Marzo 24th, 2014 Riccardo Fucile
LA HONDA BLU CHE “COPRE” IL RAPIMENTO MORO E LA TESTIMONIANZIA DEI DUE AGENTI DEI SERVIZI
Gli ingredienti della spy story ci sono tutti: i servizi segreti, la lettera anonima, una pistola cecoslovacca (un classico), le indagini ostacolate.
È il racconto dell’ispettore di Ps in pensione Enrico Rossi che rivela all’Ansa che il 16 marzo 1978 in via Fani c’erano anche uomini dei Servizi incaricati di “proteggere le Br da disturbi di qualsiasi genere”.
La storia non è nuova: che sulla scena della strage della scorta di Aldo Moro (che quel giorno venne sequestrato) ci fosse anche una moto Honda blu con a bordo due persone estranee al comando terrorista (“Non era certamente roba nostra”, ha sempre detto l’ ex Br Valerio Morucci) è un fatto accertato.
La novità , semmai, sta nel fatto che il signor Rossi sostiene di conoscere l’identità dei due uomini misteriosi, peraltro entrambi defunti.
Ma andiamo con ordine: Enrico Rossi racconta di una lettera anonima, risalente all’ottobre 2009, recapitata a un quotidiano poi finita casualmente “sul mio tavolo nel febbraio 2011”.
La lettera, il cui contenuto è riportato dall’Ansa, sarebbe stata scritta dal passeggero della Honda: “Quando riceverete questa lettera saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi, il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere”.
A questo punto l’anonimo avrebbe fornito elementi per rintracciare il conducente della moto: “Non ci è voluto molto per identificarlo — racconta Rossi — L’uomo aveva, regolarmente registrate, due pistole. Una è una Drulov cecoslovacca; pistola da specialisti che assomiglia ad una mitraglietta. Predispongo un controllo amministrativo, parlo con lui al telefono e mi indica dove è la prima pistola, una Beretta, ma nulla mi dice della seconda. L’accertamento diventa perquisizione e in cantina trovammo la pistola Drulov accanto a una copia dell’edizione straordinaria cellofanata de La Repubblica del 16 marzo 1978”.
Il racconto prosegue con i dettagli di un’inchiesta inspiegabilmente ostacolata: “Capisco che è meglio che me ne vada — racconta l’ispettore — e nell’agosto 2012 vado in pensione. Tempo dopo una voce amica di cui mi fido m’informa che l’uomo su cui indagavo è morto e che le due armi sono state distrutte senza effettuare perizie balistiche”.
Il punto chiave della lettera è il riferimento al colonnello Guglielmi. Camillo Guglielmi, uomo dei servizi segreti per sua stessa ammissione si trovava in via Fani, ufficialmente per motivi personali, la mattina del 16 marzo 1978.
Altri elementi di contatto con fatti accertati riguardano la testimonianza dell’ingegner Alessandro Marini, anch’egli casualmente in via Fani.
Contro di lui, scomodo testimone, dalla Honda blu partì una raffica di un’arma automatica che sforacchiò il parabrezza del motorino.
A sparare, secondo la testimonianza della vittima, un giovane “somigliante ad Eduardo De Filippo”.
L’ispettore , nel suo racconto, sostiene di aver sequestrato una foto del “suo” uomo: “Assomigliava ad Eduardo”. Il signore su cui indagava Rossi è effettivamente morto nel settembre del 2012 in Toscana — informa l’Ansa — Le pistole sembrerebbero essere state distrutte, ma il fascicolo che contiene tutta la storia dei due presunti passeggeri della Honda è stato trasferito da Torino a Roma dove è tuttora aperta un’inchiesta della magistratura.
Tutti elementi su cui la nuova Commissione parlamentare sul caso Moro (c’è già il via libera della Camera, si attende quello del Senato) dovrà lavorare.
Stefano Caselli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 24th, 2014 Riccardo Fucile
ALIQUOTE ALTE E POCHE DETRAZIONI… NESSUNO SCONTO PER REDDITO E FIGLI DOVE LA TASSA E’ GIA’ IN VIGORE
Chi non pagava l’Imu, non pagherà la Tasi. Il governo Letta era pronto a metterlo per iscritto, questo “vincolo etico”. Non l’ha fatto, però.
E alla fine molti (ex) esenti dovranno rassegnarsi. La nuova tassa sulla prima casa andrà versata.
Si mettano l’anima in pace anche gli altri proprietari.
Con buona probabilità , specie se l’aliquota della vecchia Imu era al 4 per mille o meno, il conto sarà addirittura più salato.
Com’è possibile, se le aliquote Tasi sono più basse di quelle dell’Imu? Semplice.
Per effetto delle detrazioni.
Prima valevano 200 euro per tutte le prime abitazioni. Più 50 euro per ogni figlio sotto i 26 anni.
Ora sono a discrezione dei sindaci.
E dai primi otto Comuni italiani che hanno deliberato in giunta le nuove caratteristiche della Tasi il messaggio che arriva è chiaro.
Per le detrazioni non si guarda al reddito familiare, misurato con l’Isee. Nè alla numerosità del nucleo. O alla presenza di disabilità .
Il metro di calcolo per gli sconti è la ben più valutabile rendita catastale.
Pazienza se poco veritiera perchè vetusta (rendite più basse per case in centro città che in periferia). E pazienza se il criterio non è equo.
In attesa delle riforma del catasto, i sindaci vanno sul sicuro. E mettono in cascina l’unico fieno che conta per i loro bilanci: il gettito.
Nessuna sorpresa, d’altronde.
Il patto stretto tra Anci-Letta-Saccomanni- Delrio poco prima che quel governo cadesse ruotava proprio attorno alle entrate.
E dunque 625 milioni aggiuntivi, però non più vincolati alle detrazioni (come pure erano i primi 500 milioni), ma dati per esigenze di gettito.
Dunque far tornare i conti (Tasi come Imu, e lì ci siamo: 4,6 contro 4,8 miliardi). In più, possibilità di un’addizionale dello 0,8 per mille da abbinare all’aliquota su prime o seconde case o entrambe per introdurre le detrazioni.
In poche parole, sconti finanziati dagli stessi proprietari. Geniale.
Risultato? «Se il buongiorno si vede dal mattino, tra Tasi così concepita, Tari e addizionali comunali si rischia di neutralizzare il bonus Irpef o di aumentare la pressione fiscale, nel caso dei pensionati», avverte Gugliemo Loy, segretario confederale Uil.
L’ufficio studi del sindacato ha spulciato le prime otto delibere, scoprendo che in più di un terzo delle città la Tasi sarà più cara dell’Imu.
Emblematico il caso di Mantova. Il sindaco sceglie il 2,4 per mille (meno del tetto al 2,5), ma non mette alcun tipo di detrazione, rinunciando allo 0,8 extra.
Ebbene, la Tasi peserà in media 89 euro in più dell’Imu che colpiva la prima casa con aliquota pari a 3,8 per mille. Certo più alta del 2,4. Ma privata ora del calmiere detrazioni.
A Brescia, dove l’esenzione è prevista per immobili con rendita fino a 400 euro, la Tasi sarà invece più conveniente, ma di soli 3 euro.
Ribasso più forte a Modena, 100 euro in meno, con esenzione per rendite fino a 320 euro e detrazioni al 50% per rendite da 320 a 400.
I pistoiesi invece verseranno 75 euro in più. Anche qui il sindaco ha deciso di non sfruttare l’addizionale dello 0,8 per mille ed ha esentato solo le case popolari e ultrapopolari (A/4 e A/5).
Comunque la tendenza è questa. Se le detrazioni ci sono, si calcolano sulla rendita catastale. E spesso vengono finanziate caricando tutto lo 0,8 sulle prime case.
Come a Piacenza (aliquota al 3,3%, il massimo, detrazioni fino a 600 euro di rendita). O a Bologna che non ha ancora deliberato, ma è in linea con Piacenza.
«La Tasi doveva essere una Service tax, destinata a finanziare i servizi indivisibili forniti dai Comuni, ma si rivela come qualcosa di diverso», si è allarmato Mario Falcucci, presidente della sezione autonomie della Corte dei conti, venerdì in audizione alla Camera.
«La base imponibile è il valore catastale dell’immobile e il contribuente è di fatto quasi solo il proprietario. Gli inquilini sono chiamati a pagare solo il 10% dell’imposta, aumentabile fino al 30%. La Tasi, in altri termini, continua a configurarsi prevalentemente come tassa patrimoniale».
E la possibilità di incrementare l’aliquota «avvicina il nuovo tributo all’Imu».
Dunque «serve a rispondere solo a un problema di gettito».
Questo il punto.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 24th, 2014 Riccardo Fucile
SECONDO GLI ORGANIZZATORI “DUE MILIONI DI PREFERENZE”, MA IN PIAZZA SONO IN POCHE CENTINAIA
Ieri sera, ora spritz, il Veneto si è ritrovato sospeso tra numeri e realtà . I numeri sono quelli riecheggiati in piazza dei Signori, cuore di Treviso.
“Hanno votato più di due milioni di persone: i sì all’indipendenza sono stati pari all’89 per cento”, dicono quelli di Plebiscito.eu comitato che ha organizzato il referendum. Una consultazione, bene chiarirlo, senza valore giuridico.
Ma, incurante del diritto vigente, il leader Gianluca Busato, parla di “nascita della repubblica veneta”. Così tra la folla accorsa si scatena la festa.
E così il migliaio di persone presenti in piazza (riportante le cronache locali, l’Ansa ne ha conta 4-500 al massimo, nda), per gli organizzatori diventano subito “8 mila”. Qualcuno storce il naso. “Se hanno usato lo stesso sistema di conteggio per il voto siamo fritti”, dice un uomo standosene nell’angolo della piazza.
La domanda delle domande è proprio questa: ci si può fidare dei numeri forniti dalla macchina organizzativa? Sono reali?
“I dati vanno presi con ampio beneficio di inventario”, dice Stefano Allievi, docente di sociologia all’Università di Padova. E cita esempi di voti “moltiplicati”, casi di gente che “ha votato più volte”, altri che l’hanno fatto “sotto falsa identità ”.
Il sistema, del resto, deve avere avuto qualche falla se in tanti sono riusciti a esprimere il loro voto magari facendolo da regione fuori dal Veneto, dal resto di quell’Italia della quale il comitato dichiara “non riconoscere più la sovranità ” .
Da domenica scorsa a ieri sera le urne digitali funzionavano così: si accedeva al sito www.plebiscito.eu, si compilava una breve scheda anagrafica, si forniva il numero di documento d’identità e si richiedeva via mail il codice personale per accedere al voto. Meccanismo simile per chi voleva dare la preferenza via telefono.
Terza via: recarsi ai gazebo, delle specie di internet point, allestiti nel territorio.
Secondo il comitato, che cita non meglio identificati “osservatori internazionali”, i voti ritenuti “non validi” sono stati 6.615. Solo lo 0,29% del totale. Se fosse vero che ha votato il 73,2 per cento degli aventi diritto in regione sarebbe un’enormità . Per usare una parola cara agli organizzatori un “plebiscito”.
Ma al di là dei numeri, resta un fondo sospeso di verità .
“E’ un fenomeno molto interessante”, spiega ancora il sociologo Allievi. “E ripropone il tema dell’insofferenza del “popolo del Nordest” verso gli sprechi dello Stato”.
Un refrain, quello dei “21 miliardi di tasse che non rientrano in regione” ribadito anche dal governatore Luca Zaia, abile negli ultimi giorni a far cavalcare alla Lega Nord il referendum.
La questione settentrionale, rinchiusa in un “ovattato silenzio”, è diventata così un grido di insofferenza di “una regione che produce verso uno Stato che spreca”, spiega Allievi.
Una sorta di secessione farsa via web. I “fantomatici due milioni di clic” secondo il sociologo sono l’emblema di una domanda politica lasciata senza risposte.
“A cui però — conclude il sociologo – non bisogna guardare con supponenza”. Non è un caso che Matteo Renzi abbia organizzato la sua prima visita istituzionale da premier proprio a Treviso.
E, dopo le classi di studenti, ha incontrato gli imprenditori. Quelli che nell’ultimo anno hanno dovuto fare con altri dati, questi sì certificati: un Pil regionale sceso dell’1,6 per cento (più di quello della vicina Lombardia), un calo delle imprese attive di 8 mila unità e, soprattutto, la perdita di 18 mila posti di lavoro.
Si è salvato, dicono gli economisti, solo chi ha aperto le fabbriche al mondo.
Ma ieri sera, in piazza a Treviso, non si parlava di questa realtà .
Ma dei numeri “plebiscitari” per l’indipendenza. Di “sciopero fiscale” di “Stato che tartassa”.
Una sorta di vaffa-day, insomma. Conclusosi, come si fa da queste parti, con un ultimo spritz.
Davide Lessi
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Marzo 24th, 2014 Riccardo Fucile
LA VECCHIA GUARDIA MINACCIA: FAREMO SALTRE IL BILANCIO, IL PARTITO CHIUDE
E guerra sia. Umiliata ed emarginata, candidata a trasformarsi in una bad company da rottamare, la vecchia guardia berlusconiana si prepara a reagire.
Contro lo strapotere del cerchio magico, minaccia di boicottare le liste azzurre alle Europee e studia clamorose ritorsioni per impedire l’approvazione del bilancio del partito e provocare una sorta di “fallimento tecnico”.
Forza Italia — così come conosciuta finora — è insomma a un passo dalla frantumazione
Il centralino di Arcore suona a vuoto, gettando nel panico i big che hanno sostenuto il Cavaliere nelle battaglie più dure.
In mezzo alla bufera, invece, chi si muove con la massima scioltezza è Francesca Pascale. La fidanzata del Cavaliere, affiancata da Maria Rosaria Rossi, è scatenata. Fa e disfa organigrammi, attacca dirigenti di peso, mette bocca — ascoltata sui rapporti politici del celebre fidanzato. E ragiona in grande.
Nelle ultime ore, per dire, ha addirittura reclamato un posto in lista per le prossime Europee. «Mi piacerebbe, perchè no?», è tornata alla carica
Un po’ come Barbara Berlusconi. La figlia di Veronica Lario ha invocato l’investitura del padre, ma è rimasta vittima del fuoco amico.
La sorella Marina non gradisce la novità , il fratello Piersilvio neanche.
E il pranzo della verità , convocato dal Cavaliere per cercare di mettere ordine nella dynasty, è slittato ad oggi.
Difficile che Barbara riesca a ottenere il via libera troppo fragili gli equilibri interni al clan ma l’ipotesi resta comunque, e nonostante tutto, ancora in piedi. «Vediamo, decide papà ».
Dentro villa San Martino, intanto, il cerchio magico lavora h 24 per plasmare la nuova era.
C’è da conquistare un partito — svuotandolo con i club “Forza Silvio” — e sconfiggere le sacche di resistenza.
Ieri, in un pranzo con Berlusconi, è stato dato il via libera a un ufficio di Presidenza nuovo di zecca. Sarà ufficializzato prestissimo e ospiterà anche esponenti della vecchia guardia.
Poco conta, perchè è stato ribadito il veto alla candidatura europea dei “big” in carica.
«Non c’è spazio per il doppio incarico. I nostri deputati e i nostri senatori ancora in carica devono restare a Roma. È un problema di serietà », ha sancito Berlusconi.
Fuori tutti, insomma. Compreso Raffaele Fitto, che si prepara a dare battaglia.
«Vogliono che io me ne vada, ma non saranno capaci di farmi saltare i nervi», ripete da giorni il big pugliese.
Lui, che al Sud governa un bacino di voti imponente, non riesce neanche a raggiungere al telefono il Capo. Nelle ultime ore, comunque, ha fiutato aria d’esclusione.
Per questo, si prepara a compattare i delusi del partito. «Se ci escludono, al Sud avranno un problema serio», ha sibilato sabato incontrando i fedelissimi calabresi.
In tempi di guerra, tutte le armi sono lecite. Per questo, l’ala dura non esclude rappresaglie “creative”.
Una, ipotizzata nelle ultime ore, passa da un blitz sul bilancio del partito. Bisogna approvarlo entro giugno e la vecchia guardia potrebbe impedirne il via libera.
Si tratterebbe di una forzatura gravissima, con l’obiettivo di trascinare l’intera Forza Italia nella polvere.
Neanche chi ha gestito con pugno di ferro un decennio di berlusconismo può uscire indenne dalla rivoluzione di Arcore.
«Quello che dovevo dire a Berlusconi, gliel’ho scritto — ripete Denis Verdini ai big depressi di un partito impazzito — Lui sa già tutto».
Sa, ad esempio, che per il dirigente toscano l’esclusione dei parlamentari dalle Europee assomiglia a un suicidio. Eppure nulla cambia.
Anche Claudio Scajola, ad esempio, non riesce a strappare un posto in lista. Su di lui pende il veto della cabina di regia di Arcore.
Nel suo caso, però, si attende davvero l’ultima parola del Cavaliere. L’ex ministro, uscito indenne dalle Aule di giustizia, continua intanto a dare battaglia: «Forse Berlusconi è un po’ troppo chiuso in casa, sarebbe bene avere organismi con cui confrontarsi».
La verità è che il 10 aprile incombe, dando forma agli incubi peggiori.
Si avvicina pericolosamente l’esecuzione della condanna penale, ma restano ancora da sciogliere alcuni nodi decisivi. «A questo punto però — avverte l’ex premier — tocca a me intervenire. Altrimenti qui davvero rischia di saltare tutto, senza di me questo partito va fuori controllo».
Chi sarà depositario del potere di firma per presentare liste e simbolo, ad esempio?
Al momento l’onere tocca a Sandro Bondi, uno dei massimi rappresentanti della corrente dei lealisti. È una terra di mezzo composta da berlusconiani come Paolo Romani, Mariastella Gelmini e Renato Brunetta ma anche da amici di una vita come Fedele Confalonieri ed Ennio Doris — che consigliano il Capo pur non militando nel cerchio magico.
Qualcuno di loro, comunque, è dato in rapidissimo avvicinamento al quadrumvirato composto da Rossi e Pascale, Toti e Fiori.
Si tratta di Antonio Tajani. Il vicepresidente della Commissione ha scalato in fretta le nuove gerarchie dei “pascaliani”.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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Marzo 24th, 2014 Riccardo Fucile
PARTITO ANCORA AL LIVELLO DELLE POLITICHE MA SOLO FINCHE’ L’EX PREMIER RESTA AL CENTRO DELLA SCENA…E BARBARA PIACE PIU’ DI MARINA
«Secondo me, può succedere di tutto. Anche perchè la lotta interna a Forza Italia, dopo che s’è capito che Silvio Berlusconi non potrà essere candidato, è ormai percepita dall’elettorato. Se questa situazione non si ricompone…».
Quando il sondaggista Roberto Weber dice che «può succedere di tutto», in testa ha anche una cifra. Che indica come se fosse la cosa più scontata del mondo.
«Sì, se i berlusconiani non fanno quadrato, Forza Italia rischia di crollare al 12 barra 13 per cento».
Parliamo di venti e passa punti percentuali in meno rispetto all’esordio vincente del Pdl alle politiche del 2008.
E di dieci in meno rispetto alle ultime elezioni politiche, quando lo score del partito berlusconiano si fermò al 21,57% alla Camera e al 22,30% di schede valide per il Senato.
L’altalena degli ultimi sondaggi di Forza Italia, elencati istituto per istituto dall’ultima edizione del Mattinale di Renato Brunetta, ruota attorno al 22 per cento.
C’è il 21,9 che gli accredita Swg, il 24,1 di Tecnè, il 21 di Datamedia, il 23,2 di Ipsos, fino a scendere al 20,8 di Emg, per poi risalire al 21,5 di Ipr e al 22,8 di Euromedia.
Ma il «rischio tracollo», secondo Weber, è tecnicamente possibile.
Come una deflagrazione in grado di disperdere un patrimonio nel giro di poche settimane. «Berlusconi ha una sola possibilità di andare sopra il 20 per cento. Trovare il modo di far passare il messaggio che la leadership è saldamente nelle sue mani. E che questa leadership viene esercitata. Gli scontri interni al partito degli ultimi giorni, agli occhi dell’elettorato, mostrano una situazione diversa…».
E il dramma vero, sempre secondo il numero uno di Swg, «è che a Forza Italia rischia di mancare una base di consenso. Se Renzi governa bene, il Pd avanzerà senz’altro. Se invece governa male, si arricchiranno le schede a favore del Movimento Cinque Stelle, che comunque alle Europee potrebbe andare molto bene…».
Alessandra Ghisleri, che dalle parti di Arcore è sempre stata considerata «la» sondaggista di riferimento, inquadra la situazione di Forza Italia corredandola di un gigantesco punto interrogativo.
«Renzi sta provando a governare col piglio dell’immediatezza, come piace ai giovani. Grillo si sta facendo intervistare in tv, e adesso nei talk-show manda anche i migliori dei suoi, per provare a dare un’idea di concretezza e serietà . A differenza dei due competitor , però, Berlusconi non potrà adottare una strategia prima del 10 aprile».
È la fatidica data in cui il tribunale di Milano deciderà sulla pena principale che l’ex premier deve scontare.
«Da lì comincerà la vera partita di Forza Italia», sottolinea la sondaggista di Euromedia research. Impossibile, secondo la Ghisleri, provare a discutere di possibili carte di riserva.
A cominciare dall’ipotesi che Berlusconi punti su qualcuno dei suoi figli. «Questo scenario per adesso è stato smentito», ricorda.
E comunque all’ex premier «rimangono molte carte. Il fatto che Forza Italia sia decisiva per il processo di riforme è una di queste.
E la “voce” di Berlusconi, anche se dopo il 10 aprile potrebbe essere il “silenzio”, è un’altra». Più pessimista, molto di più, Weber. «Barbara va meglio della sorella Marina. Piace al 65 per cento di quelli che si dichiarano elettori di Forza Italia. Quindi molto di più della sorella maggiore…».
Ma anche la vicepresidente del Milan è lontana dall’indice di gradimento del padre.
«Molto lontana», scandisce Weber. Segno che il pallino di Forza Italia è sempre nelle mani dell’unico esponente che non potrà lanciarlo. Sempre lui.
Tommaso Labate
(da “il Corriere della Sera“)
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Marzo 24th, 2014 Riccardo Fucile
L’IPOTESI DI UNA NUOVA MISURA AL POSTO DEI TAGLI IRPEF, MA RESTA SEMPRE ALEATORIA LA COPERTURA
Il governo accelera sulla messa a punto del Documento di economia e finanza, snodo cruciale per i conti italiani.
E passaggio indispensabile per la definizione del Piano nazionale di riforme.
Entrambi i documenti -Def e Pnr — devono essere inviati a Bruxelles entro il 15 aprile. Ma Palazzo Chigi punta a chiuderli entro la prima settimana del mese, con qualche giornata di anticipo. Così da avere più tempo per scrivere i decreti legge che andranno a tagliare il cuneo fiscale, la differenza tra il costo lordo del lavoro e l’introito netto in busta paga. «Subito dopo il Def, avremo i decreti», confermano da Palazzo Chigi. Un’accelerazione obbligata per assicurare come promesso e ribadito nella conferenza stampa delle slides, il 12 marzo scorso — gli 80 euro extra nel cedolino di maggio.
Che però non è detto — ed è questa la novità — che arrivino attraverso il canale delle detrazioni Irpef.
Lo staff di Renzi e del ministro dell’Economia Padoan in queste ore lavorano su un’altra ipotesi considerata percorribile.
Quella di un “sistema di contributi” da rendere evidenti e visibili tra le voci dello stipendio. Un bonus dunque.
Che avrebbe il pregio di concentrarsi su alcune fasce di reddito prescelte, tagliando così la coda decrescente di sconti ai redditi sopra i 25 mila euro e fino ai 55 mila che — seppur piccoli e a scalare — sarebbero assicurati dal meccanismo delle detrazioni.
E l’altro non trascurabile vantaggio di recuperare risorse.
I provvedimenti dunque saranno più d’uno. Quello degli 80 euro. E almeno un altro per l’annunciato taglio dell’Irap (dal 10 maggio), finanziato con un aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie diverse dai titoli di Stato (dal 20 al 26%, gettito previsto pari a 2,6 miliardi).
Nelle intenzioni del governo, i due decreti dovrebbero regalare un po’ d’ossigeno a lavoratori e imprese. Spingere i consumi, rassicurare le famiglie, sostenere le aziende. Ma il nodo da sciogliere — e che in queste ore impegna non poco i tecnici — rimane quello delle coperture.
Nelle slides di Renzi il taglio del cuneo era “pesato” in 10 miliardi per 10 milioni di persone. Dunque 80 euro netti in più al mese per chi guadagna meno di 25 mila euro lordi annui. Ma lo sconto partirà da maggio.
E dunque non 10 ma 6,6 sono i miliardi da individuare.
Al momento, visti i distinguo di Renzi su alcuni tagli di spesa previsti da Cottarelli, ritenuti impraticabili (come il prelievo sulle pensioni) ed altre entrate “una tantum” — rientro dei capitali, meno interessi sui titoli pubblici — ad effetto dilatato nel tempo, il cerchio dei possibili bacini da cui attingere denari si restringe.
«Le coperture ci sono», ripete quasi ogni giorno il premier
Un tesoretto in effetti potrebbe spuntare dalle stime che lo stesso governo si appresta ad inserire nel Def.
Se infatti le misure annunciate da Renzi — Irpef, Irap, piano casa, sconto sulla bolletta energetica delle imprese, edilizia scolastica — producessero uno 0,5% extra di Pil, il prodotto interno lordo potrebbe salire all’1,1% rispetto allo 0,6% stimato per il 2014 dal governo Letta.
Un Pil più alto significa un rapporto tra deficit e Pil più basso: dal 2,6% attuale al 2,4%. Dunque, oltre 3 miliardi spuntati quasi dal nulla, la metà di quanto necessario per mettere 80 euro in busta paga a qualche milione di lavoratori.
Valentina Conte
(da “La Repubblica”)
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Marzo 24th, 2014 Riccardo Fucile
A 400 GIORNI DAL VIA, L’AREA ESPOSITIVA È DESOLATA E GRAN PARTE DELLE OPERE CONNESSE NON SI FARANNO MAI
Dopo l’allarme del Commissario unico di Expo 2015, Giuseppe Sala, il messaggio che viene ora dagli uffici dell’esposizione è che tutto andrà bene. Può darsi.
Ma nel Comitato NoExpo, che dall’inizio di questa vicenda ha documentato con precisione i rischi ambientali e di malaffare legati alle opere, si sottolinea il forte imbarazzo che serpeggia ai vertici della Spa partecipata da governo, Regione Lombardia e Comune di Milano per il rischio “di una figuraccia internazionale”.
“In realtà sono vittime della maledizione Expo — sorride Luca del comitato — secondo cui questa ‘porta sfiga’”.
Le vittime eccellenti dell’esposizione universale in salsa italiana sono in effetti molteplici. A partire da Romano Prodi, che si prodigò moltissimo nei due anni del suo secondo governo per ottenere l’assegnazione prima di lasciare la mano a Berlusconi. Poi c’è stata Letizia Moratti, vera madrina dell’operazione ma scalzata dal Comune di Milano da Giuliano Pisapia.
È finito nell’oblio anche il primo manager indicato dal governo Berlusconi, Lucio Stanca, Roberto Formigoni ha perso il Pirellone e vede i suoi uomini indagati o arrestati, come nel caso di Antonio Rognoni.
Si è scottato Monti ed Enrico Letta. E forse, memore di queste disfatte, non vuole scottarsi Matteo Renzi che preferirebbe che Regione e Comune, cioè Pisapia e Maroni, se la sbrighino da soli.
LA “LANDA”
L’arresto del direttore generale di Infrastrutture Lombarde ha solo scoperchiato una situazione di difficoltà che sta mettendo a rischio tutta l’operazione Expo.
Qualche giorno fa, visitando il sito, Beppe Grillo aveva parlato di “landa desolata” riferendosi all’assenza di infrastrutture essenziali.
Dall’entourage di Giuseppe Sala vengono invece solo rassicurazioni. I soldi, 1,3 miliardi necessari, sono stati stanziati.
Sarebbero già risolti i lavori per la “piastra espositiva”, per le “aree di servizio” e anche per l’urbanizzazione dell’area.
Ma ora, come teme la Confindustria, da ogni faldone potrebbe emergere una nuova indagine. Che potrebbe riguardare anche i lavori già in via di conclusione a rischio di essere fermati. Tanto più che ora si passa alla fase della costruzione dei padiglioni a opera dei paesi ospitati.
SCONTRO PER IL CANALE
Un punto dolente è rappresentato dalle Vie d’acqua, il progetto che dovrebbe unire il Canale Villoresi, al nord dell’Expo, al Naviglio Grande, in piena città a sud.
Qui si sono toccate con mano le divergenze tra Pisapia e Regione.
I comitati ambientalisti e lo stesso NoExpo, si sono opposti, infatti, al canale di circa 12 chilometri in uscita dal sito e che dovrebbe passare per i parchi a ovest di Milano. Lo stesso Sal , ha spiegato che la soluzione alternativa potrebbe essere quella di intubare le acque in uscita da Expo senza ricorrere al mega-canale in cemento che deturperebbe l’ambiente.
Maroni non è d’accordo e al momento, mentre l’acqua da nord arriverà all’Expo non è chiaro quale sarà il suo deflusso.
COLLEGAMENTI A RISCHIO
Molto più ambiguo è lo stato delle “opere connesse”, che dovrebbero collegare l’Expo al resto del mondo.
Qui c’è la grande torta da oltre 14 miliardi.
Il governo Letta aveva promesso altri 260 milioni quest’anno che ora sembrano ballare, mentre Roberto Maroni, l’altro giorno, ha parlato di 1,6 miliardi mancanti.
Le opere più grandi sono la Pedemontana (oltre 4 miliardi il costo stimato), la bretella BreBeMi (1,6) e la Tangenziale esterna di Milano (Tem, 1,65 miliardi).
Solo la BreBeMi potrebbe farcela ma senza la Tem non avrebbe senso, finirebbe nel vuoto. Della Pedemontana si dovrebbe concludere la parte verso Malpensa ma non quella verso Desio.
In forte ritardo è anche la Zara-Expo, aggiornamento della vecchia Gronda Nord. Secondo Maroni non si farà la M4.
Sembra certo che non si farà nemmeno la Rho-Monza, slitta il potenziamento della linea ferroviaria tra Gallarate e Rho così come la metrotranvia Desio-Seregno.
A inizio anno, infine, il Tar lombardo ha bloccato, per dubbi sulla gara di aggiudicazione, i lavori per il collegamento tra il sito e l’area di Cascina Merlata dove sorgerà il villaggio Expo all’autostrada A4.
L’Expo probabilmente si farà .
Arrivarci, però, sarà quasi impossibile.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 24th, 2014 Riccardo Fucile
DALLA TANGENZIALE AL METRà’, IL PREFETTO: “CONSOLIDATA PRESENZA”
Gli annunci sono finiti. E quello che prima era un rischio, ora è un dato di fatto.
La mafia è entrata nell’affare di Expo.
Testa e soldi dei boss controllano parte dei lavori e delle opere connesse.
L’allarme, scaturito dall’inchiesta sull’appaltificio di Infrastrutture Lombarde (Ilspa) governato per dieci anni da Antonio Rognoni, trova conferma nella relazione del Prefetto di Milano consegnata alla Commissione parlamentare antimafia in trasferta sotto al Duomo.
È il 16 dicembre 2013 quando Paolo Tronca davanti ai parlamentari legge un appunto riservato di 56 pagine e svela “una tendenza che si sta delineando e sempre più consolidando di una penetrazione nei lavori Expo di imprese contigue, se non organiche alla criminalità organizzata”.
In quei giorni davanti al presidente Rosy Bindi parla anche il procuratore aggiunto Ilda Boccassini.
Dice: “In considerazione del tempo ormai limitato (…) è molto forte il rischio di infiltrazioni”. Il dato, di per sè clamoroso e inedito, diventa inquietante quando Tronca affronta la questione delle opere connesse all’evento. Tra le varie, oltre alla Linea 5 della metropolitana infiltrata dal clan Barbaro-Papalia, cita la Tangenziale esterna est, snocciolando numeri che fotografano lo stato di un’infiltrazione consistente.
“Quest’opera — sono le sue parole — presenta la maggior concentrazione di imprese già interdette, sette nell’ultimo periodo”.
Più altre due. In totale nove società allontanate per sospetti di collusione con le cosche. Una di queste è la Ci.Fa. Servizi ambientali tra i cui soci compare Orlando Liati coinvolto in un traffico illecito di rifiuti.
Un nome, quello dell’imprenditore milanese, già finito nelle informative dell’antimafia lombarda per i suoi rapporti con importanti clan della ‘ndrangheta.
Dal 2009 il coordinamento dell’opera è affidato alla Tangenziale esterna spa. Consigliere delegato è Stefano Maullu, ex assessore formigoniano sfiorato (e mai indagato) da alcune inchieste di mafia.
Con lui nel board societario c’è l’architetto Franco Varini in contatto con Carlo Antonio Chiriaco, l’ex direttore sanitario dell’Asl di Pavia condannato in primo grado a 13 anni per concorso esterno.
La spa che gestisce i lavori della tangenziale è anche al centro dell’ultima indagine su Infrastrutture Lombarde. Al suo nome sono legate consulenze pilotate a favore dei legali della cerchia di Rognoni. Oltre agli appalti affidati alla cooperativa emiliana Cmb che con l’Ilspa, negli anni, ha fatto affari d’oro.
Consulenze , dunque. E non solo.
Con i clan che si accomodano al banchetto di Expo.
Tanto che sul sito oggi lavorano quattro società segnalate dalla Dia per rapporti sospetti con ambienti mafiosi. Spiega Tronca: “Spesso la trama dei rapporti d’affari tra le imprese non appaiono subito evidenti”.
Il ragionamento del Prefetto è chiaro . Ma c’è di più.
Secondo Tronca, infatti, “molte società per le quali stanno ora emergendo criticità antimafia non risultano censite dalle Prefetture competenti per territorio”. Tradotto: “In maniera elusiva, le imprese colluse hanno sempre lavorato in una zona grigia” in modo “da sottrarsi alla richiesta d’informazioni antimafia”.
Un gap che non sembra poter essere risolto nemmeno dalla cosiddetta piattaforma informatica creata per raccogliere il database delle imprese. Secondo una nota del centro Dia di Milano il sistema è “inutilizzabile a causa di vistose lacune relative alla scarsa intuitività del sistema e alla carenza della documentazione”.
A tutto questo si aggiungono le problematiche dei controlli antimafia sui lavori degli stati stranieri.
Il punto, sollevato dal Prefetto, segnala come in questi casi l’adesione ai controlli sia solo su “base volontaria” così come previsto da un accordo preso tra il governo Italiano e il Bie.
Nessun obbligo, dunque. E tanto terreno fertile per la mafia.
Davide Milosa
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 24th, 2014 Riccardo Fucile
LA RIVOLUZIONE DIVENTA SOFT
Quando Renzi annunciò la rottamazione di Palazzo Madama, molti senatori si scambiarono impressioni e paragoni ironici con il manifesto futurista di Filippo Tommaso Marinetti: «Rimpiazzeremo il Senato con una Assemblea di controllo composta di 20 giovani non ancora trentenni…».
Ma adesso, dopo settimane di battaglia sottotraccia, gli inquilini della «camera alta» si sentono più tranquilli.
Sanno che dovranno votare la loro fine, eppure si sono convinti che sarà una rottamazione soft, che il Senato continuerà a chiamarsi Senato e non diventerà mai quella «Assemblea delle autonomie» del progetto originario.
Un asse trasversale è pronto a modificare profondamente la «bozza di lavoro» del governo. Senza buttare giù i tre paletti che Renzi aveva piantato con forza durante la direzione del Pd – solo i deputati danno la fiducia, i senatori non vengono eletti dai cittadini e sono a costo zero – Pd e Ncd hanno lavorato per annacquare il monocameralismo delle linee guida governative e rafforzare le competenze dei senatori.
Un’operazione che potrebbe star bene anche allo stesso Renzi, il quale vuole fortissimamente portare a casa la modifica della Costituzione, senza però infilarsi in un Vietnam parlamentare. Ecco perchè a preoccupare diversi renziani è adesso la tentazione di Palazzo Chigi di presentare ai partiti un disegno di legge governativo, invece di lasciarlo scrivere alle forze politiche.
Il ministro Maria Elena Boschi sta lavorando a un testo, con l’obiettivo di incardinare il ddl al Senato da qui a una settimana.
«La cosa fondamentale è che non diventi un ente inutile e che non si vada verso un monocameralismo mascherato – avverte Gaetano Quagliariello, Ncd – Dobbiamo tenere assieme Senato e riforma del Titolo V».
Il dilemma è: chi depositerà il provvedimento?
Luigi Zanda media: «I parlamentari interverranno con i loro suggerimenti sul primo testo del governo, poi bisognerà decidere se verrà presentato dai partiti oppure dall’esecutivo.
Si tratta di una riforma costituzionale, per la quale serve una maggioranza molto larga…».
Il presidente dei senatori del Pd non lo dice, ma molti democratici pensano che, se fosse il governo a presentare il testo di legge, Renzi si complicherebbe la vita.
«Vedo con maggior favore una iniziativa della maggioranza – suggerisce il bersaniano Miguel Gotor – Va evitato un progetto che sia solo del Pd, perchè rischierebbe di essere impallinato». Il Quirinale e la seconda carica dello Stato seguono con attenzione il percorso della riforma, senza interferire con il Parlamento.
Piero Grasso si è limitato a dire che il Senato dovrebbe mantenere il suo antico nome. I democratici torneranno a riunirsi martedì per cercare un accordo e l’idea prevalente è cambiare in profondità il testo senza sconfessare palesemente Renzi.
La preoccupazione che la Carta venga stravolta per lisciare il pelo all’antipolitica è forte, ma nessuno, tranne Walter Tocci, ha chiesto apertamente di scardinare il paletto della non eleggibilità dei senatori, come vorrebbe il Ncd.
Per la Conferenza delle Regioni il Senato dovrebbe essere «eletto su base regionale» e non dovrebbe avere tra i suoi componenti i 21 cittadini illustri nominati dal Capo dello Stato.
Altro nodo da sciogliere è la supplenza del presidente della Repubblica in caso di morte o di fine mandato, che nel progetto del governo era affidata al presidente della Camera.
E molti spingono perchè l’ex inquilino del Colle sia senatore (e non deputato) a vita.
Acquisito il principio cardine secondo cui il nuovo organismo non darà la fiducia al governo, i senatori chiedono maggiori competenze rispetto alle funzioni di controllo, inchiesta e ispezione: la doppia lettura tra Camera e Senato non dovrà essere prevista solo per le modifiche costituzionali, ma anche per legge elettorale e diritti civili.
Secondo alcuni la «navetta» servirebbe anche per alcune decisioni in materia di bilancio: altra correzione in senso bicamerale della bozza del governo.
Monica Guerzoni
(da “il Corriere della Sera”)
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