Luglio 8th, 2014 Riccardo Fucile
MALUMORI NEL PARTITO: “SIAMO PASSATI DAL FAMILY DAY AL FAMILY GAY”…LA SANTANCHE’: “PER ME SAREBBE COME ISCRIVERMI ALLA FIOM”
C’è anche la battaglia di Francesca Pascale a favore dei diritti delle coppie “omo” ad accrescere il
malessere dei senatori di Forza Italia.
Oggi la fidanzata di Berlusconi ritirerà a Napoli la tessera dell’Arci-gay, accompagnata da Alessandro Cecchi Paone.
E tra i senatori azzurri, sopratutto tra quelli passati dal Boia di molla al Menomale che Silvio c’è è un florilegio di battute, a dire il vero un po’ maschiliste: “Siamo passati dal Family day al Family gay. Dove andremo a finire di questo passo non si sa”
Al fondo c’è certamente l’atteggiamento machista di chi amava di più il Capo di un partito di centrodestra che, ai tempi degli scandali, regalava nei suoi comizi chicche tipo: “Meglio puttaniere che gay”.
E c’è che, in un partito di destra, l’Arcigay è una bestemmia. Daniela Santanchè ci va già dura: “E’ una scelta individuale – dice nel corso della sua partecipazione ad Agorà – per me sarebbe come iscrivermi alla Fiom”.
Insomma, alla vigilia del voto sul Senato, la questione “omo” è benzina sul malessere non irrilevante tra i gruppi parlamentari e Arcore.
E non è un caso che, nelle ultime ore, i senatori in bilico sul voto alle riforme siano stati contattati uno ad uno da Gianni Letta, l’uomo delle missioni delicati: “Caro sono Gianni, come stai?”.
Letta è un politico navigato e sa bene che il dissenso su una questione specifica, come il Senato, si può riassorbire.
Mentre il malessere è un sentimento che porta a esiti imprevedibili.
E il malessere è dovuto a tante ragioni, ma proprio sul voto sulle riforme potrebbe trovare sfogo
Per questo Letta ha iniziato a coccolare quei 25 senatori tentati da far saltare delle riforme perchè si sentono esclusi, snobbati, perchè magari sono mesi che chiedono udienza al Capo e non hanno ricevuto una telefonata mentre ora arriva l’ordine di votare senza se e senza ma una riforma indigeribile solo perchè “Berlusconi pensa a tutelare Mediaset sacrificando il partito sull’altare di Renzi”.
Proprio per provare a ricompattare il gruppo in vista del voto è assai probabile che mercoledì (domani) si svolgerà la famosa riunione, prima annunciata, poi sconvocata e ormai diventata un giall
Ecco, malcontento. Legato a tanti fattori.
I calcoli meschini di chi pensa che insabbiando le riforme si arriva al 2018 (e quindi ci sono altri anni di stipendi garantiti) mentre se passano si va al voto la prossima primavera.
Malcontento accresciuto negli ultimi giorni dalla vicenda del “recupero crediti”. Come ha scritto Ugo Magri sulla Stampa, tra i parlamentari azzurri in pochi hanno versato al partito in questi anni. Ora è stato intimato di provvedere perchè gli stipendi sono a rischio: “L’incarico di battere cassa — scrive la Stampa – compete all’onnipotente Mariarosaria Rossi, donna di polso alla quale non manca il know-how (è imprenditrice proprio nel ramo del “recupero crediti”). I pochi senatori in regola plaudono all’iniziativa. I tanti morosi invece si stanno domandando, molto prosaicamente, che senso abbia scucire circa 40 mila euro per uno scranno così traballante. Da cui verranno sloggiati, non appena completate le riforme, per far posto a sindaci e a consiglieri regionali…”.
E quindi qualcuno medita di passare al gruppo misto.
Dopo i soldi il Family gay di Francesca.
Un senatore la mette così, per svelare il sentimento: “Ci sono tanti modi per finire, ma non si può finire così parlando di cani, dentiere e froci”.
Con Berlusconi inabissato nelle sue vicende giudiziarie e concentrato solo su come garantire l’azienda nell’era Renzi — la dichiarazione di Piersilvio è emblematica — la narrazione pubblica è scandita dalle trovate della Pascale.
Secondo i maligni si starebbe ritagliando un ruolo a la “Evita Peron della fine del berlusconismo”.
A corte invece spiegano che pure il Corriere della sera di due giorni fa ha pubblicato un sondaggio che attesta come gli italiani siano favorevoli alle unioni di fatto delle coppie omo.
Così come gli italiani, secondo i sondaggi sono animalisti. Peccato che i voti non siano arrivati: “Ma andiamo… – prosegue il senatore sboccacciato e maschilista — ‘sto cane, Dudù sta sulle scatole agli italiani perchè è un cane viziato. Mo’ l’Arcigay, tutta sta storia sta sulle scatole pure a me. Ma Berlusconi, dove è?”
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 8th, 2014 Riccardo Fucile
IN BILICO LA RIUNIONE DI OGGI, TANTI GLI INDECISI… MALUMORI ANCHE PER LA RICHIESTA DI CONTRIBUIRE AL ROSSO IN CASSA: CHIESTI 30-40.000 A PARLAMENTARE
Balla l’assemblea dei gruppi, ma balla pericolosamente anche Forza Italia.
In vista del voto del Senato sulle riforme, che con ogni probabilità slitterà alla prossima settimana, il partito ribolle e il disagio cresce.
Non è solo il merito della riforma del Senato – la non elettività che è sentita come un vulnus insopportabile – ad agitare le acque nel partito, ma un complesso di fattori che stanno portando la tensione a un pericoloso livello di guardia.
Tanto che in queste ore sono partite a raffica le telefonate di un Silvio Berlusconi sempre più infastidito e incupito per le sue vicende giudiziarie (oggi arriverà anche il verdetto Mediatrade sul figlio Piersilvio), di Gianni Letta e di Denis Verdini ai vari senatori inquieti che potrebbero votare contro le riforme in Senato.
Il fine è quello di convincere il maggior numero di parlamentari a non mettersi di traverso.
Con argomenti («Non si poteva in questa fase fare di più»), lusinghe, promesse e mozioni degli affetti.
È probabile che l’operazione funzioni e porti al rientro di buona parte dei dissidenti, di sicuro non Augusto Minzolini che avverte che non voterà la riforma «nemmeno se mi telefona e me lo chiede Berlusconi».
Ma non c’è dubbio che il malumore non può essere sottovalutato, per gli effetti immediati e futuri, nonostante Berlusconi mal sopporti «queste continue divisioni». Anche per questo non si sa ancora se si terrà oppure no la seconda puntata della riunione dei gruppi sospesa giovedì scorso e rimandata ufficialmente ad oggi.
Le convocazioni non sono partite e dunque per oggi è improbabile che si tenga, si parla di domani, ma il rischio che si trasformi in un nuovo sfogatoio è alto e i dubbi sul tenerla o meno sono moltissimi nell’entourage del Cavaliere.
Sì perchè a rendere caldissimo il clima non c’è solo la questione Senato, ma tanti altri fattori di scontento.
Non strombazzato ma più che reale è il disagio per la richiesta perentoria arrivata dall’amministrazione del partito (guidata dalla Rossi) di restituire le somme dovute per la campagna elettorale, più le quote mensili che molti non hanno mai versato. Cifre da 30- 40 mila euro che molti dichiarano di «non avere», e che altri comunque sono restii a concedere ad un partito nel quale «le ricandidature poi si decideranno nel cerchio magico di Arcore, senza nessuna garanzia…».
Insomma, il problema c’è, come d’altronde c’è quello del finanziamento, sempre più impellente, se è vero che domani sera si terrà a Roma una cena di fundraising con Berlusconi, alla quale i parlamentari sono praticamente costretti a partecipare pagando somme notevoli per ogni tavolo (sembra diecimila euro, da dividere poi tra gli altri commensali che riusciranno a coinvolgere).
Se a questo si aggiungono i tanti mugugni per l’attivismo di Francesca Pascale su un fronte delicato come quello dei diritti degli omosessuali – oggi sarà a Napoli ad iscriversi alla sezione cittadina dell’Arcigay, dopo aver preso già la tessera dei Gaylib – si capisce come le spine siano tante: «Si arrabbieranno i campani per lo sfondamento nel loro territorio, e tutti i tradizionalisti per la linea su cui ci sta portando…», prevede un senatore.
Sullo sfondo, restano due temi: lo «schiacciamento» su Renzi, come lo definisce Renato Brunetta che, pur dichiarandosi fedele a Berlusconi, avverte che è una posizione che il nostro elettorato non capisce», e la gestione del partito su temi così delicati in questo momento.
Raffaele Fitto, pur restando in silenzio, è tra coloro che non stanno affatto condividendo nè la linea sulle riforme, nè la sottovalutazione del malessere rispetto al rapporto con Renzi. E nei prossimi giorni le sue mosse conteranno.
La previsione è che alla fine il voto sulle riforme ci sarà , ma tra i «5-6 dissidenti che voteranno contro», secondo Verdini, e la «ventina» che prevedono altri, c’è il senso di una miccia che potrebbe esplodere da un momento all’altro.
Nel partito, ancora prima che in Parlamento.
Paola Di Caro
(da “il Corriere della Sera“)
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Luglio 8th, 2014 Riccardo Fucile
I SENATORI DISSIDENTI SALGONO A 27 SU 59
La fronda dei parlamentari azzurri nei confronti riforma del Senato è una puntura di spillo per un
Silvio Berlusconi che ha già un diavolo per capello.
Quello che preoccupa di più l’ex Cavaliere in queste ore, infatti, sono, come al solito, i processi.
Quello di Piersilvio su Mediatrade, la cui sentenza è prevista per oggi, e il secondo grado di Ruby in arrivo il 18 luglio.
Chi ci ha parlato racconta di un Berlusconi teso come una corda di violino.
Per questo motivo l’ex premier ascolta chi gli “resoconta” le fibrillazioni dei suoi a Palazzo Madama con fastidio.
Il leader di Forza Italia ha una sola necessità : quella di mostrarsi affidabile agli occhi di Renzi sul patto del Nazareno.
Ovvero il tubicino di ossigeno che gli consente di restare politicamente in vita. Specialmente se, come si suppone, arriverà una condanna all’appello per Ruby.
Un patto, quello col premier, da cui l’ex Cav si aspetta diverse contropartite: una riforma della giustizia non ostile e, magari, un accordo sul nome del futuro Presidente della Repubblica.
Perchè, se Giorgio Napolitano non concederà mai la grazia a Berlusconi, il prossimo capo dello Stato chissà …
Ecco perchè il leader azzurro si irrita appena sente la parola “frondista”.
Al momento a Palazzo Madama i ribelli sono tra 26 e 30. Meno dei 37 che firmarono il documento di Augusto Minzolini, ma comunque tanti.
Quasi la metà del gruppo, che ne conta 59. A guidare la pattuglia è l’ex direttore del Tg1. “Renzi sembra Breznev e Napolitano tace”, ha detto ieri il senatore ribelle.
Il capo dello Stato deve averlo ascoltato, vista la nota diffusa in serata, anche se le sue parole vanno in senso contrario a quello sperato da Minzolini.
Resta da vedere, però, quanti frondisti avranno poi il coraggio di votare contro in Aula.
“Alla fine a dire no saranno 4 o 5”, raccontano dal gruppo forzista a Palazzo Madama. “Altrimenti si tratterebbe di una spaccatura al pari di quella di Alfano. Per loro significherebbe mettersi fuori dal partito”.
Nel frattempo per il Senato spunta anche il “lodo Brunetta”, scritto dal costituzionalista Giovanni Guzzetta: a Palazzo Madama potrebbero entrare i consiglieri regionali che hanno raggiunto il maggior numero di preferenze.
La proposta, però, è già stata bocciata dalla coppia Renzi-Boschi: non si può fare perchè non si può mettere la parola preferenze in Costituzione.
I tempi della riforma, intanto, si allungano: mercoledì il testo sarà licenziato dalla commissione e poi verrà incardinato in Aula.
Paolo Romani, quindi, avrà più tempo per far rientrare la fronda. “Certo, se non ci riesce, il suo posto da capogruppo traballa”, si sussurra a Palazzo Madama.
L’asticella sotto cui Renzi e Berlusconi non possono scendere è quella dei due terzi. Ovvero 214 senatori su 320.
Questo è il margine di tenuta del patto del Nazareno.
Gianluca Roselli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 8th, 2014 Riccardo Fucile
UOMINI D’ALTRI TEMPI
C’è un video rubato all’intimità di una coppia che sta spopolando sul web, con oltre mezzo milione di contatti durante l’ultimo fine settimana.
Loro sono taiwanesi dai nomi occidentali: Anita e Alston.
Anita è graziosa, ancorchè molto timida e spaventata.
Guarda Alston come se fosse la sua ultima speranza di salvezza su questa terra.
Esiste evento più straordinario di una femmina che si abbandona con fiducia a un maschio?
Sì: un maschio che non tradisce la sua fiducia. E questo maschio è Alston.
Scruta la compagna negli occhi e con tono serio ma dolce le sussurra: «Non hai niente di cui preoccuparti. Ti proteggerò io».
Ti proteggerò io. Ho ricontrollato il video perchè volevo essere sicuro che non si trattasse di una voce fuori campo aggiunta a bella posta per risollevare le sorti claudicanti della reputazione maschile.
Invece Alston l’ha detto davvero: e non lo si capisce tanto dalla sovrascritta in inglese («I’ll protect you») ma dalla faccia di lei.
Improvvisamente spianata, ripulita da tutte le paure.
Anita si fa addirittura baldanzosa e chiede ad Alston di abbracciarla, ma lui è un gentleman d’altri tempi e non intende approfittare dello smarrimento momentaneo della sua dama.
Sorride e ricusa l’invito con una battuta, premurandosi però di ribadire la sua vicinanza: «Ti ho detto di non preoccuparti. Ti proteggerò io».
Fa bene al cuore scoprire che esistono ancora dei maschi così.
Ma prima che le lettrici si facciano soverchie illusioni, credo sia necessario precisare che Alston ha quattro anni e Anita è la sua compagna di banco all’asilo, agitata per l’assenza della mamma.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Luglio 8th, 2014 Riccardo Fucile
COME IL TANDEM DEI “TRATTATIVISTI” OTTIENE IL CAMBIO DI ROTTA
L’inimmaginabile si consuma tra le tende di broccato e le tele antiche dello studio di Luigi Di Maio. 
In un pomeriggio rivoluzionario, il Movimento cinque stelle pronuncia “dieci sì” al Pd sulla riforma elettorale, mentre il vicepresidente della Camera assume fragorosamente il comando dei pentastellati.
In poche ore, al culmine di un confuso ping pong di accelerazioni e frenate, Gianroberto Casaleggio impone la linea del confronto, piegando Beppe Grillo e mortificando la sua furia telefonica.
L’epicentro del caos è il quartier generale di Di Maio.
È ancora mattino quando il Pd annulla con una nota del capogruppo l’atteso streaming sulle riforme. Serve una risposta scritta, segnalano i democratici. Lo staff comunicazione del Movimento entra in fibrillazione, si decide di convocare al volo una conferenza stampa.
Senza Grillo, che pure qualcuno nel Movimento segnala in arrivo a Roma. «Nessuna spaccatura», ordina il guru.
Di fronte ai giornalisti, Di Maio si dice «esterrefatto» dal Pd e giura che d’ora in avanti parlerà solo con Renzi.
Non ribalta il tavolo, però, perchè questa è la linea del cerchio magico: «Non vogliamo farlo saltare», giura il “reggente”. Come gesto di buona volontà , anzi, i grillini compiono una mossa che complica lo schema del Pd: elencano i dieci sì al confronto, ipotizzano una legge elettorale con il ballottaggio che assegna alla lista vincente il 52% dei seggi.
Per il primo turno suggeriscono proporzionale puro e preferenze.
Pochi minuti e il vicesegretario Lorenzo Guerini lascia intravedere un spiraglio per riaprire la trattativa. È in quel preciso istante che, come un fulmine, si scarica l’ira di Grillo.
Improvvisa, spazza via ogni velleità di dialogo: «Un confronto democratico e trasparente è oggi impossibile ».
Peggio, i grillini «non possono essere trattati come dei paria da sbruffoni della democrazia. Abbraccio i ragazzi che si sono fatti prendere in giro da questi falsi e ipocriti che parlano di 10 punti, del documento… Da consegnare a casa di chi?». L’ultimo ragionamento è un grido di battaglia: «Non concediamo più un millimetro. Basta, adesso opposizione vera e dura. Stiamo scivolando lentamente verso una dittatura a norma di legge».
La base, in rivolta fin dal mattino sul blog e infuriata con i dem, esulta.
Come i falchi: «Abbiamo avuto fin troppa pazienza – dice del Pd Andrea Colletti – noi possiamo stare al tavolo fino a un certo limite, che è stato però valicato».
Tutto finito? Neanche per idea.
Il Movimento vive ore drammatiche, Di Maio chiama a raccolta alcuni fedelissimi come Danilo Toninelli, Ilaria Loquenzi e Silvia Virgulti. Rocco Casalino chiude a chiave la porta. La tensione è altissima, il telefono bollente.
Il vicepresidente, maniche di camicia arrotolate, concorda con il guru la correzione di rotta del comico genovese. Sentono anche Beppe.
Poco dopo sul blog – scopre l’Espresso – scompare per un po’ la parte più dura dello stenografico del leader.
E si assiste a una retromarcia bruschissima: «Il M5S ha il dovere di migliorare la legge elettorale e ci proverà fino in fondo. Tra il mio intervento e la conferenza stampa di Di Maio non vi sono contraddizioni».
Ci sono, invece. Ed esplodono a sera, quando dopo un lavoro certosino affidato ad Aldo Giannuli, arrivano le dieci risposte a Renzi: «Così il Pd non avrà più alibi». Preventiva, arriva pure la precisazione: «Non c’è contraddizione fra il gruppo e Grillo».
La fotografia della rivoluzione consumata tra i pentastellati non sfugge però a nessuno: «Per me Luigi ha segnato un punto – sostiene l’avversario-amico Roberto Giachetti – costringendo Grillo a fare marcia indietro».
La pattuglia parlamentare assiste allibita, disorientata. Tacciono i legionari della prima ora. Ma mugugnano, soprattutto quando a sera scoprono che Di Maio è ospite di Mentana in Tv.
Eppure Beppe aveva ”scomunicato” il piccolo schermo solo pochi giorni prima.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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Luglio 8th, 2014 Riccardo Fucile
LA “STRATEGIA DEL CUNEO” E’ UN GIOCO D’AZZARDO
Lo scarto di Beppe Grillo contro il Pd per l’annullamento dell’incontro di ieri non deve sorprendere.
Dimostra che il Movimento 5 Stelle non è passato «dalla protesta alla proposta», come suggeriva il suo capo nei giorni scorsi.
Persegue piuttosto il suo progetto di destabilizzazione con altri mezzi, in apparenza più suadenti e disponibili. Ma proprio per questo non bisogna meravigliarsi nemmeno se nei prossimi giorni Grillo tornerà alla carica con una miscela di insulti e di aperture.
Sta tentando una «strategia del cuneo» per inserirsi in tutte le possibili crepe dell’asse istituzionale tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi.
Non è riuscito a farlo saltare col muro contro muro, e prova con un altro metodo.
Per questo, dopo avere tuonato contro gli «sbruffoni della democrazia» ed evocato una «dittatura a norma di legge» instaurata dal premier, Grillo si è affrettato a dire che il dialogo rimane aperto; e a negare contraddizioni col vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, più possibilista.
La verità è che la richiesta di proposte scritte arrivata da Renzi ha spiazzato un M5S che già si preparava a offrire una riforma elettorale «in cento giorni»: quasi una competizione sulla velocità col presidente del Consiglio.
L’altolà di Palazzo Chigi, invece, ha fatto riemergere le pulsioni di Grillo. Ma si sono rivelate un boomerang. Scoprono infatti il nervosismo di un capo che sa quanto il suo movimento sia percorso da malumori sia sui suoi metodi, sia sulla politica verso il governo; e che dopo le europee vuole smentire l’immagine di un voto al M5S inutile, perchè si autoesclude da ogni gioco.
Per questo, seppure strumentale e tardiva, la «strategia del cuneo» è destinata a durare; e lo schiaffo ricevuto dal Pd tende a essere ridimensionato.
La preoccupazione di Grillo è di «esserci»: soprattutto se la legislatura durerà . «Le porte per una discussione sulla legge elettorale per il M5S sono sempre aperte, nè mai le ha chiuse nonostante continue provocazioni», ha dichiarato dopo parole di guerra totale.
Al punto che Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd, ha rimarcato lo «stato confusionale» del M5S.
Grillo ritenterà l’aggancio, ma dopo quanto è accaduto, la manovra risulta meno credibile.
Lo stesso capo dello Stato, Giorgio Napolitano, invita a non perdersi in mediazioni inconcludenti. D’altronde, in apparenza Grillo si offre come sponda a Renzi e Berlusconi.
In realtà , i suoi veri interlocutori sono gli avversari del premier e di Berlusconi.
Vengono offerti un’alleanza voti di ricambio a quanti vogliono affossare il patto Renzi-Berlusconi ma temono di ritrovarsi isolati. Non solo.
La proposta di Grillo va letta anche nella prospettiva delle votazioni per il Quirinale, se e quando ci saranno: prevedibilmente il prossimo anno.
Anche lì, il tentativo è di incunearsi in qualsiasi accordo abbozzato dalla maggioranza delle riforme istituzionali; e sparigliare, offrendo le sue truppe parlamentari per candidature alternative.
Ma è un gioco d’azzardo, che sopravvaluta la compattezza del M5S.
Alla fine, Grillo potrebbe rendersi conto che il suo cuneo non ha funzionato; e, partito per spaccare, ritrovarsi spaccato.
Massimo Franco
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 8th, 2014 Riccardo Fucile
L’ALTALENA E’ UN GIOCO INFANTILE: PRIMA O POI BISOGNA SCENDERE E CRESCERE
Ci ha pensato la voce barbuta di Beppe Grillo a suggellare i negoziati con Matteo Renzi e il Partito
democratico sulla riforma della legge elettorale.
Quelli che, fino a ieri, erano interlocutori affidabili («Noi parliamo solo con Renzi») sono diventati, di colpo, avversari biechi e autoritari («Renzi è un ebetino, anzi un ebetone», «criminalità organizzata di stampo democratico», «una dittatura a norma di legge», «sbruffoni della democrazia», «vigliacchi, ipocriti e falsi»: il tutto in 1 minuto e 18 secondi).
Finale melodrammatico, ma istruttivo.
Il Movimento 5 Stelle, per adesso, funziona così. Alterna toni concilianti e insulti, proposte ragionevoli e accuse scomposte. Il pretesto di quest’ultimo scontro non è importante. Se basta un disaccordo sulle preferenze o una lettera non spedita per scatenare tanta furia, non si va lontano. Serve poco che Luigi Di Maio, poi, tenti di incollare i cocci: «Beppe ha il diritto di arrabbiarsi. Ma la proposta di dialogo è sempre aperta».
Certi toni, per quanto sgradevoli, possono servire finchè si tratta di intercettare il malumore (in Italia ce n’è tanto, e giustificato).
Ma non aiutano a costruire un’opposizione, quindi un’alternativa, di cui c’è bisogno. Lo dimostra il voto di maggio.
Il 41% raccolto dal Pd – nessuno dei 186 partiti in lizza alle Europee ha fatto meglio, ricorda il Financial Times – è certo un’apertura di credito verso il governo e una prova di fiducia verso Renzi. Ma è anche una prova di sfiducia verso i suoi avversari, nessuno escluso.
Beppe Grillo, finalmente uscito dalla fase catatonica post elettorale, deve rendersene conto, e informare il suo stato maggiore.
Chi, ogni tanto, sa stupire, affascina; chi stupisce ogni giorno irrita e stanca. L’elenco delle capriole pentastellate è lungo, e non riguarda solo i rapporti con il Pd, partiti male fin dall’arrogante streaming con uno stremato Bersani.
Ci limitiamo alle più spettacolari.
Il 10 luglio 2013 Grillo (accompagnato da Casaleggio e dai capigruppo alla Camera e al Senato) incontrava Giorgio Napolitano al Quirinale.
Uscendo parlava di un «incontro molto piacevole», in cui «la situazione è stata condivisa dal presidente».
Il 30 gennaio 2014 il M5S chiedeva l’impeachment del capo dello Stato per il reato di attentato alla Costituzione. Lo scorso 4 luglio Debora Billi, responsabile web (!) dei Cinquestelle a Montecitorio, twittava: «Se ne è andato Giorgio. Quello sbagliato. #faletti». Poi si scusava su Facebook.
Il 13 maggio Beppe Grillo tuonava contro Expo: «Va fermata, è un’associazione a delinquere!». Ieri, 7 luglio, il gruppo lombardo del M5S ha incontrato il commissario di Expo, Giuseppe Sala, «per avere aggiornamenti dal diretto responsabile in merito allo stato attuale di avanzamento dei lavori, del numero di occupati e della contrattualistica dei volontari».
Potremmo continuare, ma è chiaro. Quello di Grillo è un movimento in altalena: spinte eccessive e frenate improvvise spaventano gli attivisti (di qui le scomuniche e le espulsioni), confondono i simpatizzanti, esasperano gli avversari politici.
Ma l’altalena, per quanto eccitante, resta un gioco infantile.
Prima o poi bisogna scendere, e crescere.
Beppe Severgnini
(da “il Corriere della Sera“)
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Luglio 8th, 2014 Riccardo Fucile
L’OPINIONE DI SALVATORE CASTELLO, PRESIDENTE DI “RIGHT BLU”, SULLA GESTIONE DEL BENE ACQUA
Ci sono argomenti che s’appalesano oggettivamente “divisivi” e che suscitano sempre grandi discussioni.
Normalmente, quando li si affronta, ci si attesta sulle pseudo-posizioni di “nicchia”, pronti a battagliare anche con la mera demagogia — anzi, soprattutto con quella – pur di difendere la “categoria di appartenenza o di rappresentanza” ovvero, ancora, l’elettorato di riferimento perchè, alla fin fine, ciò a cui sterilmente si tende è la conservazione delle rendite di posizione o dello pseudo-consenso a “basso costo”.
Ma le innovazioni e le “rivoluzioni culturali” richiedono audacia, coraggio ed una pregnante
capacità di saper andare al di là dello sterile immobilismo, perchè il fine ultimo è il bene collettivo, non certo quello dei gruppi dirigenti.
E allora giusto parlarne, giusto rifletterci, etico e “saggio” ragionarci…
Uno di questi temi “sensibili” è sicuramente quello “dell’acqua”, anzi, per meglio dire, della gestione della rete idrica
Tutte le volte che anche solo si “lambisce” l’argomento, da un lato assistiamo al solito qualunquismo di sinistra (“l’acqua è un bene di tutti non si può privatizzare!”), dall’altro all’immobilismo concettuale di un certo centrodestra (“no, per carità : altri appalti selvaggi? E poi c’è la Mafia, la corruzione. E poi c’è lo Stato ladrone. No, non si può fare”).
Sinceramente trovo quelle censure sempre sterili e prive di sostanza
La privatizzazione in parola, infatti, non lambirebbe nemmeno minimamente il concetto di base
(l’acqua è un “bene pubblico” e tale resterebbe), ma riguarderebbe esclusivamente “il sistema di fornitura idrica”, dagli impianti alla stessa gestione operativa.
Anzi, proprio perchè pubblico, proprio perchè bene essenziale per la vita e l’esistenza di tutti, oltre che per la stessa produzione nazionale, il “bene acqua” dovrebbe ricevere adeguata tutela e adeguata gestione, e solo una sana politica gestionale affidata “all’esterno”, con la supervisione dello Stato, potrebbe seriamente assicurarla.
Oggettivamente lo Stato, come le amministrazioni locali, versano in una condizione di palmare incapacità nel far fronte alle spese di gestione e di manutenzione del sistema idrico e molti impianti sono vecchi, abbandonati a loro stessi ed anche a rischio di non conformità ai parametri e requisiti frattanto esplicitati a livello Europeo in materia di sicurezza e prevenzione per la salute dei consumatori.
Il loro rifacimento sarebbe oltremodo costoso e difficoltoso, soprattutto da parte di uno Stato Apparato fatto di reiterati e continuati sprechi. Dalla Scuola alla Sanità , ad esempio, si assiste ad un degrado sempre più crescente: scarso investimento in termini di ammodernamento strutturale; scarsa capacità nell’implementazione di programmi gestionali nel tempo; incapacità di saper disegnare un domani di effettiva efficacia, efficienza e grandezza. Ma, soprattutto, carenza di qualità proprio nel merito…
Ma ritornando al tema, la privatizzazione e la liberalizzazione della gestione delle reti idriche, con la previsione/istituzione di un organo di supervisione dello Stato: 1) realizzerebbe una evidente riduzione della spesa pubblica; 2) determinerebbe una sana competizione di mercato assicurando, come successo per la telefonia, ad esempio, una riduzione dei prezzi ed una più efficace ed efficiente opera di manutenzione da parte dell’affidatario/concessionario; 3) accrescerebbe la qualità del bene-acqua stesso, con l’innegabile e primaria tutela diretta per la salute della gente.
Nel sistema competitivo, con tanto di privatizzazioni e liberalizzazioni, o sei bravo o “vai a casa”, c’e’ poco da discutere, perche’ alla fine l’utente sceglie il fornitore migliore, mentre “oggi”…
E a poco rileverebbe, sinceramente, la censura dei perigli connessi alla possibilità della mala gestio degli iter procedurali di affidamento/assegnazione, della corruzione e della possibile collusione in sede di espletamento delle gare d’appalto: “se si vuole, si può”, ed il sistema per evitare certi pericoli si trova, anche riscrivendo le regole relative alla titolarità ed all’espletamento delle relative gare d’appalto: conferire quei poteri ai Prefetti, ad esempio, con tutto il sistema di prevenzione che è proprio dello Stato, sarebbe una possibile soluzione, e solo una delle tante possibili.
La storia del nostro Paese ritroverà una prospettiva solo se saprà darsi contenuti nuovi ed una sincera audacia.
Quello che davvero è necessario è un’autentica rivoluzione liberale e legalitaria, sia dal punto di vista culturale che da quello squisitamente operativo; una riforma del sistema che ponga fine a tutte quelle caste e “castette” ed a tutte quelle lobby e “lobbette” che non hanno fatto altro che creare reti clientelari ed affaristiche: in tal modo si eliderebbero anche tutte le storture di quelle poche privatizzazioni “all’italiana” che siamo stati costretti fino ad oggi a vivere e subire.
Oggi più che mai si dovrebbero ritrovare quei valori che sono la conditio sine qua non di qualsivoglia: l’onestà , il senso del dovere, il rispetto per gli altri, l’etica, il senso di appartenenza, il senso dello Stato e quello delle Istituzioni.
La crisi del nostro Paese è figlia proprio della nostra crisi come popolo: la Politica ed i Politici sono solo un riflesso.
E allora che si vada “al dunque”, si innovi il sistema e si ritrovino le qualità perdute. L’ha fatto l’Inghilterra con la Thatcher, non vedo proprio perchè non dovremmo riuscirci noi…
Salvatore Castello
Presidente/ Speaker di
Right Blu – La Destra Liberale
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