Ottobre 17th, 2015 Riccardo Fucile
CASALEGGIO : “ABBIAMO IL DOPPIO DEGLI ISCRITTI DEL PD”… MA I 200.000 PREANNUNCIATI NON SI SONO VISTI
Sarà uno del Movimento 5 stelle il candidato premier e verrà scelto dai militanti. Ma per ora niente nomi o investiture, nemmeno per il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio.
Dopo le indimenticabili sfide della Formula 1 e i grandi concerti rock, ultimo quello degli Ac/Dc, l’autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola ha aperto le sue porte alla politica ospitando la kermesse nazionale del Movimento 5 Stelle.
Con Beppe Grillo grande mattatore che scalda i motori della sua gente e punta al governo dell’Italia.
Non sono arrivate le 200 mila persone che gli organizzatori si aspettavano alla vigilia, ma nella cittadina romagnola si sono riversati – secondo le forze dell’ordine — tra i 20 e i 30 mila militanti.
La sfida del movimento è tutta incentrata sul governo del paese. Questo obiettivo rimbalza in tutte le parole dei big a 5 stelle.
Ma senza volere spendere nomi, almeno adesso, di candidati. Nè per Palazzo Chigi nè per le elezioni amministrative della prossima primavera che vedranno andare al voto città importantissime come Roma, Milano, Napoli e Bologna.
E naturalmente non sono mancate le critiche al premier Matteo Renzi, chiamato dal palco “l’innominabile”.
Il più deciso è il fondatore Gianroberto Casaleggio, accolto da un tripudio di applausi prima dell’intervento di chiusura di Grillo.
“Siamo quasi 130mila iscritti – dice -, quasi il doppio del Pd. Siamo una forza che sta crescendo. Non possiamo stare troppo all’opposizione. Dobbiamo governare prima che questi distruggano tutto”.
Il guru a 5 stelle fa appello all’onestà : “Noi faremo una finanziaria di 80 miliardi perchè non rubiamo”. E dalla folla urlano tutti “Onestà , onestà “.
Poi chiarisce come verranno scelti i candidati per formare un eventuale governo. “Chiederemo – afferma Casaleggio – agli iscritti di scegliere una squadra, compreso il candidato premier. E poi stileremo un programma pluriennale”.
Poi arriva Grillo, salutato dal consueto boato.
Il comico è in forma e la butta subito sul ridere: “Dobbiamo decidere chi è il guru – dice -! Allora Casaleggio è il guru, io sono l’elevato. E l’elevato è un gradino più sopra del guru”.
E poi parla del suo sogno: “Io ho un sogno -spiega Grillo -, voglio togliere Beppe Grillo dal simbolo, perchè il movimento diventerà vostro”.
La giornata comincia intorno alle 10 di mattina con l’arrivo dei primi irriducibili vestiti con felpe e sciarpe di ordinanza.
Il clima è clemente, e lo sarà per tutta la giornata nonostante alcuni nuvoloni pieni di pioggia. L’umore è quello della festa, di un grande incontro tra gente che si fida reciprocamente l’uno dell’altro.
Molti si vedono per la prima volta, ma i sentimenti che li uniscono sono d’amicizia. C’è l’agorà dove gli eletti arringano attivisti, gli stand dove ci si incontra e si scattano selfie con i parlamentari più noti, il palco dove si alternano i discorsi politici e gli artisti che si esibiscono a titolo gratuito.
Non manca qualche provocazione contro i partiti. C’è il ‘gioco del Grillo’, una rivisitazione del gioco dell’oca in chiave 5 stelle, il gioco dei barattoli con le facce dei politici degli altri partiti da buttar già con una palla come al luna park.
E poi viene distribuita anche la Boccadutri card, per protestare contro la legge che sblocca i finanziamenti ai partiti e che porta il nome del deputato Pd.
Si fa vedere anche il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, al gazebo dell’Emilia Romagna. I suoi rapporti con Grillo e Casaleggio si sono logorati da tempo, tanto che anche quest’anno non parlerà dal palco. A chi gli chiede se gli dispiaccia risponde: “Mah, il giusto… Sono contento di essere in mezzo alla gente, sto incontrando un sacco di gente”
Sull’agorà dei sindaci che doveva tenersi in mattinata, si limita a dire: “Io stamattina ero a Parma a fare il gemellaggio dei 25 anni con una città , quindi non ero qua”, mentre a chi gli chiede se sia deluso o irritato con i vertici del Movimento, risponde: “No, non è vero, non ho mai detto questo”.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 17th, 2015 Riccardo Fucile
LO STUDIO DELLA FONDAZIONE MORESSA HA CALCOLATO IL PESO DEI CONTRIBUTI DI OLTRE 2,3 MILIONI DI IMMIGRATI… GLI IMMIGRATI CONCORRONO ALL’8.6% DEL PIL NAZIONALE
In Italia 620mila anziani devono ringraziare gli immigrati: sono loro a “pagargli” la pensione.
Nell’ultimo anno infatti i lavoratori stranieri hanno versato ben 10,29 miliardi di euro in contributi previdenziali.
Lo sa bene l’Inps: essendo prevalentemente in età lavorativa, i migranti sono soprattutto contribuenti. Non a caso, oggi la popolazione con più di 75 anni rappresenta l’11,9% tra gli italiani, solo lo 0,9% tra gli stranieri
A pesare il tesoretto dei “nuovi italiani” è il Rapporto 2015 sull’economia dell’immigrazione della Fondazione Leone Moressa, che verrà presentato il 22 ottobre a Roma
Secondo le stime Istat, tra 10 anni gli stranieri supereranno quota 8 milioni, con un’incidenza del 13,1% sulla popolazione complessiva.
Nel 2050, rappresenteranno un quinto della popolazione, mentre un italiano su quattro (23,1%) avrà più di 75 anni.
«Dati che evidenziano il peso degli immigrati nel nostro Paese — sottolineano i ricercatori della Moressa — oggi, infatti, 1 italiano su 10 ha più di 75 anni; tra gli stranieri 1 su 100. In altre parole, nei prossimi decenni la popolazione italiana è destinata a invecchiare, mentre tra gli stranieri aumenteranno gli adulti in età lavorativa (oggi abbiamo 1 milione di minori)».
E così già oggi il contributo economico dell’immigrazione si fa sentire soprattutto sui contributi pensionistici.
«Contributi che vanno a sostenere il sistema nazionale del welfare (oltre alle pensioni, anche altri trasferimenti come maternità e disoccupazione) che si rivolge prevalentemente alla popolazione autoctona. Infatti, la voce “pensioni” è una delle voci principali della spesa pubblica nazionale e, vista l’età media, la popolazione straniera ne beneficia in misura molto marginale. Anzi, gli stranieri sono soprattutto contribuenti»
Grazie agli ultimi dati disponibili delle dichiarazioni dei redditi 2014 (anno di imposta 2013), la Fondazione Moressa fa una stima del contributo previdenziale dei nati all’estero.
Nel tempo l’occupazione straniera nel nostro Paese è aumentata arrivando a quasi 2,2 milioni nel 2013 e 2,3 milioni nel 2014. Nel 2013 i loro contributi previdenziali hanno raggiunto quota 10,29 miliardi.
«Ripartendo il volume complessivo per i redditi da pensioni medi, si può affermare che i lavoratori stranieri pagano la pensione a 620mila anziani italiani. Inoltre — scrivono i ricercatori — sommando i contributi versati negli ultimi cinque anni si può calcolare il contributo degli stranieri dal 2009 al 2013 pari a 45,68 miliardi di euro, volume sufficiente per una manovra finanziaria»
Non è tutto.
Il Rapporto 2015 elenca altri aspetti dell’immigrazione che incidono sull’economia del Paese.
Il primo riguarda il Pil prodotto dai 2,3 milioni di occupati stranieri: un valore aggiunto di 125 miliardi, pari all’8,6% della ricchezza nazionale.
A livello fiscale, i contribuenti stranieri hanno dichiarato nel 2014 redditi per 45,6 miliardi, versando 6,8 miliardi di Irpef.
E ancora: le imprese condotte da persone nate all’estero sono 524.674 (8,7% del totale) e producono 94,8 miliardi di euro di valore aggiunto.
Nel periodo 2009/2014, gli imprenditori stranieri sono aumentati del 21,3%, mentre i nati in Italia sono diminuiti (-6,9%).
«Infine — concludono gli studiosi della Fondazione — sebbene non sia possibile quantificare tutti i costi e benefici diretti e indiretti della presenza straniera, il confronto tra i flussi finanziari in entrata e in uscita aiuta a dare la dimensione dell’impatto economico dell’immigrazione: + 3,9 miliardi di saldo attivo per le casse dello Stato ».
Vladimiro Polchi
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 17th, 2015 Riccardo Fucile
IN 13.000 PAGINE I CONTRATTI CONTESTATI: COSI’ SONO LIEVITATI I PREZZI
«Servizio di vigilanza armata, portierato e ronda presso tutti i siti dal 16 febbraio 2015 al 30 settembre 2015 per 15 milioni e 460 mila euro: procedura negoziata senza previa pubblicazione».
«Fornitura ricambi autobus per 58 mila e 873 euro nel 2013: procedura negoziata senza previa pubblicazione».
«Potenziamento alimentazione elettrica depositi di Garbatella e Osteria del Curato per 208 mila euro nel 2013».
«Servizio relativo alla gestione degli asili nido aziendali nei siti Magliana, Tor Sapienza e Prenestina per un periodo di tre anni dal 2015 al 2018 per un milione e 872mila euro: procedura negoziata senza previa pubblicazione».
Eccolo il dossier dell’Anticorruzione sull’Atac, l’azienda dei trasporti di Roma, sugli appalti affidati negli ultimi cinque anni per oltre due miliardi di euro.
Migliaia di contratti per servizi di fornitura e manutenzione che nella maggior parte dei casi sono stati siglati con trattativa privata e dunque violando il codice che regola i lavori pubblici.
In tutto sono oltre 13 mila pagine che il presidente Raffaele Cantone sta analizzando e trasmetterà poi alla Procura e alla Corte dei Conti.
Perchè è vero che l’azienda ha trenta giorni per presentare le proprie controdeduzioni, ma le prime verifiche hanno già dimostrato come la scelta di procedere senza pubblicazione dei bandi di gara abbia fatto alzare in maniera vertiginosa i prezzi.
Provocando un danno economico a una società con il bilancio già disastrato
I frazionamenti per stare «sottosoglia»
È stato l’assessore Stefano Esposito a chiedere la verifica per il periodo compreso tra il 2011 e il 2015 «parliamo di cifre pazzesche, gli affidamenti a Buzzi e Carminati sono briciole a confronto e qualcuno si dovrà porre il problema del perchè sono dovuto arrivare io per porre questo tema».
E i sospetti dell’autorità Anticorruzione sono pesantissimi.
Uno su tutti: per restare sotto la soglia potrebbero essere stati frazionati alcuni appalti.
E in effetti a scorrere l’elenco dei lavori, soprattutto quelli affidati tra il 2011 e il 2012, ci sono alcune cifre che appaiono addirittura troppo basse rispetto alla media. E proprio questo ha alimentato il dubbio che si fosse deciso di dividere gli importi proprio per aggirare i controlli
Si va dai 10 mila e 900 euro per la «sistemazione dei pali sulla linea Roma-Viterbo» ai 3 mila e 900 per la «fornitura del materiale informatico», ma anche ai 120 mila euro per la «fornitura di traverse e legnami per scambi in azobè».
E poi ci sono gli oltre 10 mila euro per la «fornitura di acqua potabile nei siti aziendali» oppure le parcelle per prestazioni legali che oscillano tra i mille e i 41 mila euro.
Sempre rigorosamente affidati con procedura negoziata.
Bagni, auto elettriche e fotocopie
Gli affidamenti che appaiono più interessanti per verificare la regolarità delle procedure avvengono nel 2015.
Per oltre 162 mila euro si è deciso di attivare il «servizio di locazione con facoltà di acquisto di cinque veicoli elettrici per il progetto «Christmas Shopping».
Ben 1 milione e 182 mila euro sono stati invece spesi per il «servizio di noleggio operativo full service di 460 macchine fotocopiatrici digitali multifunzionali a colori e in bianco e nero collegato alla rete aziendale di Atac in configurazione base con opzioni per la durata di 50 mesi».
A conti fatti ogni macchina costa all’azienda 2 mila 570 euro.
Per un milioni e 600 mila euro è stata invece aperta la procedura per «l’affidamento triennale dei servizi e lavori per la gestione, conduzione e manutenzione programmata di 91 servizi igienici automatizzati installati presso le stazioni della metropolitana» mentre le «toilette automatizzate» costano quasi 206 mila euro.
E poi ci sono svariati appalti concessi per il «noleggio dei veicoli senza conducente», addirittura 4 mila euro spesi per effettuare «test e analisi sui tessuti per la gara per il rinnovo delle divise»
La vigilanza armata e il portierato
Capitolo a parte riguarda i servizi di «vigilanza armata, portierato e ronda presso tutti i siti Atac».
A scorrere il dossier confezionato dallo staff di Cantone si scopre infatti che nel 2015 sono stati aperti diversi lotti, tutti con procedura negoziata per importi che vanno dai 67 milioni di euro ai 15 milioni di euro, ma poi si è deciso di affidare ulteriori incarichi della stessa natura e dunque dovranno essere i vertici aziendali a spiegare il criterio seguito nell’affidamento delle commesse.
Ieri con una nota Atac ha dichiarato che «con le gare on line ci sono stati ribassi del 26 per cento e affidamenti diretti sotto l’1 per cento del totale».
Magistrati e Anticorruzione verificheranno se sia vero.
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 17th, 2015 Riccardo Fucile
E’ L’ORA DELL’ADDIO AL PD: “RENZI SE LA VOTI CON ALFANO E VERDINI”
«Non ci siamo assolutamente».
Per Renzi la legge di Stabilità è di sinistra. A lei proprio non piace, onorevole Alfredo D’Attorre?
«È un impianto insostenibile. Porta a compimento la mutazione genetica del Pd».
Teme la nascita del partito della nazione?
«L’abbraccio con la destra mi pare perfettamente coerente con le scelte di fondo. Al centro c’è l’abolizione della tassa sulla prima casa per tutti, compresi i proprietari di castelli. Neppure Berlusconi si era spinto fin lì. A fronte di questo si riduce la spesa per la sanità in rapporto al Pil».
I suoi colleghi della sinistra protestano, ma la voteranno.
«Non c’è nulla per la flessibilità in uscita per le pensioni e ci sono briciole persino insultanti per i dipendenti pubblici, dopo cinque anni di blocco contrattuale. Sul Sud siamo alle chiacchiere…».
Renzi parla di «sorprendente» taglio delle tasse.
«Si dà la priorità ai profitti aziendali senza neppure il vincolo del reinvestimento, anzichè ai redditi da lavoro. E poi c’è la ciliegina sulla torta sull’uso del contante, che trasmette un messaggio inquietante in termini di lotta all’evasione e alla corruzione».
Vuol dire che non la voterà ?
«No, senza correzioni profonde la ritengo invotabile. Renzi se la approvi con i voti di Alfano e di Verdini, non certo con il mio».
Ha paura di ritrovarsi Verdini, D’Anna e Barani nel giardino della «ditta»?
«Verdini ha già saldamente piantato le sue tende nel giardino del Pd».
È un altro penultimatum, o non voterà la Stabilità neppure con la fiducia?
«No, di fronte a questo impianto andrò fino in fondo. Stavolta per me prevarrà la fedeltà al programma con il quale siamo stati eletti nel 2013».
Poi dovrà uscire dal Pd.
«È del tutto ovvio che un voto contrario implica conseguenze politiche. La sua approvazione significherebbe il definitivo distacco del Pd da una rotta di centrosinistra. Contiene misure che rappresentano una demolizione anche simbolica dell’eredità dell’Ulivo. Se queste cose le avessero proposte Berlusconi e Tremonti saremmo scesi in piazza».
Bersani, Speranza e compagni sono sulla sua lunghezza d’onda, o si assume il rischio di una uscita solitaria come già Civati e Fassina?
«Penso che ci sia ancora la preoccupazione di evitare una spaccatura definitiva del Pd. Ma per quanto mi riguarda siamo arrivati a un punto limite e rischieremmo di non essere più credibili dopo un altro voto favorevole».
Spera in una vera scissione?
«Non credo che sarò l’unico deputato pd a non votare la Stabilità , se resta questo l’impianto. E questa scelta sarà condivisa da molti militanti. Invito il resto della minoranza a fare una riflessione. Sul territorio c’è sofferenza e sconcerto. A questa mutazione genetica si aggiunge la sospensione di ogni forma di democrazia interna».
Renzi dice che non fate altro che riunirvi…
«Si è arrivati alla legge di stabilità senza una sola riunione nè di partito, nè di gruppo. Nei territori l’attività democratica è quasi sospesa e addirittura si mette in discussione il ricorso alle primarie per i sindaci. Il Pd è ridotto a un comitato elettorale e all’ufficio stampa del capo».
Farà una «cosa rossa» con Sel, Fassina e Civati?
«Non credo a una riedizione della cosa rossa o esperimenti di sinistra radicale. Se lo snaturamento del Pd arriva a compimento, si apre lo spazio per un soggetto largo e plurale di centrosinistra, ulivista».
Una nuova «ditta», sulla scia del Pci-Pds-Ds?
«Bisogna dare espressione sia a una sinistra di governo moderna, sia a un’area cattolica. Renzi sta trasformando il partito in una forza moderata che sembra guardare a destra molto più volentieri che a sinistra».
Voterà un candidato sindaco del Pd a Roma?
«Il Pd farebbe meglio a promuovere una riscossa civica, dubito che abbia legittimità politica per indicare figure di guida».
Monica Guerzoni
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 17th, 2015 Riccardo Fucile
AL VIA LA KERMESSE CINQUESTELLE A IMOLA
Grillo e Casaleggio tengono sulle spine Di Maio.
Mentre l’autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola si riempie fin dalle 10 del mattino di militanti del Movimento 5 stelle per la kermesse nazionale, i big del movimento continuano con il loro mantra a proposito dei nodi più importanti dell’attualità politica.
A partire dai nomi di un eventuale governo pentastellato e dai candidati sindaci alle elezioni amministrative della prossima primavera.
Beppe Grillo arriva intorno a mezzogiorno e conferma quanto detto da Gianroberto Casaleggio in mattinata. Ovvero che il nome del vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, come candidato premier “non è certo, abbiamo delle regole da rispettare”.
In mezzo alla ressa dei giornalisti il comico genovese addirittura pare escludere il pupillo campano da una squadra di governo. Insomma, è ancora tutto da decidere.
I big del partito, accolti negli stand come delle superstar, non vogliono parlare di nomi nè tantomeno di candidature.
Alessandro Di Battista ripete che non si candiderà per fare il primo cittadino di Roma. “Non sarò io il candidato sindaco perchè devo e voglio finire il mio mandato in parlamento, però veramente vogliamo amministrare Roma e siamo convinti di poterla rendere una città normale”.
Sia Di Battista, sia Nicola Morra fanno elogi ai quattro consiglieri comunali: “Si stanno battendo come dei leoni — dice Morra — e stanno facendo un gran lavoro. E a me piacerebbe una femminuccia come candidata”.
Tra i quattro consiglieri c’è una donna, Virginia Raggi. Chissà .
Anche Di Maio non si sbilancia e vuole parlare solo di programmi e buon governo. “E’ una sfida difficile perchè nelle istituzioni le tentazioni sono molte”.
In ogni caso, insiste: “La novità è che noi rispettiamo le regole. Quindi, avrete un candidato premier che sarà incensurato, un candidato sindaco residente nella città in cui si candida e che non sarà un politicante di mestiere e che non ha fatto più di un mandato. Alle regole – ripete il vice presidente della Camera – non si deroga perchè è l’unico modo per far diventare la nostra comunità di cittadini qualcosa di diverso dalla politica che ci ha distrutti”.
Intanto lo slogan che si ripete sulle t-shirt che spopolano negli stand merchandising a ‘Italia5stelle’ è “Keep calm and M5S al Governo”.
Una kermesse ecologica grazie ad una raccolta differenziata compostabile, a chilometro zero con i prodotti gastronomici locali, anche vegetariani e, come sempre dal basso.
Già iniziati i dibattiti tematici nelle agorà tematiche che spaziano dal microcredito, alla scuola, dalla proposta di abolizione di Equitalia, allo sviluppo delle piccole e medie imprese, fino al reddito di cittadinanza.
Ma sono tantissimi i capannelli di discussione che si formano spontaneamente.
Di fronte al palco dove sono in corso gli ultimi sound check i padiglioni delle Regioni e quelli tematici, disposti su due semicerchi.
Già centinaia le persone che affollano gli stand; i più gettonati quelli di Camera e Senato e lo stand dell’Emilia Romagna.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 17th, 2015 Riccardo Fucile
DAI SINDACATI AGLI INDUSTRIALI, DA BANKITALIA AI COLLEGHI DI PARTITO, DAI PENSIONATI AGLI STATALI
Dopo gli annunci, il bagno di realtà .
Nel day-after della “prima legge di stabilità via twitter”, le misure presentate dal presidente del Consiglio Matteo Renzi e dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan fanno il pieno di critiche. §
Il malcontento è trasversale, va dai sindacati agli industriali, dalle opposizioni fino ai colleghi di partito (anche se di minoranza), dai pensionati agli statali.
A distanza di 48 ore l’hashtag “Italia col segno più” fa perdere le tracce nel dibattito pubblico, mentre i ministri del Governo Renzi sono impegnati tutto il giorno nel replicare alle accuse che vengono mosse alla manovra.
Tant’è che in serata anche fonti di Palazzo Chigi sono costrette a intervenire per dire che”fantasiose bozze e misure riportate dagli organi di stampa sono assolutamente lontane dalla realtà “.
I capitoli della legge finanziaria a finire sotto processo sono tanti, buona parte: i soli cinque miliardi di spending review, la “mancia” per il rinnovo dei contratti degli statali, nessuna flessibilità in uscita per i pensionati e anzi altre “minacce” dalle quali guardarsi. E poi: poche risorse destinate al Sud, il rialzo del tetto al contante che rischia di incentivare riciclaggio ed evasione, l’abolizione indiscriminata della tassa sulla prima casa.
Infine la partita di giro delle nuove clausole di salvaguardia, che vanno a rimpiazzare parte di quelle vecchie introdotte dallo stesso governo Renzi e “azzerate” senza nascondere un leggero autocompiacimento.
Quattro caffè per gli statali.
La reazione più forte alla manovra arriva dal comparto statali. Il governo ha messo sul piatto 200 milioni per il rinnovo dei contratti. Troppo pochi, evidentemente.
I sindacati hanno annunciato una mobilitazione durissima contro quella che definiscono senza mezzi termini una “mancia”, che non tiene conto della sentenza della Consulta che ha giudicato incostituzionale il blocco contrattuale degli anni passati.
Abolizione Imu.
Il day after di Renzi era iniziato con un messaggio, anche un po’ spavaldo, alla Commissione Ue: “Bruxelles non è il nostro maestro che fa l’esame. Non ha titolo per entrare nel merito delle misure”.
I rilievi ufficiali di Bruxelles arriveranno solo a fine novembre. Ma la Commissione Ue non ha mai nascosto di non gradire interventi di riduzione della tassazione sugli immobili. Perchè gli effetti sul Pil sono limitati e concorrono ad aumentare le diseguaglianze sociali.
Così dalla Commissione è arrivata una secca risposta a Palazzo Chigi: “Abbiamo una base legale: tutti gli Stati hanno firmato il Six pack, il Two pack, il Patto di stabilità e crescita e tutto è parte del Semestre Ue”, ha detto la portavoce dei commissari economici Dombrovskis e Moscovici.
L’abolizione dell’Imu è da tempo calamita per le critiche.
Dopo la bocciatura arrivata da Fmi, Commissione Ue e dall’agenzia di rating Moody’s, oggi anche Bankitalia ha stoppato le aspettative del governo Renzi sul taglio della tassa, dato che “potrebbe avere effetti circoscritti sui consumi”.
Quei consumi che, nelle stime di Padoan e Renzi, dovrebbero invece essere rilanciati. Eppure, lo stesso Padoan nel 2013 aveva bocciato – quando era capoeconomista Ocse – interventi sugli immobili: “Le tasse che danneggiano di meno la crescita sono quelle sulla proprietà , come l’Imu, mentre le tasse che, se abbassate, favoriscono di più la ripresa e l’occupazione sono quelle sul lavoro”, aveva detto. Un appello a desistere dal proseguire su questa strada arriva anche dai giovani di Confindustria che chiedono un maggiore impegno sulla tassazione del lavoro.
Capitolo pensioni.
Già prima del varo della manovra, chi si aspettava la tanto annunciata flessibilità in uscita si era messo l’anima in pace.
Non aveva previsto però che l’innalzamento della no tax area (cioè la soglia sotto la quale non si pagano le tasse) annunciato dal Governo alla vigilia del Cdm valesse a partire dal 2017 e non dal prossimo anno.
Non solo: il Governo ha introdotto la salvaguardia per gli esodati, chiudendo così un capitolo aperto dall’esecutivo guidato da Mario Monti e ha mantenuto in vigore l’opzione donna: in sintesi, per le donne resta la possibilità di andare in pensione a 57 anni con 35 anni di contributi e importo pensionistico calcolato con metodo contributivo. Due note di merito.
Tuttavia, a questa misura come a quella della no tax area per i pensionati, è legata una clausola. “Se non verranno reperite le coperture sufficienti – ha spiegato il ministro del Lavoro Poletti- la perequazione delle pensioni, la cosiddetta Letta, verrà allungata al 2017-18”. Tradotto: la rivalutazione integrale delle pensioni rispetto all’inflazione rischia di slittare di un anno.
L’ultima sorpresa.
Alcune delle risorse per attuare la manovra fatta più di deficit (14 miliardi da flessibilità Ue) che di tagli della spesa (5,8 miliardi), dovrebbero arrivare dalla cosiddetta voluntary disclousure, ovvero la collaborazione volontaria per il rientro dei capitali dall’estero.
Il governo stima di poter contare su due miliardi.
Ma la manovra contiene un’altra clausola: qualora non si dovessero raggiungere i due miliardi stimati per il 2016 si “stabilisce l’aumento a decorrere dal 1° maggio 2016 delle accise” su energia, alcol e tabacchi.
Non un bel colpo per l’immagine di un governo che si è vantato di aver “azzerato” le clausole pregresse: 16,8 miliardi in tutto di cui solo 3,2 da intestare al Governo Letta per il 2016: il restante fa tutto capo al governo Renzi.
Sud e tetto per i contanti.
C’è poi il capitolo Sud, per il quale il governo ha stanziato 450 milioni di euro, di cui 150 per quest’anno.
Misura che ha sollevato le proteste sia di sindacati che degli industriali. Lo stesso sindaco di Napoli Luigi De Magistris ha bollato come il “nulla” la quantità di risorse stanziate.
E il presidente della Repubblica Mattarella, pur non riferendosi direttamente alla manovra, ha lanciato un appello a colmare il gap con il resto del Paese.
Problemi arrivano dall’interno del partito sul fronte della lotta all’evasione fiscale.
La decisione di innalzare il tetto per l’uso dei contanti da mille a tremila euro non è affatto piaciuta alla minoranza del Partito democratico.
Il più duro è stato l’ex segretario Pier Luigi Bersani: “Renzi dovrebbe usare argomenti che, almeno, non insultino l’intelligenza degli italiani. Dobbiamo correggere questa decisione, perchè dà un segnale molto preoccupante. L’evasione nel nostro Paese è un fenomeno colossale”.
Su questo elemento va registrato un altro “cambia verso” del ministro Padaon: “La scelta di procedere a un progressivo abbassamento della soglia” all’uso del contante, disse il ministro in un Question Time alla Camera il 19 novembre scorso, “è motivata dall’esigenza di far emergere l’economia sommersa e aumentare la tracciabilità delle movimentazioni per contrastare il riciclaggio di capitali di provenienza illecita, l’elusione e l’evasione fiscale”.
Prima che arrivi il via libera da Bruxelles, il governo Renzi dovrà quindi prepararsi alla lotta interna.
A distanza di 48 ore dalla presentazione della manovra, i tweet sembrano essere volati via. Mentre i dubbi e le critiche restano tutti sul tavolo.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 17th, 2015 Riccardo Fucile
LA VERSIONE BASE SI TRINCERA DIETRO LA VOCE “ULTERIORI EFFICIENTAMENTI”: A BRUXELLES SI GRATTANO LA TESTA
Nonostante il consiglio dei ministri abbia deliberato da parecchie ore, nonostante una pioggia di tweet renziani e lunghe riunioni notturne al Tesoro, i conti della manovra per il 2016 ancora non tornano.
Dei 26,5 miliardi necessari a finanziare tutte le misure presentate dal governo ne mancano all’appello più di tre.
Non stiamo parlando della «clausola migranti» che dovrebbe far lievitare l’ammontare della legge di bilancio fin quasi a trenta miliardi.
Per dirla alla Renzi, qui stiamo parlando di quanto necessario per la «versione base».
Basta dare una rapida occhiata alla tabella che accompagna il comunicato di Palazzo Chigi, per ora l’unico testo ufficiale disponibile, laddove si prevede di reperire 3,1 miliardi da «ulteriori efficientamenti».
Cosa ci sia dentro a questa oscura dicitura non è noto, nè è stato possibile ottenere maggiori dettagli.
La questione è di una certa rilevanza, anche perchè nel «piano programmatico di bilancio» scritto dagli uffici di Piercarlo Padoan e già spedito alla Commissione europea si legge che l’anno prossimo i «risparmi di spesa» ammonteranno «allo 0,5 per cento del Prodotto interno lordo», circa otto miliardi, ben più dei cinque annunciati da Renzi in conferenza stampa.
Come è possibile
Torniamo alla tabella pubblicata da Palazzo Chigi.
Le voci che dovrebbero contribuire ai risparmi sono due: oltre agli «ulteriori efficientamenti» c’è quella dedicata alla «spending review» stimata in 5,8 miliardi.
Di quest’ultimo aggregato sappiamo tutto, ovvero che somma i tagli lineari ai ministeri (due miliardi), i risparmi che si calcola di ottenere con una stretta agli acquisti di beni e servizi dello Stato (altri due miliardi) e dalla riduzione della spesa tendenziale della sanità per altri 1,8 miliardi.
Dunque? Come mai la somma delle due voce fa 8,9 miliardi, più degli otto citati dal documento del Tesoro?
E a cosa riporta la voce «ulteriori efficientamenti»?
Secondo alcuni lì sarebbero calcolati gli effetti di una diversa contabilizzazione delle spese regionali per oltre un miliardo.
Altri sostengono che comprende entrate straordinarie ancora da definire e la ridestinazione di fondi inutilizzati.
A Bruxelles si grattano la testa, in attesa di chiarimenti.
Alessandro Barbera
(da “La Stampa”)
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Ottobre 17th, 2015 Riccardo Fucile
PADOAN RISPARMIA 1.073 EURO, LA MADIA 1.162 EURO, GENTILONI 1.024 EURO, PINOTTI 875, FRANCESCHINI 357, ALFANO 258
Alla fine Matteo Renzi ha realizzato il sogno di Renato Brunetta.
L’ex ministro berlusconiano ha sempre sofferto molto quando arrivava il momento di mettere mano al portafogli per pagare la vecchia Imu e poi la Tasi.
Dal prossimo anno, almeno, riuscirà a evitare l’imposta sulla sua villa romana in zona Ardeatina, grazie a Matteo Renzi.
Quando c’era ancora quella sanguisuga del governo Monti, il capogruppo di Forza Italia aveva pagato addirittura 2 mila e 750 euro per la sua villa con piscina e altri 7 mila euro circa per le altre ville e villette sparse per l’Italia, da Ravello in Campania a Montecastello di Vibio, un paesino vicino a Todi in Umbria, passando per la natia Venezia e per Riomaggiore nelle Cinque Terre.
Nel 2012 uscendo dalla banca sfinito dal salasso, Brunetta consegnò il suo grido di dolore a La Zanzara di Radio 24: “Ho dovuto prendere un mutuo in banca per pagare la seconda rata”, disse.
Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha pensato bene di eliminargli il problema almeno per l’abitazione principale.
Finalmente la magione composta di due piani, 5 bagni, 10 camere, due ripostigli, due cabine armadio, per complessivi 14 vani catastali più una bella piscina nel verde circondata da un giardino di 1.300 metri, non pagherà più i 2.750 euro della vecchia Imu ma nemmeno i 1.477 euro che comunque costava la Tasi di Letta al povero Brunetta.
L’ex ministro non pagherà nulla come un qualsiasi nullatenente.
La politica di sinistra oggi funziona così: la tassa sparisce per tutti, proprietari di ville con piscina e reddito di 300 mila euro lordi all’anno, come Brunetta, e poveracci possessori solo di una stamberga.
Per comprendere l’effetto concreto del provvedimento appena varato, abbiamo provato a verificare quanto risparmieranno, oltre a Renato Brunetta, i ministri del governo Renzi.
Ovviamente, non al fine di dimostrare inesistenti conflitti di interesse, ma per far comprendere quanto possa essere insensato distribuire un vantaggio simile a pioggia, senza tenere conto del reddito dei beneficiari.
L’articolo 53 della Costituzione stabilisce la progressività del carico fiscale mentre l’abolizione secca della tassa sulla prima casa ha un effetto addirittura regressivo nel senso che avvantaggia di più i ricchi e di meno i poveri.
Proprio guardando agli effetti positivi e ingiustificati sul loro portafoglio della norma, i ministri avrebbero potuto rendersi conto della sua iniquità .
Prendiamo il caso della villetta del presidente del Consiglio in quel di Pontassieve, a pochi chilometri da Firenze. Matteo Renzi e la moglie Agnese nel 2016 risparmieranno (grazie alla riforma dello stesso Renzi, ma questo è un dettaglio davvero insignificante) 797 euro, tanto hanno versato nel 2015 per la Tasi sulla prima casa.
Qualcuno potrebbe chiedersi perchè il possessore di una villa con 12,5 vani catastali composta di salone, 4 stanze, 4 bagni, soffitte e giardino di mille metri, del valore secondo gli stessi Renzi pari a 1 milione di euro, non debba pagare un euro di imposta a prescindere dal reddito (nel caso di Renzi 99 mila e 900 euro nel 2014).
Anche il ministro Pier Carlo Padoan non avrà gioco facile nello spiegare perchè il suo appartamento di 9 vani catastali a Roma, sulla via Cassia, non pagherà più 1.073 euro di Tasi ogni anno.
Padoan è un economista e ha cercato di resistere finchè ha potuto al suo premier. Renzi però voleva a tutti i costi abolire l’imposta per tutti in modo da confezionare uno slogan facile e “berlusconiano”.
Padoan avrebbe potuto stabilire dei criteri di esclusione sulla base del reddito, ma alla fine si è piegato ammettendo: “È vero che avvantaggia soprattutto i proprietari più ricchi, ma occorre tenere presenti le peculiarità di un paese come l’Italia, dove più di tre quarti delle famiglie possiedono un immobile”.
Tradotto: tre quarti dei contribuenti-elettori si ritroveranno sul conto corrente un vantaggio concreto (non pagando la Tasi sulla prima casa) proprio a ridosso delle prossime elezioni amministrative.
Alla fine la linea Renzi ha vinto e il ministro Padoan non ha potuto escludere dall’abolizione della Tasi nemmeno un caso estremo come quello del contribuente Pier Carlo Padoan, un tale che risparmierà 1.073 euro nonostante abbia guadagnato nel 2014 la bellezza di 269 mila euro.
Un discorso simile può valere per Marianna Madia.
Il ministro della Semplificazione guadagna 101 mila euro lordi all’anno e forse avrebbe potuto far fronte alla Tasi di 1.162 euro per la sua bella casa romana.
Invece dal 2016 non pagherà nulla, come il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni Silveri: ai suoi 109 mila euro di reddito annuo, non dovrà più sottrarre i 1.024 euro di Tasi dovuti nel 2015 per il suo appartamento a due passi dal Quirinale.
Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, per la sua casa di Genova risparmierà 875 euro di Tasi.
Mentre il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, si fermerà a 357 euro per la sua abitazione di Ferrara.
Il ministro dell’Interno Angelino Alfano avrà solo 258 euro in più da spendere grazie all’abolizione della Tasi sulla sua casa di Agrigento e il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina potrà smettere di pagare 325 euro per una casetta nel Bergamasco.
Il guadagno scende parallelamente alla ricchezza patrimoniale.
Infatti il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, come altri ministri e come milioni di italiani, non avrà alcun guadagno perchè non possiede abitazioni. Poco male.
In fondo, lei è di centrodestra e non ha chiesto il voto agli italiani per fare una politica di sinistra.
Marco Lillo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 17th, 2015 Riccardo Fucile
A UN BALLOTTAGGIO PER COALIZIONI IL PD VINCEREBBE DI CIRCA 4-5 PUNTI SIA CONTRO GRILLINI CHE CENTRODESTRA
Pd in scivolata quasi verticale, Cinque Stelle che avanzano passo dopo passo.
E poco più di 5 punti percentuali di distacco.
Intanto, dietro, molto dietro, Forza Italia sorpassa di nuovo la Lega Nord, tornando a essere il terzo partito.
E’ la sintesi del sondaggio di Demos per Repubblica che fotografa una situazione che già era emersa in altre rilevazioni, per esempio quella di Ixè per Agorà .
Mentre infatti l’indice di gradimento nei confronti del presidente del Consiglio Matteo Renzi, secondo Demos, è in leggera crescita, il Partito Democratico cala.
Ed è difficile legarlo solo al caos del Comune di Roma e alle dimissioni del sindaco Ignazio Marino, come sembrava in questi giorni.
Il Pd in un mese ha infatti perso l’1,3 per cento.
E le conseguenze si sentono anche nell’elaborazione dei risultati sui ballottaggi: secondo l’istituto diretto da Ilvio Diamanti, si riduce la distanza tra il Pd e il M5s e tra il Pd e una “listona” (o una coalizione) formata da Lega Nord e Forza Italia.
Anzi, il centrodestra avrebbe addirittura più chance di vittoria dei grillini.
Il Pd mai così male, il M5s in crescita da gennaio
Il Pd è dato al 31,8 contro il 33,1 di settembre: è il punto più basso toccato dal partito di maggioranza relativa da quando c’è Renzi, addirittura peggiore del minimo nella serie registrata da Demos (32,2).
Il secondo partito è il Movimento Cinque Stelle, al 27,2, in salita costante da gennaio (19,7, poi 20,4 a marzo, 26,1 a giugno, 26,7 a settembre).
Forza Italia ri-sorpassa la Lega e torna terzo partito
Una piccola notizia è anche Forza Italia che rialza la testa o meglio la Lega Nord che ha iniziato a sgonfiarsi e sembra aver lasciato alle sue spalle la sua performance migliore, come se la “scomparsa” della questione migranti dall’agenda politica e dalle presunte “emergenze” avesse svuotato anche le potenzialità nell’urna del Carroccio.
I berlusconiani, che tornano a essere la terza forza, attualmente sarebbero al 13,2 (dopo aver toccato il fondo con l’11,4 a settembre, ma altri istituti li danno sotto al 10).
La Lega, invece, vede asciugare il proprio bacino elettorale al 12,5 (contro il 14 di giugno e settembre).
Alla Camera entrerebbero Fdi, Sel e Alfano
Tra gli altri partiti che riuscirebbero a superare la soglia di sbarramento per entrare nella nuova Camera disegnata dall’Italicum ci sono Fratelli d’Italia (4,5, in lieve aumento), Sel e altri di sinistra (4,2, più o meno stabile rispetto a settembre, ma in calo rispetto a inizio estate) e Area Popolare (Ncd e Udc), anche se resta molto a rischio, al 3,1, anche in considerazione del fatto che in sondaggi come questi (con circa mille risposte) il margine d’errore è del 3 per cento.
L’area grigia di chi non risponde o dichiara che si asterrebbe è intorno al 35 per cento.
Ballottaggi, il centrodestra meglio del M5s contro il Pd
Poi lo scenario dei ballottaggi.
Il primo aspetto che salta all’occhio è che il Pd, nel duello finale per la conquista del premio di maggioranza e quindi del governo, vincerebbe sia contro il M5s sia contro il centrodestra, ma vede ridurre il margine in entrambi i casi. Pd contro Cinque Stelle finirebbe 52,7 contro 47,3, mentre a settembre il distacco era di 7 punti.
Ancora più stretta sarebbe la distanza tra Pd e Lega Nord (intesa come una lista unica di centrodestra con Fi): 51,7 contro 48,3. In questo caso, un mese fa, i punti di differenza erano addirittura 8 (quasi 54 contro il 46).
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