccardo Fucile
REGGE IL PATTO CON BERLUSCONI SULL’ITALICUM… GOVERNO E AULA SACRIFICANO LA RAPPRESENTANZA DI GENERE
Il governo lascerà libertà di coscienza: evidentemente non siamo arrivati a un accordo con Forza Italia”. La ministra Maria Elena Boschi, rigorosamente vestita non di bianco, ma con una camicetta blu elettrico tono su tono con gli occhi che spalanca sull’interlocutore, lo ammette a metà pomeriggio.
“A voto segreto, gli emendamenti che chiedono la parità di genere saranno approvati? “Non ho la sfera di cristallo. Nessuno può saperlo”. E se le quote rosa dovessero passare, l’accordo Renzi-Berlusconi reggerà ? “Non lo so”.
La risposta arriva in serata, quando la Camera, a voto segreto, boccia tutti e tre gli emendamenti in questione: prima, quello che prevede l’alternanza di genere (335 no e 227 sì), poi quello che vorrebbe il 50% cento di capilista donne (i no sono 344 no, i sì 214) e infine anche quello che fino a un certo punto della giornata sembrava rappresentare un punto di mediazione, prevedendo una percentuale al al 40-60% tra donne e uomini nella indicazione dei capilista (298 i contrari, 253 i favorevoli).
Solo il Pd fa 293 deputati: visto che il voto è trasversale è evidente che vengono a mancare almeno 60 deputati uomini.
Perchè più va avanti la giornata delle donne bianco vestite più si chiarisce la posta in gioco: da una parte ci sono le deputate che vogliono la parità di genere e gli anti-renziani (soprattutto i democratici) che vogliono far fallire l’Italicum, dall’altra gli uomini anti quote rosa e i renziani, che vogliono salvare l’accordo tra il premier e Berlusconi per fare la legge.
Matteo Renzi l’aveva preannunciato domenica da Fazio: “Se troviamo una soluzione che va bene a tutti sono felice, ma è giusto che sia una scelta politica”. Insomma, il premier che si è fatto un vanto di avere un governo composto da una metà di uomini e una metà di donne, sulle quote rosa non è disposto ad impiccarsi.
Lui ci prova, comunque, in mattinata in un colloquio con il capogruppo di Fi, Renato Brunetta, che però gli dice che i suoi non li tiene.
Anzi, chiede che il governo dia parere negativo sugli emendamenti in questione. Renzi non cede. Che la mediazione è impossibile si capisce dopo una riunione tra la Boschi, Verdini e la Santanchè. Nonostante le pressioni di molte delle sue deputate, Berlusconi sulle quote rosa non molla.
L’indicazione ufficiale allora è libertà di coscienza. Per il governo. E per Pd, Fi, Sc e Ncd. Un equilibrio difficile.
In molti di Fi sottoscrivono la richiesta di voto segreto: un modo per rendere più facile l’affossamento delle quote. Ma l’Aula è in fibrillazione, sia nelle dichiarazioni, che nelle grandi manovre.
Il lettiano Marco Meloni interviene per dichiarare il sostegno a “questi emendamenti che ho sottoscritto”. Lo stesso fa Gianni Cuperlo. Asse anti-renziano.
Tra i banchi confabulano Luca Lotti e Lorenzo Guerini: devono evitare che l’accordo con B. salti. Molti renziani alla fine votano no. Anche se nessuno ci mette la faccia con un intervento in Aula.
Fino all’ultimo i dem aspettano una presa di posizione del gruppo diversa dalla libertà di coscienza. Che però non arriva. Se il Pd è diviso, dentro Fi non va molto meglio.
Denuncia la Prestigiacomo: “Il mio gruppo non ci lascia nemmeno la libertà di coscienza su questo tema”. La rimbrotta Brunetta: “La libertà di coscienza c’è”. I due dopo battibeccano lanciandosi accuse reciproche a vari banchi di distanza.
Evidentemente la libertà di coscienza è indicazione più formale che sostanziale. O una decisione dell’ultimo minuto.
I Cinque Stelle, nel frattempo, non approfittano dell’occasione per affossare il tutto. Il no lo annuncia Federica Dieni: “Norme ipocrite”.
Mentre si votano le quote, le donne bianco vestite mostrano il pollice alzato, Roberto Speranza, il capogruppo Pd, non dà segni di vita. Emendamenti bocciati.
Le donne democratiche furibonde abbandonano l’aula. Denunciano: “Il gruppo non ha rispettato l’accordo di votare sì all’ultimo emendamento”.
Rosato (Pd) in aula chiede immediatamente il rinvio a oggi. Seduta aggiornata a stamattina alle 10. Prima ci sarà un gruppo. Le democratiche minacciano di tirare fuori un emendamento sulle preferenze e di far saltare il banco.
Nel frattempo Renzi twitta, cercando di fermare le polemiche: “Il Pd rispetta il voto del Parlamento sulla parità di genere. Ma rispetta anche l’impegno sancito dalla direzione su proposta del segretario: nelle liste democratiche l’alternanza sarà assicurata”.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 11th, 2014 Riccardo Fucile
RENZI PREFERISCE BERLUSCONI ALLE DONNE DEL PD
Il sogno delle deputate biancovestite finisce inghiottito dalla trappola muta del voto segreto:
con 335 no e soli 227 sì la Camera boccia la proposta trasversale per l’alternanza uomo-donna nelle liste bloccate, e la scoperta di cento franchi tiratori del Pd innesca una rivolta nel partito di Renzi, con le deputate che lasciano l’aula per protesta e si autoconvocano nella sala “Berlinguer” in segno di sfida, alla vigilia del voto finale sulla legge elettorale.
Ed è il Pd, più ancora del partito trasversale delle donne, il vero sconfitto di questa caotica battaglia bianco-rosa.
Dopo aver sfidato Berlusconi alzando la bandiera della parità uomo-donna, il partito di Renzi mette in vetrina la sua lacerante spaccatura, con un voto che fa inevitabilmente tornare in mente i 101 franchi tiratori per Romano Prodi al Quirinale.
Non sono dunque bastate le novanta onorevoli con camicette bianche, tailleur bianchi, dolcevita bianchi, magliette bianche e soprattutto sciarpe bianche a convincere i colleghi maschi a cedere per legge la metà dei posti in lista, con l’alternanza obbligatoria tra un uomo e una donna.
«Non posso negare la mia profonda amarezza perchè una grande opportunità è stata persa» commenta alla fine Laura Boldrini, la donna seduta sullo scranno più alto di Montecitorio.
E’ stata proprio lei, alle otto meno due minuti, a leggere con voce atona il risultato che ha fatto calare il gelo nell’aula: «La Camera respinge».
La presidente della Camera ha annunciato neanche i numeri, che però lampeggiavano sul tabellone alla sua sinistra. Più di cento voti di scarto, tra i contrari e i favorevoli, e dev’essere stato assai amaro per le donne del Pd scoprire che neanche il loro gruppo (293 deputati) aveva appoggiato fino in fondo la battaglia per le quote rosa.
Affondata l’alternanza di genere, è stata bocciata poco dopo anche la proposta di riservare alle candidate almeno il 40 per cento dei posti di capolista — “parità soft”, l’avevano battezzata — una richiesta che Ignazio La Russa aveva liquidato in aula con una battuta alla carta vetrata: «Chi troppo vuole nulla stringe».
Il quaranta per cento, almeno questo speravano di ottenerlo, le deputate in bianco. E invece sono uscite sconfitte da una serie di votazioni senza storia, nelle quali l’unico brivido è arrivato quando la Boldrini ha fatto l’appello dei deputati che avevano chiesto il voto segreto — almeno 40, dice il regolamento— e le defezioni in zona Cesarini del siciliano Romano, di De Mita jr e del presidente Sisto hanno fatto scendere le firme a quota 39.
Ma prima che la presidente potesse disarmare i franchi tiratori, sono arrivati al volo tre nuove firme (Allasia, Caporini e Pizzolante) che hanno spento le speranze dievitare il voto segreto.
E allora addio quote rosa.
Ci avevano sperato, le donne. Di prima mattina, Rosy Bindi aveva avvertito il suo partito con parole taglienti come lame, che mettevano le mani avanti: «La parità di genere è un principio non negoziabile e irrinunciabile. Se non c’è, io mi riservo di non partecipare al voto».
A Montecitorio, solitamente deserto il lunedì, l’attesa della seduta convocata per le undici era riempita da una sola domanda: reggerà , il patto Renzi-Berlusconi, all’emendamento sulla parità uomo-donna?
Il Cavaliere, si sa, è sempre stato contrario: i posti alle donne vuole essere lui a darli, senza che glielo imponga nessuna legge. E Renzi era stretto tra la spinta delle donne del suo partito — alle quali era difficile dire di no, specialmente all’indomani dell’8 marzo — e la paura di veder saltare il patto con Berlusconi sulla legge elettorale.
Per capire l’umore del presidente del Consiglio, di cui non c’era traccia, bastava guardare la faccia scura di Maria Elena Boschi, solissima sui banchi dei ministri, e soprattutto il suo vestito: giacca verde e pantaloni neri. In un’altra giornata nessuno ci avrebbe fatto caso, ma tutti la guardavano, in un’aula affollata da novanta deputate vestite di bianco.
Perchè le donne avevano deciso il colore candido, come simbolo della loro battaglia politica.
E si erano ritrovate in tante, in un’insolita alleanza trasversale che partiva dalla maglietta di seta di Renata Polverini (Fi) e arrivava al completo bianco di Cristina Bargero (Pd), in coraggiosa minigonna su tacco dodici.
E poichè le donne non sono mai banali, quando decidono di fare una cosa, ognuna ha portato la sua bandiera bianca — che qui era tutto il contrario del segnale di resa — come le pareva. Alessandra Moretti s’è presentata in total white. Gabriella Giammanco sfoggiava un dolcevita panna. Michela Vittoria Brambilla un cardigan lungo che arrivava fino al bordo della minigonna. Laura Ravetto — che aveva lanciato l’idea — una maglietta bianca sui pantaloni rosa (perfetta sintesi politica, tenuta insieme da una cintura di perle). Nunzia De Girolamo, fresca capogruppo, sulla sua camicia bianca ha messo un jabot dal sapore ottocentesco, e si aggirava per il transatlantico in coppia con Barbara Saltamartini (stessa camicia ma senza jabot).
Rosy Bindi invece si è sobriamente fermata alla sciarpa di seta, come molte altre.
Una sfida alla quale le amazzoni berlusconiane hanno risposto a tono, con la stessa decisione con cui le senatrici si vestirono di nero, a lutto, il giorno in cui il Senato votò l’espulsione del Cavaliere.
E dunque la Santanchè era in rosa shocking, la Biancofiore in blu scuro, la Carfagna addirittura in nero (anche se con un raffinato merletto beige che usciva sotto la giacca). E di nero si è vestita pure la grillina Lombardi, in dichiarata polemica «contro le vestali delle quote rosa».
A confondere le acque ci si sono messi gli uomini in bianco.
Come il leghista, che prima di andare a firmare la richiesta assassina del voto segreto ha passato il pomeriggio aggirandosi tra l’aula e la buvette con una giacca bianca da cameriere, attirandosi gli sfottò dei colleghi («Scusi, mi porta un piatto di fettuccine?»).
E quello è stato forse l’ultimo sorriso prima della tempesta.
Sebastiano Messina
(da “La Repubblica“)
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