Aprile 7th, 2015 Riccardo Fucile
SIMONE VOLEVA FUGGIRE IN TUNISIA… IL MANAGER PENTITO METTE NEI GUAI LA COOP, ALTRI 30 APPALTI NEL MIRINO
«Ho chiamato te che sei potentissimo e supremo…». Ora si scopre che lo adulavano così al telefono, perfino per ottenere una sua intercessione per una nomina, tanto all’Ama di Roma quanto in Regione Campania.
E lui, Francesco Simone, ex capo delle Relazioni istituzionali della coop modenese Cpl Concordia, il facoltoso manager accusato di aver messo in piedi il consolidato sistema corrutivo scoperto una settimana fa dalla procura di Napoli con il blitz che ha travolto Ischia, si schermiva e avvertiva: «Se ci intercettano, arrestano te e me».
Era pronto a scappare in Tunisia, Simone.
«In Italia siamo ascoltati fin nel buco del culo», si lamentava.
Aveva già trovato casa in nord Africa. E ora il “potentissimo” sta parlando dal carcere.
Dopo l’apertura di un nuovo filone che coinvolge l’ex parlamentare (An, e poi Fli) Luigi Muro – sui lavori di metanizzazione nel’isola di Procida – altri interrogatori sarebbero fissati per le prossime ore.
Simone avrebbe riempito decine di pagine con circostanze e nomi, dinanzi ai pm Henry John Woodcock, Celeste Carrano e Giuseppina Loreto.
Svelando agli inquirenti l’esistenza un vero e proprio «protocollo ben consolidato» che serviva a truccare le gare, da nord a sud.
Era il perno, Simone, di una fitta rete di rapporti con eccellenti politicio-istituzionali: «Al riguardo – scrivono i carabinieri nel gennaio 2014 – egli riesce ad avere un canale preferenziale sia con il segretario Pd Matteo Renzi, sia con Luca Lotti e Dario Nardella».
Ed era presente sui mercati esteri: dal business fotovoltaico a Cuba agli interessi «per il pomodoro» in Albania, passando per la costruzione «di un centro commerciale» in Mauritania. Si attendono sviluppi già in questa settimana.
“CI SPIANO, NON SI LAVORA PIÙ”
Francesco Simone parla al telefono con Andrea Acerbi, in una delle intercettazioni più recenti. È il 16 febbraio 2015, annotano i carabinieri del Noe: «I due parlano delle possibilità di investimento in nord Africa e della rete relazionale di primissimo livello di Simone, che rappresenta ad Acerbi l’importanza del viaggio da fare» di lì a otto giorni, «e lascia intendere di averla sotto controllo (la gara, ndr ) e di essere in grado di potergliela fare aggiudicare.
Per i carabinieri, «Simone cerca di essere prudente, poi fortunatamente si lascia andare lasciando chiaramente intendere l’illecita natura dell’operazione riguardo il bando di gara (cajer de charge).
“Prima che esca il cajer de charge non è una cosa molto lecita…”. I due poi si lamentano – si legge – del fatto che in Italia non si può più lavorare.
E Simone dice di esser d’accordo con la moglie per trasferirsi in Tunisia: “Siamo ascoltati fin nel buco del culo… È diventato reato in questo paese portare a casa due fette di pane. Le aziende italiane, cioè che cazzo, e allora io mia moglie dice trasferiamoci in Tunisia».
In un altro colloquio, con una donna di un’agenzia a Tunisi, dice: «Io sono innamorato della Tunisia, c’ho cinque figli e sto guardando un appartamento molto bello a Cartagine, a Le Castel de Cartagine ».
I FONDI DALLA TUNISIA
Sono almeno trenta gli appalti nel mirino.
A Simone verrà chiesto conto innanzitutto degli appalti in cui la Cpl Concordia avrebbe adottato “il protocollo”: non mazzette avvolte nei giornali, ma consulenze mirate a parenti di ammini-stratori, o quote societarie poi arricchite da plusvalenze. Uno scenario che fa tremare esponenti politici e istituzionali di varie regioni.
È depositato il “quadro” di tutti gli appalti su cui si concentrano le attenzioni degli inquirenti, oltre alla vicenda di Ischia, così come disegnato dall’ingegner Giulio Lancia, prima “gola profonda” dell’indagine.
Ad esempio, i lavori «Consip/ Cns, provincia di Caserta; Consip/ Cns, provincia di Napoli; Consip/Cns, Seconda Università di Napoli; Consip/Cns Salerno; e ancora Asl di Salerno, ospedali di Vallo della Lucania, Nocera Inferiore e Pagani».
E poi ci sono i fondi neri della Tunisia attraverso la società Tunita.
Da un’intercettazione di Simone con un “socio”, i carabinieri sintetizzano: «I due sembrano aver snocciolato i ter- mini dell’accordo: 180mila euro l’anno, divisi in 45mila euro trimestrali…
Simone poi specifica che per il success fee si deve fare un contratto di management con cui si richiede una ulteriore percentuale del 5 per cento. Puoi chiedere anche il 20…».
LA SECONDA VITA DI DEMITRY
La telefonata è dell’aprile 2013, tra Simone e Giuseppe Incarnato, manager già indagato tre mesi fa con l’ex deputato mastelliano Tommaso Barbato per una vicenda di presunto voto di scambio con l’ex onorevole del Psi Geppino Demitry.
Incarnato: «Domani ci sei tu a Roma?». Simone: «No, a Perugia sono, dimmi Giuseppe». Incarnato: «No, perchè ti volevo parlare… Vedi se puoi aiutare Stefano Commini con l’Ama.. Sta sta puntando a fare l’amministratore delegato, è in pole position… Mi sono detto: fammi chiamare il potentissimo, il supremo». Simone: «Ma quale potentissimo. Se mi intercettano, ci arrestano a te e me». In un’altra conversazione, tra Simone, e Nicola De Vecchi, presidente di varie società di smaltimento, «si parla del settore industriale della depurazione e della gestione fanghi».
Nell’occasione – registrano i militari del Noe – Simone precisa che per il futuro l’ex onorevole Giuseppe Demitry farà da trait d’union.
Conchita Sannino
(da “La Repubblica”)
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Aprile 7th, 2015 Riccardo Fucile
“I SOLDI ORA CI SONO: STANZIATI 6,2 MILIARDI”… MA ESISTONO SOLO SULLA CARTA: PER IL 2015 ZERO EURO
Matteo Renzi, beato lui, vive nel migliore dei mondi possibile. 
È un premier Candido, se così si può dire. La ripresa, l’aumento degli occupati, l’Expo che “è un miracolo”, le grandi opere che faranno ripartire il Paese.
Un allievo di Pangloss, non c’è dubbio, cui non può ovviamente mancare il confronto col terremoto: nel libro di Voltaire era quello di Lisbona del 1755, per Renzi è L’Aquila 2009, sei anni ieri.
“Dopo troppe promesse, siamo passati all’azione. I soldi adesso ci sono: spenderli bene è un dovere”, ha scritto su Facebook.
Una breve panoramica della situazione dovrebbe restituire il lettore al realismo.
I finanziamenti previsti: miliardi a pioggia
Ha scritto ieri Renzi: “Nel primo anno del nostro governo abbiamo messo alcuni punti cardine: la certezza e la programmazione di risorse per il medio lungo periodo (5,1 miliardi nella legge di Stabilità per il 2015); l’accelerazione nelle assegnazioni per l’edilizia privata (1,13 miliardi di euro deliberati dal Cipe a febbraio)” eccetera.
Il premier non mente, eppure non dice nemmeno la verità .
Procediamo con ordine.
Dice il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe): dal 2009 a oggi sono stati stanziati 7,2 miliardi in varie tranche.
L’ultima — quella citata da Renzi — è del 26 febbraio: 1,12 miliardi, 800 milioni per la sola città de L’Aquila, di cosiddetti “residui”, cioè fondi non spesi nel quinquennio scorso.
Quanto ai 5,1 miliardi della Finanziaria di Renzi, sono ripartiti così: 200 milioni nel 2015; 900 del 2016; 1,1 miliardi nel 2017, 2,9 miliardi nel 2018 e 2019.
La realtà : zero euro nel 2015, 165 milioni in meno nel 2014
I conti veri sono un po’ diversi.
Intanto i soldi della legge di Stabilità esistono solo sulle tabelle (la E, per la precisione) pubblicate in Gazzetta Ufficiale: per oltre tre miliardi su cinque peraltro — quelli dal 2018 in poi — si tratta di parole, un’intenzione senza finanziamento sottostante.
Gli altri dovranno comunque essere trovati prima di finire in Abruzzo.
Prendiamo dalla commissione Bilancio comunale i numeri che riguardano L’Aquila da quando Renzi è a Palazzo Chigi.
Nel 2014 erano stati stanziati in tutto 652 milioni e ne sono arrivati solo 487: insomma, mancano 165 milioni.
Nel 2015, invece, il Cipe ha già deliberato finanziamenti per la ricostruzione per 478 milioni.
Quanti ne ha incassati il comune? Zero.
Quanto agli 800 milioni del Cipe — di cui Renzi s’è vantato ieri anche se li hanno stanziati i governi precedenti — c’è un problema: comprendono pure i fondi non ancora arrivati e pure il buco del 2014.
I soldi nuovi, insomma, sarebbero al massimo 157 milioni.
Tra delibera e versamento dei soldi, per di più, passano circa sei mesi: in pratica arriveranno a fine anno.
Spiega Giustino Masciocco, presidente della commissione Bilancio del Comune: “Noi, sulla base delle previsioni, elaboriamo le pratiche e le mettiamo in un elenco, ma assegnamo effettivamente solo il 46% del costo della ricostruzione: se devo rifare un palazzo da 2 milioni, noi diamo 900 mila euro per iniziare, il resto quando facciamo i controlli a fine lavori. Se lo Stato non manda i soldi, noi non li diamo e i lavori non partono”.
Anche sulle cifre complessive dei fondi arrivati in Abruzzo dal 2009 i due rendiconti non collimano: i 7,2 miliardi del Cipe, per dire, in loco diventano quattro.
E poi c’è la beffa della Tasi/Imu: nel 2014 hanno fatto pagare l’imposta pure sugli immobili inagibili; nel 2015 è arrivato l’esonero, ma la copertura è di 500 mila euro. Peccato che il gettito fosse 2 milioni: il resto lo mette il Comune o gli aquilani.
Disorganizzazione a Roma, poco personale nel cratere
Il problema vero, comunque, non sono (solo) i soldi: “È la continuità dei finanziamenti il tema: puoi darci anche meno soldi, ma devi darceli senza interruzioni invece ci troviamo con buchi di 6-12 mesi”, dice ancora Musciocco.
E poi c’è l’organizzazione.
A settembre scorso, per dire, s’è dissolta l’intera catena di comando romana della ricostruzione.
Via Paolo Aielli, direttore dell’Ufficio Speciale per la Ricostruzione de L’Aquila (Usra), mandato al poligrafico dello Stato. Via Aldo Mancurti, capo della struttura tecnica di missione che si occupava di questo, che non è stato prorogato.
Pure il sottosegretario abruzzese Giovanni Legnini, che al Tesoro aveva la delega su L’Aquila, se n’è andato al Csm e ci sono voluti cinque mesi prima che arrivasse Paola De Micheli.
L’altro problema, che assilla il sindaco Massimo Cialente, è il personale.
Tra i vari protocolli e uffici speciali lavoravano 320 persone: 128 sono state assunte dopo il “concorsone” di Fabrizio Barca, altri 50 sono rimasti con contratti precari, il resto non è stato rinnovato.
Risultato: pratiche e lavori a rilento.
La situazione dopo sei anni è questa: i nuovi quartieri de L’Aquila sono ricostruiti all’80%, dentro le mura siamo al 10%, nel cuore del centro al 3%, nelle frazioni a zero come in molti paesi limitrofi.
Carlo Di Foggia e Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 7th, 2015 Riccardo Fucile
ORA BERLUSCONI TEME IL DISASTRO… E SCOPPIA ANCHE LA LITE SUL SIMBOLO
La sgangherata marcia di avvicinamento di Forza Italia alle regionali si arricchisce di un nuovo miracolo alla rovescia: il patto tra due nemici giurati come Raffaele Fitto e Angelino Alfano per sostenere in Puglia Francesco Schittulli.
Tutto in chiave antiberlusconiana, per isolare l’ex Cavaliere. Il quale intanto, dal rifugio sardo di Villa Certosa, cede alla rassegnazione.
E si sfoga: «Le elezioni saranno un disastro, lo so. E d’altra parte cosa aspettarsi? Siamo in mano a gente come Fitto. Da giugno svecchiamo FI. E ricostruiamo il centrodestra».
Fosse facile. Manca ancora la sentenza di fine pena del Tribunale di sorveglianza, per dire.
Senza, non si sente ancora pienamente libero di esprimersi, nè può tornare in possesso del passaporto e volare in qualsiasi momento ad Antigua.
A due o tre tappe elettorali, comunque, si concederà : in Liguria per Giovanni Toti, in Veneto, forse in Campania.
Proprio lì Alfano rimanda l’accordo con Stefano Caldoro. Lo sottoscriverà entro l’11 aprile, a meno che il Pd non sostituisca De Luca per allearsi con il Ncd.
Berlusconi resterà a Porto Rotondo fino a domani, in compagnia di Francesca Pascale, del suo cerchio magico (Debora Bergamini, Maria Rosaria Rossi, Toti) e della figlia Marina.
Tra relax e passeggiate c’è comunque il tempo per discutere di Italicum («siamo contrari, e se gli piace tanto Verdini se lo voti con i suoi») e affrontare la grana pugliese, dove il quadro è desolante: il ras locale di Ncd Massimo Cassano (in teoria in rotta con Fitto) ha scaricato il commissario azzurro Luigi Vitali, facendo saltare un tavolo convocato per oggi.
Forza Italia si ritrova così senza alleati. E senza candidati, visto che Adriana Poli Bortone si è già sfilata e l’ex fittiano Francesco Paolo Sisto tentenna.
L’incubo di non superare lo sbarramento dell’8%, restando così fuori dal consiglio regionale, è concreto.
Per questo, i fedelissimi consigliano a Berlusconi di cedere alle richieste dei fittiani, sostenendo Schittulli. Suonerebbe però come una resa.
C’è un altro spettro che tormenta di Vitali. Da tempo il capo dei frondisti mette in dubbio la legittimazione della tesoriera Rossi a disporre del simbolo azzurro.
E prepara una sconveniente battaglia legale per azzoppare quel che resta di FI
Nel deserto di motivazioni spicca però una data, cerchiata in rosso: il 23 aprile.
Quel giorno si apre a Milano un vertice Ppe per l’Expo. Berlusconi intende partecipare.
Come perdere l’occasione di guardare negli occhi i leader europei che da tempo gli hanno voltato le spalle?
Tommaso Ciriaco e Giuliano Foschini
(da “La Repubblica”)
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Aprile 7th, 2015 Riccardo Fucile
L’ANNUNCIO DI SALA, MA AL MINISTERO RISULTANO SOLO 13 MILA VISTI DA PECHINO
Quasi 9 milioni di biglietti venduti, 5,5 milioni all’estero e ben 1 milione in Cina. 
Per il commissario Giuseppe Sala si tratta di un record, mai un’esposizione universale aveva raggiunto dati di prevendita così alti prima dell’apertura.
Le previsioni di afflusso di turisti raccontano però un’altra storia.
Secondo i dati del ministero degli Affari esteri, tra gennaio e marzo 2015 la rete dei consolati e delle ambasciate italiane all’estero ha trattato 346.056 pratiche di visto, il 16,8 per cento in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno
Il dato cinese è in effetti in aumento: 87.839 visti nei primi tre mesi dell’anno rispetto ai 74.237 rilasciati nello stesso periodo dell’anno precedente: sono 13.602 visti in più.
È un dato che va preso con qualche cautela poichè, come spiegano al ministero, il visto si può richiedere al massimo con tre mesi di anticipo rispetto alla partenza (solo da febbraio inoltrato quindi si possono ipotizzare le prime richieste legate all’Expo).
Il volume di visti sembra comunque smentire la ressa all’acquisto di biglietti per l’esposizione. Per credere che un milione di cinesi sia corso a comprare i biglietti prima ancora di aver ottenuto il visto ci vuole insomma una buona dose d’ottimismo.
La realtà è che i numeri sbandierati da Expo si riferiscono per lo più a biglietti piazzati a tour operator e broker, i quali devono poi cercare di rivenderli al pubblico.
Che al momento non sembra entusiasta
Del resto, nonostante i 50 e passa milioni spesi finora in comunicazione, l’Italia non ha brillato nella comunicazione dell’esposizione verso il Paese asiatico.
Nessuna indicazione in lingua: il portale internet in mandarino lanciato nel 2010 è “in manutenzione” da più di un anno; il sito realizzato dal ministero per i Beni culturali e il turismo, dall’agghiacciante nome “verybello”, è solo in italiano e inglese; senza nemmeno un ideogramma è pure il portale principale dell’Ente nazionale per la promozione turistica, “italia.it  ”
Una conferma dello scarso entusiasmo che ha raccolto finora in Cina l’evento che dovrebbe mostrare il meglio dell’Italia è l’analisi fatta da Wonderful Expo, il sito turistico ufficiale di Expo 2015 (in collaborazione con un’agenzia di comunicazione digitale con sede in Cina), su più di 330 mila conversazioni sui social media e altre fonti utili per capire il grado di conoscenza e interesse del pubblico online cinese verso Expo 2015 e le connesse destinazioni turistiche.
Ne verrebbe fuori che l’interesse è assai scarso, l’Italia è dietro alla Francia, che genera 1,4 volte più prenotazioni e oltre 2 volte più interesse e, come meta gastronomica, addirittura anche dietro all’Australia, che la supera di 1,9 volte per le prenotazioni , grazie all’immagine della cucina australiana sostenuta da una recente campagna globale costata 40 milioni di dollari australiani.
Del resto, che al di là dei proclami la ressa per Expo 2015 non ci fosse l’avevano già constato gli albergatori.
“Noi siamo ottimisti, ma la situazione degli alberghi è tale che sembra che Expo non ci sia”, ha detto il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, a margine di un convegno di Confcommercio il 28 marzo scorso
Expo dovrebbe ripagare gran parte dei costi di gestione dell’esposizione con i ricavi dalla vendita dei 24 milioni di biglietti ipotizzati dal management.
I costi di gestione previsti sono di 800 mila euro: è chiaro che se i biglietti venduti saranno molti meno, questo sancirebbe l’Expoflop, oltre che un aggravio di spesa per chi paga le tasse.
Gianni Barbacetto e Marco Maroni
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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