Ottobre 4th, 2015 Riccardo Fucile
PROMETTE SGRAVI SU TASI, IRES E CANONE PER ACCAPARRARSI ELETTORI DI CENTRODESTRA…MA A DESTRA NESSUNO E’ CAPACE DI PRENDERE VOTI A SINISTRA
Un taglio delle tasse che sa di sfida e di Opa ostile sugli elettori del centrodestra.
Del resto Matteo Renzi ha sempre detto: “A me non interessa Berlusconi, interessano i voti che ha Berlusconi”.
L’intento politico del premier è chiaro ed è quello di prosciugare Forza Italia, rendere il partito irrilevante ma soprattutto metterlo in difficoltà alla prova dell’Aula.
“Non solo Verdini, ma dopo il taglio delle tasse che propongo voglio vedere chi, nel centrodestra dilaniato, avrà il coraggio di non votare la legge di stabilità “.
È questo il cavallo di battaglia e il concetto che il segretario del Pd va ripetendo ai suoi in queste ore mentre viene messa a punto la manovra finanziaria che, non a caso, prevede un taglio delle tasse che Renzi definisce “senza precedenti”.
Ad esempio, il taglio dell’Ires per le imprese verrà anticipato al 2016 e riguarderà tutta Italia, non solo il Sud.
“Il prossimo anno – ha annunciato il premier durante la trasmissione ‘In mezz’ora’ – ci sarà un intervento significativo sul lavoro e riguarderà la riduzione delle tasse alle imprese. Il taglio dell’Ires volevamo farlo nel 2017 e invece pensiamo di poterlo anticipare almeno in parte al 2016”.
E poi, ecco il messaggio che Renzi rivolge a quella platea di elettori che storicamente ha sempre guardato a destra più che a sinistra: “Oggi in Italia, tra Ires e Irap, le tasse che pagano gli imprenditori sugli utili sono il 31,4%, la Francia è al 32, la Germania è al 30 e gli altri stanno tra il 25 e il 30. Quella che ce le ha più basse di tutti è la Spagna, al 25%. Io voglio fare meglio della Spagna, sicuramente nel 2017 andremo sotto. Io voglio l’economia più forte d’Europa”.
Quindi, stando a quanto ha detto il presidente del Consiglio, le tasse per gli imprenditori dovrebbero scendere, nell’arco di due anni, di almeno sei punti e mezzo percentuali.
Secondo la Cgia di Mestre, intanto, ogni punto di riduzione dell’aliquota Ires consentirebbe alle società di capitali e ai grandi gruppi di pagare complessivamente 1,2 miliardi di euro in meno di tasse all’anno.
Un modo questo per pescare nel bacino dell’elettorato berlusconiano: pallino da sempre del premier. In fondo, nell’annuncio di Renzi si scorge anche un’accusa al centrodestra e un invito agli elettori che suona più o meno così: “Farò un taglio delle tasse che Berlusconi ha sempre promesso e mai realizzato. Quindi, volete dare retta a un centrodestra smembrato ed egemonizzato da Matteo Salvini o vi fidate di me?”. Tanto che il premier ha voluto puntualizzare questo concetto con queste parole: “C’è un dato di fatto che riguarda Verdini, Alfano, Tosi, Fitto, la Lega di Salvini e Maroni, e cioÄ— che la destra in Italia è molto in crisi e molto frammentata”.
Ed è in questa frammentazione che il Pd targato Renzi vuole andare a conquistare terreno. Terreno prima di adesso inesplorato.
Sul piatto il presidente del Consiglio offre anche la riduzione del canone Rai e annuncia di metterlo in bolletta per combattere così l’evasione fiscale, e poi ribadisce che abolirà la tassa sulla prima casa e l’Imu sui terreni agricoli. Manovra già messa in atto nel 2008 dall’allora premier Berlusconi e che nel 2016 costerà ai Comuni 5 miliardi.
Ma la marcia nella prateria dell’elettorato berlusconiano espone il premier a incursioni a sinistra e ad attacchi da parte della minoranza dem che si sente orfana del suo partito.
“Renzi e Verdini, con i reciproci apprezzamenti e l’impegno a proseguire la collaborazione oltre l’ambito costituzionale anche su fisco e giustizia, confermano – sostiene Alfredo D’Attorre – che ormai si sta consolidando una nuova maggioranza. Siamo ormai alla demolizione anche simbolica dell’eredità dell’Ulivo e del centrosinistra”.
Anzi, con la legge di stabilità “Renzi traccia una linea ideale per l’apertura a destra”.
Nonostante qualcuno tra i parlamentari di Forza Italia, tra cui Mara Carfagna, bolli come “semplice propaganda” gli annunci di Renzi, l’imbarazzo su questo fronte c’è ed è evidente.
Anche perchè lo sfondamento del segretario Pd a destra ormai è più che iniziato.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 4th, 2015 Riccardo Fucile
LE CONTRADDIZIONI DEI FRONTI CONTRAPPOSTI
Non ci ha mai appassionato la caccia al tesoro della Fondazione An da parte delle varie sedicenti componenti della attuale destra italiana, ma al termine della corsa dei ronzini al forziere qualche riflessione vale la pena di farla, perchè anche dietro gli aspetti umoristici si possono trovare le ragioni dello sfacelo della destra nel nostro Paese.
Poichè l’occasione era vista da molti come la possibilità di “ricostruire” una destra credibile viene da porsi alcune questioni:
1) Se destra è legalità , almeno tre colonnelli inquisiti con relativo seguito non avrebbero dovuto avere diritto di cittadinanza a deciderne le sorti future.
2) Se la destra è coerenza, chi ora milita in partiti di centro che c’azzecca, direbbe Di Pietro, con il dibattito in corso? Pensino alle sorti dei loro partiti.
3) Il simbolo di An non può essere dato in affitto a chi tiene lo strascico a un partito antinazionale e xenofobo, in aperto contrasto con la storia e i valori di Alleanza Nazionale
4) E’ ridicolo spendersi per mesi in pseudo-dibattiti interni quando è evidente che chi ha già una sua forma-partito non ha alcuna intenzione di rinunciare al suo 3-4% che garantisce pur sempre la certezza di non dover andare a lavorare.
Ai cognati d’Italia interessa aggregare al carro qualche utile pirla per aumentare dello 0,01% i consensi e stabilizzare le proprie poltrone, non certo disegnare una destra moderna.
5) Dall’altra parte, quella dei ricostruttori quarantenni, ci si chieda: ma come si fa a farsi rappresentare in questa ipotetica battaglia da Alemanno e Bocchino?
E’ come giocare con due difensori esperti in autogol, perderebbe anche il Barcellona contro il Borgosesia.
6) Si noti il fatto che alla fine sono sempre gli stessi a tirare le fila, quelli che hanno distrutto la destra italiana: cambiano partito e costumi di scena, ma sempre caratteristi rimangono.
Mai vista un’opera teatrale di successo senza primattori veri, capaci di occupare la scena con un testo capace di suscitare passioni.
7) La dice lunga che il dibattito si sia fossilizzato sul patrimonio, ovvero sui quattrini: tra chi voleva usarli per finanziare “il nuovo” e chi aveva l’unico scopo di impedirlo per non avere concorrenti al loro “dolce far niente”.
Morale finale: fino a che queste vecchie cariatidi non scompariranno dalla scena, nessun rinnovamento potrà emergere da un ambiente dove loro siano presenti.
Ai tanti giovani che credono ancora in un vero cambiamento un consiglio: imparate a camminare con le vostre gambe perchè andando con gli zoppi si finisce per zoppicare anche se avete un fisico atletico.
E la destra del futuro si disegna con idee nuove, una linea politica coerente, sacrifici e passione, non cercando mappe per raggiungere l’isola del tesoretto.
Troppi pirana in giro.
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Ottobre 4th, 2015 Riccardo Fucile
FINISCE 266 A 222 LA COMPETIZIONE AMATORIALE DEL MUSEO DELLE CERE… I QUARANTENNI NON CE LA FANNO, IL SIMBOLO DI AN RESTA ALLA GRANDE SORELLA
Alla fine della conta, tutto rimane così com’è e l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, incassa la sconfitta.
Passa infatti la mozione di Fratelli d’Italia all’assemblea dei soci della Fondazione An: una riunione che va avanti da ieri all’hotel Midas di Roma tra tensioni continue, accordi mancati e frenesie.
La proposta, intitolata Fondazione per l’Italia, supera infatti la ‘mozione dei quarantenni’ incassando 266 sì su 490 votanti, superando il quorum dei 246 voti.
Per la ‘mozione dei quarantenni’ i voti sono stati invece 222.
Con la prevalenza della mozione Fdi, il partito guidato da Giorgia Meloni potrà continuare ad utilizzare il simbolo di An.
Se avesse vinto la cordata dei ‘quarantenni’, infatti, Fratelli d’Italia avrebbe dovuto dire addio al simbolo di An e appoggiare un congresso per la creazione di un nuovo partito della destra sotto l’egida della Fondazione medesima.
A spuntarla sul filo di lana, invece, è stata la linea Gasparri-Matteoli-La Russa contro i quarantenni, Alemanno e Bocchino.
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Ottobre 4th, 2015 Riccardo Fucile
“IO UN TAXI? CASOMAI UN TRENO”
“Il gruppo Ala non ha alcuna intenzione di entrare nel Pd ma è fondamentale per le riforme – si veda il disegno di legge Boschi in discussione in questi giorni a Palazzo Madama – perchè altrimenti “al Senato non c’è una maggioranza”.
Parola di Denis Verdini, ex plenipotenziario di Forza Italia poi fondatore di Alleanza liberal-popolare, intervistato oggi da Maria Latella su SkyTg24 proprio mentre Matteo Renzi appariva a In Mezz’Ora da Lucia Annunziata su Rai Tre.
Verdini ha parlato a tutto campo ed è stato protagonista di un siparietto quando si è lanciato nel remake di una nota canzone di Domenico Modugno (La Lontananza): “La maggioranza sai è come il vento, che rischia di finire in Migliavacca, quando Gotor si sveglia e poi si inca..a”.
“Il mostro di Lochness non esiste, quindi neppure il mostro Verdini”, ha detto, rivendicando la centralità del suo gruppo e facendo riferimento all’intervista che il presidente del Consiglio ha reso a Repubblica.
E poi: “Io un taxi” che trasferisce voti alla maggioranza? “Casomai un treno”, visto la quantità dei passeggeri.
Ma nega di aver mai pronunciato quella frase: “Mi è stata attribuita in modo vigliacco, non si virgoletta una cosa non solo non detta, ma mai pensata. Non si fa così”.
E neanche il neologismo politico ‘verdiniani’ piace al leader di Ala: “Siamo gente che ha creduto 20 anni nel partito liberale di massa e che non ne condivide un ritorno indietro. Silvio Berlusconi ha funzionato nell’alternanza, meno nella realizzazione del programma. Adesso c’è una situazione nuova: la sinistra guidata da un presidente del Consiglio che non ha un atteggiamento becero, ma un’impostazione liberale, che guarda alle riforme, che favorisce l’efficienza in politica”.
Nessun timore, comunque, che Renzi possa farli scendere da quel taxi: “Noi siamo autonomi, gli amici del Pd che dicono che i nostri voti puzzano devono stare tranquilli, non abbiamo nulla a che spartire col Pd, vogliamo solo dare una scossa alla politica italiana”.
Una scossa provvidenziale, visto che, Verdini ne è certo e snocciola i numeri, “la maggioranza in Senato non c’è, i Pd sono 113 e la maggioranza 160, ne servono 161. Quindi le coalizioni servono. Renzi sta prendendo decisioni che non piacciono a tutto il suo partito. Non si coprano con il nome di Verdini”.
Inciso: il tanto discusso articolo 2 della riforma del Senato è passato ieri in aula con 160 sì e 7 assenze dei centristi di Area popolare.
E sull’esecutivo ha detto ancora: “Adesso c’è una situazione nuova con Renzi che non ha un atteggiamento becero, a volte è anche liberista, forse è solo un po’ in ritardo nelle riforme”.
Giustizia e fisco, per l’ex coordinatore azzurro, sono gli altri temi su cui il governo Renzi dovrà intervenire e su cui il nuovo gruppo è pronto a dare fiducia e sostegno.
Verdini ha anche parlato del caso Lucio Barani, capogruppo Ala a Palazzo Madama, accusato di aver fatto un gesto osceno in aula nei confronti della collega del Movimento 5 Stelle, Barbara Lezzi: “Il livello di discussione che avviene in Senato assomiglia a delle gazzarre”, ma se “Barani avesse fatto davvero quel gesto, ha sbagliato”.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 4th, 2015 Riccardo Fucile
LE GAFFE DEL SINDACO DI ROMA E LA SINDROME DESCHANEL
Onesto è onesto, Ignaro Marino, per carità .
Solo, potrebbe stare più attento alle spese “istituzionali” con la carta di credito del Comune: il noleggio di limousine nelle varie trasferte americane o i pranzi di lusso a Roma con delegazioni di trapiantologi che sostiene di dover allenare in vista delle udienze papali in Vaticano, ecco, insomma, destano qualche piccola perplessità .
Le ferie in America sono un suo diritto e attaccarlo anche per quelle non ha senso. Però, ecco, insomma, questa continua spola di qua e di là dall’Atlantico, tipo pallina da flipper, fa un po’ specie: ma benedett’uomo, se ti piacciono così tanto gli States, chi te l’ha fatto fare di candidarti a sindaco di Roma, città inequivocabilmente sita in Italia?
Un comune americano, a cercar bene, lo trovavi sicuro, anche se è meno certo che gli abitanti ti avrebbero eletto sindaco per disperazione (il privilegio di esser governati nell’ordine da Signorello, Giubilo, Carraro,Rutelli, Veltroni e Alemanno non è mica di tutti).
Sorvoliamo sulle continue gaffe che costellano la sua sindacatura: tipo precipitarsi a Filadelfia per accogliere il Papa che di solito sta a poche centinaia di metri dal Campidoglio e tutto si aspetta fuorchè di essere accolto a Filadelfia dal sindaco di Roma; o insegnare a Papa cosa deve dire il Papa; o rispondere alle polemiche sui due soggiorni ravvicinati in America annunciandone un terzo.
E concentriamoci sulle possibili cause cliniche della precipitosa e preoccupante deriva cabarettistica che sta mettendo a dura prova i nervi dei residui sostenitori.
Soprattutto del presidente Pd e commissario romano Matteo Orfini, sempre più simile all’ispettore Dreyfus, capo dell’ispettore Clouseau: ogni volta che Marino apre bocca, cioè dieci volte al giorno prima e dopo i pasti, Orfini è sempre sul punto di abbatterlo a revolverate o di murarlo vivo in un sottoscala; ma non può, perchè poi si andrebbe a votare e già si sa chi vincerebbe, e soprattutto chi perderebbe.
Il che spiega la giuliva spensieratezza con cui l’allegro chirurgo va ogni giorno al massacro, sfracellandosi su selve di microfonie telecamere, inventando gaffe troppo perfette per non essere studiate a tavolino, nell’olimpica certezza che niente e nessuno lo può toccare. La patologia che pare affliggerlo è ancora in fase di studio, ma gli esperti propendono per la “sindrome Deschanel”.
Paul Deschanel era un politico francese, membro dell’Acadèmie Franà§aise, deputato dal 1885 e due volte presidente della Camera, fino al 1920, quando fu eletto presidente della Repubblica. Purtroppo durò solo sette mesi, dal 17 gennaio al 21 settembre, quando dovette dimettersi per presunti problemi di squilibrio mentale.
Secondo alcuni, la più alta carica della Repubblica gli diede alla testa; secondo altri, deluso dagli scarsi poteri presidenziali, si finse pazzo per farsi cacciare.
Come il barone rampante di Calvino, Deschanel passava gran parte delle giornate appollaiato sugli alberi del parco dell’Eliseo, dove si faceva portare le leggi da promulgare dal primo ministro, i membri del governo e gli alti funzionari. Ed era solito firmarle con la N di Napoleone o con la V di Vercingetorige.
Un giorno ricevette il corpo diplomatico in giardino e davanti a tutti si arrampicò come uno scoiattolo sull’albero più vicino,arringando da un ramo le attonite feluche.
Un’altra volta scrisse una lettera per dimettersi dal suo matrimonio. Spesso nuotava vestito nel laghetto, in compagnia di cigni e anatre che intratteneva in amabili conversari.
Il 24 maggio 1920, atteso a Montbrison per inaugurare il monumento a un eroe di guerra, partì nel pomeriggio in treno da Parigi. Ma quando il convoglio giunse a destinazione, tra l’altro con notevole ritardo, a sera inoltrata, le autorità incaricate di accoglierlo con tanto di banda del paese scoprirono con somma sorpresa che, a bordo della carrozza presidenziale, il presidente non c’era.
Ore di ricerche frenetiche, timori di un rapimento, telegrammi alle prefetture delle città toccate dal treno. A notte inoltrata si scoprì che Deschanel s’era assopito nel wagon-lit con l’aiuto di antidolorifici e sonniferi. Ma poi sentendosi soffocare dal caldo o in preda al sonnambulismo — aveva pensato bene di prendere una boccata d’aria alla finestra di un portellone che non era ben chiuso ed era precipitato dal treno in corsa in aperta campagna.
Ferito e rintronato, aveva vagato per ore in pigiama, finchè s’era imbattuto in un ferroviere addetto alla manutenzione delle rotaie. E aveva tentato di convincerlo di essere il Presidente della Repubblica. Quello l’aveva scambiato per un barbone ubriaco e se l’era portato a casa per medicarlo. Lì la moglie aveva capito che non era un clochard quando gli aveva levato le scarpe, notando che “aveva i piedi puliti e ben curati”.
E aveva avvertito la Gendarmerie, che aveva recuperare il capo dello Stato riportandolo all’Eliseo.
Deschanel rassegnò subito le dimissioni, ma fu convinto dal premier Millerand a ritirarle. Almeno fino a settembre, quando si dimise irrevocabilmente per motivi di salute, con una lettera al Parlamento troppo lucida per venire da un pazzo. Infatti, dopo appena tre mesi di sanatorio, guarì e fu eletto senatore, prima di essere stroncato nel 1922 da una grave malattia, stavolta vera.
Ecco, se puta caso Marino firma una delibera “N” o “V”, o si arrampica su una pianta, quello è il momento di intervenire.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 4th, 2015 Riccardo Fucile
TENSIONE IN ASSEMBLEA E SULL’USO DEL SIMBOLO DI AN DA PARTE DEI FRATELLI D’ITALIA
Sembra un remake di un film già visto. I vecchi colonnelli di An schierati l’uno contro altro a colpi di mozioni e numeri di delegati. E, nell’ombra, l’ingombrante figura di Gianfranco Fini che rischia di allontanare ogni possibilità di intesa.
Sì, perchè è proprio il ruolo che sta giocando l’ex presidente della Camera – o meglio, i suoi fedelissimi all’assemblea – quello che alla fine potrebbe far cadere il faticosissimo accordo sul quale ormai da giorni sta lavorando Ignazio La Russa.
Ieri, il primo giorno dell’assemblea della Fondazione Alleanza Nazionale che culminerà oggi con il voto dei delegati, era la raffigurazione plastica della spaccatura. Di fronte alla sala dell’assemblea, un corridoio con due stanze: a sinistra quella dei «quarantenni» (sostenuti da alemanniani e finiani) che spingono per far nascere un nuovo partito unico della destra sotto l’egida della Fondazione; a destra quella dei Fratelli d’Italia, che rivendicano il loro diritto a rappresentare l’eredità del partito di Fiuggi.
Sul tavolo la «linea» di La Russa: un congresso «rifondativo» di FdI (che manterrebbe nel proprio logo lo storico simbolo con la Fiamma) da convocare entro il 5 aprile (in tempo per compilare le liste per le Amministrative) a cui avrebbero diritto di partecipare due delegazioni «paritarie»: dieci membri della segreteria scelti da Fratelli d’Italia, altri dieci scelti dalla Fondazione.
L’intesa su questo schema sembrava fatta nella notte di venerdì. Ma la mattina di sabato scombina i piani.
Alemanniani e finiani danno uno sguardo alla sala: dei circa 350 presenti (sui 580 aventi diritto) la maggior parte è schierata con loro. È l’occasione per provare a forzare la mano. Viene fatta circolare una nuova bozza di mozione che prevede di togliere il simbolo di An a Fratelli d’Italia e di creare un’associazione politica sotto l’egida della Fondazione. È il segnale della rottura.
Sale il nervosismo tra i meloniani, anche se c’è chi garantische che «domani (oggi, ndr) arriveranno centinaia dei nostri e i numeri torneranno in parità ».
Giorgia abbandona l’assemblea intorno alle 17 ma le consegne lasciate ai suoi sono chiare: «Siamo già arrivati all’ultima mediazione possibile. Se loro non la accettano, andiamo alla conta».
L’altro fronte, invece, non sembra più così compatto. Perchè i «quarantenni», e con loro Alemanno, cercano di evitare la rottura o fanno filtrare che, anche in caso di «vittoria» nelle votazioni, si rimetterebbero subito al tavolo con Fratelli d’Italia.
Ma la componente finiana è molto più agguerrita. Non ha mai digerito lo schiaffo subìto nell’assemblea di due anni fa nè l’isolamento a cui è stata costretta dopo lo strappo di Futuro e Libertà . E ora pare intenzionata a vendicarsi. «Non molliamo» si infervorano i fedelissimi di Gianfranco, «abbiamo la maggioranza».
Per farne cosa? «Vogliono toglierci il simbolo – racconta un meloniano – e rifare An tale e quale. E rimetterci dentro Fini. Una cosa che nel partito di Giorgia non sarebbe mai possibile».
E, d’altronde, qualche settimana fa era proprio l’ex presidente della Camera a «cinguettare» su Twitter: «L’unica cosa che voglio, è avere un luogo in cui poter esprimere le mie idee».
Lo troverà ? Lo si scoprirà oggi, quando la consegna delle mozioni svelerà se si è arrivati all’intesa o all’ennesima resa dei conti del congresso infinito degli ex An.
Carlantonio Solimene
(da “il Tempo”)
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Ottobre 4th, 2015 Riccardo Fucile
LA DIFFERENZA TRA UOMINI E QUAQUARAQUA: SE SBAGLI TI DEVI ASSUMERE LA RESPONSABILITA’
Il Parlamento dei padri costituenti è ormai un ricordo: che stile, eleganza e classe appartengano sempre piu’ al passato è cosa risaputa e acquisita.
Ma che dalle espressioni verbali pur colorite si sia passati ai gesti osceni rivolti a una parlamentare è il segnale che si è oltrepassato ogni limite.
La vicenda che ha visto protagonisti Barani e D’Anna non può che portare a una conclusione: due vaccari del genere devono essere espulsi dall’emiciclo, in quanto offendono gli italiani che dovrebbero rappresentare.
E il partito che li ospita avrebbe dovuto provvedere al loro allontanamento immediato.
Quello che riteniamo inammissibile non è solo il gesto da suburra che li ha visti protagonisti, ma, fatto ancora più grave e sconcio, averlo pure successivamente negato, tipico dei mezzi uomini, incapaci di assumersi responsabilità .
Ascoltare le interviste a Barani e D’Anna che sembrano cadere dal pero, pur essendo stati incastrati il primo da numerose testimonianze, il secondo da un filmato esplicito, è qualcosa di incredibile.
E dimostra l’infimo livello umano della nostra classe politica: in altri Paesi se uno copia una tesi si dimette da parlamentare, chiede scusa ai suoi elettori e si ritira a vita privata.
Da noi i cialtroni pensano di essere bulli di periferia che sperano nella complice omertà dei loro sodali.
Se la caveranno con pochi giorni di sospensione, in attesa della prossima bravata.
L’unica speranza è che prima o poi qualcuna gli gonfi la faccia nei corridoi di Palazzo Madama.
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Ottobre 4th, 2015 Riccardo Fucile
“BARANI VA CACCIATO DAL SENATO E LA CONDANNA DEVE ESSERE UNANIME”
“Cacciarlo dal Senato. Ci vuole un Daspo per i casi come il suo”.
L’avvocato Giulia Bongiorno non fa sconti a Barani per il gesto sessista rivolto contro una senatrice del Movimento 5 Stelle durante una seduta del Senato.
Da sempre impegnata nella difesa delle donne, sua l’associazione “Doppia difesa”, giudica “gravissimo e inaccettabile” il gesto, frutto di una classe dirigente ancora fortemente “maschilista “.
Come punirebbe Barani? Una sospensione?
“Non basterebbe nemmeno cacciarlo, sarei dell’idea di fargli passare i prossimi 10 anni a fare il volontario in un centro contro la violenza sulle donne. La violenza verbale e le discriminazioni sono l’anticamera alla violenza fisica”.
Barani fa parte parte dell’ufficio di presidenza del Senato, quindi domani, se dovesse partecipare si troverebbe a giudicare se stesso, un vero assurdo.
“Non dovrebbe nemmeno partecipare. E dovrebbe chiedere da solo le dimissioni. Non è ammissibile che per fatti di questo genere dopo un breve clamore ci si dimentichi tutto”.
Il regolamento non prevede l’espulsione, ma dopo Barani non dovrebbero cambiare le regole?
“Se fosse capitato in uno stadio le sanzioni sarebbero certamente più gravi. Per casi del genere servirebbe un Daspo per i parlamentari. L’Italia è il Paese pieno di regole, ma vuoto di sanzioni. Invece ne occorrono di rigorose ovunque e soprattutto per chi, come il parlamentare, svolge una funzione delicatissima e rappresenta gli elettori. È essenziale inserire nel regolamento l’espulsione immediata per casi come questo perchè il contrappeso del potere dev’essere la responsabilità “.
Grasso non doveva chiudere la seduta?
“Non credo abbia percepito subito quanto accaduto “.
Ha prevalso il maschilismo?
“Sarebbe stata doverosa una presa di posizione unanime contro un gesto che ha offeso le donne ma anche le istituzioni, sia perchè diretto contro una senatrice, sia per il luogo in cui è avvenuto”.
Come giudica la reazione del Pd?
“Mi colpisce non aver sentito cori di condanna. Le donne di sinistra, che si erano indignate per la vicenda di Berlusconi e le escort, dove sono finite? Le battaglie contro il maschilismo si devono portare avanti a prescindere dai colori politici”.
Tra i pettegolezzi è corso quello che M5s se l’è cercata con la sua opposizione dura…
“Non esistono attenuanti, anche se ci fossero state provocazioni, il fatto è intollerabile e dimostra che in Italia a parole si sostiene che c’è parità tra uomini e donne, ma in concreto il maschilismo è imperante “.
Le sue mancate scuse aggravano il caso?
“Mi sembrano in linea con il gesto. Da chi si sente libero di fare nell’aula del Senato un gesto di inaudita discriminazione nei confronti delle donne non mi aspetto di certo che esprima pentimento. La consapevolezza di non incorrere in sanzioni suscita un senso di impunità “.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 4th, 2015 Riccardo Fucile
INUTILE TIRARE UNA COPERTA CORTA, VA LIBERATO L’ARMADIO DALLE TARME
Proprio non mi piace l’idea della “mediazione” tra i “meloniani” ed i “riformatori” quale criterio per la composizione della contrapposizione in seno alla coeva Assemblea della Fondazione di AlleanzaNazionale.
Il principio secondo cui una “ampia destra” dovrebbe coagularsi intorno a FdI, lo trovo, non soltanto assurdo, ma addirittura ridicolo.
Questione di idee, di visioni, di valori ed anche di persone.
FdI è una versione confusa e confusionaria di destra. Non ha proprio nulla di quello che è stato il patrimonio culturale ed ideale di Alleanza Nazionale e volere, a tutti i costi, farlo diventare il punto di riferimento prevalente per la costruzione di una “casa comune”, è cosa davvero fuori luogo.
Ove mai fosse sfuggito, FdI “non vola”, sia per le idee (che altro non sono che una mera duplicazione delle posizioni di Salvini – a loro volta, per buona parte mutuate dalla le Pen) ma anche per il presunto leader.
La Meloni è una “brava citta”: nulla di più.
Un leader ha ben altre qualità e, soprattutto, ha carisma. Insomma, se davvero, alla fine “dei giochi” (e mi riferisco all’assemblea della Fondazione di AN), si dovesse optare per rinviare tutto al prossimo congresso di FdI, con la partecipazione numericamente paritaria di “meloniani” e “riformatori”, la “cosa” davvero sarebbe ridicola.
FdI si è tanto vantata di aver “fatto le primarie”. Si, ma quali primarie?
Il Presidente non si poteva votare (lo si poteva soltanto “accalmare: “correva da sola”). I delegati “al congresso” furono eletti, non si sa bene in base a quale percorso logico e/o di merito se è vero, com’è vero, che in nessuna pseudo-sezione di FdI era dato incontrarli e/o ascoltarne le idee e le proposte.
Ed anche sulla scelta del simbolo del Partito (la Fiamma la volevano ad ogni costo, anche se a nulla è valso, però), la pantomima di consumò tutta.
Insomma, Fratelli d’Italia è un capitolo da chiudere: coagulare “tutto” intorno a questo prodotto confuso e confusionario non servirebbe proprio a nulla, come peraltro imostrato dai pessimi risultati elettorali degli ultimi anni.
La Fondazione Alleanza Nazionale si dia il coraggio delle scelte ardite e dia l’inizio ad una nuova fase politica: il resto è – e resterà ! – soltanto noia.
E lasciate stare le iniziative culturali o i “giornaletti”.
Capisco che qualcuno sia “a spasso” e che lo dovrà pur trovare un modo per procurarsi un stipendio, ma farlo coi soldi di chi, negli anni, ha “donato i propri beni ed i propri sacrifici alla causa” di una politica di destra, mi sembra davvero indegno.
Sarò oltremodo critico, lo so: ma almeno sono vero.
Non voterò mai per chi non è all’altezza del compito. Chi non merita deve starsene a casa o ritornarci presto.
Salvatore Castello
Right Blu – La Destra Liberale
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