Dicembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
MAFIA E APPALTI: CHI E’ MASSIMO CARMINATI, L’ULTIMO RE DI ROMA, L’EX NAR E BANDA DELLA MAGLIANA
Al centro delle indagini dei Ros a Roma per “associazione di stampo mafioso”, con 37 arresti e sequestri di beni per 200 milioni, c’è un sodalizio da anni radicato nella Capitale facente capo a Massimo Carminati, con infiltrazioni “diffuse” nel tessuto imprenditoriale politico e istituzionale.
Tra gli indagati, oltre a Gianni Alemanno, ci sono anche consiglieri regionali e comunali dell’attuale amministrazione e di quella presieduta dall’allora sindaco di centrodestra.
Tra loro Luca Gramazio, consigliere Fi-Pdl in Regione Lazio, Eugenio Patanè, consigliere regionale Pd e Mirko Coratti, presidente dell’assemblea capitolina. Tra i soggetti raggiunti da provvedimenti di custodia cautelare anche dirigenti delle società municipalizzate.
Ma chi è Carminati, il regista di questa vicenda?
Nato a Milano 55 anni fa, ma romano d’adozione, fin da giovane è vicino agli ambienti neofascisti fino a prendere parte ai Nar.
L’uomo ha ispirato anche la penna dello scrittore Giancarlo De Cataldo, che nel celebre “Romanzo Criminale” lo presenta come il “Nero”. E nel film diretto da Michele Placido avrà il volto dell’attore Riccardo Scamarcio.
Una ricostruzione puntuale ed esaustiva sulla biografia criminale e sulle gesta di Carminati la troviamo in un’inchiesta del giornalista Lirio Abbate pubblicato sull’Espresso.
Non ama guidare e preferisce spostarsi a piedi o cavalcando uno scooter. Nessun lusso negli abiti, modi controllati e cortesi: in una città dove tutti parlano troppo, lui pesa le parole ed evita i telefonini.
Sembra un piccolo borghese, perso tra la folla della metropoli, ma ogni volta che qualcuno lo incontra si capisce subito dalla deferenza e dal rispetto che gli tributano che è una persona di riguardo.
Riconoscerlo è facile: l’occhio sinistro riporta i segni di un’antica ferita. Il colpo di pistola esploso a distanza ravvicinata da un carabiniere nel 1981: è sopravvissuto anche alla pallottola alla testa, conquistando la fama di immortale.
Anche per questo tutti hanno paura di lui. Ed è grazie a questo terrore che oggi Massimo Carminati è considerato l’ultimo re di Roma.
Carminati viene descritto come il dominus della zona più redditizia, il centro e i quartieri bene della Roma Nord.
Dicono che la sua forza starebbe soprattutto nella capacità di risolvere problemi: si rivolgono a lui imprenditori e commercianti in cerca di protezione, che devono recuperare crediti o che hanno bisogno di trovare denaro cash.
Non ha amici, solo camerati. E chi trent’anni fa ha condiviso la militanza nell’estremismo neofascista sa di non potergli dire di no.
Per questo la sua influenza si è moltiplicata dopo l’arrivo al Campidoglio di Gianni Alemanno, che ha insediato nelle municipalizzate come manager o consulenti molti ex di quella stagione di piombo. Le sue relazioni possono arrivare ovunque.
A Gennaro Mokbel, che gestiva i fondi neri per colossi come Telecom e Fastweb.
E a Lorenzo Cola, il superconsulente di Finmeccanica che ha trattato accordi da miliardi di euro ed era in contatto con agenti segreti di tutti i continenti: un’altra figura che continua a muoversi liberamente tra Milano e la capitale nonostante sentenze e arresti
La sua biografia è leggendaria, tanto da aver ispirato “Il Nero”, uno dei protagonisti di “Romanzo criminale” interpretato sullo schermo da Riccardo Scamarcio.
È stato un terrorista dei Nar, un killer al servizio della Banda della Magliana, l’hanno accusato per il delitto Pecorelli e per le trame degli 007 deviati, l’hanno arrestato per decine di rapine e omicidi.
Come disse Valerio Fioravanti, «è uno che non voleva porsi limiti nella sua vita spericolata, pronto a sequestrare, uccidere, rapinare, partecipare a giri di droga, scommesse, usura».
Sempre a un passo dall’ergastolo, invece è quasi sempre uscito dalle inchieste con l’assoluzione o con pene minori: adesso a 54 anni non ha conti in sospeso con la giustizia.
Ma il suo potere è ancora più forte che in passato. Il nome del “Cecato” viene sussurrato con paura in tutta l’area all’interno del grande raccordo anulare, dove lui continua a essere ritenuto arbitro di vita e morte, di traffici sulla strada e accordi negli attici dei Parioli.
L’unica autorità in grado di guardare dall’alto quello che accade nella capitale.
(da “Huffingonpost”)
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Dicembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
RENZI TEME AGGUATI IN SENATO E IN COMMISSIONE ALLA CAMERA E CHIEDE IL VOTO SULLE RIFORME IN DIREZIONE… LA MINORANZA NON PARTECIPA
“Chiedo un voto sulla convinzione di proseguire il disegno delle riforme per capire se la
direzione del Pd è convinta che le riforme vadano accelerate e non rallentate”.
Il vero motivo della convocazione della direzione del Pd arriva a metà dell’intervento di Matteo Renzi.
Doveva essere una riunione per discutere il risultato delle regionali, per fare un’analisi dell’astensionismo. E invece no, il segretario-premier coglie l’occasione per provare a blindarsi un’altra volta. Il voto sull’Italicum in Senato arriverà a metà gennaio.
Quadro politico franato, Forza Italia dissolta, minoranza Pd sul piede di guerra.
E pure Anna Finocchiaro che si gioca la sua battaglia per il Colle.
“L’Italicum 2.0, come uscito dal vertice di maggioranza e da Forza Italia non si tocca”, dice Renzi un attimo prima del voto, rintervenendo dopo Alfredo D’Attorre, che paventa un voto negativo. Ma poi c’è la Camera.
Dove prima, il 16 dicembre, arrivano in Aula le riforme costituzionali. E poi, torna la legge elettorale.
In una situazione non esattamente semplice: in Commissione Affari Costituzionali, ci sono tutti i big della minoranza, da Bersani, a Cuperlo, passando per la Bindi e D’Attorre. Gli unici renziani sono Matteo Richetti (su posizioni ormai sempre più critiche rispetto al governo) e Luigi Famiglietti.
Oggi a Montecitorio ci sarà un’Assemblea del gruppo, proprio in attesa del passaggio sul Senato: il comitato ristretto, che ha lavorato nelle ultime settimane con il ministro Boschi, alla fine più che conclusioni ha evidenziato differenze di posizioni.
Non sarà facile. E Renzi lo sa.
Per questo ha chiamato a raccolta il partito, citando Marx e scagliandosi contro la destra populista.
A questo punto c’è lui, affidabile, contro Salvini, eversivo.
Per questo si è attribuito il merito del crollo elettorale dei Cinque Stelle.
Il parlamentino del Pd ieri ha detto sì al suo odg con 2 soli no. Ma la minoranza non ha partecipato al voto.
E dunque, basterà ? Ieri il Corriere della Sera dava il buongiorno al premier con un titolo d’apertura piuttosto forte: “La fiducia in Renzi cala sotto il 50%”.
Lui taglia a zero, quasi per esorcizzarli: “Non mi preoccupano i sondaggi. Quelli del Pd vanno bene”.
La discussione in direzione è stata vivace. Proprio a partire dal dato delle elezioni regionali. Renzi è passato da definirlo “secondario” a “preoccupante”.
Ma, soprattutto sull’Emilia, è sembrato giocare in difesa: “Respingo la tesi che l’astensionismo in Emilia Romagna derivi da una disaffezione nei confronti del Jobs Act. Credo che in Emilia Romagna si sia prima di tutto vinto”.
In realtà la critica più forte a come sono andate le elezioni arriva dal presidente del partito, Matteo Orfini: “Se vogliamo fare una discussione approfondita sul voto in Emilia Romagna, dobbiamo evitare due errori: riversare su quel voto il nostro dibattito nazionale; e rivendicare con orgoglio un modello, che qualche problema evidentemente ce lo aveva”.
Ma va oltre: “Serve un partito diverso da quello che abbiamo sui territori. Dobbiamo costruire meglio la nostra classe dirigente”.
L’aveva accennato pure Davide Zoggia: “Non si capisce bene se i vertici locali le primarie le vogliono o no”.
Il problema si fa sempre più evidente: quelle dell’Emilia Romagna (con un meno 85%) sono ormai storia. In Veneto a votare sono andati in 30mila: per le primarie di Renzi contro Bersani furono 170mila.
In Puglia è andata meglio: 100mila. Ma poi il punto non è solo l’affluenza: ma che le primarie vanno a ratificare decisioni di fatto prese a livello nazionale.
Emblematico il caso della Campania: consultazioni rimandate all’11 gennaio. Per ora ci sono in corsa Vincenzo De Luca, Andrea Cozzolino e Angelica Saggese.
Nomi su cui i mugugni sono tali che è dovuto andare sabato il vice segretario Lorenzo Guerini a cercare di metterci una pezza.
Si cerca una figura che convinca tutti per evitarle.
Come in Toscana si confermerà Enrico Rossi. “Ho smesso di fare il racconto agli italiani. Io per primo ho smesso di parlare all’Italia e agli italiani. E ho parlato di più con le forze politiche”, ha ammesso ieri Renzi.
Ma non è solo questione di racconto.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
IL GOVERNO PARLA DI NAZIONALIZZAZIONE, MA IL PROGETTO POTREBBE RIGUARDARE SOLTANTO LA PARTE DECOTTA DELL’AZIENDA MENTRE QUELLA BUONA RESTA AI PRIVATI
Chi pensa che la proposta di Matteo Renzi di nazionalizzare l’Ilva sia una prova delle sue già ricordate somiglianze con Amintore Fanfani, vecchio dirigente dc, si sbaglia.
Il “cavallo di razza” della Dc, colui che la ministra Maria Elena Boschi dice di preferire a Enrico Berlinguer, caratterizzò il proprio governo, nel 1961, quando si facevano le prove generali di centrosinistra, con la nazionalizzazione dell’energia elettrica.
Quella di Renzi, invece, rischia di nascondere il trucco.
Quello di un nuovo “spezzatino” modello Alitalia, con la creazione di una “bad company”, come la chiama l’ecologista Angelo Bonelli, che mette i debiti e i guai sotto il tappeto lasciando il futuro a una nuova società fresca di capitali.
L’ipotesi è in discussione da tempo, nel quadro delle soluzioni per affrontare il problema di Taranto dove la situazione continua a essere esplosiva.
L’azienda è commissariata e, producendo in regime ridotto, accumula perdite quotidiane, finora ripianate grazie all’intervento delle banche.
Inoltre, deve giostrarsi con le direttive dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), i cui costi sono stati stimati in 1,8 miliardi di euro.
Soldi che non ha nessuno e che nessun imprenditore ha intenzione di investire.
Se, al momento, gli stipendi e le tredicesime di dicembre sono assicurate, la situazione per gli 11 mila dipendenti, e i circa 20 mila dell’indotto, resta a forte rischio.
Da qui, il timore di Renzi di trovarsi in una nuova bufera, e la voglia di intervenire.
Come farlo, lo ha spiegato lui stesso in una intervista a Repubblica domenica scorsa: “Intervento con un soggetto pubblico per rimettere in sesto il sito e poi, dopo due-tre anni, rilanciarlo sul mercato. Se devo far saltare Taranto” ha spiegato il premier, “preferisco intervenire direttamente”.
Da qui, l’idea della “nazionalizzazione”. Che però non avverrebbe semplicemente tramite acquisizione dello Stato.
La Fim-Cisl, sindacato non certo ostile al governo, sul punto ha deciso di lanciare un allarme: “Non vorremmo che fosse l’ennesima bad company che serve a far pagare i contribuenti e a deresponsabilizzare il capitalismo italiano”, spiega al Fatto, il segretario dei metalmeccanici cislini, Marco Bentivogli.
La preoccupazione ha un fondamento perchè nei pour parler che il commissario Piero Gnudi sta tenendo con la ministra dello Sviluppo economico, Federica Guidi, l’ipotesi di un nuovo commissariamento dell’azienda, stavolta tramite la legge Marzano, è sul tavolo.
La procedura, istituita dopo il crac Parmalat, è aperta da un provvedimento governativo che affida a un commissario straordinario, un programma di ristrutturazione.
Tale programma può prevedere la soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi forma tecnica o giuridica, quindi con un’ampia flessibilità .
Da qui i timori della Fim-Cisl: “Il rischio concreto — continua Bentivogli — è quello di immettere nella società commissariata tutti i debiti per poi trasferire le attività pulite a una nuova società con il sostegno della Cassa Depositi e Prestiti”.
Qui si colloca il secondo protagonista dell’operazione, Cdp, che ormai non nasconde la volontà di trasformarsi , un po’ alla volta, in una nuova Iri.
Forte dell’ascendente che il suo presidente, Franco Bassanini, ha sull’entourage renziano e forte di una liquidità che, sia pure vincolata alla salute delle imprese, è stata chiamata in causa in molte operazioni finanziarie.
L’ipotesi è apprezzata da molti ambienti politici, industriali e sindacati.
Ieri, l’ad della Cassa, Giovanni Gorno Tempini ha detto di voler fare commenti solo “nel momento in cui ci sono delle ipotesi per noi piu lavorabili”.
Corrado Carrubba, ambientalista e sub-commissario dell’Ilva, giudica positivamente la “nazionalizzazione”: “È una scelta che va nella giusta direzione; l’importante è che non ci siano marce indietro rispetto all’ambientalizzazione dell’Ilva che, se effettuata, ne farebbe un impianto molto competitivo in Europa”.
Tutto dipende da come si realizzerà questo intervento pubblico.
Una bad company, ad esempio, potrebbe essere realizzata semplicemente affidando alla “vecchia” società tutti i contenziosi legali — quello del comune di Taranto ammonta a circa 5 miliardi — oppure affidandole anche il piano di risanamento ambientale. Cosa che, oltre a “nascondere sotto il tappetotutti i dolori di Taranto”, come dice Bonelli, farebbe felici quegli industriali interessati alla formazione di una “newco”.
Tra i più quotati c’è il gruppo Arvedi che è già intervenuto a Trieste nella ex Lucchini.
L’offerta già avanzata dall’indiana Mittal insieme all’italiana Marcegaglia, non pare in grado di onorare tutti gli impegni.
Ora l’attesa è tutta rivolta al decreto del governo che sembrava pronto ieri sera ma che è stato rimandato.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
TONINO VINCE LE CAUSE CONTRO DUE SUPER MAGISTRATI CHE LO ACCUSAVANO
Il giudice Corrado Carnevale, ex presidente della Cassazione, e il suo collega della Corte
Costituzionale, Paolo Napolitano, hanno rincontrato Antonio Di Pietro.
In un’aula del tribunale di Roma. Ed entrambi sono stati condannati in primo grado: il primo per aver “dichiarato il falso” sostenendo di aver favorito l’ex pm agli esami di magistratura e il secondo a pagare le spese processuali perchè la richiesta di risarcimento danni per diffamazione presentata contro il fondatore dell’Italia dei Valori è stata rigettata.
I fatti relativi alla querela risalgono al giugno 2009.
Peter Gomez su L’Espresso racconta di una cena privata poco prima della discussione sulla costituzionalità del lodo Alfano, cui partecipano due giudici della Consulta, Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano, Silvio Berlusconi, il sottosegretario Gianni Letta, il guardasigilli Angelino Alfano, i presidenti delle commissioni Affari costituzionali della Camera Donato Bruno e del Senato, Carlo Vizzini.
I commensali parlano anche di una bozza di riforma costituzionale della giustizia, redatta da Mazzella.
L’allora leader dell’Idv commenta la notizia così: “Ci sono due giudici della Corte che fanno i ‘consigliori’ del principe e si mettono al suo servizio per dargli le migliori indicazioni per fare leggi che gli facciano mantenere l’impunità ”.
C’è, aggiunge, “una grave incompatibilità e un conflitto d’interessi. La Corte non si pronunci sul lodo Alfano fino a quando i due giudici non si saranno dimessi”. Intervento poi ampliato in uno scritto pubblicato il primo novembre 2009 sul blog di Di Pietro dal titolo “Facce toste”.
Napolitano querelò per diffamazione l’ex magistrato chiedendo, fra l’altro, un risarcimento danni per 500 mila euro.
Il 18 novembre scorso è stata depositata la decisione del giudice Daniela Bianchini che non ho solo ha escluso la diffamazione riconoscendo il diritto di critica e “l’assoluta inopportunità di quella partecipazione”, ma ha condannato Napolitano al pagamento in toto delle spese per otto mila euro.
A Carnevale è andata ancora peggio.
Oltre alle spese per la lite processuale è stato condannato a pagare 15 mila euro di danni a Di Pietro.
Il giudice è noto con il soprannome di “ammazza-sentenze” perchè, con la carica di presidente della prima sezione penale della Corte suprema di Cassazione, assunse di fatto il monopolio del giudizio di legittimità sulle sentenze di mafia cancellandone circa cinquecento per vizi di forma tra cui gli ergastoli per i fratelli Michele e Salvatore Greco, ritenuti i mandanti dell’omicidio del magistrato Rocco Chinnici, o le condanne a carico dei componenti della banda della Magliana, nonchè, tra gli altri, l’arresto di Giuseppe Greco figlio del boss Michele.
Nel luglio 2008 Carnevale inizia a rilasciare interviste in cui racconta di aver agevolato l’ex ministro alle Infrastrutturre (il governo Prodi era caduto da due mesi, nel maggio 2008) a entrare in magistratura.
Carnevale nel 1980 presiedeva la commissione di esame del concorso per uditore giudiziari cui partecipava anche Di Pietro.
“Mi pento di aver fatto diventare Di Pietro un magistrato, non mi sarei dovuto far intenerire”, disse Carnevale a un’agenzia di stampa.
L’intervista rimbalzò sui quotidiani sino ad entrare persino in un libro .
Nel gennaio 2010 ripete le stesse affermazioni, aggiungendo particolari: Di Pietro avrebbe beneficiato di “due aiutini. Io “rimasi toccato” dalla nota informativa nella quale si illustravano le umili origini del candidato, la sua permanenza in seminario, il credo religioso, il periodo di emigrazione in Germania.
Di Pietro querela. E i giudici scoprono che “le affermazioni di Carnevale sono risultate false”. Non solo, ma il fascicolo di cui fa menzione non esiste.
Quindi, ha concluso il giudice Monica Velletti, “accertata la falsità delle dichiarazioni rese dal Carnevale, deve essere evidenziato come le stesse siano lesive dell’onore e della reputazione” dell’ex ministro.
Che ora, lasciata la politica, incassa qualche rivincita e alcune migliaia di euro da investire in trattori.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
NEL MIRINO APPALTI DEL COMUNE, PERQUISIZIONI IN CORSO ANCHE IN REGIONE
Maxi operazione in corso a Roma per “associazione di stampo mafioso” con 37 arresti e sequestri di beni per 200 milioni.
Un “ramificato sistema corruttivo” in vista dell’assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici dal comune di Roma e dalle aziende municipalizzate e interessi nella gestione dei centri di accoglienza è quanto emerso dalle indagini del Ros che ha portato alle misure restrittive.
Gli indagati, 39 in tutto, sono accusati vanno dall’associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio e altri reati.
A capo dell’organizzazione mafiosa l’ex terrorista dei Nar, Massimo Carminati.
Carabinieri alla Pisana dove sono in corso, secondo quanto si apprende, perquisizioni negli uffici di alcuni consiglieri regionali. Altre operazioni sono in corso presso altre amministrazioni a Roma.
Fra gli indagati c’è l’ex sindaco della città Alemanno, la sua abitazione è stata perquisita. Tra gli arrestati anche l’ex ad dell’Ente Eur, Riccardo Mancini.
Alla Regione in particolare i militari stanno perquisendo gli uffici del consigliere regionale Pd Eugenio Patanè e di quello Pdl Luca Gramazio, e in Campidoglio negli uffici del presidente dell’Assemblea capitolina Mirko Coratti.
Lo staff di Mirko Coratti al momento si trova fuori dagli uffici.
E’ un’operazione senza precedenti quella che, in queste ore, sta mettendo a soqquadro Roma e il suo hinterland.
Coordinata da tre pubblici ministeri – Luca Tescaroli, Paolo Ielo e Giuseppe Cascini – sotto la supervisione del procuratore capo della procura di Roma Giuseppe Pignatone ha infatti smantellato un’organizzazione che racchiude almeno dieci anni di malavita. Personaggi che hanno solcato la scena della mala capitolina, come il nero Carminati ex della Banda della Magliana, ma anche politici e amministratori che hanno favorito e consentito a questo malaffare di radicarsi, di mettere le radici, di infilarsi coi suoi tentacoli ovunque.
Ribaltando di netto le regole del gioco. Un intreccio pazzesco, degno di un romanzo criminale, che però è pura realtà .
In questi lunghi mesi sono stati indagati in un centinaio, perquisiti e ascoltati a migliaia. Ricostruire la trama e gli intrecci che hanno reso possibile tutto questo malaffare è stata un’impresa titanica. Ma una volta capito il verso, criminali e amministratori sono crollati uno dopo l’altro come nel gioco del domino.
Protagonisti di uno sconfinato business che sembrava non dover mai avere una fine.
L’indagine ribattezzata “Terra di mezzo” nasce nel 2010 da un’intuizione investigativa del procuratore aggiunto, ora scomparso, Pietro Saviotti, che affidò al reparto criminalità del Ros, allora diretto dal colonnello Massimiliano Macilenti, l’inchiesta poi conclusa dal colonnello Russo.
La fine è arrivata. E nella giungla del malaffare sono finite ditte, attività commerciali, traffici illeciti che non si ricordavano più dai tempi dell’epopea della banda della Magliana.
Le perquisizioni scattate all’alba hanno riguardato boss della malavita, come esponenti di noti clan di Ostia, e politici di elevato spessore a Roma. Politici che hanno governato questa città e che di certo non potevano non sapere cosa succedeva sotto il loro naso.
No, non potevano.
Ed è per questo che il reato ipotizzato nei confronti degli arrestati è il 416 bis, l’associazione a delinquere di stampo mafioso.
Reato per cui sono già indagate 51 persone dei clan Fasciani e Triassi di Ostia, e che a dicembre si concluderà con la sentenza di primo grado.
Reato per cui a Roma, nessuno mai è stato condannato. Perchè, come in un refrain, per anni si è continuato a dire che la mafia a Roma non esiste.
Almeno fino a oggi.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
A DESTRA QUALCOSA SI MUOVE: IL DIRETTORE DI “DESTRA DI POPOLO” CHE AMA “RIPRENDERE” SPAZI LASCIATI ALLA SINISTRA E CHE SUL WEB PIACE AI ROTTAMATORI
E’ stato animatore di molteplici iniziative politiche, culturali e ambientaliste negli anni ’80/’90,
coscienza sociale della destra, intellettuale e militante “rautiano” con gran seguito giovanile, fino a diventare giovanissimo capogruppo del Msi in Provincia ai tempi di Almirante.
Intervistare un rappresentante storico della destra genovese è come ripercorrerne la storia controversa nella sua evoluzione politica fino ai giorni nostri.
Riccardo Fucile però è personaggio che sfugge ai classici schemi della politica: non è nostalgico, è anticonformista, è molto diretto e in sintonia coi tempi.
Otto anni fa ha avuto l’idea di creare il blog “destra di popolo” e lo ha portato a diventare uno dei siti di area di destra più seguiti a livello nazionale.
A che età ha cominciato a fare politica?
Avevo poco meno di 16 anni, la svolta avvenne il 18 aprile 1970, quando andai al comizio di Almirante in piazza Verdi. Fu il giorno in cui un gruppo di militanti di Lotta Continua attaccarono alle spalle il palco lanciando bottiglie di Coca Cola piene di sabbia. Una colpì a morte Ugo Venturini, un operaio di 32 anni che aveva solo il torto di essere missino. Fu il primo di una lunga serie in Italia, ma gli assassini non vennero mai arrestati.
Cosa provò la sua generazione allora?
Se vuole sapere se abbiamo mai perdonato le rispondo di no.
Cominciò a fare politica a scuola?
Sì, eravamo solo tre di destra, quelli di sinistra erano di più. Qualcuno di loro scelse in seguito una strada sbagliata: un paio finirono nelle Brigate Rosse, scontando anche diversi anni di carcere.
Fare politica a destra in una città come Genova non deve essere stato facile
Non avevamo tempo per pensarci, si faceva quello che dettava la coscienza e il cuore.
La sua militanza la portò nel tempo a diventare un punto di riferimento della componente di Pino Rauti, come mai scelse di schierarsi con lui e non con Almirante?
Rauti ha rappresentato l’anima sociale del Msi, il rinnovamento, l’attenzione ai tempi che mutavano, l’esigenza del confronto: in quell’area c’erano cervelli pensanti, non burocrati. Pino aveva un grande fascino, sapeva infiammare e al tempo stesso ragionare. E aveva una strategia di conquista della società civile attraverso una rete di strutture che approfondivano tematiche che la destra ufficiale era impreparata ad affrontare: dalla tutela ambientale alla musica alternativa, dai primi Campi Hobbit ai problemi femminili, dai cineforum ai centri librari. Era un laboratorio di idee a fronte di una destra ferma al passato.
Lei è stato uno dei più giovani consiglieri provinciali che abbiano varcato la soglia di palazzo Spinola: c’era ancora il vecchio Pci, immagino che non ebbe una gran bella accoglienza
Ricordo che alla prima seduta contestai l’eleggibilità di alcuni consiglieri per motivi formali, feci un casino tale che il giorno dopo tutti i giornali ne parlavano. Mi guardavano come un marziano, ma furono costretti sulla difensiva.
Qualche aneddoto?
In occasione delle prosecuzioni serali era prevista una frugale cena in una sala attigua. Mi avevano avvisato che era prassi che la tavolata più grande fosse riservata al gruppo più numeroso, quello del Pci. Il posto del missino era in un angolo decentrato. Feci in modo di arrivare prima e mi sedetti come se niente fosse al tavolone centrale: mano a mano che arrivavano quelli del Pci si interrogavano con lo sguardo, non sapevano che fare.
E come finì?
Che furono costretti a sedersi e cenare con il “fascista”, ma in fondo tra loro c’erano molte brave persone.
Lei è sempre stato molto stimato anche dagli avversari: come lo spiega?
Forse perchè sono una persona coerente, ragiono con il mio cervello e non con quello della segreteria del partito e non sono omologabile.
Mai avuto contrasti con la segreteria provinciale?
I contrasti politici sono naturali, non certo quelli personali. Ho sempre avuto attenzione alla tutela ambientale, una volta l’allora deputato mi convocò per chiedermi un atteggiamento diverso in consiglio provinciale. Gli risposi che non avrei mutato atteggiamento e lui non insistette oltre. C’era più libertà nel Msi che oggi ai tempi della democrazia diretta di Grillo….
Lei creò allora anche una associazione ecologica, organizzò il primo concerto genovese di musica di destra e poi anche un centro libraio: era una destra viva e presente?
Eravamo un gruppo umano molto coeso, quella che un tempo si chiamava “comunità “: da quella sede a livello stradale e sempre a rischio attentato è passata la gioventù di destra genovese e non solo. Molti hanno fatto anche carriera nella vita: una esperienza umana che lascia il segno e tanti bei ricordi.
E per la prima volta a Genova in sede istituzionale portò la cultura di destra…
Organizzammo diverse rassegne dell’editoria di destra nel palazzo della Provincia con centinaia di visitatori: dopo tanti anni di emarginazione il popolo di destra poteva esprimere l’orgoglio delle proprie radici culturali.
Lei ha sempre avuto un buon rapporto con la stampa: ci racconta la storia della vostra visita alla sede del Pci di Bolzaneto?
Accadde che per errore di una segretaria, la sezione del Pci mandò l’invito a un dibattito presso la loro sede anche alla federazione del Msi. Decidemmo di andarci con una piccola delegazione di quattro persone, allora ero consigliere provinciale. Avvisai il caporedattore del “Secolo XIX”: non era mai successo che un missino varcasse la porta di una sezione comunista. La scena fu esilarante: quando i responsabili se ne accorsero cercarono di spiegarci che l’invito era frutto di un equivoco, ma noi rispondemmo che eravamo disponibili a discutere il tema della serata. A quel punto arrivò il cronista e non fu fatto entrare, peggiorando la situazione: non potevano neanche cacciarci perchè sarebbero passati per stalinisti. Nel frattempo i poveri iscritti alla sezione furono anch’essi bloccati fuori dalla porta in quanto in sede “c’erano i fascisti”. Restammo una mezzora a discutere del tema con qualche dirigente, poi salutammo e uscimmo. Il giorno dopo il Secolo fece un pezzo molto simpatico: temo che il segretario della sezione sia saltato dalla carica il giorno stesso…
Lei non aderì alla svolta di Fiuggi
La mia formazione culturale non si conciliava con quella scelta e ritenni coerente fare un passo indietro. Io avevo aderito a un progetto diverso e ritengo che la dignità personale sia più importante di scelte opportunistiche e contingenti.
Un lungo periodo di allontanamento e poi il ritorno con un blog, destra di popolo, e subito diventa un punto di riferimento…
Otto anni fa decisi che dovevo ancora qualcosa al mio mondo e iniziai questa avventura senza grosse aspettative: un blog con un taglio diverso, aggressivo, informativo, indipendente, con posizioni di rottura con un certo conformismo che a destra aveva messo radici. Denunciammo scandali locali, inciuci di destra e di sinistra: abbiamo avuto vasta eco sui media locali e molte inimicizie, ma fa parte del gioco.
Poi l’ambito locale è diventato stretto?
Decisi che valeva la pena cambiare ancora e interessarci della politica nazionale, anche per colmare un vuoto. I riscontri sono stati impensabili, siamo ormai quasi arrivati a due milioni di contatti, ma ci interessa anche la qualità dei nostri lettori
Lei usa molto la satira…
La politica italiana è già qualcosa di triste, gli articoli si leggono più volentieri con un po’ di ironia. Poi la satira spesso concentra in una battuta un pensiero meglio di tante parole.
Chi vi legge?
Decine di migliaia di persone di tutti gli orientamenti ogni mese, pubblichiamo circa 15 articoli al giorno e abbiamo una linea ben precisa: chi ci legge sa che siamo indipendenti e questa è una garanzia. Potrei dirle, grazie alla visualizzazione delle entrate, che sono passati a dare un’occhiata un po’ tutti: dal dipartimento di Stato Usa (abbiamo 10.000 entrate l’anno dagli Usa e 20.000 da oltre 200 Stati esteri) a decine di università straniere, dagli uffici della Presidenza della repubblica a quella del Consiglio, da deputati e senatori ai principali quotidiani italiani. E tanta gente comune che ci segue con simpatia perchè siamo una destra che in Italia non c’è.
Certo non capita di leggere un blog di destra che parla spesso con un linguaggio di sinistra
E’ diverso: non lascio alla sinistra temi che non ha diritto di intestarsi. La destra economica oggi è già rappresentata da Renzi, la destra sociale è sempre stata con i ceti medi e la povera gente, non con i poteri forti. E se parliamo di ambiente, di conquiste sociali, di diritti civili, di lavoro, di legalità , di etica politica, la mia destra non deve prendere lezioni da nessuno.
Molti a destra oggi guardano con simpatia alla Lega
Non capiscono un cazzo, sono privi di base ideologica e non leggono a sufficienza. Con movimenti antinazionali, razzisti e secessionisti una destra sociale non ha nulla a che fare: dovremmo essere noi a contestarli, altro che lasciarlo fare alla sinistra. Per non parlare del livello di corruzione che è emerso in quel partito e che avrebbe dovuto far riflettere i fautori del lingua in bocca con ex “comunisti padani”.
Le sue prese di posizione contro il razzismo rompono gli schemi: ci spiega il suo punto di vista?
Il tema dell’immigrazione è stato cavalcato a destra e a sinistra in modo strumentale e demagogico, solo per carpire il voto a qualche borghese rincoglionito o a qualche buonista al cubo. Una destra sociale non divide i poveri a seconda della razza o della etnia: se mancano case le costruisce per tutti, se esistono profughi dalle guerre non li fa affogare in mare, ma li accoglie onorando le leggi del mare e le convenzioni internazionali che abbiamo firmato. Ci sono diritti e doveri, e devono valere per tutti, per gli immigrati e per gli italiani. Non esiste un “prima gli italiani”, esiste “prima la legalità “. Chi ha diritto deve essere accolto, chi non ha diritto dopo i dovuti accertamenti deve essere allontanato. Ma devono tutti essere trattati da esseri umani. E la legalità lo Stato deve garantirla anche dove la mandopera composta da immigrati viene sfruttata dai mazzieri della camorra, come nella raccolta dei pomodori, tanto per non fare nomi.
Ma come lo risolverebbe il problema dei flussi ?
Basta creare un canale umanitario con campi di accoglienza per i profughi in Libia e selezionare gli arrivi all’origine, garantendo un certo numero di passaggi su nave sicure ogni anno. Sarebbe sufficiente investire la metà dei soldi che abbiamo regalato a un assassino come Gheddafi, ricevendolo pure con tutti gli onori. Ma nessuno ricorda che tutti parlano di “aiutarli a casa loro”, salvo poi essere l’Italia l’ultimo Paese in tema di aiuti economici al terzo mondo.
La pensa così anche papa Francesco…
Spero che dopo aver fatto piazza pulita dei preti pedofili, papa Bergoglio dia disposizione di prendere a calci nel culo anche tanti pseudo cattolici che durante la settimana istigano all’odio e la domenica recitano la parte di buoni padri borghesi in parrocchia.
Sta con Landini o con Confindustria?
In questa fase politica manca un Landini di destra, ovvero manca un sindacato e un partito che sappia rappresentare milioni di lavoratori sempre più poveri e penalizzati da un palazzo prono allo strapotere della finanza internazionale. Allo stesso modo sono soffocati i piccoli imprenditori, le partite Iva e i precari. Ma una destra moderna, capace di offrire soluzioni non c’è.
Condivide le battaglie antieuro ?
Chi pensa che uscire dall’euro o denunciare le scelte della Bce sia un atto rivoluzionario o è in malafede o non ha capito un aspetto economico fondamentale: il denaro oggi è invisibile e viene spostato da pochi gruppi in base alle speculazioni del momento. Qualcuno mi spieghi perchè dovremmo lottare contro l’euro per poi favorire la finanza americana che a parole qualcuno sostiente di voler contrastare. Per non parlare di quei fessi che vedono in Putin il nuovo mito…Una volta la destra manifestava per l’Ungheria e per Praga, oggi qualcuno sta con l’imperialismo corrotto sovietico che massacra l’Ucraina e finanzia Marine Le Pen per destabilizzare l’Europa. Che poi questa non sia certo l’Europa per cui abbiamo combattuto è un altro discorso, ma allora ci si deve battere per migliorarla non per distruggerla.
Parliamo della destra attuale: non sembra in buona salute…
Guardi, intendiamoci sul termine come prima cosa e chiediamoci se esistono partiti che possano definirsi tali. Forza Italia è nata solo per tutelare a livello politico interessi e affari del suo fondatore, nulla di più. La Lega ha sempre rappresentato idee in antitesi alla destra, dal secessionismo alla xenofobia anti-meridionali prima e anti-immigrati poi: può usare il maquillage che vuole, ma l’anima è quella. An ha edulcorato temi di destra per poi appiattirsi completamente sul berlusconismo e confluire tragicamente nel Pdl. Tra le esperienze più recenti abbiamo avuto La destra e Fratelli d’Italia che, al fischio di richiamo del padrone, sono sempre ritornati scodinzolando alla base, in cambio di un osso da spolpare. E cavalcando sempre temi da becerodestra non sono ovviamente mai andati oltre una percentuale risibile.
E di Fini cosa pensa?
Parla con uno che non ha mai appoggiato Fini fin dai tempi del Msi, quando qualcuno lo aveva nominato suo delfino. A Fini riconosco, tra una valanga di errori, un merito fondamentale: quel dito puntato contro Berlusconi, antesignano di uno smarcamento dal partito padronale che ora hanno capito tardivamente in tanti. E con Futuro e Libertà ha avuto il coraggio di tentare la via di una destra moderna: peccato che abbia sbagliato impostazione sull’economia, avallando le scelte di Monti, e sia ricaduto nel suo grosso difetto…
Quale sarebbe?
Non si è mai interessato dell’organizzazione del partito e si circonda sempre delle persone sbagliate. In ogni caso, pur trovandomi spesso in disaccordo con le sue scelte, è certamente un politico di altro livello rispetto a quel ciarpame che gli stava intorno.
Bisognerà attendere molto per veder emergere un giovane leader a destra, come accade per altre aree politiche?
Esistono molti giovani in gamba a destra, non dico leader, ma capaci di creare l’ossatura di una futura classe dirigente, ma i notabili hanno sempre fatto in modo di allontanarli. Non esiste un ambiente come quello di destra dove la meritocrazia, proclamata a parole, venga disapplicata nella pratica. Chi emergerà dovrà farlo a spallate, come sempre. I casting non servono.
Cosa consiglierebbe a un giovane di destra?
Leggere qualche libro formativo, farsi una propria idea e poi tramutarla in politica attiva: meno salotti e più marciapiedi.
E ai notabili?
Farsi da parte e favorire il ricambio generazionale, ma a questo ci stanno pensando gli elettori. Non siamo più ai tempi della Prima repubblica dove i leader restavano in sella 40 anni, oggi tutto brucia in fretta. Tra qualche tempo anche Renzi sarà “vecchio” e finirà rottamato…Tornerà a fare lo scout e a far perdere nei boschi i suoi ragazzi. O magari a scroccare la casa a Carrai.
Nessun rimpianto per non essere arrivato in Parlamento?
Non sono uno che accetta compromessi, per questo passo per avere un brutto carattere, quindi sono ben felice di aver conservato dignità e valori che non scambierei per nessuna carica al mondo.
Il miglior complimento che ha ricevuto?
Da un giovane di sinistra che mi scrisse recentemente: “spero solo che il tipo di destra che lei rappresenta non prenda mai piede, perchè con una destra come la sua la sinistra non governerà più per decenni”
E la cosa più importante nella vita?
Lasciare un segno del proprio passaggio, nella mente e nei cuori.
J.I.
(da “Barra a dritta“)
http://www.barraadritta.net/?p=11040
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