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L’IMPRESA MODELLO DI RENZI A PROCESSO PER EVASIONE FISCALE

Ottobre 18th, 2015 Riccardo Fucile

LA VISITA ALLA MULTINAZIONALE DANIELI IN FRIULI CON SETTE INDAGATI… E PARLA PURE DI TASSE

Ha parlato anche di tasse ed evasione fiscale, Matteo Renzi, ieri a Buttrio (Udine), durante la sua visita alla multinazionale Danieli.
È stato come parlare di corda in casa dell’impiccato: ad ascoltarlo c’era il presidente e amministratore delegato del gruppo Danieli, Giampiero Benedetti, che con altri sei manager della multinazionale friulana è sotto processo per reati fiscali.
Renzi ha detto che “abbassare le tasse non è nè di destra nè di sinistra: è giusto”. Benedetti, parlando dopo di lui, ha confidato di avere “fiducia in questo governo perchè sta dimostrando energia e coraggio e soprattutto perchè ha una visione di sviluppo del Paese”.
Poi gli ha consegnato una scultura che rappresenta un forgiatore: “Nella speranza che lei sappia forgiare il Paese”.
Il processo a sette uomini d’oro della Danieli è iniziato con una “udienza filtro” l’8 ottobre ed è stato rinviato al 18 gennaio 2016.
Benedetti è imputato di evasione e frode fiscale, per non aver pagato 80 milioni di euro su una cifra totale di circa 280 milioni nascosti al fisco, con il trucco della “estero vestizione societaria”, cioè la trasmigrazione all’estero, nei paradisi fiscali, di attività  che hanno invece il loro ponte di comando in Italia.
La Danieli è uno dei leader mondiali nella produzione di impianti siderurgici, un colosso con 11 mila dipendenti, un fatturato di oltre 2.700 milioni di euro, un utile netto di 163 milioni.
Il suo sito web è in inglese e in cinese: l’italiano non serve, visto che l’impresa costruisce acciaierie nel mondo, in Russia e in Brasile, in Corea e nei Paesi arabi.
L’inchiesta della procura di Udine fu rivelata da un articolo del Fatto Quotidiano nel febbraioscorso.
Il nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza friulana, dopo indagini durate due anni, guidate dal procuratore aggiunto di Udine Raffaele Tito, contestò la mega-evasione alla multinazionale con base a Buttrio, ipotizzando tre fattispecie di reato.
La dichiarazione fraudolenta, “mediante un giro vorticoso, ma fittizio di operazioni finanziarie intragruppo” realizzate tra il 2005 e il 2008, per un ammontare di 12.891.551 euro di costi fittizi e 3.899.885 euro di imposta Ires evasa.
Poi l’omessa dichiarazione dei redditi per tre società  considerate estero vestite, cioè con sede formale nel “paradiso fiscale” del Lussemburgo, ma di fatto gestite dal quartier generale di Buttrio, per un giro d’affari di 225 milioni di euro e per un totale di circa 73 milioni di imposte evase, nel periodo 2005-2013.
Infine la dichiarazione fraudolenta “con uso di fatture per operazioni inesistenti” in relazione a fondi occulti e operazioni sospette con una società  degli Emirati Arabi Uniti, tra il 2006 e il 2010.
Nell’inchiesta sono coinvolti,a vario titolo, sei dei più stretti collaboratori di Benedetti: Alessandro Brussi, Enzo Ruscio, Zeno Bozzola, Alessandro Trivillin, Carla De Colle ed Ezio Bianchi.
Tutti si sono detti estranei alle accuse e si sono lamentati per i danni subiti in Borsa dall’azienda dopo la pubblicazione delle notizie sull’indagine.
“Il titolo Danieli, quotato in Borsa, ha registrato perdite di valore dell’ordine di decine di milioni di euro nel giorno della divulgazione della notizia e nel giorno successivo”, aveva scritto l’azienda in una sua nota.

Gianni Barbacetto
(da “il Fatto Quotidiano”)

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ARRAFAEL

Ottobre 18th, 2015 Riccardo Fucile

MATTEO E BETTINO, LE ANALOGIE

Sempre in attesa di uno straccio di pezza d’appoggio per le sue colazioni, pizze, merende, cene e trasferte “istituzionali” accollate ai contribuenti da presidente della Provincia e da sindaco di Firenze, non è forse ozioso interrogarsi sull’albergo scelto dal giovine Renzi per i suoi soggiorni romani di qualche anno fa, quando ancora la Capitale non era cosa sua, bensì l’approdo di un goloso e rampicante provincialotto di belle speranze: il Raphael.
L’hotel di Largo Febo, oggi relais chateau a 5 stelle, ha avuto per quasi vent ‘anni un solo cliente illustre: Craxi.
Pare che Bettino vi alloggiasse gratis in una suite con terrazza-giardino trasformata in quartier generale, grazie alla munificenza dell’amico proprietario Spartaco Vannoni, già  intestatario-prestanome della villa tunisina di Hammamet.
Lì, nello storico albergo dietro piazza Navona, Craxi discusse per anni di politica con i fedelissimi, ma anche di bonifici estero su estero con i suoi tesorieri occulti Tradati, Larini, Giallombardo & C.
Lì, il 15 dicembre 1992, i carabinieri venuti da Milano gli consegnarono il suo primo avviso di garanzia firmato Di Pietro, Colombo e Davigo.
Lì, il 29 aprile 1993, l’ormai ex segretario del Psi festeggiò con una processione di compari il diniego della Camera alle autorizzazioni a procedere contro di lui, presente il Cavaliere con una boccia di champagne.
E poche ore dopo, quando uscì per raggiungere Giuliano Ferrara negli studi di Canale 5, la folla inferocita lo seppellì di monetine e sputi, mentre la satira storpiava il nome Raphael in “Arraffael”.
Di lì il 5 maggio ’94, persa l’immunità  parlamentare, partì per l’ultima volta alla volta di Fiumicino per trasferirsi definitivamente ad Hammamet, sotto l’ala del presidente golpista Ben Alì.
E chissà  mai perchè proprio lì sette anni fa il presidente della Provincia di Firenze e il suo capo di gabinetto Luca Lotti, toscani trentenni e figli di papà  democristiani, scelsero di soggiornare nelle loro trasferte romane.
Domanda legittima, visto che Renzi poco dopo respinse come “diseducativo” il progetto di una piazza fiorentina dedicata a Craxi.
Ma un po’ ingenua: checchè se ne dica, Renzi non è l’ultimo figlio della Dc, nè un ex boy scout cresciuto nel culto di La Pira (oggetto, che Dio lo perdoni, della sua tesi di laurea).
Nelle sue vene scorre sangue craxiano molto più che democristiano. Un anno fa Luca Josi, che Craxi lo conobbe bene nella fase crepuscolare, scrisse sul Fatto una pagina dal titolo “Betteo Renxi e Mattino Cranzi”.
Elencava le analogie fra i due segretari di partito più giovani dell’Italia repubblicana (Craxi agguantò il Psi a 42 anni, Renzi il Pd a 39).
Entrambi disinvolti spregiudicati, spavaldi, sbruffoni, sbrigativi, bulleschi, decisionisti.
Fissati con il “primato della politica” su tutto, anche sulla legge, dunque con la riforma della Costituzione.
Insofferenti alle regole della democrazia parlamentare. Allergici alle critiche (da “Passami il sale” a “Fassina chi?”), sprezzanti con tutti i contropoteri: opposizione, sindacati, stampa libera, pm indipendenti (le due leggi sulla responsabilità  civile dei magistrati le han volute loro, nel 1988 e nel 2014).
Arroganti col mondo della cultura (Craxi a Galli della Loggia: “Intellettuale dei miei stivali”; Renzi e/o Boschi a Zagrebelsky e Rodotà : “Professoroni, soloni, gufi”). Sedicenti “leader di sinistra”, ma portatori di ricette di destra e compiaciutamente circondati da ricconi, stilisti, nobilastri, damazze, sbanchieri e magnager (“nani e ballerine”, per dirla con Rino Formica, critico di entrambi).
Sorridenti a 32 denti (tutti canini), sprizzanti ottimismo obbligatorio, ripresa, crescita, boom, vrooooam, brumbrum.
Sempre in maniche di camicia bianca, ogni tanto con su il chiodo nero (Craxi però esibì il giubbotto di pelle a una tribuna politica: Renzi, dalla De Filippi).
Violatori delle etichette (Bettino si presentò in jeans da Pertini che lo rispedì a casa a rivestirsi, Renzi andò a una cerimonia al Quirinale vestito di chiaro e Napolitano finse di non vedere).
Stessa confusione fra andare al governo e prendere il potere, e fra il pubblico e il privato (Craxi aveva il cognato Pillitteri e il figlio Bobo, Renzi papà  Tiziano e la sorella assessora Benedetta).
Stessa orticaria per il partito, subito liofilizzato in una cerchia di amici obbedienti e amiche adoranti (dal Garofano al Giglio Magico).
Stessa bulimia di potere somatizzata in pinguedine.
Stesso stuolo di leccaculi, adulatori, lustrascarpe.
Stesso vezzo di circondarsi di belle donne (Josi ricordava la Cappiello, la Boniver e la Bellisario da un lato, il trio Boschi-Madia-Moretti dall’altro, cui s’è aggiunta nel frattempo la Ascani).
Stesse manie di grandeur (uno la piramide di Panseca e il viaggio in Cina con decine di cortigiani, l’altro le Leopolde e l’Air Force Renz per aviotrasportare il proprio monumento equestre con tutto il cucuzzaro).
Stesso vizietto di alloggiare a sbafo (uno al Raphael, l’altro nel pied à  terre di Carrai). L’uno testimone di nozze e l’altro figlioccio di Berlusconi.
L’uno incarnazione della Milano da bere, l’altro della Firenze da mangiare.
Non sarà  mica un caso se molti residuati del craxismo han traslocato armi e bagagli dalle parti del renzismo: Ferrara e Minoli, Sacconi e La Ganga, Napolitano e Amato. Ecco perchè il pellegrinaggio del giovin Matteo al Raphael, cioè nella Betlemme craxiana, poco dopo il battesimo alla Ruota della Fortuna e poco prima della cresima alla villa di Arcore, stupisce fino a un certo punto.
Oggi Renzi ce l’ha fatta. È diventato un Craxi senza tangenti.
Ma è ancora così giovane.

Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)

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MONTI DEMOLISCE LA MANOVRA “ELETTORALE” DI RENZI: “COMPRA VOTI CON I SOLDI DEI CITTADINI DI DOMANI”

Ottobre 18th, 2015 Riccardo Fucile

“TAGLIO TASSE SULLA CASA FA GUADAGNARE VOTI MA NON SERVE PER LA CRESCITA”….”LA MANOVRA ASSECONDA GLI IMPRENDITORI

La legge di Stabilità  varata dal consiglio dei ministri giovedì scorso è “perfetta dal punto di vista del consenso” perchè, eliminando le tasse sulla prima casa, “toglie un pezzo di patrimoniale“ e “ognuno può calcolare esattamente quanto pagherà  in meno”.
Peccato che sia “una scelta sbagliata dal punto di vista della crescita e dell’equità  sociale“. La politica economica su cui si basa punta a “comprare il voto degli elettori di oggi con i soldi dei cittadini di domani“.
Il giudizio tranchant è dell’ex premier e commissario europeo Mario Monti, che dalle pagine del Corriere della Sera non risparmia critiche alla manovra di cui Matteo Renzi ha presentato i contenuti con “25 tweet” ma il cui testo definitivo di fatto è ancora in fase di stesura.
Ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, come chiesto da Bruxelles, avrebbe effetti molto più positivi per la crescita, rendendo l’economia “più competitiva e capace di creare lavoro anche per i giovani”, spiega Monti, ma “i moltissimi che ne beneficiano non colgono così chiaramente a chi devono essere grati al momento del voto“.
Per di più finanziare la detassazione del lavoro “tassando un po’ di più il patrimonio” sarebbe stato impopolare, anche se la patrimoniale “c’è nella gran parte degli altri Paesi”.
L’economista e presidente della Bocconi, che durante il suo anno e mezzo a Palazzo Chigi ha varato manovre fiscali lacrime e sangue, ora si allinea con la minoranza del Pd secondo cui la ex finanziaria favorisce soprattutto i più ricchi assecondando “gli animal spirits imprenditoriali più con la rimozione di tasse e regole che con lo stimolo a una forte e rigorosa concorrenza e effettive liberalizzazioni“.
E auspica che la Ue “svolga fino in fondo il proprio ruolo di sorveglianza“, non concedendo all’Italia tutti gli oltre 13 miliardi di “flessibilità ” sul deficit richiesti, perchè “si tratterebbe di un’autorizzazione ottenuta dall’Europa perchè lo Stato italiano possa essere un po’ meno rispettoso verso i cittadini italiani di domani”.
Infatti, ricorda Monti, “la disoccupazione giovanile di oggi è in gran parte il frutto delle politiche del debito degli anni 70 e 80. Sui giovani di oggi sono ricaduti gli oneri di allora”
Sole 24 Ore: “Pressione fiscale invariata, non riduce prelievo nonostante aumento deficit”
E la storia rischia di ripetersi, visto che, come evidenziato anche sabato su Il Sole 24 Ore da un altro economista ed ex rettore della Bocconi, Guido Tabellini, “le decisioni difficili sulle coperture sono rimandate al futuro” attraverso nuove e pesantissime clausole di salvaguardia (aumenti di Iva e accise che scatteranno nel 2017 a meno che il governo non intervenga l’anno prossimo) da 36 miliardi nel biennio 2017-2018.
Quanto alla spending review, quella “vera e propria si riduce a 4 miliardi”. Il resto sono “tagli lineari alle regioni e alla sanità ”.
Un quadro che rende “facile prevedere che gli obiettivi di disavanzo e rientro dal debito saranno mancati“.
Domenica, sempre sul quotidiano di Confindustria, un editoriale del sociologo esperto di statistica Luca Ricolfi afferma poi che la manovra annunciata dal premier come “espansiva” lascerà  “sostanzialmente invariata” la pressione fiscale perchè “le promesse cancellazioni e riduzioni, come il mancato aumento dell’Iva (che non è una riduzione di tasse, ma una rinuncia a aumentarle subito)” si innestano su “32 miliardi di aumenti pianificati”.
Il saldo, scrive Ricolfi, “fa 9-10 miliardi di tasse in più”.
Morale: “Se qualcosa di “sorprendente” c’è in questa manovra è la sua incapacità  di ridurre il prelievo nonostante l’ampio ricorso al deficit, misericordiosamente denominato flessibilità  Ue”.
Dopo aver ribadito che massicci aumenti di tasse sono evitati solo “chiedendo all’Europa di lasciarci continuare a rimandare il pareggio di bilancio“,
Ricolfi individua poi la “linea di politica economica non dichiarata” che ispira la legge: “Alleggerire la pressione fiscale sui produttori, spostandola sulla collettività , senza modificare sostanzialmente l’ammontare del prelievo complessivo”.

(da “Huffingtonpost”)

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