Ottobre 18th, 2015 Riccardo Fucile
SONO 14 LE REGIONI FUORILEGGE, ARRIVANO LE MULTE EUROPEE… EPPURE CI SONO 3,5 MILIARDI NON SPESI DA ANNI PER I DEPURATORI
Gli antichi romani sì che ci sapevano fare.
L’acquedotto dell’Acqua Vergine, inaugurato nel 19 avanti Cristo da Agrippa, genero dell’imperatore Augusto, alimenta ancora la fontana di Trevi per la gioia di tre milioni di turisti ogni anno.
Venti secoli di onorato servizio non sono un miracolo, ma il frutto di costante manutenzione: da Tiberio nel 37 dopo Cristo a Claudio e Teodorico, fino a Papa Adriano nel Medioevo.
Per la stessa ragione la cloaca maxima, realizzata da Tarquinio il Superbo nel VII secolo a.C., è l’unica opera idraulica del mondo antico ancora funzionante. Immeritata eredità , per un’Italia che maltratta la sua acqua e il suo territorio, pagando un prezzo altissimo. Non più solo ambientale e sanitario, ma anche finanziario.
Tutto in mare
Diversi quartieri di Catania, nonchè le città limitrofe, non sono allacciati al depuratore. Le fogne scaricano in mare.
D’estate, per evitare bagni nei liquami, i collettori vengono tappati con sacchi di sabbia e disperdono nel sottosuolo.
D’inverno, quando ci sono nubifragi, l’acqua si convoglia lungo via Etna, il salotto cittadino che si trasforma in un torrente furioso, trascinando in mare anche le auto.
In Sicilia, il 60% della popolazione scarica in mare.
Da anni sono disponibili 1,1 miliardi di euro per i depuratori, ma su 94 cantieri previsti ne sono stati aperti solo tre.
È la situazione più grave, non l’unica.
In Italia ci sono 3,5 miliardi stanziati negli ultimi quindici anni e mai spesi. E l’Authority calcola che solo il 55% delle opere necessarie e pianificate è stato realizzato.
Cause: ricorsi giudiziari, errori progettuali, conflitti politici, inedia burocratica, incapacità , ruberie.
Conseguenze: un terzo dell’Italia vive con un sistema idrico fuorilegge.
Depuratori inesistenti, inadeguati, insufficienti. Liquami in mare, nelle falde acquifere che ci dissetano, nella terra che ci nutre.
L’Unione europea si è stufata di concederci proroghe e all’inizio del 2016 scatteranno le sanzioni fino a 500 milioni l’anno.
Norme e illegalita’
«Ce lo chiede l’Europa» e non da oggi, di restituire alla natura acqua pulita come quella che prendiamo.
È del 1991 la prima direttiva. L’Italia l’ha ignorata per otto anni.
Ed è del 2000 la direttiva che impone di raggiungere un buono stato delle acque entro il 2015. Quindici anni non ci sono bastati.
L’Italia ha subìto la prima condanna nel 2012 e la seconda nel 2014. La terza e più pesante arriverà prossimamente.
Siamo già in mora, è questione di mesi. Bisognerà pagare subito 200 milioni, ma il conto può sfiorare i 500 milioni l’anno.
La cosa che fa più rabbia è che nell’ultimo decennio politici, amministrazioni pubbliche e burocrazie assortite non sono riuscite a spendere pacchi di miliardi per evitare quelle sanzioni. Solo nei paesi ex sovietici si riscontrano arretratezze analoghe a quelle italiane.
Un sistema marcio
Chi deve organizzare il servizio idrico? Prima lo facevano i Comuni, ciascuno per conto proprio, ma così il sistema è inefficiente.
Non si può fare un depuratore per 550 abitanti.
Dal 1994 la legge obbliga le Regioni a dividere il territorio in Ambiti Territoriali Ottimali (Ato) con caratteristiche omogenee. Ogni Ato, formato dai Comuni della zona, si rivolge a un gestore unico che organizza tutto il servizio idrico, dalla fonte al depuratore.
Per questo riscuote dai cittadini la tariffa, che incorpora gli investimenti per la manutenzione. Per le opere straordinarie ci sono finanziamenti statali.
Non è difficile: funziona così in tutta Europa. E anche in Italia, dove è stato fatto. Ma pochi l’hanno fatto.
Ci sono ancora 2500 gestori, ne basterebbero meno di cento.
Le condanne europee riguardano Abruzzo, Calabria, Campania, Friuli Venezia-Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta e Veneto: quattordici regioni su venti.
E 2500 Comuni su circa ottomila, tra cui capoluoghi come Trieste, Imperia, Napoli, Reggio Calabria, Agrigento, Messina e Ragusa e località turistiche come Capri, Ischia, Rapallo, Santa Margherita ligure, Porto Cesareo, Soverato, Cefalù e Giardini Naxos. Non rispettano le regole 175 Comuni in Sicilia, 130 in Calabria, 128 in Lombardia e 125 in Campania.
Fanalino di coda
Nei giorni scorsi, dati inequivocabili sono stati presentati a Milano durante il Festival dell’Acqua.
In Europa per il sistema idrico si investono in media 50 euro ad abitante ogni anno. In Francia 88, in Olanda e in Inghilterra 100, in Danimarca 126. In Italia 34 euro, i Comuni peggiori meno della metà . Terzo mondo.
Non a caso i nostri acquedotti perdono oltre il 30 per cento (il 50 nel Mezzogiorno), contro il 21 della Francia, il 15 della Gran Bretagna e il 6,5 della Germania.
Un anno fa, il dossier «acqua pulita» è stato preso in carico da Italia Sicura, la task force installata a Palazzo Chigi.
La ricognizione degli esperti ha svelato un quadro disastroso. Non solo all’acqua, primario elemento vitale («L’acqua è democrazia», diceva Nelson Mandela), dedichiamo pochi quattrini. Ma nemmeno li spendiamo.
Su 12 miliardi di finanziamenti stanziati negli ultimi quindici anni, ce ne sono 3,5 non spesi. Gran parte – 2,8 miliardi – nel Sud che più avrebbe bisogno delle opere. Ora partono i commissariamenti degli enti inadempienti.
Nella siciliana Acireale come nel Tigullio ligure litigano da anni per decidere dove costruire il depuratore.
La Calabria è piena di lunari appalti con il project financing, naufragati tra buchi finanziari e scartoffie di un certo interesse per le Procure.
Solo in provincia di Catania ci sono 40 gestori, anzichè uno, a spartirsi centinaia di milioni. Cantieri aperti: zero.
Ma che importa: anche la prossima estate tutti al mare, illudendosi che sia pulito.
Giuseppe Salvaggiulo
(da “La Stampa“)
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Ottobre 18th, 2015 Riccardo Fucile
DALLE MENSE AL PERSONALE, TRIPLICATE LE SPESE… IL DEFICIT TOTALE E’ UN MILIARDO… DISAVANZO RECORD PER IL LAZIO
Spese per lavanderia, riscaldamento o mensa che raddoppiano o addirittura triplicano da un ospedale all’altro.
Personale assunto a palate negli anni che gonfia a dismisura le piante organiche. Soprattutto di amministrativi, quando casomai mancano medici ed infermieri per i servizi di pronto soccorso.
E’ una mappa degli sprechi da almeno un miliardo quella messa a punto, su mandato della Lorenzin dall’Agenas, l’Agenzia per i servizi sanitari regionali, che ha fatto le pulci ai bilanci degli ospedali di 14 regioni.
Tutte le più importanti, meno Veneto ed Emilia delle quali mancano i dati.
Ad essere tinti di rosso sono 29 grandi ospedali d’Italia, concentrati in Piemonte (4), Liguria (2), Toscana (4), Marche (1), Lazio (9), Calabria (4), Sardegna e Campania (uno ciascuna).
Un buco da 915 milioni, destinati a sforare il miliardo quando saranno disponibili i dati di tutte le regioni.
Anche se a fare la parte del leone la fanno i nosocomi della Capitale che nel 2014 erano in perdita per 707 milioni.
Numeri che non fanno dormire i manager ospedalieri perchè d’ora in avanti chi non turerà la falla in tre anni perderà il posto.
La legge di stabilità appena approvata prevede infatti che i direttori generali degli ospedali in rosso presentino un piano di rientro triennale, che spetterà poi ai ministeri della Salute e dell’Economia oltre che alla Agenas monitorare.
Se non lo faranno decadranno. Idem se dopo tre anni il bilancio non tornerà in pareggio. Una svolta voluta dalla Lorenzin, rispetto alla pacchia delle regioni Pantalone, che fino ad oggi hanno ripianato a piè di lista sforamenti e sprechi.
Che a leggere le tabelle dell’Agenas sembrano abbondare.
Per far capire dove abbiano origine quei buchi l’Agenzia ha messo a confronto quattro ospedali, due in deficit e due no, confrontabili tra loro per numero di posti letto, reparti e livello delle prestazioni offerte in base al piano esiti del ministero della salute.
Prendiamo il «San Camillo» di Roma, che ha il disavanzo record d’Italia (-158 milioni) e confrontiamolo con gli Ospedali Riuniti di Ancona, che riesce a chiudere con un leggero attivo.
Allora scopriamo che il nosocomio romano intorno a poco meno di mille letti fa affaccendare 4148 dipendenti.
Anche se poi si scopre che l’11% sono amministrativi, quando la percentuale standard sarebbe del 7%.
Ad Ancona per un numero di letti più o meno analogo di addetti ne bastano invece 3461.
Per non parlare di spese per beni e servizi non sanitari. Cose come mensa, lavanderia o riscaldamento. Che non puoi dire io costo di più perchè trapianto cuori artificiali. Ebbene al San Camillo si spendono 80 milioni ad Ancona quasi metà : 45.
Poi si scopre che a Roma in passato si è andati avanti senza gare d’appalto e si capisce meglio.
Prendiamo ancora gli ospedali di Cosenza e Cannizzaro in Sicilia.
Il primo in deficit per 8,5 milioni, il secondo in leggero attivo.
Anche a Cosenza gli amministrativi abbondano e ci lavorano quasi 700 addetti in più che a Cannizzaro.
Eppure a vedere i dati del Piano esiti non sembra che nell’ospedale calabrese si guarisca di più e meglio. E anche qui per i servizi non sanitari chi è in deficit spende 5 milioni in più.
«Finalmente abbiamo un sistema che consente di intervenire preventivamente e non a scopo ispettivo», dice il direttore dell’Agenas, Francesco Bevere.
«Senza contare — aggiunge – che questo sistema può contribuire alla diffusione ed al trasferimento delle buone pratiche, mediante audit clinici, organizzativi e gestionali».
Paolo Russo
(da “La Stampa”)
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Ottobre 18th, 2015 Riccardo Fucile
CHIESTO IL FALLIMENTO DELL’ISTITUTO, LA PROCURA VALUTA LA BANCAROTTA
L’ epopea del Cepu, la mistica del Cepu, l’accademia del Cepu!
Tutto finito: addio laurea facile, addio didattica cepuizzata. Il più noto istituto di preparazione agli esami universitari ha chiesto il fallimento, mentre la Procura di Roma valuta la bancarotta per distrazione.
Così la creatura fondata da Francesco Polidori viene bocciata in economia e soprattutto in commercio.
«Con noi ce la puoi fare» era lo slogan magico che ha permesso al Cepu di primeggiare nella nebulosa galassia degli istituti privati che «accompagnano» alla laurea.
I testimonial si chiamavano Antonio Di Pietro, Enrico Papi, Alex Del Piero, Valentino Rossi, Bobo Vieri…
Il sottotesto era molto chiaro: se Bobo riesce a prendere una laurea ce la puoi fare anche tu.
Il segreto di questo impero del «pezzo di carta», fondato da Polidori, un albergatore aretino molto amico di Berlusconi, era la figura del tutor .
Di solito un giovane laureato che allenava lo studente a superare l’esame. Senza frequentare lezioni, nè studi matti e disperatissimi.
Il tutor aveva il compito di suggerire le scorciatoie per prendere almeno un 18. Grande successo.
A quel punto, Mr. Cepu trova più conveniente fondare una sua università , la eCampus, con lo stesso valore legale delle altre.
Ma arriva lo schianto di Cepu, sotto il peso di un grave passivo.
Forse il dramma vero è che le troppe sedi universitarie sotto casa sono parse più abbordabili ed economiche del Cepu.
Aldo Grasso
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Ottobre 18th, 2015 Riccardo Fucile
LA MARCHETTA DEL GABIBBO BIANCO E DELLA LEGA ALLA LOBBY DEI PALAZZINARI: ORA QUALCUNO AVRA’ PIU’ CHIARO CHI RAPPRESENTANO
«Faremo ripartire il “motore”, semplificando gli interventi privati, le ristrutturazioni». Ai lavoratori dell’edilizia che in consiglio regionale hanno portato la disperazione di un settore in crisi (4000 posti di lavoro persi negli ultimi cinque anni, in Liguria), l’assessore regionale all’Urbanistica, Marco Scajola, aveva risposto così.
È stato di parola, senza dubbio: perchè il Piano casa annunciato dalla giunta Toti è una cura da cavallo.
O meglio del cemento, come non si vedeva dal 2009 e da quel Piano casa firmato Burlando-Ruggeri i cui strascichi, la giunta uscente, si è portata dietro fino agli ultimi giorni.
Ebbene: la giunta Toti riprende quel Piano, in origine un pacchetto straordinario con scadenza a fine 2011 (prorogata più volte) e lo amplia generosamente, concedendo più metri cubi, trasformazioni più facili e autorizzazioni su eventuali varianti tutte accentrate sulla Regione, con un impoverimento del ruolo, e del potere di veto, di Comuni e Province.
La bozza di legge
La delibera, salvo sorprese, sarà approvata dalla giunta domani.
Il Secolo XIX ha potuto studiare una bozza del Piano, licenziato dal direttore generale dell’Urbanistica Pier Paolo Tomiolo e affinato in riunioni di maggioranza, con le associazioni di categoria e in contatto con le Soprintendenze.
Le principali novità , in un territorio così sensibile, dopo i ripetuti disastri alluvionali, faranno molto discutere.
Perchè l’impianto riprende e “potenzia” non poco le facoltà – in teoria provvisorie, studiate per contrastare la crisi – concesse dalla norma del 2009.
Come? Estendendo le possibilità di costruzione nei Parchi naturali, ad esempio, e cancellando alcuni vincoli che erano diventati un incubo per i costruttori liguri.
Se per il Piano vecchio gli interventi “incentivati” non erano possibili nel Parco dell Cinque terre, di Portofino e di Portovenere, ora sono concessi anche in questi parchi.
Di più: vengono allentati i vincoli anche su tutti gli altri.
Ancora, dai bonus del Piano attuale sono esclusi gli abusi edilizi condonati: con le modifiche di Toti il comma sparisce.
E’ alzata la soglia di incremento per edifici tra mille e millecinquecento metri cubi, sparisce il vincolo di destinare il 20% di alloggi a “edilizia abitativa convenzionata”, in caso di demolizione e ricostruzione dei fabbricati. Il tutto con un incremento del volumi di ben il 35%, prima non consentito.
Tra le disposizioni che decadono la possibilità per i Comuni di opporsi.
Emanuele Rossi e Roberto Sculli
(da “il Secolo XIX”)
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Ottobre 18th, 2015 Riccardo Fucile
LA CANDIDATA INDIPENDENTE VITTIMA DI UN ‘AGGRESSIONE PER IL SUO IMPEGNO PER I PROFUGHI CE L’HA FATTA
Henriette Reker, la candidata che ieri è stata vittima di un’aggressione xenofoba per il suo impegno a favore dei migranti, è stata eletta sindaco di Colonia.
Lo riferiscono i media tedeschi citando i primi risultati.
La donna, 58 anni, candidata sindaco di Colonia alle elezioni e responsabile del dipartimento integrazione, è stata accoltellata mentre si trovava al mercato insieme ad altre quattro persone del suo staff.
L’uomo che l’ha aggredita, un tedesco di 44 anni, ha detto di aver agito spinto da motivazioni xenofobe.
E’ stato neutralizzato da un poliziotto in borghese e agli agenti ha subito urlato il suo odio per gli stranieri.
Henriette Reker è stata colpita al collo, le ferite sono “serie” ma la sua vita non è in pericolo.
Più grave una donna accoltellata insieme a lei.
Candidata alla carica di sindaco come indipendente ma appoggiata dal partito cristiano-democratico della cancelliera Angela Merkel e da altri due partiti, Reker attualmente a Colonia è alla guida del dipartimento che si occupa di affari sociali e integrazione ed è responsabile del reperimento di alloggi per i rifugiati.
La cancelliera ha dichiarato di essere scioccata dalla vicenda mentre il ministro dell’Interno tedesco Thomas de Maiziere ha definito l’attacco “terribile e vigliacco”.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 18th, 2015 Riccardo Fucile
“NON SI POSSONO CAMBIARE LE REGOLE OGNI ANNO, TROPPE NORME HANNO FAVORITO EVASIONE E TANGENTI”
Non c’entra solo la politica. Non c’entra solo la minoranza del Pd. Ora anche Raffaele Cantone, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, si schiera contro l’intenzione del governo di innalzare il tetto per l’uso del contante fino a 3mila euro.
Cantone l’ha definita una “scelta sbagliatissima” durante un’intervista alla Repubblica delle idee, in corso a Pescara.
“Sono contrario, e l’ho detto in altra occasione, all’innalzamento a 3mila euro della soglia per l’uso del contante. Così come la riduzione a 500 euro non ha eliminato l’evasione fiscale. Sono pannicelli caldi. Così non si fa lotta all’evasione, c’è bisogno di stabilità normativa”.
Il problema, precisa il magistrato, non è tanto l’aumento in sè della cifra che fa da soglia, quanto le scelte di orientamento diverso prese dai governi a breve distanza l’una dall’altra.
“Non credo — aggiunge Cantone — che l’aumento sia di per sè sbagliato, è l’essere arrivati a 500 e risalire a 3mila che dà l’impressione che purchè si spenda, va bene. La questione è che ogni anno le norme vengono sistematicamente cambiate, ma non si può fare questo solo per risolvere problemi di bilancio”. In definitiva, spiega il giudice, “la lotta all’evasione ha bisogno di una stabilità normativa, di scelte chiare e continue, non di sali e scendi”.
Quanto alla corruzione Cantone spiega che è stato “il sistema post Tangentopoli” a portare “una serie di norme che hanno finito per favorire la corruzione: la modifica del falso in bilancio, dei reati fiscali, della prescrizione.
Siamo l’unico Paese che ha cambiato la prescrizione della corruzione e nessuno ha avuto nulla da dire”. Tra gli errori della classe politica negli ultimi 20 anni, tuttavia, Cantone indica però anche la riforma del Titolo V della Costituzione, la cosiddetta devolution.
La definisce “la riforma in assoluto la più criminogena” perchè, dice, “ha spostato la capacità di spesa e i meccanismi di controllo. La riforma del 2000 ha creato centri di spesa che si sono sovrapposti a quelli centrali”.
Sulla corruzione “il disastro vero è nelle società pubbliche. Lo dimostra un’azienda come l’Atac che ha assunto 600 persone senza alcun concorso“.
Ma Cantone spiega che la battaglia non è perduta e che anche gli arresti di questi giorni in Lombardia, per gli appalti del Giubileo e anche il caso Atac, dimostrano che gli anticorpi ci sono: “Certo è una battaglia trasversale che coinvolge magistratura, politica, macchina amministrativa. Ma c’è una parte del Paese vuole reagire. Credo che una situazione come quelle dell’Atac, sulla quale attendiamo chiarificazioni, non sia unica perchè penso che molte società pubbliche abbiano lavorato con questi metodi. Metodi che non sono solo di tipo corruttivo, ma caratterizzati da un mancato rispetto delle regole”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 18th, 2015 Riccardo Fucile
INTERVISTA A ESPOSITO, L’ASSESSORE CHE HA PORTATO IL DOSSIER IN PROCURA
L’Atac secondo Stefano Esposito è un «far west», un’azienda «senza speranze» dove in questi anni «la politica ha scorrazzato liberamente», promuovendo «manager senza competenze che hanno qualcosa da nascondere » e prendono decisioni in un «clima costantemente avvelenato », di «guerra permanente coi dipendenti».
Tutto questo, al netto di ciò che potrà emergere dalle inchieste aperte in procura e presso l’Anac.
Indagini che, sostiene l’assessore capitolino ai trasporti, rischiano, al confronto, di far apparire il simbolo di Tangentopoli, Mario Chiesa, e il suo Pio Albergo Trivulzio di Milano «un collegio di lattanti».
Tre mesi dopo il suo ingresso nella squadra di Ignazio Marino, a due settimane dalle decadenza della giunta che lascerà spazio all’arrivo del commissario nominato dal governo, Esposito punta il dito contro i vertici della municipalizzata, quelli che «quando hanno saputo delle mie dimissioni hanno brindato ».
Chi ha stappato lo champagne, assessore?
«Quei 15-20 manager superpagati a 200-250 mila euro l’anno, quelli a cui dissi, appena arrivato qui a luglio “io vi romperò i coglioni” ».
I nomi, assessore.
«Posso immaginare che un brindisi l’abbia fatto Giuseppe Depaoli, il direttore del personale che mal sopportava le mie iniziative per provare a mettere un po’ di pace col personale, preferendo invece lavorare in un clima di scontro permanente».
Si è chiesto il perchè?
«Forse perchè fa comodo avere questo clima per nascondere i veri problemi dell’azienda e dire che è colpa dei lavoratori».
Depaoli ha brindato da solo?
«Lui è una delle peggiori espressioni dell’azienda dal punto di vista gestionale. Ma in Atac c’è il responsabile delle relazioni industriali indagato per la vicenda della Parentopoli, il capo dell’ufficio legale coinvolto in quella dell’Ama. Può una municipalizzata che versa in queste condizioni permettersi manager così? Non dico che vanno licenziati, ma almeno messi di lato».
E i suoi rapporti con l’amministratore delegato dimissionario Danilo Broggi?
«Ho chiuso con lui da più di un mese, da quando mi promise di dare il via libera al bilancio l’8 di settembre. Salvo poi non approvarlo e non dirmi nulla».
Ma una parte di questo management è stato nominato dalla giunta Marino.
«Una parte, esattamente. Per il resto, questi sono gli stessi vertici che hanno liquidato 1,2 milioni di euro al responsabile della bigliettazione parallela».
Com’è finita quella vicenda?
«È in mano alla procura».
E la bigliettazione in Atac ora è regolare o ci sono ancora angoli bui?
«Non ho elementi per pronunciarmi, nè in un senso, nè nell’altro ».
Lei ha consegnato in Procura un dossier sugli appalti in azienda. Poi ha citato Mario Chiesa, l’arrestato che dette il via a Tangentopoli.
«Ma lui era un lattante in confronto alla cifre in ballo oggi: si parla di gare per 2 miliardi e 200 milioni di euro, 4500 miliardi delle vecchie lire. Dove li hanno spesi, visto che il servizio è così scarso? Con un giro così vorticoso di soldi speriamo sia tutto in regola ».
Puzza di tangenti?
«Il sospetto è lecito. La reazione rabbiosa che ho ricevuto in azienda quando ho chiesto approfondimenti su questi appalti mi fa pensare che abbiano qualcosa da nascondere».
Cos’è mancato in questi anni ad Atac?
«Il controllo della politica, l’indirizzo. Lo dice la storia: nell’era Alemanno gli assessori invece di dare la linea, passavano all’azienda gli elenchi di chi assumere e dei dirigenti da promuovere».
Il centrosinistra è assolto?
«Io sono di parte eppure ho sempre detto che una situazione così non si crea in 5 anni. La logica consociativa e clientelare che vige oggi in Atac non può essere figlia solo del centrodestra. Con Alemanno è arrivato lo sfascio organizzativo, l’eliminazione delle persone competenti che hanno dovuto fare posto a manager incapaci. Ho cominiciato a monitorare le gare a trattativa privata a partire dal 2011. Ma andando indietro chissà cosa si trova».
Mauro Favale
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 18th, 2015 Riccardo Fucile
ADDIO PRIMARIE, REGOLE DA RIFARE, TERRITORIO FUORI CONTROLLO
Congressi congelati, primarie in via d’estinzione, commissariamenti locali ed amministrative alle porte, con candidature tutte da inventare.
“Sono anche il segretario del Pd”, ha detto ieri Matteo Renzi, parlando al Teatro Giovanni di Udine.
Un “anche” che la dice lunga: per Renzi il Pd è una necessità scomoda. E peraltro sul territorio senza controllo.
E allora, ecco che dove può cominciaa“piazzare”fedelissimi, aggirando le stesse regole del Pd.
Comportamento non proprio in linea con l’uomo dei gazebo, che è diventato sindaco di Firenze contro la volontà dell’apparato (e grazie alle primarie) e ha scalato il partito nello stesso modo.
Fermi tutti, decide il Nazareno
È dell’altroieri la notizia che ad Enna è arrivato uno degli uomini di fiducia del premier, Ernesto Carbone, a commissariare il partito. Era in corso il congresso, tra Pino Amore, uomo di Crisafulli (rigorosamente all’opposizione di Renzi) e Fabio Venezia, Giovani turchi.
La motivazione data dalla commissione di garanzia di Roma è stata che lo stesso Crisafulli aveva fatto delle regole a lui favorevoli, violando lo Statuto.
Carbone è già commissario di Messina, dove è arrivato dopo le dimissioni del segretario provinciale.
Nelle ultime ore è in corso anche il tentativo di commissariare il Pd di Cosenza: il segretario regionale, Ernesto Magorno, ha fatto sapere di voler nominare Fernando Aiello (un fedelissimo di Carbone) direttamente con una lettera ai circoli.
A ribellarsi, definendo il provvedimento “illegale” è stato il segretario cittadino, Luigi Guglielmelli.
A Roma, dopo Mafia Capitale, Renzi ha nominato commissario il Presidente del Pd, Matteo Orfini, il capo dei Giovani Turchi che gli ha portato quella (ex) parte della minoranza.
In Liguria, dopo il disastro delle Regionali, ha mandato il responsabile giustizia Pd, David Ermini, suo uomo di fiducia dagli inizi della carriera politica.
L’idea di rinunciare alle primarie
Con una lettera del vicesegretario dem, Lorenzo Guerini, sono stati fermati i congressi in Puglia, Veneto e Liguria.
La motivazione ufficiale si riferisce a un cambio di Statuto. Adesso i segretari regionali sono eletti con primarie aperte a tutti. In programma, consultazioni tra soli iscritti.
Ma le motivazioni sono anche più specifiche.
In Puglia il congresso era già iniziato, con tanto di contrapposizione frontale assicurata tra il candidato che avrebbe scelto Renzi e quello del governatore, Michele Emiliano: i due neanche si parlano più.
In Veneto, dopo la sconfitta della Moretti alle Regionali a Roma non si è ancora trovata una soluzione per sostituire il segretario, il renzianissimo Roger De Menech.
E in Liguria, la situazione è tutt’altro che chiara.
A proposito di congressi fermi, tra una battaglia e l’altra, è stato rimandato più volte quello di Potenza.
In Basilicata, ci sono due fazioni: quella dei fratelli Pittella, governatore e eurodeputato, e quella di Roberto Speranza, minoranza interna.
Ci è voluto quasi un anno per scegliere il nuovo segretario regionale in Emilia Romagna, dopo la scadenza di Stefano Bonaccini: alla fine è stato eletto il renziano, Paolo Calvano. Nell’ultima tornata per scegliere i segretari, poi, c’erano tre candidati unici, tutti vicini a Renzi: Dario Parrini (eletto in Toscana), lo stesso De Menech e Emiliano (prima della rottura).
Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 18th, 2015 Riccardo Fucile
“AL PREMIER PARLARE DEL SUD NON PIACE”
«Eravamo usciti da questa trappola ».
Governatore Michele Emiliano, perchè non riesce a digerire le primarie riservate agli iscritti del Pd per scegliere i segretari regionali del partito?
«Rischiamo di mettere in scena la guerra delle tessere false. Come stanno le cose, comunque, non sappiamo niente. Io, però, nella veste di segretario uscente dei dem pugliesi, voglio istituire un ufficio di tre persone, di cui una indicata dal Pd nazionale, che controllino la regolarità del tesseramento ».
Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio?
«Mica ho la forza di andare a vedere circolo per circolo come funzionano queste cose. In ogni caso, le primarie ci saranno comunque. Anzi…».
Anzi?
«Credo che siano maturi i tempi perchè l’uso di questo strumento democratico per eccellenza, debba essere previsto per legge. Basta con partiti e movimenti sequestrati da singoli personaggi. Tutte le forze politiche possono, e devono, fare come il Pd».
I dem però adesso vogliono cambiare la regola del gioco.
«Vedremo quello che succederà . Può andare bene pure la costituzione dell’albo degli elettori: ma non quello messo a punto quando manca una manciata di mesi alle assise locali».
E, allora, quale?
«L’iscrizione da parte dei cittadini, potrebbe avvenire l’anno prima dell’apertura delle urne».
Più facile dirlo che farlo?
«Non è possibile voltare le spalle alle primarie, lo ripeterò fino alla noia. Peraltro anche con la nuova legge elettorale per quasi la metà dei candidati che scenderanno in pista, non sarà consentito alla gente di esprimere un voto di preferenza».
Non è che, per l’ennesima volta, si mette di traverso rispetto alle indicazioni di Matteo Renzi?
«È convinto che io voglia danneggiare la sua leadership. Recita la parte del lupo, che avverte l’agnello: “Mi stai sporcando l’acqua”. Ma io non sono un agnello. Piuttosto, un San Bernardo: socievole e con una forte personalità ».
Difficile da ammansire?
«Se non posso collaborare con lui, me ne farò una ragione. Ma non cambio i miei atteggiamenti».
Il giudizio «complessivo» di Emiliano sulla legge di stabilità , è «positivo». Che fine ha fatto il masterplan per il Sud?
«Al premier parlare di Sud non piace. Attendiamo con pazienza, che è la virtù dei deboli e quindi dei meridionali. Ma niente polemiche personali: sono dannose».
Lello Parise
(da “La Repubblica”)
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