Ottobre 7th, 2015 Riccardo Fucile
POI IL COLPO D’ALA: RESTITUISCE IL DENARO SPESO CON LA CARTA DI CREDITO DEL COMUNE
Il sindaco Ignazio Marino continua a negare di aver falsificato le note spese, ma restituisce i soldi.
Dopo le polemiche per le cene messe a rimborso dell’amministrazione e a cui i presunti commensali dicono di non aver mai partecipato, il primo cittadino ha annunciato che pagherà di tasca sua tutte le spese sostenute con la carta di credito del Comune di Roma.
“In questi due anni”, ha detto in una nota, “ho speso meno di 20mila euro per rappresentanza, e l’ho fatto nell’interesse della città . E’ di questo che mi si accusa? Bene, ho deciso di regalarli tutti di tasca mia alla città e di non avere più una carta di credito del Comune a mio nome”.
Il politico Pd ha poi smentito ancora una volta l’ipotesi che possa fare un passo indietro: “Io continuerò sulla strada del cambiamento”, si legge nel testo, “e gli stessi cittadini giudicheranno. Ma ora voglio che Roma guardi al Giubileo”.
Nei giorni scorsi è scoppiata la polemica sugli scontrini del primo cittadino e la Procura ha aperto un fascicolo: nella lista compaiono infatti alcune cene che Marino dice di aver fatto con giornalisti e rappresentanti della comunità di Sant’Egidio, ma gli interessati hanno smentito di aver mai partecipato.
Intanto il primo passo dell’inchiesta della Procura sulle spese sostenute dal primo cittadino dopo gli esposti da parte di Fratelli d’Italia e del Movimento 5 Stelle prevede l’acquisizione di tutta la documentazione relativa all’aumento del massimale, da 10mila a 50mila euro, di utilizzo mensile della carta di credito in dotazione del sindaco.
Gli inquirenti dovranno accertare se Marino abbia sostenuto spese con la carta di credito del Comune al di fuori dei fini istituzionali, come chiedono i firmatari degli esposti, e per questo motivo, oltre ad esaminare la documentazione sull’aumento del plafond sentiranno, come testimoni, anche i titolari degli esercizi ai quali fanno riferimento i giustificativi di spesa.
Il fascicolo affidato al pm Roberto Felici è per il momento privo di ipotesi di reato. Agli esposti, nei quali si parla di un presunto utilizzo arbitrario della carta di credito, sono allegati estratti conto intestati al sindaco Marino.
Mentre dalle opposizioni continuano le pressioni perchè Marino faccia un passo indietro, l’attesa è per quello che deciderà il Partito democratico e quindi Matteo Renzi.
Secondo le ultime indiscrezioni il Pd sarebbe sempre più in fibrillazione.
Il primo cittadino ha scelto di prendere tempo e ancora una volta ha trovato il modo di uscire dalla strettoia proprio come avvenne per il ‘Panda gatèe’ quando pagò di tasca sua le multe prese perchè aveva il permesso Ztl scaduto.
Ma l’ultima parola sarà quella del presidente del Consiglio.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 7th, 2015 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA MINACCIA SFRACELLI E POI SOCCORRE IL GOVERNO… LA MINORANZA PD PARTE INCENDIARIA MA FINISCE PER NON INCASSARE NULLA
Palazzo Madama, l’ora dell’ammuina.
In tarda mattinata si annuncia un voto difficile per il governo. Paolo Romani prende la parola. E spiega perchè è contrario all’emendamento sull’articolo 17, su cui il governo rischia di andare sotto: “Sarebbe una follia”.
Nel dubbio, assicura al governo i voti di Forza Italia. Il pallottoliere dice che l’emendamento su come si dichiara lo stato di guerra è respinto con 165 voti, mentre i sì sono 100 e gli astenuti 8. Brusii dai banchi dei cinque stelle: “È tornato il Nazareno, Forza Italia si è verdinizzata”.
Immediatamente il Pd fa notare che la maggioranza è stata autosufficiente (di 8 voti), anche senza i trenta voti del soccorso azzurro. Vero.
Il problema è che Romani la sua decisione l’ha presa alla cieca: nel dubbio, tutti col governo. Quando poi monta la polemica sul “soccorso azzurro”, il capogruppo di Forza Italia, grande protagonista di giornata, dirama pure l’elogio della propria irrilevanza per non creare problemi alla Boschi e al governo, molto orgogliosi della propria autosufficienza numerica: “Non siamo stati determinanti, se fate bene i conti. Io sono convinto della bontà del voto per il quale ho dato indicazione al gruppo”.
Il Senato pare la nave di Franceschiello: All’ordine Facite Ammuina: tutti chilli che stanno a prora vann’ a poppa e chilli che stann’ a poppa vann’ a prora.
Poche ore prima del soccorso al governo, Romani aveva pronunciato parole incendiarie in un’intervista a Repubblica, annunciando una lettera a Mattarella: “Alzeremo il livello dello scontro. Penso che sia arrivato il momento in cui il capo dello Stato alzi il livello di attenzione rispetto a quanto sta accadendo al Senato”.
In mattinata era circolata anche l’ipotesi di una conferenza stampa congiunta di tutte le opposizioni per annunciare l’Aventino.
Poi, il contrordine: prima ognuno riunisce i suoi gruppi, poi arriva il proclama di guerra congiunto. Alla riunione del gruppo di Forza Italia, avvenuta dopo il soccorso in Aula, si passa dalla guerra alla pace come dalla poppa alla prora sulla nave di Franceschiello.
Altra ammuina.
Nel sonnacchioso pomeriggio d’Aula un altro guerrigliero, Miguel Gotor, prende la parola per annunciare il ritiro degli emendamenti da parte della minoranza Pd.
Quella minoranza, per intenderci, che iniziò denunciando la “torsione autoritaria” per poi accontentarsi di un comma all’articolo 5.
L’ultimo atto è la resa: sull’articolo 21, che disciplina l’elezione del capo dello Stato, resta il testo della Camera che la minoranza ha criticato duramente per giorni, mentre sul 39 l’accordo è che il governo ne presenterà uno suo.
Insomma la minoranza ritira i suoi emendamenti sulla base di un “pagherò” del governo. Maria Elena Boschi, avvolta in una calda e impalpabile pashmina, assiste al suo trionfo con la fredda compostezza di un politico consumato. Immobile, mentre attorno l’ammuina si fa frenetica.
A un certo punto scompare pure la lettera a Mattarella. Non se ne parla.
Un senatore di Forza Italia esce dalla riunione del gruppo furibondo: “Che fine ha fatto la lettera a Mattarella? Boh. Dicono che la invieremo… Io so che il grosso del gruppo voleva fare l’Aventino subito e dire: la riforma è la loro, se la votino. O almeno sarebbe sensato non partecipare neanche al voto finale, e invece…”.
Il fronte comune delle opposizioni – se mai c’è stato davvero – si è rotto.
Forza Italia non farà l’Aventino. Al contrario delle Lega. Che esce dall’Aula denunciando proprio il comportamento da “stampella” di Forza Italia.
Calderoli sbotta: “È risorto il patto del Nazareno come Lazzaro. Questi vanno in soccorso del povero Renzi non appena ha bisogno”.
Durissimi pure i Cinque stelle e Sel.
Ricapitolando: soccorso azzurro (e pure inutile), niente Aventino, lettera a Mattarella chissà (al Colle non è pervenuta).
E sinistra dem che, dopo tanto rumore, cede ma non incassa nulla.
Tutti chilli che stanno abbascio vann’ ncoppa e chilli che stanno ncoppa vann’ bascio. All’ordine Facite Ammuina.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 7th, 2015 Riccardo Fucile
DA GENOVA ALLA SICILIA…E A RAGUSA UN VOLTAFACCIA, SI’ ALLE TRIVELLAZIONI
Il cambiamento della regola (ma anche i comportamenti diffusi) sui soldi nel Movimento cinque stelle è ormai qualcosa imposto dalla brutale realtà dei fatti.
Ma anche su altre cose, per esempio il sì o il no alle trivellazioni, o il dogma etico, prima che politico, della trasparenza di bilancio, è in corso una mutazione complessiva del progetto che non può lasciare inerte il francescano Casaleggio.
E certo non può esser taciuta inneggiando alla «svolta pragmatica» del Movimento.
Sui soldi, innanzitutto, lo spirito francescano del Movimento delle origini sta in effetti andando a farsi benedire.
Molti degli eletti interpretano, diciamo così, assai elasticamente l’invito a restituire una parte fissa dell’indennità e il più possibile dei rimborsi (come dimostrano anche tante delle buste paga, una delle quali – quella di un senatore del marzo 2015, che ha goduto di 11461,31 euro netti, altro che 3 mila – abbiamo pubblicato sulla Stampa ).
Ma i casi di rivolta dalla appassionata base militante ancora esistono.
In Liguria un gruppo di 30 militanti ha firmato una lettera durissima contro Alice Salvatore – la candidata del Movimento alle ultime regionali – protestando contro due «scandali», parole loro. Ne è seguita, racconta Emanuele Rossi sul Secolo XIX , un’assemblea con moltissima gente, anche semplici elettori.
«Vi siete impegnati a trattenere per voi al massimo 2500 euro, siamo già al terzo stipendio e non si è vista una restituzione delle eccedenze e una rendicontazione».
Le accuse portano firme e facce ben conosciute in Liguria, Fernando Bornetto, Marika Cassimatis (candidata non eletta alle europee), Stefano Camisasso (ex portavoce del gruppo comunale a Genova).
È vero che sullo sfondo di tutto questo c’è una battaglia interna in vista delle prossime amministrative (Savona nel 2016 e Genova nel 2017), posti in cui il M5S ha ottimi sondaggi (a Genova è il primo partito), e molti dei firmatari della lettera erano stati candidati trombati alle ultime regionali, dunque ce l’hanno con la Salvatore perchè lei s’è presa tutta la scena e i rapporti con Grillo, forte di 17 mila preferenze; ma è anche vero che le cose che denunciano sono fattuali, non smentite dalla Salvatore.
Che infatti in conferenza stampa dice giustificazioni incredibili: «Da tre mesi sto segnando tutti gli scontrini su un quaderno, se volete lo posso esibire. La promessa di ridurci lo stipendio è un’arma politica contro i nostri avversari, anche se i parlamentari non si riducono a 2500 euro netti ma a 5000 lordi, che è di più. Ci vuole tempo per capire come fare la rendicontazione, in Piemonte hanno iniziato la restituzione solo dopo un anno dall’elezione. Seguiremo pedissequamente le direttive dello staff».
Dove par di capire che anche coi parlamentari le cose sui soldi non sono del tutto a posto: e qui chi può darle torto?
Il secondo «scandalo», accusa la base ligure, è la nomina di Nadasi – il commercialista di fiducia di Grillo – nella finanziaria ligure (storia sollevata proprio dalla Stampa). La replica è lunare. Andrea Melis: «Abbiamo scelto Nadasi perchè ci è arrivato solo un altro curriculum». Strano, il posto era abbastanza appetibile.
E altrove?
A Ragusa, in quello che è uno dei più grandi snodi dell’estrazione petrolifera, crocevia di interessi industriali (in particolare dell’Eni), i cinque stelle avevano sempre detto no trivelle, e ricevuto i voti su questo.
Poi prendono il Comune e che fanno? Sbloccano le trivellazioni.
L’autorizzazione era stata data da giunte precedenti, ma toccava al Comune guidato dal cinque stelle Federico Piccitto sbloccare, con delibera tecnica, le opere edilizie necessarie a supporto della trivellazione.
Si poteva non sbloccare quelle opere. A Ragusa – dinanzi alle perplessità (eufemismo) di attivisti di tutta Italia – avevano sempre rassicurato i militanti che non ci sarebbe stata questa delibera. Invece in tre giorni, all’inizio dell’estate, dietrofront clamoroso: la delibera c’è.
Rivolta corale, grande scandalo, che arriva a Roma, e poi alla Casaleggio; ma Piccitto (sostenuto da Cancelleri) sul blog si difende alla democristiana, nascondendosi dietro il dirigente tecnico: «Si tratta di una questione che coinvolge esclusivamente la competenza del dirigente comunale». E quindi, signori, si trivelli pure.
A Livorno, semplicemente, i consiglieri M5S non votano il bilancio consolidato del sindaco M5S (Nogarin): mancava il piccolo particolare dei conti dell’azienda dei rifiuti Aamps, che ha ormai un deficit di oltre 20 milioni.
Massima trasparenza, s’era detto. Qualche militante che ci aveva creduto c’è.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa“)
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Ottobre 7th, 2015 Riccardo Fucile
PER RAGGIUNGERE IL MINIMO SALARIALE OCCORRONO 40 ANNI, CONTRO I 20 DEL NORD EUROPA E I 10 DELL’IRLANDA
Prima di varare “La buona scuola”, nel suo discorso di insediamento al Senato, Matteo Renzi aveva detto di voler “restituire valore sociale agli insegnanti”.
Per il momento, però, i docenti italiani restano fra i meno pagati di tutto il continente.
E sono gli unici, insieme a quelli di pochi altri Paesi, ad avere da anni lo stipendio bloccato.
È quanto emerge dall’ultimo studio di Eurydice, rete che fornisce informazioni e analisi sui sistemi educativi all’interno dell’Unione.
Il rapporto Teachers’ and School Heads’ Salaries and Allowances in Europe — 2014/2015 (Salari dei docenti e dei dirigenti scolastici in Europa) contiene numeri poco lusinghieri per la nostra scuola.
Lo stipendio di un insegnante italiano va da un minimo di 23.048 euro lordi nella scuola primaria e dell’infanzia, ad un massimo di 38.902 euro nella secondaria di secondo grado (i licei).
Tutti compensi che al netto si riducono di circa la metà (difficile superare i 1.800 euro al mese).
Soprattutto, compensi che sfigurano al confronto dei vicini di casa. In Spagna un insegnante può guadagnare fino a 46.513 euro, in Francia fino a 47.185 euro, in Germania addirittura fino a 70mila euro.
Eurydice ci colloca nella fascia centrale della classifica degli stipendi: lontanissimi dai miseri 6mila euro dei prof della Bulgaria, ma anche dai 141mila euro di quelli del Lussemburgo, in testa alla particolare graduatoria.
Non sono solo i valori assoluti a giocare a sfavore degli italiani.
Il nostro Paese è anche quello dove esiste uno dei minori scarti del continente fra il minimo e il massimo salario che un insegnante può conseguire nel proprio percorso di carriera.
Una delle questioni su cui più ha insistito il governo, che ha tentato di imprimere una svolta meritocratica all’avanzamento stipendiale.
Prima tentando di abolire gli scatti di anzianità , poi ripiegando su un meccanismo di bonus supplementari.
Il confronto col resto d’Europa, però, dimostra come il cosiddetto “primo contratto” sia molto vicino a quello degli altri Paesi (intorno ai 25mila euro), mentre la forbice si crea nel progresso degli anni.
La differenza non è tanto nel come (per merito, o anzianità ), ma nel quanto. All’estero la busta paga cresce di più e più velocemente: in Italia per toccare il massimo bisogna prestare 40 anni di servizio, nel nord Europa (Danimarca, Finlandia, Scozia) solo 20, in Irlanda del Nord appena 10.
C’è un dato su tutti, però, per cui l’Italia è fanalino di coda nel continente.
Mentre più o meno ovunque negli ultimi anni gli stipendi sono aumentati, gli insegnanti italiani sono gli unici — insieme a quelli di Grecia, Cipro, Lituania, Slovania e Liechtenstein — ad avere lo stipendio bloccato.
Da noi, addirittura dal 2010 (misura valida per tutti gli statali, e di recente dichiarata illegittima dalla Consulta).
Adesso verranno avviate le trattative per il rinnovo del contratto e arriveranno le misure de La buona scuola: i bonus meritocratici (per alcuni, non tutti), la “carta del prof” con 500 euro da spendere in formazione. Piccoli passi in avanti.
Ma la strada da fare per avvicinarsi al resto d’Europa è ancora molto lunga.
Lorenzo Vendemiale
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 7th, 2015 Riccardo Fucile
L’IDENTIFICAZIONE ANTROPOLOGICA DELL’ELETTORE DI CENTRODESTRA NEL RENZISMO
In principio furono le scarpe ghepardate della Boschi alla Leopolda, che fecero notizia come uno sbarco di marziani perchè nell’immaginario collettivo della sinistra la donna in politica non porta tacchi alti e tantomeno stampe animalier. Poi venne “Amici”. E poi, pian piano, tutto il resto.
Il renzismo non convince gli elettori (ex elettori?) della destra solo con l’abolizione dell’Imu, il calo delle tasse, la fine dell’articolo 18, ma anche con un’identificazione antropologica che funziona assai meglio di qualsiasi campagna politica.
Lo sdoganamento di Denis Verdini, l’assoluzione politica dei gesti sessisti di Barani e D’Anna, l’immagine di Lotti che ride al telefono per la canzoncina contro i bersaniani, sono l’estremo tributo al mood esistenziale di quelli che, tanto tempo fa, si divertivano alle barzellette sulla Bindi e facevano di Scilipoti un mito pop.
L’elettore medio di centrodestra non ha bisogno di leggere l’ultimo decreto del governo per sentirsi affine al leader.
Una battuta via l’altra, il renzismo ha conquistato le simpatie pre-politiche di quella che una volta si chiamava l’Italia alle vongole, già riferimento primo del berlusconismo, “quel mondo allegro e solare — per dirla con Giuliano Ferrara che la esaltò come modello di riferimento — legato alla tv e al calcio, magari a volte sguaiato e volgarotto ma di buona pasta”.
È un mondo che si compiace della battuta grassa, che si riconosce nell’inglese maccheronico del capo, si diverte all’idea che giochi alla Playstation aspettando i risultati delle regionali, va in solluchero per lo sceriffo De Luca che dà dei camorristi ai giornalisti di RaiTre, non vede niente di strano nei tweet di Esposito che paragona gli anti-juventini a “impotenti che esultano se qualcuno fa godere la loro donna”.
Oltre ogni giudizio moralistico, è il centrodestra che dovrebbe preoccuparsi, e molto. Dove andrà a cercare i voti se il renzismo si ruba non solo i suoi temi forti — meno tasse, lotta allo strapotere sindacale, abolizione dell’Imu — ma anche il suo immaginario?
In nome di cosa chiederà consenso ora che il Pd di Renzi fa pure la guerra e manda i caccia a bombardare l’Isis cancellando l’estremo argomento polemico — il “buonismo” delle sinistre — rimasto alla destra?
Chi gli rimane se l’Italia della piccola impresa e delle partite Iva, dei bar di provincia e del pubblico di Pomeriggio Cinque, gli volta le spalle?
Ossessionati dal tema della leadership, a destra si sono dimenticati che la politica è fatta anche di occupazione di spazi politici.
E lo spazio politico attualmente libero in Italia è davvero piccolissimo: nel settore degli ultras antisistema c’è Grillo; in quello dei lavoratori dipendenti — insegnanti, statali, burocrazie pubbliche — domina la sinistra-sinistra; tutto il resto è occupato dal renzismo salvo lo spicchio xenofobo monopolizzato da Salvini.
Servirebbero sforzi da gigante per inventarsi qualcosa, un punto di ripartenza, una piattaforma — anche “estetica”, antropologica, culturale in senso lato — oltre all’interpretazione dei sentimenti dell’Italia alle vongole.
Ma ho i miei dubbi che ci sia qualcuno in grado di compierli, e anche solo di riconoscere il problema.
Flavia Perina
(da “Strade”)
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Ottobre 7th, 2015 Riccardo Fucile
“L’EROE DEL DODECANESO” CHE HA COMMOSSO IL MONDO… “CHI NON HA MAI PATITO LA FAME NON PUO’ CAPIRE COSA SIGNIFICHI”
«Europa è quel panettiere di Kos che tutti i giorni va al porto per dare da mangiare alle anime affamate e stanche», scandiva lo scorso 9 settembre il presidente della commissione europea Jean-Claude Juncker davanti al parlamento di Bruxelles, durante il discorso annuale sullo Stato dell’Unione.
«Lui come gli studenti di Monaco e Passau che portano vestiti alla stazione e i poliziotti austriaci che accolgono i rifugiati che arrivano esausti al confine».
Sono storie di piccoli gesti che raccontano un’Europa che non è meno reale di quella che per troppo tempo non è riuscita ad agire.
Quel panettiere di Kos non è frutto di un artificio retorico, è una persona in carne e ossa che non sente il peso di essere un simbolo: «Io mi limito ad aiutare, nient’altro».
Il suo nome è Dyonisis Arvanitakis e ha alle spalle una storia che gli permette di guardare con occhi diversi a quello che sta succedendo sulle coste della Grecia.
Già , perchè una volta l’immigrato era lui: è il 1957 quando Dyonisis, decide di lasciare casa sua, nel Peloponneso per scappare dalla miseria.
All’età di quindici anni, si imbarca per un viaggio di quaranta giorni verso l’Australia ed è lì che per la prima volta si trova dall’altra parte della barricata: «Quando sono arrivato non sono riuscito a trovare un lavoro perchè non parlavo inglese – racconta – e in quei mesi ho capito cosa fosse la fame. Chi non l’ha mai patita non può capire cosa provano quelle persone. Io sono stato come loro».
Da allora sono passati molti anni. Nel 1970, dopo aver lavorato come panettiere in Australia, essersi sposato e aver messo da parte abbastanza soldi, Dyonisis riesce a tornare in Grecia, a Kos, da dove viene la moglie Evangelia.
Nel villaggio di Zipari apre la sua prima bottega, oggi una delle più importanti dell’isola, gestita assieme al figlio Stavros. Le cose però cambiano quando cominciano ad arrivare i primi barconi e, con loro, i suoi viaggi verso il porto col furgone carico di pane.
Riuscire a parlare con Dyonisis non è facile.
L’eroe del Dodecanneso, come lo chiamano alcune testate greche, si divide tra il porto di Kos e il forno della sua panetteria come se gli anni non fossero passati.
E quando un giornalista lo cerca o chiama al telefono la risposta è sempre la stessa: «Dyonisis non c’è». Alla porta della sua bottega, qualche giorno fa, ha bussato anche Brandon Hony, il fotografo reso celebre dai ritratti del progetto Humans of New York, che lo ha voluto immortalare, immerso tra centinaia di pagnotte: un uomo di poche parole e molto lavoro ma che ha un’idea chiara di quello che sta succedendo e soprattutto di ciò che è chiamato a fare. Nient’altro che dare una mano.
«Ho cominciato a caricare il furgone di pane per donarlo a quelle persone. Ogni giorno ne facciamo circa 100 chili in più ma arrivano sempre più persone, l’Europa dovrebbe venire a vedere cosa succede qui».
Alcuni dei profughi lo aiutano, lavorano per lui, «ma la situazione diventa sempre più complessa e ogni volta mi domando se è il caso di smettere o continuare».
A voler rallentare sarebbe suo figlio, che con lui gestisce affari: «È contento di ciò che facciamo ma preferirebbe che non esagerassi».
Ogni giorno però è come quello precedente e Dyonisis riempie il retro del furgoncino per tornare al porto.
Se continua è solo perchè non può dimenticare quello che ha patito da giovane: «Quando ero un ragazzo, nel Peloponneso si pativa la fame e oggi è lo stesso, per questo scappavamo. Vivere per strada, non avere da mangiare, non conoscere la lingua sono cose che non si scordano facilmente».
Francesco Zaffarano
(da “La Stampa”)
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Ottobre 7th, 2015 Riccardo Fucile
TRA LORO IL CAPOGRUPPO ROMANI E MARIA ROSARIA ROSSI
Il Senato ha ripreso a lavorare sul ddl Boschi e la maggioranza regge nonostante in alcuni casi abbia vacillato.
È successo nei primi voti segreti di giornata (sugli emendamenti all’articolo 12) quando il conto è sceso sotto quota 150, precisamente a 143 e 144, tra i risultati più bassi da quando si è cominciato ad esaminare il testo.
Un campanello d’allarme parzialmente rientrato con le successive chiamate che hanno portato all’ok degli articoli 12,13, e 14 con numeri più ampi.
CHE FA FORZA ITALIA?
Le opposizioni intanto continuano a protestare stamattina hanno anche scritto una lettera al presidente Mattarella.
Ma nel primo pomeriggio arriva una mossa a sorpresa: 30 senatori di Forza Italia hanno votato con la maggioranza esprimendo parere contrario all’emendamento all’articolo 17.
Voti che, seppur non determinanti per la tenuta della maggioranza stessa, pesano e forse aprono nuovi scenari.
Scorrendo i tabulati infatti, risultano 29 i senatori azzurri che hanno votato contro, tra cui il capogruppo Paolo Romani e la fedelissima del Cavaliere, Maria Rosaria Rossi. Un senatore di FI si è astenuto ma a Palazzo Madama l’astensione equivale a voto contrario, quindi in tutto i voti azzurri sono 30
LA TREGUA DELLA MINORANZA PD
Di fatto in mattinata la maggioranza è arrivata a soli 12 voti dal veder approvato un emendamento del M5S sull’articolo 12.
Ma il calo, in parte, è fisiologico. Ieri si era votato fino a tarda sera e quindi stamane in Aula non c’era il pienone e le assenze erano parecchie.
Nei successivi voti a scrutinio palese i numeri della maggioranza sono risaliti stabilmente sopra i 160 voti, sfiorando a volte anche i 170.
Resta dunque una differenza sensibile, fino a oltre venti unità , tra i voti segreti e quelli palesi. Intanto c’è una “tregua” della minoranza Pd.
Il senatore Miguel Gotor ha annunciato il ritiro degli «emendamenti miei e del senatore Chiti all’articolo 21 (sull’elezione del Presidente della Repubblica, ndr) e invito le opposizioni a non ripresentarli».
LE OPPOSIZIONI SCRIVONO A MATTARELLA
Mentre in Aula la maggioranza va avanti sul filo dei voti, le opposizioni (M5S, Sel, Forza Italia e Lega Nord) alzano il tiro contro la riforma costituzionale e scrivono una lettera al presidente della Repubblica Mattarella per ribadire la «mancanza di confronto» imposta da governo e maggioranza.
«Questa riforma nasce e si conclude tutta all’interno di un solo partito» e consegnando «a una singola lista un’ampia maggioranza in Parlamento» e delineando «un possibile deficit democratico».
Le opposizioni rilevano «inoltre il venir meno del ruolo di arbitro super partes del presidente del Senato». Infine, per le opposizioni, il Ddl è «non privo di errori materiali, incongruente nelle sue diverse parti e in aperta contraddizione» con i principi fondamentali richiamati dalla Consulta.
LE PREOCCUPAZIONI NEL GOVERNO
Ma quello che agita di più i piani alti del Pd è la tenuta della maggioranza per stare sopra quota 160 nell’interminabile tour de force di votazioni a oltranza: dove gli imprevisti sono sempre in agguato.
Tanto più che pure se «nei voti segreti un calo è fisiologico», dice il Pd Marcucci, i segnali di allarme non mancano: già ieri nel secondo voto segreto di giornata all’articolo 10 la maggioranza era scesa a 153 sì e la minoranza è salita a 131.
Prima dell’ok dell’aula con 165 sì, l’altro scrutinio segreto era finito 154 a 136, solo 18 voti di scarto.
Franchi tiratori messi in conto meno di una decina, nel mirino finiscono i dissidenti Pd: perchè l’emendamento per aumentare le competenze legislative del Senato era stato presentato da loro, poi ritirato e fatto proprio dai grillini.
E ci finiscono pure gli ortodossi Ncd: perchè fanno muro contro le unioni civili, definiscono «una provocazione inaccettabile» mandarle in aula nell’intervallo tra la riforma del Senato e la legge di stabilità .
(da “La Stampa“)
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Ottobre 7th, 2015 Riccardo Fucile
ALL’ESTERO 4,6 MILIONI DI ITALIANI, PARTENZE IN CRESCITA COSTANTE
C’era una volta la paura di essere invasi, lo sguardo appuntato sull’orizzonte in attesa che eserciti di disperati occupassero una terra a mala pena bastante per i suoi abitanti. La situazione fotografata dall’ultimo rapporto della Fondazione Migrantes sugli italiani nel mondo è a dir poco capovolta: per ogni straniero approdato nel 2014 ci sono 3 nostri connazionali che, nello stesso periodo, hanno fatto fagotto in cerca di un futuro migliore altrove.
La matematica è logica quanto spietata: se gli arrivi non compensano le partenze vuol dire brutalmente che, Belpaese o meno, attraiamo assai meno di quanto altri lidi attraggano noi.
I dati analizzano gli ultimi 10 anni, giro di boa oltre il quale il numero degli emigranti è tornato a crescere come mezzo secolo fa.
Al primo gennaio 2015 risultano iscritte all’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, 4.636.647 persone, più 3,3% rispetto al 2014 ma più 49,3% rispetto al 2005.
Un’incremento che, al netto delle mille differenze tra calciatori, suonatori d’arpa d’origine lucana, barbieri, designer o professori, indica una tendenza inequivocabile al gettare il cuore oltre confine
Cambiano le mete
«Ai 33 mila ingressi dello scorso anno corrispondono 101 mila fughe all’estero, significa che non cresciamo più e che la crisi economica si sta trasformando in crisi demografica» ragiona monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes.
L’identikit multiplo degli esuli, dice, suggerisce quanto profondamente abbia scavato la sfiducia nel paese: «La novità è che oltre a mete tradizionalmente appetibili come la Germania, la Svizzera e la Francia, ci sono la Cina e gli Emirati Arabi, dove in questi mesi si stanno trasferendo ingegneri e profili altamente qualificati. Ma sarebbe sbagliato parlare solo di cervelli in fuga perchè le cifre comprendono anche gli over 40 rimasti disoccupati troppo tardi per avere chances in Italia: almeno la metà di quelli che partono trova lavoro nei bar di Barcellona, nelle fabbriche tedesche, nell’attività artigianale in Gran Bretagna».
Chi sono i nuovi migranti che ricordano all’Italia quanto forza centripeta e centrifuga siano complementari allo sviluppo economico e culturale di un paese?
Migrantes parla soprattutto di uomini (56%), celibi (59,1%), d’età compresa tra i 18 e i 34 anni (35,8%), molti sono Millennials, la generazione più istruita e al tempo stesso più penalizzata dal secondo dopoguerra a oggi.
Partono da ogni dove (la Sicilia resta la prima regione di origine degli italiani all’estero e il Meridione rappresenta il 51,4% della diaspora), ma la novità riguarda il settentrione, dove Lombardia e Veneto si piazzano rispettivamente al primo e al terzo posto per incremento delle partenze (più 24 mila e più 15 mila).
Monsignor Perego spiega il neo protagonismo del nord con il perdurare della recessione: «Una parte di questa migrazione deriva da una precedente migrazione interna Sud-Nord, gente che spostandosi si era sistemata ma non abbastanza da reggere alla crisi».
Le mete sono globali,196 paesi diversi.
Ad assorbire il grosso restano ancora Europa (53,9%) e Stati Uniti (40,3%) ma c’è anche l’Argentina che si piazza al quinto posto delle destinazioni più gettonate dopo Germania, Regno Unito, Svizzera e Francia. Paesi in crescita sull’onda del passaparola di chi cerca e trova lavoro risultano Spagna, Venezuela, Irlanda, Cina e Emirati Arabi.
Laureati con la valigia
È una tendenza irreversibile? La risposta a questa domanda è la chiave del futuro del nostro paese, nota Alessandro Rosina dell’Università Cattolica citando un recente rapporto secondo cui il 60% dei laureati vorrebbe partire alla volta di opportunità migliori.
Già oggi, calcola Migrantes, appena il 20% degli studenti italiani spende il proprio titolo di studio in patria, il 60% lo investe all’estero e il restante 20% si guarda intorno incerto su come muoversi temendo che l’emigrazione sia una strada a senso unico. «Molti dei nostri ragazzi vorrebbero tornare a casa ma diversamente dalla Spagna la nostra legislazione non agevola il rientro» chiosa monsignor Perego.
Il resto sono numeri.
Francesca Paci
(da “La Stampa”)
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Ottobre 7th, 2015 Riccardo Fucile
NONOSTANTE IN QUEI GIORNI FOSSE A SCUOLA IN ITALIA, IL GIOVANE MAROCCHINO DA CINQUE MESI E’ IN CARCERE CON UN’ACCUSA INFAMANTE SENZA UNO STRACCIO DI PROVA
Non estradare in Tunisia, e anzi liberare subito, il 22enne marocchino Abdel Majid Touil che da quasi 5 mesi è in carcere a Milano perchè accusato da Tunisi di essere uno dei terroristi autori il 18 marzo della strage del Museo del Bardo a Tunisi nella quale furono assassinate 24 persone (tra le quali 4 italiani) e ferite altre 45: a sorpresa martedì la requisitoria del sostituto procuratore generale Piero de Petris cambia completamente il destino del 22enne arrestato il 20 maggio dall’Italia in esecuzione di un mandato di cattura internazionale emesso dalle autorità tunisine.
E se ora nel giro di pochi giorni (come probabile) la competente V Corte d’Appello dichiarerà la non estradabilità di Touil in Tunisia, subito dopo dovrà rimetterlo in libertà , visto che l’unico titolo per questi 140 giorni di carcere a Opera è la richiesta di estradizione.
Totalmente sconosciuto ai pur attrezzati investigatori antiterrorismo italiani, e senza alcun legame con la galassia estremista, Touil fu rintracciato paradossalmente attraverso la denuncia di smarrimento del passaporto presentata dalla madre Fatima ai carabinieri di Trezzano sul Naviglio, e arrestato (appunto su richiesta della Tunisia) il 20 maggio nella casa dei familiari a Gaggiano, dove era giunto come irregolare da Porto Empedocle dopo aver riempito un barcone degli scafisti libici il 15 febbraio. Subito i giornalisti avevano colto l’incongruenza del quaderno di un corso di italiano a Trezzano che attestava (come raccontato dai familiari) che quantomeno il 19 marzo Touil fosse lì a un corso scolastico, e dunque non potesse essere a Tunisi il giorno 18 della strage, come sostenuto invece dalla Tunisia.
Alle insorte polemiche politiche, il ministro dell’Interno Alfano aveva risposto: «Siamo l’unico Paese al mondo dove c’è un’opposizione che protesta perchè è stato arrestato un sospettato di terrorismo, invece di dire che il sistema ha funzionato».
Il no della Procura generale all’estradizione si concentra martedì preliminarmente sul fatto che, mentre i reati di cui Touil è accusato in Tunisia sono puniti con la pena di morte, la convenzione bilaterale Italia-Tunisia non regola esplicitamente l’impegno di Tunisi a commutare l’eventuale condanna capitale in pena detentiva.
In filigrana, inoltre, traspaiono i dubbi sulle due maggiori prove d’accusa prodotte dalle autorità tunisine: gli stessi che devono del resto aver indotto il ministero della Giustizia italiano a non chiedere di procedere contro Touil per l’omicidio dei nostri 4 connazionali, e le Procure di Milano e di Roma (che a Milano ha trasmesso l’iniziale fascicolo aperto per la strage degli italiani e per terrorismo internazionale) a non adottare sinora alcuna altra misura.
Non proprio granitico nelle modalità , infatti, appare il contesto del riconoscimento che due attentatori catturati hanno fatto in carcere, nella fotocopia di una foto, del volto di Touil come dell’uomo sconosciuto che in una piazza a Tunisi aveva consegnato loro alcune armi la mattina dell’attentato.
E neppure risolutivi sono i tabulati telefonici tra un cellulare del giovane e altri attentatori.
Quel cellulare ha infatti avuto tre diverse vite: nella prima ha contatti solo con familiari di Touil, nella seconda resta silente, nella terza ha in effetti contatti con terroristi.
Ma la cesura intermedia corrisponde proprio al viaggio di Touil sul barcone degli scafisti libici che – racconta – gli trattennero cellulare e passaporto.
Finiti poi, in questa lettura, ai reali utilizzatori in contatto con gli stragisti.
Luigi Ferrarella
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: Giustizia | Commenta »