Ottobre 14th, 2015 Riccardo Fucile
IN VISTA DELLE COMUNALI E DI UNA REVISIONE DELL’ITALICUM IL PREMIER ANALIZZA SONDAGGI E CANDIDATI… INTANTO PREPARA IL TOUR DEI TEATRI
L’approvazione delle riforme costituzionali in Senato, con una maggioranza ancora più larga dell’estate scorsa, è stata una vera festa a Palazzo Chigi.
Matteo Renzi considera chiusa la fase uno, si sente a “un chilometro dal traguardo”, dicono i suoi, va tutto come previsto, come segnala lo stesso premier via twitter ogni volta che può.
Ma la fase 2 non inizia nel migliore dei modi. Ormai, all’orizzonte del presidente del Consiglio si staglia un avversario che prima non era diretto, si intravedeva dietro il centrodestra e in certi momenti sembrava abbattuto. Ora no.
E’ il Movimento 5 stelle. Il premier lo studia come si fa con lo sfidante su un ring di boxe. In vista delle prossime amministrative, certo. Ma anche in vista di una possibile modifica all’Italicum.
Il movimento di Grillo è cresciuto. Lo dicono anche i sondaggi che girano in casa Pd. Dove sono stati particolarmente notati, e con preoccupazione, i sondaggi diffusi ieri da Bruno Vespa a Porta a porta.
Quello di Ipr parla di una crescita del 2 per cento per il M5s, che si attesta così al 28 per cento, a soli 4 punti dal Pd che cresce solo dello 0,5 per cento.
E il sondaggio sulle intenzioni di voto a Roma è ancora più allarmante per i Dem.
Sia secondo Ipr che secondo Tecnè, la prossima sfida per il Campidoglio la vince il M5s: al 35 o al 33 per cento.
Mentre il Pd resterebbe piantato al 17 o massimo 19 per cento.
E’ quanto basta per studiare il fenomeno, mettere a punto una strategia adatta a sfidare un avversario che, pur essendo arrivato in Parlamento da ormai quasi tre anni, risulta ancora misterioso alla gran parte dei media, per non parlare dei Palazzi della politica. Innanzitutto, come si fa sempre in questi casi, in vista delle prossime sfide elettorali nelle città , il Pd di Renzi commissionerà dei sondaggi tagliati sulle varie ipotesi di candidato pentastellato. Che sia Di Battista per Roma o Di Maio per Napoli o nessuno dei due: ogni ipotesi verrà studiata a fondo per indovinare il candidato democratico più adatto alla sfida.
Ma la strada è disseminata di pericoli.
Uno: al quartier generale di Renzi sono ben consapevoli che il M5s ha dalla sua la forza del marchio. Che riesce ad attrarre consenso anche a prescindere dal candidato. Cosa che invece il ‘brand Pd’ non riesce a fare, nonostante che il premier abbia cercato di tirarlo a lucido, almeno di svecchiarlo.
E sembrava ci fosse riuscito, all’epoca del 40 e passa per cento conquistato alle europee l’anno scorso. Ora invece Renzi si trova costretto a puntare sul volto di successo che sia in grado di tirarlo fuori dalle secche di una campagna elettorale difficile a Roma, dopo il caos Marino, ma anche a Milano, a Napoli.
A proposito, anche nella città partenopea i sondaggi Pd non portano buone notizie. Antonio Bassolino, che si è già messo in pista per ricandidarsi a sindaco, rischia di determinare quello che in casa Dem chiamano ‘l’effetto Rutelli 2008′, quando l’ex primo cittadino di Roma perse la sfida con Gianni Alemanno.
Ecco, solo che stavolta lo sfidante più agguerrito può essere a cinquestelle e certo non più del Pdl.
E’ uno scenario che porta Renzi a ritarare gran parte della sua strategia.
Anche perchè a Roma, per dire, sono stati proprio i cinquestelle a denunciare e quindi a far nascere l’inchiesta sugli scontrini delle cene di Marino, l’ultimo masso piombato sulla testa del sindaco tanto da farla cadere.
Da Palazzo Chigi notano i movimenti giudiziari e mediatici sulle note spese di Renzi quando era primo cittadino di Firenze.
Il premier continua a non temerne gli effetti, rassicura i suoi sul fatto che tutto è in ordine. Ma certo queste materie sono scivolose, soprattutto se la Corte dei conti — che ha aperto un fascicolo per atto dovuto — dovesse scendere nei dettagli dei pranzi e delle cene che, secondo le accuse contenute negli esposti, sarebbero state pagate dal comune.
A quel punto, ci sarebbe da dover ricostruire incontri a tavola avvenuti anni fa, roba da Pico della Mirandola, insomma.
Dunque, il M5s ora è bene a fuoco nel mirino del premier. Tanto che dalla sfida con Grillo e Casaleggio potrebbe dipendere anche l’eventuale modifica all’Italicum, che al momento, dal governo continuano a smentire, a livello ufficiale.
Fatto sta che ieri in aula al Senato, ne ha parlato niente meno che il presidente emerito della Repubblica e senatore a vita Giorgio Napolitano, il “padre” delle riforme di Renzi, per ammissione dello stesso ministro Boschi.
“Dobbiamo dare risposte nuove a situazioni stringenti e bisognerà dare attenzione a tutte le preoccupazioni espresse in queste settimane in materia di legislazione elettorale e diritti costituzionali”, ha detto Napolitano.
Non che il suo giudizio sia direttamente collegato alle intenzioni del governo, ma segnala un clima. Di allerta.
La sostanza è questa: se, come sembra, il M5s si affermerà come il vero avversario del Pd renziano alle politiche del 2018, allora è possibile che il premier metta in campo una modifica dell’Italicum.
Magari cambiando il premio di maggioranza dalla lista alla coalizione e pensando a possibili apparentamenti con un’area di centro e una di sinistra (ancora tutte da costruire e questo è il problema).
Se invece l’avversario sarà il centrodestra, che versa in una condizione di oggettiva frammentazione chissà se ricomponibile, allora l’Italicum resterebbe così com’è.
La decisione è rimandata alla prossima estate.
Dipenderà molto da come andrà la sfida con i pentastellati nelle città interessate al voto di primavera.
Tra l’altro, per la campagna elettorale, Renzi deve rinunciare al traino del referendum costituzionale, che slitta ad “autunno 2016”, ha detto il premier stamattina alla Camera.
Prima, non si fa in tempo: la consultazione popolare deve avvenire a sei mesi dall’approvazione definitiva del ddl Boschi.
Testo che, pur avendo ormai superato tutti i tornanti più complicati, non uscirà dal Parlamento prima di febbraio.
Perciò per il voto nelle città Renzi non potrà usare lo slogan sull’abolizione del Senato (non è esattamente così, ma questo è il messaggio del premier). Sfrutterà invece tutti i risultati conseguiti dal governo nazionale, li spenderà come può a livello locale, facendo il giro dei “cento teatri”, come ha annunciato già a settembre alla chiusura della festa dell’Unità a Milano.
Il dono più sostanzioso per gli elettori è l’eliminazione della tassa sulla prima casa, che Renzi considera il passepartout per la conquista dei comuni che vanno al voto.
E’ per questo che il premier nota con fastidio l’attacco che la minoranza Dem sta preparando sulla legge di stabilità .
Quella richiesta di progressività nella eliminazione della tassa sulla prima casa gli risulta indigesta, gli va a sporcare il provvedimento simbolo della nuova fase.
E per giunta è il segnale che, malgrado l’accordo raggiunto nel Pd sulle riforme, i rapporti con la minoranza restano a dir poco complicati.
Per novembre-dicembre il premier programma un rimpastino di governo: Enzo Amendola dovrebbe diventare viceministro agli Esteri, per gli Affari Regionali si fa il nome di Dorina Bianchi di Ncd (il premier avrebbe preferito la senatrice Chiavaroli, ma portarla via dal gruppo del Senato è diventato sconveniente visto il caos dentro il partito di Alfano).
Ad ogni modo, sia che Vasco Errani entri al governo (vice ministro allo Sviluppo Economico?), sia che non entri, tra i fedelissimi del premier viene spiegato che la cosa non è legata ai rapporti con la minoranza bersaniana.
Su questo fronte, non c’è distensione.
E potrebbe far male alla battaglia comune contro il nuovo avversario tutto da studiare: il Movimento 5 stelle.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 14th, 2015 Riccardo Fucile
ALLA BASE LA PAURA DI VINCERE E DI ESSERE GIUDICATI, COMPROMETTENDO LE POLITICHE 2018… MA RENZI RIPRISTINERA’ IL PREMIO DI COALIZIONE PRIMA DELLA SCADENZA
C’è tutto il senso della nuova fase del “sistema” nel “travaglio” dei Cinque Stelle in vista delle amministrative.
Una discussione emersa neanche tanto sottotraccia dal titolo: “Come ci approcciamo alla prova di maturità , ovvero le elezioni di Roma e Napoli? Candidiamo o no i big, come Di Maio e Di Battista, o restiamo fedeli all’ortodossia del blog e degli statuti?”.
Da settimane i sondaggi dicono che la vittoria, per i Cinque Stelle è a portata di mano.
A Napoli, se decidesse di correre, Di Maio secondo tre sondaggi pubblicati dal Mattino sarebbe il vincitore annunciato.
Lo stesso vale per Di Battista a Roma. Tanto che parecchi, anche nel Pd, nel Palazzo dicono: “Se candidano loro, ci mettono nei guai”.
Ma l’altro elemento, su tavolo, sono le pessime prove che i Cinque Stelle hanno dato nel governo delle amministrazioni locali. Parma, che forse è la città dove va meglio, è governata da un dissidente come Pizzarotti. Nelle altre è un disastro.
Il Fatto, giornale certo non ostile, lunedì scorso ha pubblicato più inchieste, approfondite e documentate, su come governano i Cinque Stelle, sotto un titolone: “Vi fareste governare da quelli di Grillo?”.
Bocciato il sindaco di Livorno, Filippo Nogarin e non solo per questioni di ospedale e municipalizzate.
Il cortocircuito del suo governo si è manifestato quando i consiglieri dei Cinque Stelle gli hanno bocciato il bilancio.
A Civitavecchia, l’aria è avvenata tra il Porto e gli stabilimenti Enel. E l’amministrazione rischia di avere poco ossigeno, anche a causa dell’aumento delle tasse.
E tutto qui, il travaglio. In vista di Roma e Napoli che, con tutto il rispetto, non sono Livorno e Civitavecchia. E rappresentano il test in vista delle politiche.
E la domanda, nel Palazzo è: “I Cinque stelle sono la seconda forza italiana e sfideranno Renzi alle prossime politiche. Se si bruciano su Roma, che succede”.
Il paradosso, neanche troppo, è questa discussione su come approcciarsi al Sistema, avviene proprio in un momento in cui il Sistema torna, prepotentemente, ad avere paura di Grillo.
Nel suo intervento al Senato Giorgio Napolitano ha scandito: “Dopo l’approvazione del ddl sulle riforme bisognerà dare attenzione a tutte le preoccupazioni espresse in queste ultime settimane in materia di legislazione elettorale”.
Tradotto: va cambiata la legge elettorale, ripristinando le coalizioni. Non è un mistero che l’ex capo dello Stato, che parlò dell’antipolitica (e dei Cinque Stelle) come di una “patologia eversiva” viva con preoccupazione l’ipotesi di un governo a Cinque Stelle, che col ballottaggio è tutt’altro che un’ipotesi del terzo tipo.
Ecco perchè suggerisce quello schema che era nella citata relazione dei saggi, ovvero una legge elettorale con apparentamento.
Miguel Gotor, uno che con Napolitano ha avuto qualche scambio di opinione nei giorni scorsi, traduce il ragionamento: “La relazione tra listone unico e ballottaggio crea una pista di lancio per i Cinque Stelle, che infatti hanno fatto un’opposizione di facciata all’Italicum. Si è visto alle scorse amministrative”.
Pure Denis Verdini va dicendo che Renzi farà un discorso molto pragmatico: quattro mesi prima delle elezioni, vedrà un sondaggio e a quel punto farà la legge elettorale giusta per battere Grillo.
E non è un caso che tutte queste trame si sviluppino ora che, con le riforme approvate la prospettiva del voto nella primavera del 2017 è più di una suggestione: amministrative, referendum, politiche.
Ecco, mentre il Sistema si attrezza a fermare i Cinque Selle, nel partito di Grillo è iniziato un travaglio.
Sono mesi che il caso Roma, da prima dell’estate è oggetto di studio di Casaleggio e di confronto con Grillo, da quando cioè è iniziata a scricchiolare in modo rumoroso la giunta Marino.
Ed è proprio a Milano che è stata presa la decisione di non far scendere in campo, alle amministrative i cavalli di razza di Battista e Di Maio, le candidature più forti.
Spiega Di Battista all’HuffPost: “Non mi candido. Più del prestigio personale conta il rapporto fiduciario con gli elettori. Nel 2013 dicemmo: votateci che lavoreremo cinque anni come parlamentari. E io questo impegno non lo posso e non lo voglio interrompere. Noi siamo quelli che criticarono la Moretti candidata al Parlamento, poi a Bruxelles, poi alla regione Veneto e con lei tutti coloro che usano la politica in questo modo”.
Il suo “non mi candido” invece Di Maio lo ha consegnato in un’intervista al Mattino.
Si capisce che, nella scelta, c’è anche la paura di vincere.
Roma è un tritacarne per una classe dirigente inesperta. Più che un trampolino di lancio rischia di diventare una tomba, anche per gente brava. E creare un effetto boomerang in vista delle politiche.
Ma c’è anche altro. Rompere la regola che i parlamentati si possono candidare ovunque significa rinunciare alla propria “diversità ”, diventare da Movimento, un partito come gli altri.
E rischiare anche un danno di immagine, apparendo dei “traditori” che macchiano la purezza originaria. È questa la posizione innanzitutto di Casaleggio.
Dunque, su Roma, il candidato sarà scelto tra i consiglieri comunali in carica, ovviamente attraverso la Rete, nella certezza che dalla rete non ci saranno outsider.
Raccontano fonti vicine a Casaleggio che però che i big saranno a fianco dei candidati, soprattutto in vista del secondo turno, perchè se al primo basta votare il marchio, al secondo serve un aiuto.
E così Di Battista adotterà il candidato di Roma, Di Maio quello di Napoli.
Scelta, anche questa che dimostra un travaglio. Niente deroghe per i big, che però ci mettono la faccia, la Rete sceglie ma in verità ratifica.
In fondo pure su questa storia qualche dinamica di partito si è vista nei Cinque Stelle.
La Taverna aveva proposto la soluzione esterna alla Freccero su Roma, la Lombardi in fondo sperava di essere indicata, su Di Battista è arrivato il gradimento di mondi vicini alla sinistra.
L’ideologia di rete e statuto mette ordine. Anche se non dà risposta a una domanda che in parecchi a microfoni spenti su fanno: “Se vinciamo con un quisque de populo poi che succede? Viene tritato dalla macchina?”.
Chi è già al lavoro sulla campagna elettorale ha già pronta la risposta: “Se vinciamo Roma, salta il governo. Renzi viene tritato prima del nostro sindaco”.
Wishful thinking, per non rispondere alla domanda: “Sono pronti a governare Roma quelli di Grillo?”. Il travaglio, appunto.
Mentre il Sistema si attrezza a metterli a vita all’opposizione.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 14th, 2015 Riccardo Fucile
I FATTI ADDEBITATI AL PARLAMENTARE VERDINIANO SONO RIFERITI A QUANDO ERA SINDACO DI AULLA
Da senatore, a inizio ottobre, è stato sospeso per cinque giorni per il gesto sessista durante una seduta dedicata alle riforme costituzionali.
Da ex sindaco di Aulla (Massa Carrara) oggi il senatore Lucio Barani è stato deferito, assieme ad altre 10 persone, alla Corte dei Conti per un danno erariale di 1,9 milioni.
I fatti addebitati al presidente del gruppo parlamentare di Alleanza Liberalpopolare, secondo quanto si apprende, sono riferiti a quando il senatore era infatti primo cittadino del comune toscano.
n seguito agli accertamenti disposti dalla procura regionale della Corte dei Conti per la Toscana, il nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza ha segnalato un danno erariale di quasi due milioni, attribuibile alla condotta illecita di amministratori, dirigenti e funzionari del comune di Aulla e della provincia di Massa Carrara
Secondo gli accertamenti, i vari amministratori succedutisi nel tempo, avrebbero autorizzato la realizzazione di opere urbanistiche in un contesto caratterizzato da una palese pericolosità idraulica, senza assumere le necessarie cautele.
Sono così state deferite 11 persone, tra cui appunto il senatore Barani.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 14th, 2015 Riccardo Fucile
DOVREBBERO SEGUIRLO NOVE SENATORI: MAGGIORANZA DI NUOVO A RISCHIO… SI PARLA DI GRUPPO COMUNE CON FITTO E TOSI
Gaetano Quagliariello si dimette da coordinatore nazionale del Nuovo Centrodestra. Secondo il Corriere.it, l’ex ministro delle Riforme del governo Letta e saggio di Napolitano nell’iter delle riforme istituzionali ha messo il leader del partito Angelino Alfano davanti a un buio: o Ncd esce dal governo o lui formerà un gruppo autonomo al Senato (in direzione Berlusconi).
L’annuncio è tutt’altro che irrilevante e non interessa solo al piccolo elettorato del partito. Se davvero Quagliariello contasse su un numero sufficiente di senatori per formare un gruppo a Palazzo Madama (dove servono almeno 10 componenti), la maggioranza politica a sostegno del governo potrebbe andare sotto quota 161.
Attualmente, infatti, il governo può contare su circa 170 voti e il gruppo Ala (quello dei 13 verdiniani), che ha votato il ddl Boschi, non è ancora ufficialmente organico all’insieme dei partiti che appoggiano Renzi.
La decisione è maturata a seguito di un dissenso sulla linea politica del partito, spiegano fonti vicine al senatore all’Adnkronos.
Essendo il ruolo di coordinatore un incarico fiduciario, Quagliariello intenderebbe così affrontare il dibattito interno al partito e quello pubblico che ne seguirà , senza vincoli legati alla carica.
Nella lettera ad Alfano, l’ex ministro ha ribadito la sua contrarietà a una linea ritenuta troppo vicina a quella del presidente del Consiglio.
Le dimissioni da coordinatore potrebbero preludere anche a una uscita di Quagliariello dal partito.
Proprio durante la seduta del Senato per il voto finale sul disegno di legge sulle riforme, Quagliariello aveva preso la parola per la dichiarazione di voto a nome di Area Popolare, usando parole che, oggi, assumono contorni più definiti: “Oggi onoriamo sostanzialmente l’impegno assunto a inizio legislatura all’atto della rielezione del presidente Napolitano, ma si chiude una fase della nostra vita politica”.
La maggioranza del Pd, aveva aggiunto Quagliariello, “ha ulteriormente sbiadito la logica di coalizione privilegiando la trattativa con la propria minoranza, secondo uno schema di autosufficienza che, grazie anche all’apporto del gruppo Ala, coniuga l’unità del partito con la conquista dell’area del buon senso da delegare direttamente al leader. E’ evidente che una fase è finita e dalla conseguente riflessione non si dovrebbe sottrarre nessuno”. Subito dopo aveva twittato in polemica con il Pd sulle unioni civili (come il resto del partito, d’altronde).
E il primo ad esultare è non a caso il capogruppo alla Camera di Forza Italia Renato Brunetta.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 14th, 2015 Riccardo Fucile
IL BOSS DEL CLAN DI SALVIO PARLAVA AL TELEFONO DI SANITA’ E CARICHE CON L’ESPONENTE DI NCD
Era più di un referente politico. Era un vero amico, ma soprattutto la chiave che poteva aprire i piani alti dei ministeri.
Lorenzo Lorenzin, fratello del ministro della salute Beatrice (non indagato) ed esponente del Nuovo Centrodestra, aveva rapporti più che cordiali con Natan Altomare, uno dei 24 arrestati dalla squadra mobile di Latina, nel corso dell’operazione “Don’t touch” contro il clan Di Silvio, il gruppo criminale legato ai Casamonica.
E’ una lunga telefonata a documentare lo stretto rapporto tra il faccendiere di Latina Altomare — legato, in passato, al senatore di Forza Italia Claudio Fazzone — e Lorenzo Lorenzin. Toni scherzosi, da vecchi amici, tra un riferimento ad un incontro con il ministro Beatrice Lorenzin e le congratulazioni del fratello Lorenzo per un nuovo incarico in campo sanitario di Altomare.
I pm definiscono così Altomare: “Non c’eÌ€ dubbio, ha una personalitaÌ€ criminale poliedrica : riesce ad intrattenere relazioni con Enrico Tiero, esponente politico locale del Ncd, con Lorenzo Lorenzin, fratello del Ministro Lorenzin, e, nonostante abbia questi rapporti certamente “importanti”, tuttavia al tempo stesso coordina le attivitaÌ€ di un sodalizio criminoso nell’ambito del quale vengono commessi furti in abitazioni, eÌ€ autore di un’estorsione continuata (…), e gestisce “affari” con Gianluca Tuma (mente organizzativa del sodalizio, ndr)”.
Il vero interesse del fratello del ministro appare chiaro nel corso della telefonata. Per lui Natan Altomare è un uomo di fiducia, da tenere sulla provincia di Latina:
ALTOMARE Natan: si, a parte il fatto che io, mo te lo dico adesso, io tra qua ed un anno me sposto su Roma, perchè c’ho troppi interessi su Roma e devo sta su Roma
Lorenzo LORENZIN: no, ma su Roma, no, no, però continua a sta’ su Latina
ALTOMARE Natan: però ecco
Lorenzo LORENZIN: incominciate a coinvolgere quelle persone che che conoscono pure Lamberto TRIVELLONI, che sono gli ex (incomprensibile) così facciamo un bell’incontro (…) facciamo un bell’incontro su Roma, che a noi ci interessa tanto Roma, è!!
Il nome di Lamberto Trivelloni, politico Ncd dei Castelli romani, è già noto alle cronache giudiziarie. Una decina di anni fa, quando era assessore nella giunta comunale di Velletri, venne arrestato dalla Guardia di Finanza per associazione per delinquere.
Accusa confermata nel corso del giudizio di primo grado che si è concluso due anni fa con una condanna a quattro anni di reclusione e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici.
Nel corso della telefonata si parla anche di un incontro tra Natan Altomare e lo stesso ministro della salute:
ALTOMARE Natan: oh, ma ieri è stato bellissimo, ieri Beatrice, stavamo in sala d’attesa, è venuta a salutarci, semo rimasti tutti quanti come dei scemi, perchè stavamo in sala d’attesa, è arrivato il Ministro a salutarc
Lorenzo LORENZIN: è certo
ALTOMARE Natan: con una semplicità e umiltà unica, mamma mia ragazzi!!!
La telefonata riportata nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita lunedì scorso è citata dai magistrati a fondamento di una ipotesi di estorsione contestata a Natan Altomare, nei confronti di una struttura sanitaria di riabilitazione di Latina.
Secondo quanto è stato ricostruito nel corso delle indagini, Altomare avrebbe preteso una tangente da 2500 euro al mese per diversi anni, minacciando l’intervento degli “zingari di Latina” e di un gruppo di cittadini romeni a lui legati.
L’imprenditore, ascoltato dai magistrati, aveva anche raccontato della promessa di “ampliare l’accreditamento (…) per un totale di 40 trattamenti giornalieri attraverso un suo rapporto con tale Lorenzin, che lui diceva essere fratello del Ministro della Salute Lorenzin. Mi chiese di accompagnarlo a Roma per incontrare questa persona, ma io mi sono rifiutato adducendo varie scuse perchè non gli credo più”.
La telefonata intercettata dimostrerebbe — secondo gli investigatori — la reale esistenza di uno stretto rapporto con Lorenzo Lorenzin, che non è stato ritenuto penalmente rilevante. Pesante, invece, è la situazione giudiziaria di Altomare, accusato, tra l’altro, di aver organizzato alcuni furti compiuti da un gruppo di cittadini rumeni.
Andrea Palladino
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 14th, 2015 Riccardo Fucile
PER DIFENDERE L’ASSESSORE LEGHISTA INDAGATO SI INVENTA UN AIUTO AGLI ENTI DI BENEFICIENZA… PECCATO CHE L’ACCUSA SIA UN’ALTRA: AVER ANNULLATO UNA REGOLARE GARA D’APPALTO GIA’ ASSEGNATA PER I MALATI DI DIALISI PER FAVORIRE ALTRI ENTI A LUI VICINI
La difesa della Lega sullo scandalo della Sanità lombarda inizia di buon mattino.
Matteo Salvini interviene a ‘La Telefonata’ su Canale 5 e inizia la sua esibizione.
La giunta Maroni rischia? “Ma figurati, perchè qualche giudice si è alzato male?”
Lui non pare essersi alzato molto lucido e comincia a sproloquiare: l’inchiesta della Procura di Milano è “un attacco politico alla Regione meglio governata d’Italia, ieri è stata una giornata di sputtanamento mediatico sulla migliore Sanità europea e anche sulla Lega”.
Insomma, siamo tornati alle “toghe rosse” che tramano contro gli onesti Mantovani e Garavaglia.
Oddio, il primo non è che lo difenda troppo: “non mi permetto di commentare l’indagine che lo riguarda. E peraltro non ne so nulla, anche se lui mi pare una brava persona. In ogni caso, quella sembra un cosa diversa, che non riguarda l’aiuto alle ambulanze”.
Ambulanze?
E qui arriviamo alle comiche (o al ricovero coatto, secondo le varie ipotesi cliniche).
Per Salvini quella che vede indagato il prode padano Garavaglia, assessore leghista all’economia in Regione, sarebbe “la prima indagine al mondo in cui si accusa una persona di aver cercato di dare una mano ad un’associazione benefica” ovvero “di aver segnalato una croce che gestisce ambulanze”.
Peccato che l’accusa sia ben diversa: Garavaglia è indagato per turbativa d’asta, insieme a Mantovani e altri, nel filone di una gara d’appalto per il trasporto dei dializzati, che avrebbe cancellata a esito già stabilito, per far rientrare in gioco alcuni operatori delle Croci con sede nei bacini elettorali dei due politici.
Altro che ambulanza, Garavaglia si sarebbe adoperato per annullare una gara d’appalto già assegnata per il servizio di trasporto dei malati di reni bisognosi del trattamento di dialisi.
Forse Salvini avrà sentito una sirena di ambulanza e si sarà confuso.
In fondo ognuno ha la sua Croce (in senso sanitario).
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Ottobre 14th, 2015 Riccardo Fucile
L’ECONOMISTA PEROTTI VUOLE LASCIARE… LE CLAUSOLE DI SALVAGUARDIA SARANNO DISINNESCATE SOLO A META’
Non solo la spending review arranca, ma nella legge di Stabilità che il governo si appresta a varare giovedì i risparmi sulla spesa pubblica rischiano di risultare dimezzati rispetto ai 10 miliardi annunciati.
Così Roberto Perotti, docente alla Bocconi e collaboratore del sito lavoce.info che affianca il commissario alla revisione della spesa Yoram Gutgeld, ha messo sul tavolo le proprie dimissioni.
A rivelarlo è il Corriere della Sera, secondo cui Matteo Renzi le ha rifiutate e ha chiesto all’economista di rimanere, garantendogli che da ora in poi la macchina funzionerà meglio, i tempi degli interventi saranno più certi, gli interlocutori più chiari e il mandato politico più forte.
Promesse che cozzano con i precedenti, visto che per una trentina d’anni commissari ed esperti hanno tentato senza successo di contenere le uscite dello Stato finendo poi per gettare la spugna.
E l’esecutivo Renzi non sta ottenendo risultati migliori nel mettere a segno i tagli.
Così è probabile che le clausole di salvaguardia, cioè gli aumenti automatici di Iva e accise previsti da precedenti manovre se il governo non troverà coperture alternative, saranno “disinnescate” solo in parte.
Peraltro utilizzando i proventi della legge sul rientro dei capitali e facendo più deficit: non a caso Palazzo Chigi intende chiedere alla Commissione Ue di concedere all’Italia circa 16 miliardi di “flessibilità ” invocando la clausola delle riforme, quella degli investimenti e pure quella nuova di zecca per “l’emergenza migranti“.
Tutto da vedere come risponderà Bruxelles, che due giorni fa ha bocciato la manovra della Spagna perchè non in linea con il patto di Stabilità .
Che la annunciata “spending review 2.0″ non procedesse secondo programmi è chiaro dalla fine dell’estate.
E nella nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza Palazzo Chigi e il Tesoro hanno messo nero su bianco che il profilo dei tagli sarà “più graduale” rispetto a quanto previsto nella prima versione del Def, approvata lo scorso aprile. Ammissione che ha inquietato i tecnici del Senato, intervenuti due settimane fa per chiedere al governo di “supportare tale affermazione con indicazioni qualitative e quantitative in ordine alla tipologia e all’entità delle misure di revisione della spesa”.
Alla vigilia del varo della Stabilità , secondo la ricognizione del quotidiano di via Solferino, quel che emerge è che le sforbiciate non arriveranno nemmeno a 7 miliardi: si fermeranno a 5.
Niente tagli ai sussidi alle imprese nè riduzioni degli sconti fiscali (deduzioni e detrazioni).
Quanto ai risparmi attesi dalla riforma della pubblica amministrazione, sono rimandati ai decreti attuativi del disegno di legge. Che erano stati annunciati per settembre ma non si sono ancora visti.
Di conseguenza Gutgeld e Perotti, che sono partiti dai dossier dei gruppi di lavoro dell’ex commissario Carlo Cottarelli, hanno dovuto limitare gli interventi alla razionalizzazione degli acquisti della pubblica amministrazione (con la riduzione delle stazioni appaltanti da 32mila a 35) e ai soliti tagli semi lineari ai ministeri.
Il resto arriverà da un’ulteriore riduzione, pur mascherata da “mancato aumento”, dei fondi per la sanità .
Non si può non ricordare la profezia della Corte dei Conti, che lo scorso febbraio aveva ammonito: “L’effettiva realizzazione della spending review appare un traguardo molto difficile allorchè ci si misuri con le limitate categorie di spesa realisticamente aggredibili, anche perchè i margini ancora disponibili per ulteriori tagli sono ridotti dalle ripetute riduzioni di risorse intervenute negli ultimi anni”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 14th, 2015 Riccardo Fucile
SI INIZIA BENE: FUNZIONARIO DEL COMUNE E DUE IMPRENDITORI ACCUSATI DI CORRUZIONE…. DENUNCIATI DALLA GIUNTA MARINO AD APRILE
La prima gara assegnata dal Comune per i lavori del Giubileo era truccata ed è stata bloccata dall’Autorità nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone.
Due imprenditori e un funzionario del dipartimento Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione Urbana di Roma sono finiti ai domiciliari con l’accusa di corruzione e turbata libertà degli incanti.
“Li avevo denunciati tutti ad aprile. E per oggi li avevamo convocati per escluderli dalla gara del Giubileo”, ha detto l’assessore alla Legalità Alfonso Sabella.
Secondo l’accusa i tre, Ercole Lalli, Luigi Martella e Alessio Ferrari , hanno truccato le gare d’appalto per la manutenzione e la sorveglianza delle strade della grande viabilità di Roma.
Secondo gli elementi raccolti dai carabinieri il 27 settembre, i due imprenditori hanno consegnato a Lalli 2mila euro in contanti in cambio di informazioni riservate sulle imprese concorrenti.
La gara per il Giubileo era per la riqualificazione di via Mura Latine e viale di Porta Ardeatina e avevano presentato offerte sia la Trevio srl che la Malù lavori srl: gli imprenditori arrestati sono titolari delle due ditte e, secondo l’Anticorruzione, anche soci occulti una dell’altra.
L’aggiudicazione parziale dell’appalto è stata bloccata dall’Anac martedì, dopo i controlli su tutti i soggetti che avevano partecipato alla gara.
Si è scoperto che le due aziende che avevano presentato le offerte avevano creato una sorta di “cartello” nascondendo i rapporti che avevano l’una con l’altra.
I carabinieri, coordinati dalla Procura, hanno effettuato una serie di perquisizioni e sequestri nelle sedi delle ditte e nell’ufficio del funzionario del Comune che, al momento dell’intervento degli investigatori, aveva ancora in mano il denaro incassato. Lalli ha tentato inutilmente di disfarsi della busta contenente 10 banconote da 100 euro e 20 da 50 euro.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 14th, 2015 Riccardo Fucile
IL FATTO RIVELA: “SONO GIUSTIFICATIVI GENERICI: “COLAZIONI ISTITUZIONALI” SENZA MAI PRECISARE CON CHI”
Le cene dell’allora sindaco di Firenze Matteo Renzi al ristorante Lino Amantini sono state pagate con i soldi pubblici.
Il Fatto Quotidiano, continua nel suo lavoro d’inchiesta.
E pubblica oggi le fatture di quando, da presidente della Provincia, rendicontò migliaia di euro di spese nel ristorante fiorentino.
Dopo le rivelazioni del ristoratore di fiducia del premier al quotidiano diretto da Marco Travaglio e la risposta del primo ministro che nega la mancanza di trasparenza, il giornale conferma la presenza di undici fatture inviate di almeno undici fatture di “Da Lino”.
La conferma con ogni probabilità arriverà dall’inchiesta avviata lunedì dalla Corte dei conti per verificare a tappeto le spese del Comune, così come aveva fatto su quelle delle Provincie relative al mandato da presidente dell’oggi premier – negli anni tra il 2005 e il 2009- scoprendo che le voci di rappresentanza si sono perse in mille rivoli tra cui il cerimoniale.
Il Fatto ricorda che prima del 2011 non c’era l’obbligo di rendicontare le spese, libero arbitrio era lasciato agli amministratori in merito alla trasparenza. Quando la norma è cambiata, e Renzi, si era già trasferito a Palazzo Vecchio, si è adeguato:
E rende noti nel 2011 e nel 2012 due documenti generici al massimo: non ci sono nomi di ristoranti, accompagnatori e spesso mancano pure le date.
Un esempio: 1.375 euro per “servizio catering” realizzato per “visita ufficiale delegazione estera”.
I pasti? Sono tutti “colazioni istituzionali”. Dove non si sa.
I viaggi? “servizi transfer”, motivati con “missioni istituzionali all’estero”, importi vari fino a 2.500.
Così scorre il 2011 e dalle casse escono per queste generiche “spese di rappresentanza” 46.488 euro.
L’ anno successivo nulla cambia in trasparenza ma aumenta l’ esborso complessivo che sale di dieci mila euro. Spende circa 9.000 euro per ospitare “artisti senegalesi”. Quali? Non si sa.
E il rottamatore che tanto si vantava di viaggiare da Firenze a Roma in treno, secondo Il Fatto invece prendeva spesso l’auto a spese dello Stato
Compare una nuova voce: “servizi di transfert con car sharing” per “incontri di rappresentanza istituzionale a Roma”: marzo 500 euro, febbraio 748, aprile 462 e via di seguito.
Ma sono indicate per mese e non si sa dove andasse nella Capitale e a vedere chi soprattutto.
O per partecipare a qualche trasmissione televisiva?
Il ristorante “Da Lino” non è l’unico dove Renzi ha mangiato e i cui conti sono stati saldati con bonifico bancario
Stesso iter lo segue anche la Buca dell’ Orafo, il Palagio (ristorante del Four Season, 830 euro), L’ Ora d’ aria, ristorante di Marco Stabile che, secondo il Corriere della Sera, Renzi ha portato a Palazzo Chigi per qualche pranzo speciale.
L’ elenco prosegue.
Con altri ristoranti, bar, (Perseo, 452 euro), pasticcerie (Rivoire, 97 euro) e caffetterie. Non in una voce è però specificato il motivo della spesa: generici rapporti istituzionali.
E mentre la bufera degli scontrini piombata su Ignazio Marino ha portato alle dimissioni da sindaco di Roma, alle richieste di trasparenza Renzi risponde che ha pubblicato tutto in rete
Ma dove?
Stesso discorso vale per la Provincia. Anche nel 2012 disse che lui aveva pubblicato già tutto “per primo in Italia”.
In realtà fu il sito Qelsi.it il primo a pubblicare gli atti dell’ inchiesta della Corte dei conti: un fiorire di dettagli fino ad allora sconosciuti.
Basti la delibera del luglio 2006: 12 fatture di Lino e sette di Garibaldi.
“Le date possono non corrispondere a quelle effettive dei pasti perchè le fatture venivano raccolte e deliberate tutte insieme”, spiega Guido Sensi, ex capogruppo di opposizione a Renzi in Provincia.
Quindi solo Renzi può fornire dettagli specifici. Marino l’ ha fatto.
Il premier che aspetta?
(da “Huffingtonpost”)
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