Maggio 28th, 2015 Riccardo Fucile
GIAMBRONE (FORZA ITALIA) CORRE A CAMMARATA COL PROGRAMMA DI VALERIA RADAELLI DI CAPRIATE
Due piccole cittadine che hanno gli stessi identici problemi nonostante si trovino ad oltre mille chilometri di distanza e in due regioni molto diverse.
Non è un gemellaggio e non è nemmeno un’iniziativa comune: in verità gli abitanti di Cammarata, in Sicilia, e di Capriate San Gervasio, in Lombardia, ignorano probabilmente l’esistenza delle rispettive città .
Eppure a leggere il programma elettorale di Vincenzo Giambrone, ex deputato regionale di Forza Italia, oggi candidato sindaco del piccolo comune in provincia di Agrigento, non c’è dubbio: a Cammarata, seimila anime al centro della Sicilia, i problemi sono quasi identici a quelli riscontrati da Valeria Radaelli, eletta nel 2013 sindaco di Capriate San Gervasio, ottomila abitanti in provincia di Bergamo.
Il programma depositato da Giambrone (gallery sopra) in vista delle amministrative siciliane del prossimo 31 maggio, infatti, è quasi totalmente identico a quello presentato dal primo cittadino bergamasco alle elezioni di due anni fa (sotto).
Interi punti programmatici, paragrafi che contengono la descrizione della popolazione, persino obiettivi e proposte lanciate dal candidato sindaco siciliano sono uguali a quelle presentate due anni fa da Radaelli, poi eletta alla guida del comune bergamasco.
Un vero e proprio caso di “saccheggio” del programma elettorale, e poco importa se Cammarata e Capriate abbiano ben poco in comune.
Nel 2013, per esempio, l’attuale sindaco di Capriate San Gervasio spiegava, nel suo programma elettorale consultabile sul sito del comune, che “la famiglia è stata definita risorsa per l’umanità in quanto svolge un ruolo fondamentale nella trasmissione di valori e nei rapporti tra generazioni”.
Per questo motivo, aggiungeva, “noi della lista Usc (Una sola comunità ) riconosciamo il fondamentale ruolo del nucleo familiare e vogliamo mantenerne le forza incisiva nella società ”.
Passano due anni e come per magia quelle stesse parole si materializzano 1.500 chilometri più a sud.
Unica irrinunciabile modifica: nel programma di Giambrone scompare la lista di Radaelli, per lasciare il posto alla sua “le Ali per Cammarata”.
Ma non solo: cosa promette di fare Giambrone per le famiglie di Cammarata? “Sostenere solidarietà e associazionismo tra famiglie, in particolare per quelle formate da disabili” e poi “sviluppare forme di sostegno al nucleo familiare con interventi mirati volti a risolvere situazioni di disagio che possano compromettere la serenità e l’unità del nucleo familiare”: le stesse, medesime proposte lanciate dal primo cittadino bergamasco due anni fa. Identico fenomeno si verifica per gli altri punti del programma, con qualche impercettibile modifica.
Se a Capriate spiegavano che “la nostra comunità è composta per il 41% da cittadini che hanno più di cinquant’anni e il 15% ne ha più di settanta, persone che contribuiscono allo sviluppo economico e del tessuto sociale che ci circonda”, a Cammarata lasciano perdere dati e statistiche, confermando in blocco tutto il resto. Ovviamente la lista di Giambrone “intende valorizzare il contributo decisivo dell’esperienza che le persone hanno maturato nel corso della loro vita”: lo stesso obbiettivo, espresso con le medesime parole, avanzato due anni or sono dalla lista di Radaelli.
Piccolo particolare: nel bergamasco intendevano “continuare l’attività di assistenza agli anziani anche attraverso la convenzione della consegna dei pasti a domicilio”, mentre a Cammarata hanno lasciato perdere quell’obiettivo, forse per carenze di bilancio.
E se per gli anziani della provincia di Agrigento si prevedono quasi le stesse misure messe in campo per i coetanei bergamaschi, anche a Cammarata l’aspirante sindaco sostiene che “il mondo dei giovani, inteso dalla nascita all’adolescenza è certamente un momento importante per la formazione della persona”: idea già messa nero su bianco dal primo cittadino di Capriate.
Tra i tanti punti del programma praticamente identici, anche qualche differenza di peso.
Come quando l’aspirante sindaco di Cammarata deve spiegare ai suoi concittadini cosa pensa di fare in campo urbanistico.
Anche in questo caso l’incipit è — come quasi tutto il resto — made in Lombardia. “Il concetto di urbanistica di questa lista passa attraverso lo studio, la programmazione e la progettazione di scenari passati, presenti e futuri della nostra Città nel suo complesso, con lo scopo principe di migliorare la qualità urbana e, pertanto, in modo esplicito di migliorare la qualità della vita dei cittadini: i veri protagonisti della quotidianità ” scrivono i siciliani, attingendo ogni parola dai colleghi lombardi.
Poi però al momento di snocciolare gli obbiettivi, ecco un cambio di rotta netto: se a Capriate, infatti, si ripromettevano di “proteggere il suolo non ancora edificato” e di “realizzare zone fruibili e protette per l’uso delle biciclette e per le camminate” a Cammarata invece si punta alla “revisione del Prg” e al “Piano del traffico”.
“Neanche 15 pagine di programma riescono a scrivere.
Il mio voto per Giambrone è 2, motivo: copiato”, dice il professor Contardo Alongi, che ha evidenziato su Facebook il “saccheggio” del programma elettorale ad opera del candidato sindaco siciliano, tra le ironie dei suoi concittadini.
Inconsapevoli di avere così tanto in comune con una città , che probabilmente neanche conoscevano.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 28th, 2015 Riccardo Fucile
IL DEBITO DELLA NOSTRA PA NEI CONFRONTI DEI FORNITORI PRIVATI AMMONTAVA AL 31 DICEMBRE A 70 MILIARDI DI EURO
Un’informazione preziosa, dal momento che dallo scorso 30 gennaio la “Piattaforma per la
certificazione dei crediti” del Mef non ha più aggiornato il monitoraggio del pagamento dei debiti maturati dalla PA al 31 dicembre 2013.
All’epoca il Governo sosteneva di aver pagato 36,5 miliardi su un totale di 74,2 miliardi di euro: poco meno della metà del dovuto.
Il dato fornito adesso da Bankitalia non fa che confermare quanto denunciato a febbraio dal Centro studi ImpresaLavoro: i debiti commerciali si rigenerano con frequenza, dal momento che beni e servizi vengono forniti di continuo.
Pertanto liquidare (e solo in parte) i debiti pregressi di per sè non riduce affatto lo stock complessivo: questo può avvenire soltanto nel caso in cui i nuovi debiti creatisi nel frattempo risultino inferiori a quelli oggetto di liquidazione.
Ne consegue altresì che il ritardo del Governo nel pagamento di questi debiti sia costato nel 2014 alle imprese italiane la cifra di 6,1 miliardi di euro.
Questa stima è stata effettuata prendendo come riferimento l’ammontare complessivo dei debiti della nostra PA (così come certificato da Bankitalia), l’andamento della spesa pubblica per l’acquisto di beni e servizi (così come certificato da Eurostat) e il costo medio del capitale che le imprese hanno dovuto sostenere per far fronte al relativo fabbisogno finanziario generato dai mancati pagamenti.
Elaborando i dati trimestrali di Bankitalia, stimiamo pertanto che questo costo sia stato nel 2014 pari all’8,97% su base annua (in leggero calo rispetto al 9,10% nel 2013).
Centro Studi Impresa-Lavoro
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Maggio 28th, 2015 Riccardo Fucile
DOPO LA SENTENZA SULLE PENSIONI, IL GOVERNO MANDA MESSAGGI AI GIUDICI DELLE LEGGI… A GIUGNO DECIDERANNO SU RISCOSSIONE DELLE TASSE E BLOCCO DEGLI STIPENDI PUBBLICI. VALORE: 15-18 MILIARDI
Entro pochi giorni si saprà se il messaggio è arrivato ed è stato recepito dagli interessati. I metodi per recapitarlo sono stati molti: Pier Carlo Padoan che si dice “perplesso” riguardo alla bocciatura del blocco delle pensioni da 1.200 euro in su e la mancata “interazione” tra Corte e governo; ex premier ed ex ministri hanno parlato di “sentenza incomprensibile”; economisti più o meno indipendenti hanno accusato i giudici costituzionali di voler affamare i giovani; Equitalia ha fatto uscire sui giornali l’allarme per un nuovo buco da 2,5 miliardi.
Si potrebbe continuare, ma ormai dovrebbe essere chiaro che il destinatario di queste pressioni è la Corte costituzionale, chiamata nel prossimo mese a rilevanti decisioni che rischiano di essere anche un giudizio sulle politiche di questi anni, tutte imposte con lo spettro dell’emergenza e del default, spesso in violazione della Costituzione.
Archiviata con la truffa del “Bonus Poletti” (la restituzione del 25% del maltolto se va bene), la grana pensioni da 17,6 miliardi ingenerata dalla bocciatura di una norma di Monti, il problema per l’esecutivo e gli interessi diffusi che lo appoggiano in continuità coi suoi predecessori è che la Consulta capisca che l’aria è cambiata e l’articolo 81 della Carta (il pareggio di bilancio ultrarigido imposto dal Fiscal compact e dall’ideologia brussellese) fa premio su tutti gli altri.
Le sentenze delicate, di qui a settembre, sono tre e valgono miliardi.
La prima è attesa a brevissimo e riguarda la costituzionalità dell’aggio di Equitalia, cioè la percentuale (va dal 4,5 all’8%) che la società aggiunge alle cartelle fiscali che è chiamata ad incassare.
Ieri mattina, infatti, s’è tenuta l’udienza pubblica e la sentenza dovrebbe dunque arrivare a giorni. In sostanza, due differenti ricorsi nel 2012 e 2013 hanno sollevato la questione davanti ai giudici delle leggi: viene ritenuto incostituzionale il fatto che l’aggio sia sproporzionato rispetto ai costi del servizio, che sia calcolato persino sugli interessi di mora, che sia caricato esclusivamente sul debitore per i pagamenti dopo 60 giorni e pure che non sia previsto un tetto massimo.
Se la Consulta bocciasse la norma, Equitalia dovrebbe restituire i soldi: 2,5 miliardi ha scritto la divisione Nord della società in una memoria alla Corte pubblicata ieri su Repubblica.
La cosa era nota — e il conto totale sfora i 3 miliardi — ma serve a dipingere la Consulta come il gruppo del “buco nei conti pubblici”: Equitalia, infatti, è di proprietà di Tesoro e Inps.
Tradotto: alla fine i soldi dovrebbe metterceli il governo.
A fine giugno, poi, c’è la vera bomba a orologeria. Il ricorso contro il blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici, deciso da Mario Monti nel 2011 e prorogato poi sia da Enrico Letta che da Matteo Renzi.
In sostanza, i salari degli statali sono bloccati dall’ultimo rinnovo, che data al lontano 2009: solo di recupero dell’inflazione, per uno stipendio da 21.500 euro lordi il danno ammonta a oltre 2.200 euro su base annua e circa 8.000 in totale (lo stipendio più basso, ovviamente, si rifletterà sulla pensione).
Il risparmio per le casse dello Stato s’aggira sui 2,5 miliardi l’anno: 12-15 in tutto.
La Consulta, in realtà , ha già ritenuto legittimo il blocco dei contratti per un periodo limitato, ma ora sono passati 5 anni.
A settembre, infine, arriva a sentenza il “contributo di solidarietà ” del governo Letta sulle pensioni sopra i 90 mila euro.
Il gettito in questo caso è limitato (52 milioni l’anno), ma una norma simile è stata già bocciata al solito Monti.
Insomma, la Consulta ha gli occhi addosso. Se non bastassero gli avvertimenti, peraltro, l’11 giugno è convocata l’ennesima votazione per ricostituire il plenum: su 15 giudici costituzionali ne mancano 2 di nomina parlamentare e un altro (Paolo Maria Napolitano) scadrà a luglio.
Tre nomine sensibili al nuovo clima, forse, risolverebbero il problema più di mille minacce.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 28th, 2015 Riccardo Fucile
SEMPLIFICARE LE COSE MAI
Il traffico di nomi di candidati “impresentabili”, a pochi giorni dalle elezioni regionali, è un
capolavoro (si spera involontario) di masochismo politico.
Riesce infatti, in un colpo solo, a indebolire sia la posizione dei “manettari” che quella dei “garantisti”.
Quella dei manettari perchè brandire elenchi del genere ormai a ridosso del voto ha un inevitabile sapore di arma impropria, di mossa scorretta largamente fuori tempo massimo.
Quella dei garantisti perchè, per difendere l’autonomia della politica, sono costretti a difenderne anche la gaglioffagine, nonchè (vedi Lanfranco Pace a Radiouno) il suo diritto a rappresentare anche l’elettorato colluso e “scambista”, perchè la politica, sapete, non è cosa per educande (questa la si era già sentita).
A uscirne rafforzato, una volta di più, è solamente lo sconforto, e dunque il conseguente probabile aumento dell’astensionismo.
Come sovente accade, davvero non si riesce a capire perchè diavolo si riesca a complicare e inquinare un’esigenza – quella di tutelare l’onorabilità di chi ricopre funzioni pubbliche, per altro sancita dall’articolo 54 della Costituzione – che potrebbe e dovrebbe essere già ampiamente garantita dalle leggi in vigore, dalla Severino in su e in giù.
A partire dalla spericolata candidatura di De Luca in Campania, a quanto pare la presentabilità / impresentabilità , che non è un requisito “morale”, ma giuridico, è diventata materia discrezionale, una disputa a posteriori, a liste fatte e a babbo morto.
Semplificare le cose: mai
Michele Serra
(da “La Repubblica“)
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Maggio 28th, 2015 Riccardo Fucile
LA VERGOGNA DEI SIGNORI DEL PALLONE
Davanti al numero 20 di Fifa-Strasse i reporter improvvisano dirette televisive, mentre gli obiettivi inquadrano la fortezza protetta dal fogliame.
L’assedio prende vita. «È una giornata difficile, ma per voi… La Fifa è tranquilla, lasciateci lavorare», butta lì un dirigente, il vestito blu stirato di fresco e il logo della Fifa trionfante sul petto, prima di inforcare il monopattino e perdersi nel bosco.
È una giornata normale, certo. Anche se la magnifica fortezza è assediata, e la Fifa barcolla. Anche se fuori da questa Xanadu, che Sepp Blatter ha eretto per celebrare se stesso e il suo trentennale potere, il mondo si fa un sacco di domande e non riceve risposte.
Da una poltrona della sua Xanadu, avvolto da quella nube di profumo francese che è uno dei suoi tratti distintivi, giusto nove anni fa Blatter sussurrava ieratico ai giornalisti italiani, gli occhi socchiusi: «Calciopoli è il più grande scandalo della storia del calcio, che peccato…».
Mai avrebbe pensato che 40 giorni dopo gli sarebbe toccato premiare l’Italia campione del mondo a Berlino, infatti si guardò bene dal farlo.
Nè poteva immaginare che uno scandalo ben peggiore avrebbe travolto lui e la Fifa alla vigilia della sua quinta elezione a capo del calcio mondiale.
Ma il colonnello di Visp ha l’improntitudine e il pelo sullo stomaco di chi ha navigato i sette mari. Non è arrivato a 79 anni coperto di cariche, gloria e scandali per niente.
Quindi anche con due inchieste internazionali sul tavolo e gli arresti intorno a lui, il suo obiettivo è resistere, e farsi rieleggere domani dal Congresso Fifa.
Trincerato nel suo nido d’aquila, Blatter fa prima dire al portavoce Walter Di Gregorio che delle inchieste la Fifa addirittura è ben felice («Abbiamo accolto favorevolmente il procedimento, siamo la parte lesa e stiamo cooperando.
Il presidente della Fifa e il segretario generale non sono coinvolti nelle accuse»), poi interviene lui stesso, belando la sua preoccupazione per il brutto mondo in cui gli capita di vivere: «È un momento difficile per il calcio, per i tifosi e per la Fifa…».
In realtà , in queste ore convulse, a Blatter preme la rielezione sopra ogni cosa.
Raccogliendo i frutti delle sue decennali manovre politiche, il presidente uscente nonostante tutto ha un cospicuo vantaggio sullo sfidante, il principe giordano Ali bin Al Hussein, mentre gli altri candidati si sono ritirati, convinti che fosse inutile immolarsi: Blatter ha dalla sua circa 150 voti sui 209 totali. I continenti più grandi e popolosi sono con lui, mentre l’Europa è divisa, anche se il blocco dell’Est voterà Blatter.
Lo sfidante Al Hussein, dopo qualche ora di esitazione, prova a dare una spallata, chissà con quanta convinzione: «È un triste giorno per il calcio.
È necessario trovare una nuova leadership che ripristini la fiducia di centinaia di milioni di sportivi: non si può andare avanti così». E nel centro di Zurigo, protetto dall’anonimato perchè non si sa mai, un dirigente centramericano confida: «La Concacaf ha sempre sostenuto Blatter, però questi arresti sono terribili. È un danno di immagine enorme per la Fifa, considerato il livello delle accuse e il fatto che arrivino dal procuratore de- gli Stati Uniti. Non vorrei che nel segreto dell’urna qualche nazione ripensasse il suo voto, a sorpresa. Anche se è un po’ tardi».
Ma per la Fifa gli arresti riguarderebbero solo personaggi marginali, mariuoli, brontosauri di apparato, che facevano affari illeciti con i diritti tv e il marketing.
Dirigenti già chiacchierati da tempo, come il sulfureo Jack Warner da Trinidad, arrestato nella notte nel suo Paese e subito rilasciato dietro una cauzione di 2,5 milioni di dollari (era uscito dalla Fifa nel 2011 dopo enormi accuse di corruzione).
O il brasiliano Marin, «uno dei più grandi ladri nel mondo dello sport», come lo definisce da sempre Romario, anche se il successore di Marin, Del Nero, fa spallucce: «Ero all’oscuro di tutto». Jeffrey Webb, delle Cayman, aveva iniziato una campagna moralizzatrice nella Fifa, antirazzismo e anticorruzione: invece hanno arrestato pure lui, insieme agli altri sei. Tutti sorpresi all’alba nel loro letto, nelle suite dell’hotel Baur au Lac, cinque stelle con vista sul lago e sui picchi alpini, una dimora da principi, infatti ospita i grandi elettori della Fifa. Gli agenti del Bureau si sono fatti dare i numeri delle stanze dal concierge poi sono saliti di persona, hanno bussato, li hanno portati via. Chi protetto da un lenzuolo, chi da un’uscita sul retro.
Sei di loro si oppongono subito all’estradizione negli Stati Uniti.
Altri sette dirigenti hanno ricevuto mandati di cattura, tra cui l’ineffabile paraguaiano Nicolas Leoz, 86 anni, dirigente della federazione sudamericana per 27 anni, eppure ai mondiali di Italia ’90 fu beccato a rivendere i biglietti della sua dotazione ai bagarini.
Anche questo è stata la Fifa nel trentennio lungo di Sepp Blatter, direttore tecnico nel 1981, poi segretario generale, poi presidente per quattro mandati, quasi cinque.
Ora fronteggia l’ultimo scandalo, eppure è sicuro di farla franca.
Magari domani sera, al momento della proclamazione, farà come nel 2007, quando dopo lo scrosciante applauso dell’uditorio che sancì la sua elezione a presidente, si sciolse in un pianto. Lacrime da coccodrillo, anzi da caimano.
Andrea Sorrentino
(da “La Repubblica”)
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Maggio 28th, 2015 Riccardo Fucile
LA QUOTA DELLE TASSE SU GAS E LUCE: IN ITALIA DAL 34% AL 37%, IN EUROPA DAL 23% AL 32%
I prezzi di elettricità e gas per le famiglie in Europa sono aumentati in media rispettivamente
del 2,9% e del 2% tra la seconda metà del 2013 e la seconda metà del 2014.
Lo comunica Eurostat. Sul fronte dell’elettricità , i prezzi sono aumentati di oltre il 30% dal 2008, mentre quelli del gas del 35%. Le tasse pesano per il 32% sul prezzo dell’elettricità e del 23% su quello del gas.
In Italia, dove i prezzi dell’elettricità e del gas sono aumentati «solo» dello 0,6% e dello 0,5%, le imposte pesano rispettivamente per il 37% e il 34%.
I paesi in cui si sono registrati gli aumenti maggiori nei prezzi dell’elettricità sono Francia (+10,2%), Lussemburgo (+5,6%), Irlanda (+5,4%) e Grecia (+5,2%), mentre i cali maggiori sono avvenuti a Malta (-26,2%), Repubblica ceca (-10,2%), Ungheria (-9,9%) e Olanda (-9,6%). Sul fronte del gas, invece, le bollette sono salite di più in Portogallo (+11,4%), Spagna (+7,5%) e Francia (+4,5%) mentre hanno visto i tagli maggiori in Lituania 8-18,65), Ungheria (-13%), Slovenia (-10,7%), Danimarca (-10,3%) e Grecia (-10,1%).
(da “il Corriere della Sera”)
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