Ottobre 16th, 2015 Riccardo Fucile
COME PER LA SPAGNA CHE SI ERA VISTA BOCCIARE LA FINANZIARIA, ALLA FINE PREVALE L’ESIGENZA DI NON FAVORIRE PODEMOS E CINQUESTELLE IN VISTA DELLE SCADENZE ELETTORALI
“Bruxelles non ha alcun titolo per intervenire nel merito delle misure della legge di stabilità : non è il nostro maestro. Gli diamo 9 miliardi netti ogni anno e non è che ci deve dire qual è la tassa giusta da tagliare. Se Bruxelles dice no alla finanziaria, la ripresenti uguale e dici ‘peccato sì…’.La subalternità italiana in questi anni è stata particolarmente sviluppata nei confronti dei burocrati di Bruxelles”.
Non è Yanis Varoufakis ma Matteo Renzi. Che succede?
Succede che il premier italiano va alla guerra sulla legge di stabilità . La guerra è con Bruxelles ma lo sguardo è rivolto all’Italia: alla sfida delle amministrative 2016 che già si prospettano come un corpo a corpo del Pd con il M5s.
A sentir parlare il presidente del Consiglio stamani a Radio24, dopo la nottata passata a Bruxelles al consiglio europeo sull’immigrazione, sembrava di sentire l’eco delle sparate dell’ex ministro dell’Economia greco contro l’Europa nei giorni caldi della trattativa sul debito di Atene quest’estate.
Toni duri, che risultano ancor più sprezzanti se messi insieme al clamoroso ritardo con cui ieri il presidente del Consiglio ha deciso di presentarsi al vertice europeo.
A dir poco irrituale e certo inedito per un governo italiano, se si eccettuano le innumerevoli gaffe di Silvio Berlusconi con le istituzioni europee.
Al fondo, naturalmente, c’è il fatto che Varoufakis e Renzi sono Zenit e Nadir in politica.
Il primo avrebbe strappato ogni regola europea e infatti si è dimesso per non firmare il memorandum di luglio.
Il secondo si pregia di “stare dentro le regole europee” ma allo stesso tempo attacca. Perchè?
Il motivo, segnalano dalla sua cerchia, non sta nel fatto che la legge di stabilità licenziata ieri dal governo sia davvero in bilico rispetto al giudizio che ne darà la commissione europea entro fine novembre.
Certo, oggi la portavoce del Commissario Ue agli Affari Economici Pierre Moscovici, Annika Breidthardt, ci ha tenuto a far sapere a Roma che la Commissione “ha le basi legali” per entrare nel merito della manovra.
Ma il presidente del Consiglio parla sapendo che la sua finanziaria non verrà rispedita al mittente.
Pur sgradita all’Ue che avrebbe preferito un taglio delle tasse sul lavoro piuttosto che l’eliminazione della tassa sulla prima casa, la legge di stabilità verrà accolta, magari con raccomandazioni e certo senza la ‘clausola migranti’, cioè privata dello 0,2 per cento di flessibilità in più chiesta da Roma.
Ma Renzi sa che ha passato l’esame: lo sa dal giorno del vertice con Angela Merkel prima dell’estate, quando, alla vigilia del referendum greco del 5 luglio, in piena guerra dell’Ue contro Atene, lui si schierò con Berlino.
Da quell’incontro con la Cancelliera e in base al solido rapporto costruito con lei negli ultimi due anni, il premier ha in tasca tutte le rassicurazioni necessarie per aspettarsi l’ok europeo alla manovra (con la flessibilità per riforme e investimenti, 2,2 per cento del rapporto deficit-pil) e per permettersi di alzare la voce.
Lo scontro è funzionale alla campagna elettorale per le amministrative in grandi città come Roma, Milano, Napoli, dove l’avversario diretto è il M5s, forza politica che raccoglie consensi anche per la sua carica anti-europea.
Certo non sono le politiche, ma possono esserne una prova generale. E le cancellerie europee avranno tutto l’interesse a sostenere lo stabilizzatore Matteo Renzi, piuttosto che gli anti-sistema a cinquestelle.
Lo si è visto un po’ con quello che è successo sulla legge di bilancio spagnola. Era stata data per spacciata dalla Commissione Ue: bocciata.
Ma poi, come raccontato da Federico Fubini sul Corriere della Sera, per intervento di Berlino, quello che sembrava un ritorno al mittente della legge, una rispedizione a Madrid, si è trasformato in una “reprimenda” per il governo del Popolare Mariano Rajoy.
Ce n’è abbastanza per intuire un intervento da parte della Cancelliera in aiuto al suo collega di schieramento (Ppe) in vista delle politiche spagnole del 20 dicembre, dove Rajoy dovrà vedersela con i socialisti e soprattutto con la nuova forza ‘anti-sistema’ di Podemos.
Del resto, Merkel e Rajoy sono della stessa famiglia politica. Non così con Renzi, certo, ma in Italia non c’è un’alternativa forte nel centrodestra, dove per giunta emerge l’anti-sistema Matteo Salvini.
E’ anche vero che in Italia nel 2016 non ci sono le politiche. Ma ciò non toglie che l’Ue non sia interessata ad una destabilizzazione del quadro istituzionale italiano, proprio ora che anche l’Economist, intervistando Maria Elena Boschi, scrive: “E se l’Italia fosse il Paese più stabile d’Europa? L’idea sembrerebbe assurda, ma dopo la l’approvazione di una vasta riforma costituzionale da parte del Senato il 13 ottobre non lo è più tanto”.
Dunque, nessuno schiaffo europeo in arrivo sulla legge di stabilità , a parte il no sulla clausola migranti che però il premier ha già messo in conto (“Non è scontato”, ammette).
E lo scontro tra Renzi e l’Ue è propedeutico a indovinare il trend giusto del momento per vincere la sfida elettorale dell’anno prossimo e poi nel 2018.
Molta comunicazione, mentre la sostanza è nella legge di stabilità , tutta rivolta alla classe media, magari proprietaria di più abitazioni, che Renzi deve conquistare o fidelizzare; agli industriali, che il premier incontra vis-a-vis ogni volta che può scavalcando Confindustria; ai commercianti, corteggiati con la soglia sul pagamento in contanti alzata a tremila euro.
Tutto pronto: direzione Campidoglio, Palazzo Marino, Palazzo San Giacomo. Passando per Bruxelles.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 16th, 2015 Riccardo Fucile
PD SCENDE DAL 35,1% AL 33,9%, I GRILLINI SALGONO DAL 24,9% AL 26%… STABILI LEGA 14,3″ E FORZA ITALIA 9,7%… CONTINUA A CALARE FRATELLI D’ITALIA AL 2,8%, SOTTO LA SOGLIA PER ENTRARE IN PARLAMENTO… CALA LA FIDUCIA IN RENZI
Si potrebbe chiamare effetto Marino che da Roma si allarga al resto d’Italia.
Secondo il sondaggio di Ixè per Agorà si tratterebbe quasi di un travaso di voti: dal Pd al Movimento Cinque Stelle, con i partiti di centrodestra praticamente immobili.
Il Partito democratico perde più di un punto in una settimana, il M5s ne prende più di uno.
Non è scientifico, ma il sospetto è forte: il Pd è dato al 33,9, contro il 35,1 della scorsa settimana, mentre il bacino elettorale dei grillini sale dal 24,9 al 26 per cento.
Non basta, dunque, l’approvazione al Senato (e il successo politico) del ddl Boschi. Tutto, o quasi, come prima nel centrodestra, con la Lega Nord al 14,3%, (+0,3%) e Forza Italia stabile al 9,7%.
Se si votasse oggi, l’affluenza sarebbe al 65,3% (10 punti in meno delle Politiche 2013).
Tra gli altri partiti riuscirebbero a superare la soglia di sbarramento del 3 per cento per entrare in Parlamento Sel (4,1 per cento, -0,3), Area Popolare (Ncd più Udc, 3,4, più 0,2), mentre resterebbero sotto i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni (2,8%, 0,4).
E l’effetto Marino sembra coinvolgere anche l’indice di gradimento per il presidente del Consiglio Matteo Renzi e per il governo che guida.
In una settimana, secondo Ixè, il capo del governo passa dal 32% al 31% mentre il governo perde 2 punti (27%), tornando ai minimi storici registrati ad agosto.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 16th, 2015 Riccardo Fucile
IN SENATO SI CONTA SU ALTRI ARRIVI DA FORZA ITALIA
Non sono le sorti della legge di Stabilità a impensierire Renzi: «È un lavoro strepitoso, voglio vedere con quale faccia le voteranno contro», dice il premier ai collaboratori, riferendosi non solo alla minoranza interna ma anche al centrodestra messo in difficoltà da questo tipo di manovra.
E non sono nemmeno i movimenti della maggioranza, con Gaetano Quagliariello che punta a dire addio dal Nuovo centrodestra
«I numeri ci sono lo stesso», rassicura il premier.
Il quale, peraltro, se avesse temuto l’addio dell’ex coordinatore ncd, non si sarebbe rifiutato, di fronte alle insistenze di Angelino Alfano, di affidargli il ministero delle Regioni, ma anzi glielo avrebbe offerto per trattenerlo.
Ma non ne ha bisogno: ci sono 4 senatori di FI in arrivo.
E, comunque, onde evitare ulteriori fibrillazioni, è stata rinviata a dicembre la votazione per la riconferma o meno dei presidenti delle commissioni del Senato.
Sempre per lo stesso fine, il premier maneggia con prudenza la questione della revisione dell’Italicum. Ncd e Scelta civica gli hanno chiesto di reinserire il premio di coalizione.
E lui agli alleati non ha detto un «no» ultimativo come quello che ha pronunciato pubblicamente
Dunque, che cosa fa impensierire veramente il premier? L’appuntamento con le urne.
Benchè Renzi sottolinei con i suoi interlocutori di questi giorni, che «sono elezioni che non hanno niente a che vedere con il governo», è chiaro che Renzi non intende affrontare un’offensiva mediatica e politica contro l’esecutivo, in caso di sconfitta del Pd.
Per questa ragione, al Nazareno hanno cominciato a commissionare sondaggi a tutto spiano. Sullo stato di salute del partito, che in alcune città , come Roma, è tutt’altro che eccellente (17-19 per cento), ma anche sui grillini, che invece sono dati in crescita e che nella Capitale doppiano il Pd.
Il premier, comunque, punta molto su Gabrielli e il suo «dream team»: «Dimostreremo che a Roma è possibile fare qualcosa di positivo».
Migliore la situazione a Milano, ma, stando ai dati raccolti finora, la vittoria sarebbe assicurata solo se si candidasse il commissario per l’Expo Giuseppe Sala, che tutti i sondaggi danno per favorito.
A Napoli, come a Roma, le cose sono più complicate, tant’è vero che l’altro giorno Lorenzo Guerini ha dovuto fare una frenata sulle primarie e, in un’intervista al Mattino , ha spiegato che prima di procedere a questo tipo di consultazioni è necessario costruire un progetto attorno a una candidatura forte
Già , anche le primarie possono rivelarsi un problema, in questo momento, per il Pd.
Il segretario ha ribadito pubblicamente che si faranno, ma, ospite in tv di Fabio Fazio, ha anche detto di sperare che i cittadini votino bene.
Segno che qualche inquietudine ce l’ha. Perchè, come ha spiegato ai suoi: «Figuriamoci se proprio io posso essere contrario a questo strumento fondamentale, ma bisogna stare attenti perchè le primarie possono diventare una resa dei conti interna».
Insomma, ci sono problemi di non facilissima soluzione rispetto alle Amministrative.
Sarà per questo che le elezioni verranno indette il più tardi possibile, nella prima o nella seconda domenica di giugno?
Certo, Renzi ha pur sempre dalla sua il referendum consultivo per prendersi una eventuale successiva rivincita («Su quello spianiamo tutti») e tra i suoi c’è ancora chi spera nell’abbinata elezioni-referendum, ma le Amministrative, soprattutto a Roma, sono comunque a rischio.
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 16th, 2015 Riccardo Fucile
GLI ORGANIZZATORI SI ATTENDONO 200.000 PRESENZE
Ci sono due ragazzine con lo zaino in spalla, appena uscite da scuola, che non stanno più nella pelle e chiedono a un cameriere del bar della piazza centrale se è vero che J-AX e Fedez hanno appena fatto colazione lì.
Qualcuno dice di sì, altri si stringono nelle spalle.
Due anziani scrutano il loro mazzo di carte per la loro ennesima sfida a briscola e non sanno nemmeno di chi si stia parlando.
Un altro butta giù il primo bicchiere di vino e continua a sfogliare sonnacchioso la “Gazzetta dello Sport”.
Siamo a Imola e anche da queste piccole cose si sente che tutto è pronto per la kermesse nazionale del Movimento 5 stelle che si terrà all’autodromo Enzo e Dino Ferrari il 17 e 18 ottobre.
Un evento in cui i 5 stelle vogliono caratterizzarsi come futura forza di governo. E puntano a 200 mila presenze.
Dopo il primo raduno del 2014 al Circo Massimo a Roma, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio hanno scelto per l’Italia a 5 stelle la città romagnola che ha dato i natali al fondatore del partito socialista italiano Andrea Costa e che dal dopoguerra a oggi ha sempre visto nelle giunte comunali il dominio delle tinte rosse del fu Pci-Pds-Ds e ora Pd.
Insomma, se sulle sponde del fiume Santerno sono abituati ogni estate a cuocere salsiccia e castrato senza sosta alla Festa dell’Unità e ad accogliervi i big del Pd che da Roma non perdono occasione per fare un salto nella terra rossa per eccellenza, un raduno così organizzato e per giunta nazionale di un altro movimento politico non si era mai visto.
Nè probabilmente era immaginabile fino a pochi anni fa.
Questa sera ci sarà una sorta di anteprima con una cena di autofinanziamento organizzata all’Hotel Molino Rosso con i parlamentari a 5 stelle.
Costo a persona 30 euro, con la scelta tra il menu tradizionale e quello vegano. Dall’organizzazione dicono di avere già fatto il pieno e non ci sono più posti liberi. Per finanziare l’evento la raccolta fondi lanciata sul blog di Grillo ha dato i suoi frutti: oltre 10 mila persone hanno fatto una donazione consentendo al M5s di raccogliere poco più di 400 mila euro sui 500 preventivati.
Gran parte dei fondi arriveranno tuttavia dalla raccolta durante la manifestazione dove verranno allestiti stand per la vendita di gadget e generi alimentari.
Una grande festa di popolo, per cui gli organizzatori si attendono fino a 200 mila presenze.
A chi chiede se sarà questa l’occasione in cui il Movimento 5 stelle presenterà la proprio squadra di governo o l’incoronazione di Luigi di Maio come candidato permier, “ci sarà una sorpresa su questo tema – risponde Roberta Lombardi, in prima linea nell’organizzazione del raduno – ma la scoprirete solo venendo a Imola”.
Di certo, a fronte di un’organizzazione capillare dell’avvenimento che ha visto impegnati 500 volontari, la ‘scaletta’ degli interventi sul palco non è stata ancora resa nota in maniera dettagliata. Casaleggio e Dario Fo dovrebbero parlare sabato sera, mentre Grillo andrà come sempre a briglie sciolte.
Nell’area destinata all’evento sono stati predisposti un palco da 20 metri per 10, 17 gazebo dove avverranno i dibattiti e due aree ‘agorà ‘, quattro punti per la ristorazione e altrettanti destinati al merchandising, due punti accoglienza.
A pochi passi dall’autodromo, un’area coperta di 2.700 metri quadrati, anche un’area camping organizzata per 250 tende e 350 camper.
Ad intrattenere il pubblico tra un dibattito e l’altro un’ottantina di artisti tra cantanti, band ed attori.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 16th, 2015 Riccardo Fucile
L’ASSENZA DEL VINCOLO DI MANDATO E’ DIVENTATA UNA FOGLIA DI FICO
I parlamentari italiani non sono soggetti al vincolo di mandato. Piaccia o no, questa è la regola: finchè esisterà , un eletto dal popolo sarà libero di passare da uno schieramento all’altro. Intendiamoci, non c’è niente di scandaloso nel fatto che una persona possa modificare le proprie idee politiche.
«Solo i morti e gli stupidi», ha detto James Russell Lowell, «non cambiano mai opinione»
Se non fosse che nel nostro parlamento i travagli ideologici sono così frequenti e concentrati in alcuni precisi momenti da risultare più che sospetti.
C’è poco da dire: quando si cambiano trecento casacche in due anni significa che le convinzioni personali non c’entrano proprio nulla.
Di personale, qui, non c’è niente altro che il calcolo e la convenienza.
E qui si sconfina in un campo diverso, del tutto estraneo alla politica sana. Un campo arato purtroppo a fondo in questa cosiddetta «seconda repubblica».
Basterebbe ricordare come nei pochi mesi che precedettero le elezioni del 2006, per cui i sondaggi davano ampiamente vincente il centrosinistra, ben 126 politici del centrodestra passarono dall’altra parte con reciproca soddisfazione.
Oppure come nel dicembre del 2010 il governo di Silvio Berlusconi fu salvato dal tempestivo soccorso di una pattuglia di Responsabili, alcuni dei quali vennero prontamente ricompensati con poltrone di vario calibro, fino a quella di ministro.
Per non parlare dell’ex senatore Sergio De Gregorio: nel suo caso il tormento che lo indusse a traslocare da Romano Prodi a Berlusconi mettendo in crisi il governo di centrosinistra, sarebbe stato alleviato secondo una sentenza del tribunale da tre milioncini di euro.
E si potrebbe andare avanti, citando i voltafaccia registrati alle recentissime elezioni regionali della Campania.
Così, in un sistema nel quale il ceto politico appare in gran parte ripiegato sui tornaconti individuali, l’onesta regola dell’assenza di un vincolo di mandato finisce per essere solo una penosa foglia di fico.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 16th, 2015 Riccardo Fucile
“VOI MI FISCHIATE E IO NON VI DIFENDO PIU'”
Accesa discussione davanti a Montecitorio tra la deputata di Forza Italia Laura Ravetto e una rappresentanza di vigili del fuoco che partecipava alla manifestazione “Divise in piazza”.
In un video girato con un telefonino da un esponente del Conapo (sindacato autonomo dei vigili del fuoco) si vede la parlamentare, che già era stata contestata dalla piazza mentre si trovava sul palco, scagliarsi contro alcuni pompieri presenti: “Voi mi fischiate e io non vi difendo più”.
Ravetto dichiara che non prenderà più le parti dei pompieri ma solo di carabinieri e polizia.
Uno scontro durato alcuni minuti. Antonio Brizzi, il segretario generale del Conapo si dice “allibito nel visionare il video girato da un nostro sindacalista” e invita Ravetto a chiedere scusa per quanto accaduto “dimostrando con i fatti che si è trattato solo di uno sfogo momentaneo”.
La manifestazione in piazza è stata organizzata dai sindacati Sap, Coisp, Consap (polizia di Stato), Sappe (polizia penitenziaria), Sapaf (corpo forestale dello Stato) e Conapo (vigili del fuoco) per chiedere stanziamenti adeguati per il rinnovo del contratto di lavoro dopo sei anni di blocco.
Brizzi ha poi spiegato qual è la situazione del corpo dei vigili del fuoco: “Guadagniamo trecento euro in meno al mese rispetto agli altri corpi dello Stato e siamo esclusi dalle tutele previdenziali degli altri corpi ma abbiamo un uguale o superiore rischio della vita (solo per dirne alcune). Eppure nessun partito sinora si è preso a cuore con i fatti questi problemi”
(da “la Repubblica”)
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Ottobre 16th, 2015 Riccardo Fucile
LE RISORSE NELLA LEGGE DI STABILITA’ DELUDONO TUTTI… “LA CRESCITA COINVOLGA IL MERIDIONE”… IL MASTER PLAN PROMESSO SI E’ VOLATILIZZATO
Chi all’annuncio del famoso “masterplan” per il Sud si era preparato ad essere travolto da un fiume di risorse in arrivo da Roma sarà certamente rimasto deluso.
L’annuncio del premier Matteo Renzi dei fondi stanziati nella Legge di stabilità per il meridione, che si aggirano intorno ai 450 milioni di euro, di cui 150 a partire da quest’anno, ha lasciato l’amaro in bocca a molti.
E riesce a mettere d’accordo sindacalisti, industriali e sindaci “di strada” come Luigi De Magistris.
Inutile, insufficiente o inesistente, è più o meno questo il giudizio che viene dato sull’entità delle somme messe a bilancio per la questione meridionale.
Ed è proprio la questione meridionale uno dei punti toccati nel suo messaggio al Convegno dei Giovani imprenditori di Confindustria dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “I segnali di ripresa e le migliorate prospettive di crescita per il nostro Paese devono coinvolgere il sud del Paese”, ha detto.
“Il Mezzogiorno – ha continuato – è patrimonio di tutti, con le sue risorse ed i suoi valori. Con le sue straordinarie bellezze artistiche, paesaggistiche e ambientali; con i suoi giovani e la loro voglia di riscattarsi e di affermare il valore della legalita’, da cui nasce la speranza concreta per il rilancio del sud. Per essere terra di accoglienza e straordinaria umanità , con il soccorso ai migranti in fuga”.
Nessun riferimento, ovviamente, alla legge di stabilità , ma un invito rivolto a tutti a tenere sempre presente la centralità del Meridione per la ripresa del Paese.
Critiche alla manovra.
Tuttavia, tornando al dibattito politico, le misure appena annunciate dal presidente del Consiglio Renzi a tanti non sembrano essere sufficienti.
“Sul Sud non c’è nulla, nemmeno un po’ di minestra riscaldata visto che tra le priorità strategiche c’è la fine della Salerno Reggio Calabria che non è una novità “, ha detto il primo cittadino di Napoli de Magistris commentando i contenuti della Legge di Stabilità illustrata ieri dal presidente del Consiglio Renzi.
Secondo il sindaco nel testo non ci sono “fatti significativi” nemmeno sul fronte delle risorse per il Mezzogiorno.
“Non è – ha aggiunto de Magistris – una manovra che fa registrare una svolta nei rapporti tra Governo e Mezzogiorno e tra il Governo e Napoli. Da questi governi liberisti – ha proseguito – ormai non mi aspetto manovre che vadano nella direzione di una giustizia sociale e della riduzione delle disuguaglianze. Noi – ha concluso – continueremo a lottare per migliorare grazie alle nostre forze”.
Stessa delusione si legge nelle parole di Marco Gay, presidente dei giovani di Confindustria: “Dov’è finito il ‘Master Plan’ per il Sud annunciato ad agosto? Possiamo parlare di ‘Master Plan’ per il Sud senza avere ancora un piano industriale per l’Italia intera? Chiediamo un progetto di politica industriale da due anni – ha aggiunto il leader dei giovani industriali -, chiediamo di coinvolgere nella progettazione chi al Sud lavora e fa impresa – non solo le amministrazioni pubbliche – e che sia uno shock positivo”.
“Leggiamo invece – specifica il presidente dei giovani di Confindustria – che il ‘Master Plan’ per il Sud sarebbe un insieme di misure che, in tutto, valgono 150 milioni quest’anno, su una finanziaria che vale quasi 30 miliardi. Che non ci sono il credito d’imposta per i nuovi investimenti e ampliamenti, quello per la ricerca, i contratti di sviluppo, come invece ci aspettavamo. Così è troppo poco – conclude – quasi inutile”.
Le misure contenute nella manovra a favore del Sud non sono abbastanza.
I fondi stanziati troppo pochi, sostengono i sindacati: “Il notevole battage propagandistico del Presidente del Consiglio sulla Legge di stabilità non riesce ad edulcorare la dura realtà – si legge in una nota della Cgil calabrese – Si favoriscono i ceti redditieri e gli immobiliaristi. Non c’è una credibile politica di rilancio e di investimenti e della produzione e non c’è nessun impegno serio e strategico per la Calabria e per il Sud”. §Per la presidente della Cisl Annamaria Furlan “i provvedimenti che il governo ha preso sul Sud nella finanziaria siano insufficienti, ci vuole altro, ci vuole più impegno e più investimenti”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 16th, 2015 Riccardo Fucile
FORZA NON DI ROTTURA MA DI SISTEMA
La Lega Nord non cresce più nei sondaggi.
Era ovvio: il livello massimo di consenso è stato raggiunto (grazie alla scaltrezza di Salvini), e più sopra di così (che è comunque tanto) non può andare.
Ieri mi è capitato di vedere Fedriga a Otto e Mezzo. Fedriga è ritenuto il migliore della Lega dopo Salvini, e a guardarlo e sentirlo vien da dire: “Figuriamoci gli altri”.
Ieri però Fedriga mi ha stupito, e gliene do atto: è riuscito a farsi mettere sotto da Fiano, che è un po’ come perdere giocando da soli a Fifa15. Fenomeno.
Sarebbe errato dire che, ovunque governi, la Lega deluda.
Chi conosce il Veneto, e chi conosce Verona, capisce bene perchè Zaia eTosi continuino ad avere un simile consenso (soprattutto se l’alternativa è la Moretti).
Sulla Lega viene costantemente fatto un errore: insistere sul suo essere razzista, destrorsa, fascista. Tutte cose più o meno vere, ma che per la Lega costituiscono un vanto e non certo un difetto.
Dire che la Lega ha spesso idee xenofobe è come dire a Orfini che è brutto: lo sa già , e peraltro non è neanche il difetto peggiore che ha (Orfini, intendo).
Chi vuole disinnescare la forza della Lega Nord dovrebbe focalizzare l’attenzione su altri temi ben più sensibili.
Per esempio su una classe dirigente inesistente, al punto tale che Salvini — non avendo attorno nessuno — è costretto a mandare in giro Fedriga, che sta alla Lega come la Picierno al Pd (giusto un po’ meglio, ma solo perchè peggio è impossibile).
Dovrebbe insistere sulla non credibilità della Lega come forza politica “nuova” (casomai “Forza Nuova” e basta).
La Lega è parte integrante della “Casta” da più di vent’anni, da sola senza Berlusconi non va neanche in bagno (vedi Liguria) ed è puntualmente dentro larga parte degli scandali (vedi Lombardia).
Di fronte alle accuse, peraltro, si comporta puntualmente come Berlusconi, a conferma di come ci sia ben poca differenza tra Lega e Forza Italia: “Uso politico della magistratura” e altri bla bla ridicoli.
Chi vuole depotenziare la Lega Nord, che alle prossime elezioni si ricompatterà eccome con Berlusconi e derivati (anche se Salvini ha promesso più volte il contrario), dovrebbe ricordare che — per esempio sull’immigrazione — la Lega ha peggiorato quegli stessi problemi che ora promette di poter risolvere.
E dovrebbe anche pure che, quando si tratta di avere i soldi pubblici per alimentare il partito (o per provare a salvare la Padania), la Lega Nord si è comportata come e peggio degli altri partiti che un tempo giurava di voler combattere.
E’ qui, anzitutto qui, che la Lega mostra tutta la sua scarsissima credibilità : nell’essere ancora, esattamente come ai tempi dei governi Berlusconi, una forza non di rottura ma di sistema: il sistema (quasi sempre) peggiore.
Andrea Scanzi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 16th, 2015 Riccardo Fucile
IL SECONDOGENITO EREDITEREBBE UN BACINO DI VOTI IMMENSO
L’era De Luca a Salerno è tutt’altro che finita.
Stavolta a puntare alla guida della città c’è Roberto De Luca, secondogenito di Vincenzo, governatore della Campania e sindaco per quasi vent’anni.
La stampa locale dà per quasi certa la sua candidatura alle amministrative di primavera.
Eppure solo pochi mesi fa, a chi gli chiedeva della sua ipotetica presenza in lista alle ultime Regionali vinte dal padre, il rampollo rispondeva: “Non è ancora arrivato il mio momento”.
Oggi, invece, pare sia pronto a fare il proprio ingresso nella politica ‘dei grandi’ e, a differenza del papà che ha sempre corso con le liste civiche, si candiderebbe come capolista Pd, consentendo al partito di entrare per la prima volta in Consiglio.
Se le indiscrezioni pubblicate da alcuni giornali locali fossero vere, quindi, il 32enne con laurea in Economia e commercio diventerebbe il primo candidato democratico a Salerno.
LA PRIMA VOLTA CON IL PARTITO
Vincenzo De Luca è stato sindaco della città da maggio a luglio del 1993 (ad interim, nda) e, in seguito, da dicembre 1993 a maggio 2001 e da giugno 2006 a gennaio 2015. In pratica un’era.
Eppure l’ex primo cittadino si è sempre presentato con liste civiche (sia prima che dopo la fondazione del Partito democratico), anche a causa di uno scontro interno che ha visto il suo momento più critico nei mesi che hanno preceduto le elezioni comunali del 2006, quando i partiti di sinistra gli contrapposero un altro candidato, l’ex presidente della Provincia Alfonso Andria.
Ecco perchè il Pd non ha ancora portato un suo esponente nell’assise cittadina.
Questa volta il voto a Roberto De Luca sarebbe espresso proprio sotto il simbolo del Pd. Con una nuova e più forte valenza politica, dunque. Che consentirebbe ai dem di entrare per la prima volta in consiglio.
DE LUCA JUNIOR E L’ALTRO ‘FIGLIO D’ARTE’
Roberto De Luca è responsabile del dipartimento Economia della segreteria provinciale del Pd, mentre suo fratello maggiore Piero, classe 1980, dal 2013 è membro dell’assemblea nazionale dem.
In lista De Luca junior sarebbe in buona compagnia. Dietro il suo nome, quello di Federico Conte, figlio dell’ex ministro socialista Carmelo Conte, genero dell’ex senatore Alfonso Andria e primo dei non eletti alle elezioni regionali.
Suo padre, insieme agli ex ministri Paolo Cirino Pomicino, Francesco De Lorenzo e Giovanni Prandini formava la cosiddetta ‘banda dei quattro’, definizione coniata dal “collega” democristiano Guido Bodrato. Il suo non era un complimento.
IL SEGRETARIO PROVINCIALE NON CONFERMA NE’ SMENTISCE
Il segretario provinciale del Pd di Salerno Nicola Landolfi non esclude che tra qualche mese tutto ciò possa verificarsi, ma smentisce che i nomi di Roberto De Luca e Federico Conte siano già sicuri e in cima alla lista.
“Non è vero — ha detto a ilfattoquotidiano.it — anche perchè di lista si parlerà solo all’inizio dell’anno prossimo. Se entrambi daranno la loro disponibilità a candidarsi le valuteremo insieme ai circoli della città ”.
Prima di Natale nessuna certezza dunque: “Del resto — ha concluso Landolfi — abbiamo altri autorevoli dirigenti del partito e assessori uscenti dai quali poter partire. Ma anche De Luca e Conte sono nomi autorevoli”.
IL POTERE CHE SI TRAMANDA
Facile ipotizzare che, candidandosi, il figlio del governatore della Campania punterebbe a intercettare tutto il bacino di voti del padre, che ha governato per quattro mandati.
A livello politico significherebbe la continuità amministrativa di un sistema di potere molto forte. Dopo la vittoria alle regionali di Vincenzo De Luca entrambi i figli (che hanno fatto parte del comitato elettorale) dichiararono di voler rimanere accanto al neo governatore nella nuova avventura, ma “senza incarichi ufficiali”.
D’altro canto “non sarebbe bello — dissero — vedere la famiglia incardinata in Regione in ruoli ufficiali”.
Ecco allora la scelta di optare per il Comune.
Lo stesso De Luca senior in tal senso ha sempre lasciato una porticina aperta: “Sono imbecillità tutte italiane, perchè il problema non sono ‘i figli di’, ma sapere se il figlio in questione è un cretino. Se è cretino non va bene, se è una persona per bene e capace che giudichino gli elettori”.
Luisiana Gaita
(da “il Fatto Quotidiano“)
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