Ottobre 20th, 2015 Riccardo Fucile
IL PENSIONATO CHE SPARA RESTA UN OMICIDA, SE POI SI AFFACCIA PER RACCOGLIERE APPLAUSI VUOL DIRE CHE NON HA CAPITO NEANCHE QUELLO CHE HA FATTO
Un governo dovrebbe garantire la sicurezza dei cittadini, mettendo in atto tutte le procedure idonee a prevenire i reati e, come estrema ratio, a reprimerli.
La microcriminalità che colpisce i cittadini anche nella loro intimità casalinga andrebbe combattuta con sistemi investigativi efficaci e certezza della pena.
Ma i governi di qualsiasi colore che si sono succeduti, da quelli di centrosinistra e quelli di centrodestra, non hanno fatto altro che ridurre le forze dell’ordine e demotivarle, oltre a non fare leggi chiare e facilmente applicabili.
Ormai ogni fatto di sangue diventa una speculazione ignobile per ampliare la sensazione di insicurezza dei cittadini e manipolarne il consenso elettorale.
Di risolvere il problema non frega nulla a nessuno.
Il copione si è ripetuto ieri con il pensionato lombardo che ha ucciso il giovane ladro romeno: di fronte a una tragedia, abbiamo dovuto leggere le speculazioni dei soliti sciacalli in cerca di miti da sfruttare, invocazioni ai giustizieri della notte, apologie di reato.
Precisiamo che esiste la legittima difesa, l’eccesso di legittima difesa e l’omicidio volontario: come in tutti i Paesi civili.
Se un tale si vede puntare contro una pistola o un coltello e reagisce uccidendo l’aggressore è legittima difesa.
Se la sua reazione è sproporzionata al pericolo che corre e spara è eccesso di legittima difesa.
Se spara a un ladro disarmato un colpo in fronte è omicidio volontario: trattasi quindi di un assassino, non di un eroe del Bronx.
Sarà la magistratura a fare luce sull’ultimo episodio e deciderà secondo giustizia.
Fuori luogo sono quei mestieranti della politica che vorrebbero dare assistenza legale all’omicida a spese dei contribuenti, coloro che al grido di “sei uno di noi” sono accorsi in corteo sotto casa del pensionato per un pugno di voti macchiati di sangue.
O la pseudodestra della legalità difende adesso pure gli omicidi?
Dov’è finita quella destra che riteneva che dovesse essere lo Stato a tutelare i cittadini?
E se lo Stato non lo fa, è meglio sparare dal balcone di casa o piuttosto, quando si governa per 11 anni il Paese, porre in essere le misure per prevenire i reati?
E non c’è neppure coerenza, caro Salvini: chi è per la legittima difesa non scappa, come hai fatto a Bologna, a gambe levate di fronte un gruppetto di estremisti della domenica, ex tuoi compagni di merenda quando frequentavi i centri sociali.
Come auspichi tu (per gli altri), li affronta a costo di finire in galera.
Se il pensionato è un mito padano, tu sei solo un tombino di ghisa.
La destra vera è altra cosa: non si sostituisce alla Stato, è lo Stato.
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Ottobre 20th, 2015 Riccardo Fucile
IL RETROSCENA: IMOLA DOVEVA ESSERE LA CONSACRAZIONE PER DI MAIO, E’ FINITA PER ESSERE LA PRESA D’ATTO DEL POTERE DECISIONALE DEI DUE FONDATORI
Finora Casaleggio lo aveva detto in un’intervista lontana un anno fa. ![](http://s27.postimg.org/cwrqvitgj/CASA.jpg)
Lui al governo per il M5S? «Dipende dal Movimento, ma perchè no?».
Dopo Imola siamo in grado di raccontare che la tentazione di tornare in campo direttamente lui – e non per interposta persona, non con l’investitura a nessun giovane candidato leader tra i parlamentari – sia di nuovo molto forte nel cofondatore del Movimento.
Casaleggio ha detto molto chiaramente: «Noi non facciamo nessuna investitura a nessuno».
Ha anche detto che «il candidato premier verrà scelto online»; quando qualcuno gli ha chiesto in privato che cosa significa, che lui aprirà la piattaforma per quella votazione? la risposta è stata un elusivo «ora devo andare».
Traduzione: la procedura verrà tutta gestita alla Casaleggio associati.
Insomma: chiunque voglia fare il candidato premier (e ce n’è uno che si è molto, troppo esposto in questa sua ambizione) di lì deve passare.
Il terzo elemento sono le condizioni di salute: Casaleggio sta meglio rispetto a qualche mese fa, e tutti i calcoli su un suo abbandono della scena sono stati affrettati.
L’uomo è di nuovo abbastanza resistente da reggere lo sforzo, chi nel Movimento contava che rapidamente potesse mollare la presa si trova di fronte a un argine imprevisto.
La terza è che, in una conversazione privata tra i due creatori del Movimento – Grillo l’anima, Casaleggio la testa – hanno esplicitamente rimarcato, con compiacimento, «ci siamo sempre noi».
Osservando Imola hanno colpito alcune cose.
La kermesse doveva essere – e così era stata venduta da alcuni amici del direttorio M5S – come la grande investitura di Di Maio leader.
Non solo questa investitura non c’è stata, ma per la prima volta Grillo, che finora aveva fatto battute su tutti, ma non sul giovane di Pomigliano d’Arco, ne ha fatte tre molto acri, sia pure col suo stile di satira.
Ha detto «quando l’abbiamo raccolto, Di Maio parlava che sembrava Bassolino»; dove – ci spiega qualcuno che sa – il riferimento proprio a Bassolino non è casuale affatto, è una sferzata mirata, della serie «fly down».
La seconda è che sul palco – palco su cui c’era quasi solo la fazione vincente attuale: quasi tutte le voci libere (e nel Movimento sono tante) erano state tenute rigorosamente giù – Grillo alla fine ha detto «pensate a cosa eravate due anni fa… niente, senza di me. Siete dei miracolati, non guadagnavate un c… e ora prendete stipendi meravigliosi».
Il che conferma tra l’altro che sull’uso dei soldi – come La Stampa puntualmente scrisse – il francescanesimo è andato a farsi benedire.
Di Maio era rabbuiato, e è stato confinato mediaticamente a un discorso tra i tanti, sovrastato dalla presenza dei due storici capi.
La domanda che bisogna porsi allora è: quali sono le forze interne di questa disfida, e quale visione di Movimento vincerà ?
Il Movimento originario del limite del doppio mandato e del rigore sui soldi, o il Movimento attuale dell’appeasement e della comoda vita romana?
E soprattutto: chi sta con Casaleggio, e chi con col gruppo Di Maio?
Casaleggio è ormai isolato; più o meno tutti i suoi uomini hanno fatto il salto dall’altra parte – cosa che lui potrebbe aver capito (starebbe, ci dicono, escogitando rimedi che potremo vedere solo in seguito: candidare una donna premier?).
Grillo diventa decisivo: a Imola, come mai nella stagione recente, lo si è visto unitissimo a Casaleggio.
Fonti ottime raccontano che non ha gradito un eccesso di protagonismo dei più scalpitanti dei giovani, fino al punto di dire «perchè dobbiamo scegliere il candidato attraverso la tv?».
È una partita aperta, ma non si può dire che tatticamente e strategicamente i due fondatori, lontani dai luoghi del potere, siano messi benissimo contro i rottamatori, ormai pienamente romanizzati.
Jacobo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Ottobre 20th, 2015 Riccardo Fucile
E L’ATTUALE VICE COMANDANTE DEI CARABINIERI PEDINATO NEL 2013 MENTRE IN BORGHESE SI RECA CON MANTOVANI AD ARCORE
Da un partito all’altro, e ritorno, a seconda della promessa di Berlusconi di un posto di lavoro al fratello del titubante transfuga: è la controstoria (priva di contestazioni penali) narrata ora dagli allegati all’arresto del vicepresidente forzista della Regione Lombardia, Mario Mantovani.
Alan Rizzi a fine 2013 è il capogruppo di Forza Italia in Consiglio comunale a Milano, e il 14 dicembre matura la decisione di transitare nel Nuovo centrodestra di Alfano, che lo videopresenta in via ufficiale.
Le intercettazioni colgono Mantovani adirato per questa scelta, ma a distanza di pochi giorni Rizzi fa subitaneo ritorno nei ranghi di Forza Italia, di cui diventa vicecoordinatore regionale.
Cosa è cambiato?
Lo spiega lo stesso Berlusconi in una intercettazione agli atti dell’arresto (per tutt’altre vicende) di Mantovani.
È il 22 dicembre 2013, e l’ex premier chiama Mantovani per discutere quelle segnalazioni lavorative intra-partito di cui si è già scritto giorni fa.
E a un certo punto ecco Berlusconi vantarsi con Mantovani: «Senti, una cosa: hai sentito che ho tenuto Rizzi?».
Mantovani resta interdetto: «Ma… io non l’ho più sentito».
E allora il leader di Forza Italia gli spiega: «Ecco, guarda, te lo dico io… Ehm, non è andato di là ( cioè nel Ncd , ndr), è rimasto con noi ( in Forza Italia , ndr). Io ho fatto però una promessa…».
Ma di cosa? «Eh poi quando ci vediamo te lo dico… tutto tranquillo… un posto di lavoro per il fratello, insomma…Va bene?».
«Va bene, a presto», risponde Mantovani, rassicurato infine da Berlusconi: «Comunque abbiamo tempo e tutto… va bene?».
Dopo poco più di due mesi, nel marzo 2014 il consigliere forzista Armando Vagliati propone Richard Rizzi, fratello di Alan ed ex consigliere regionale 1992-1995, per un posto nelle società partecipate A2A e Metropolitana Milanese.
E il 13 maggio il fratello di Rizzi viene in effetti nominato sindaco di Metropolitana Milanese
Sempre nella marea di intercettazioni la GdF segnala anche che, all’esito di contatti del collaboratore dell’allora assessore alla Sanità Mantovani (Giacomo Di Capua) con quello (Giovanni Balboni) dell’allora comandante interregionale Nord-Ovest e oggi vicecomandante generale dei carabinieri (Vincenzo Giuliani), il generale sia stato ricevuto da Berlusconi ad Arcore con Mantovani il 14 ottobre 2013: circostanza evidenziata perchè un servizio di appostamento ha addirittura pedinato il generale mentre, arrivato in auto all’appuntamento con Mantovani poco prima di Villa San Martino, «scendeva dalla propria auto in dotazione all’Arma ed entrava nella auto Bmw grigia con a bordo l’assessore Mantovani, la quale ripartiva per entrare» nella casa di Berluscon
In novembre, poi, «traspare per il colonnello Balboni l’urgenza di ottenere un incontro con Di Capua: afferma che lo aspetterà appositamente con vestiti borghesi, raccomandandosi di non entrare in caserma, bensì di fargli uno squillo quando è vicino, al fine di permettergli di scendere giù e incontrarlo al bar».
Interpellato ieri sera dal Corriere , il generale Giuliani spiega: «Quando arrivai in Regione, Mantovani (che conoscevo in Piemonte quando era sottosegretario alle
Infrastrutture) mi chiese se avessi piacere di salutare Berlusconi. Io accettai anche perchè avrei voluto dire al presidente che era appena cambiata tutta la catena gerarchica, e indicare gli interlocutori per qualunque inconveniente relativo ai servizi dell’Arma attorno alla villa».
Ma perchè il trasbordo sull’auto di Mantovani?
«Si offrì lui di portarmi sulla sua auto, che presumo fosse più conosciuta dai guardiani di Arcore. Io valutai di entrarvi non in divisa e non sulla mia auto per non allarmare nessuno: questione di riservatezza, non di carboneria. Non chiesi alcunchè a Berlusconi, nè l’ho più incontrato».
Luigi Ferrarella
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 20th, 2015 Riccardo Fucile
SE LE ACCUSE VENISSERO ARCHIVIATE SAREBBE ARDUO PER IL PD GIUSTIFICARE DI AVERLO SCARICATO
Matteo Renzi parte per l’America Latina giovedì prossimo e non è detto che al suo ritorno, il 30
ottobre, trovi il Campidoglio così come l’ha lasciato.
Ignazio Marino infatti ci sta ripensando.
Il sindaco si prenderà tutto quello che resta fino allo scadere dei 20 giorni di tempo che la legge gli assegna dopo la presentazione delle dimissioni, cioè fino al 2 novembre, per passare al setaccio tutta la ‘storiaccia’ che lo ha sbattuto fuori dal Campidoglio.
“Così come prevede la legge, e come detto nella mia lettera di dimissioni, pensavo e penso che ho 20 giorni per fare opportune riflessioni e verifiche sulle mie dimissioni”, ha detto sibillino in conferenza stampa oggi.
E’ quanto basta per scattare l’allerta in casa Pd.
Il commissario di Roma Matteo Orfini convoca i consiglieri comunali Dem al Nazareno: “La linea non cambia, non ci sono le condizioni per andare avanti”, è l’ordine che impartisce.
Ma in fondo c’è l’ansia. Tutti aspettano gli eventi. A cominciare dallo stesso Marino.
Cosa c’è davvero sul tavolo?
Il rischio reale è che la maionese possa impazzire di nuovo a Roma.
Lo sa Renzi che avrebbe voluto mettere a punto tutto il “dream team” dei commissari per la capitale prima di partire per l’America Latina, ma che molto probabilmente non farà in tempo, visto che la squadra per ora ha un solo punto fermo: il commissario che dovrebbe amministrare città e Giubileo dopo le dimissioni di Marino sarà Marco Rettighieri, fresco della direzione dell’Expo.
Il resto della squadra invece è in alto mare. Tanto più che un Marino che non si dà per vinto e che lavora per rovesciare ancora il banco, sta davvero complicando i piani del premier.
Il sindaco si sente rinvigorito dall’incontro che ha avuto ieri in procura con i pm che indagano sulla storia degli scontrini del sindaco, cene, pranzi e spese varie a carico dell’amministrazione comunale.
Punto primo: Marino ha appurato di non essere indagato.
“Ha dato delle spiegazioni più che convincenti: è entrato da persona informata dei fatti e ne è uscito come persona informata dei fatti. Non è iscritto nel registro degli indagati”, dice il suo avvocato Enzo Musco, al fianco del sindaco in conferenza stampa.
Punto secondo: il fascicolo è ancora senza intestazione.
Un dato non indifferente che segnala un’alta probabilità che possa essere chiuso, dopo i chiarimenti resi dal primo cittadino ieri.
Ed è questa la prima speranza di Marino: che il fascicolo possa venire chiuso prima del 2 novembre. A quel punto, dicono i suoi, lui ne uscirebbe pulitissimo, tanto da resettare le ragioni delle dimissioni.
Da qui a dire che il 2 novembre Marino potrebbe ritirare le dimissioni e sfidare il consiglio a sfiduciarlo, ce ne passa.
Al momento, nemmeno lo stesso sindaco sa se sarà nelle condizioni di andare avanti in questi termini.
Ma certo ci sta sperando e provando, rinfrancato dalla mobilitazione spontanea e inaspettata nata sul web all’indomani delle dimissioni.
Mobilitazione che gli porta in dote quasi 53mila firme in calce alla petizione “#Marinoripensaci” su change.org, che si è già palesata in piazza al Campidoglio l’11 ottobre scorso e che tornerà sempre lì davanti al municipio domenica prossima alle 12. Con lo slogan “Marino ripensaci”, appunto.
Non è escluso che il sindaco stesso si faccia vedere in piazza, ancora non ha deciso.
Di certo c’è che la saga su Marino si condisce di una suspence degna dei migliori thriller. Se ne accorge anche Angelino Alfano: “Un thriller sulla pelle della città . Marino si prende tutti i 20 giorni, sta dando un ultimo aiutino al Pd…”.
In realtà , al quartier generale Dem non la vedono così.
Il quadro si sta ingarbugliando. Certo, nella cerchia del premier-segretario giudicano le riflessioni di Marino una “sparata senza reali possibilità ”. In quanto, scommettono, non ha la maggioranza in consiglio.
Cosa ben presente allo stesso sindaco. Ma in un’epoca di informazione velocissima, con zapping quotidiani da un focus mediatico all’altro e giudizi sempre ballerini, niente viene dato per scontato.
E’ per questo che Orfini nel pomeriggio convoca i consiglieri Dem capitolini al Nazareno.
Per capire da che parte pende la bilancia, tra le mille spaccature del partito locale sul caso Marino. Spaccature sulle quali ha certo un peso il fatto che uno scioglimento anticipato del consiglio non fa piacere a nessun consigliere eletto, visto che lo costringe a tornare a casa e sperare in una ricandidatura. Il diktat del commissario comunque è perentorio: “La nostra linea non cambia, resta la stessa: non ci sono più i margini per andare avanti”.
Al di là dei desiderata della dirigenza Pd, sotto il Campidoglio la situazione resta liquida. Renzi aspetta le mosse di Marino.
Marino aspetta di capire quanto può osare e nel frattempo prepara le munizioni, con un occhio anche all’inchiesta fiorentina sulle spese del premier quando era sindaco di Firenze.
Chissà cosa troverà Renzi al suo rientro in Italia dopo il viaggio in America Latina.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 20th, 2015 Riccardo Fucile
RAPPORTO CENSIS: LA SPESA PRIVATA E’ DI 500 EURO PROCAPITE… IL 53,6% RITIENE CHE LA COPERTURA DELLO STATO SOCIALE SI SIA RIDOTTO
Lunghe liste di attesa nella sanità pubblica e costi proibitivi in quella privata.
Per questo quasi una famiglia su due rinuncia alle cure.
Nel 41,7% dei nuclei familiari, almeno una persona in un anno ha dovuto fare a meno di una prestazione sanitaria.
E’ quanto emerge dal Bilancio di sostenibilità del Welfare italiano del Censis e dalle ricerche delle associazioni dei consumatori realizzate per il forum Ania-consumatori.
I cittadini inoltre pagano di tasca propria ‘il 18% della spesa sanitaria totale: oltre 500 euro procapite all’anno, mentre nell’ultimo anno, al 32,6% degli italiani è capitato di pagare prestazioni sanitarie o di Welfare ‘in nero’.
Prestazioni ‘in nero’.
Oltre il 21% dei pazienti ha pagato senza fattura o ricevuta visite medico specialistiche, il 14,4% visite odontoiatriche e l’1,9% prestazioni infermieristiche.
Nel Meridione “il 41% degli intervistati ha pagato prestazioni in nero”.
Pazienti non autosuffuficienti.
In questo contesto 3 milioni di italiani non sono autosufficienti, con una spesa annua per le famiglie di circa 10 miliardi.
Il 53,6% degli italiani dichiara inoltre che la copertura dello stato sociale si è ridotta. Infatti, gli italiani pagano di tasca propria il 18% della spesa sanitaria totale, cioè, oltre 500 euro pro capite annuo, contro il 7% registrato in Francia e il 9% in Inghilterra.
Gli italiani sono alle prese con un sistema di Welfare che da generatore di sicurezza sociale, è diventato fonte di ansia e preoccupazione e non risponde più alle esigenze dei cittadini.
Infatti, mentre aumenta l’incertezza sul futuro delle pensioni, per ogni nucleo familiare diventa sempre più difficile gestire le spese sanitarie e quelle determinate dalla non autosufficienza di un proprio congiunto.
Gli obiettivi.
Fra i problemi anche la non autosufficienza in tarda età . Per questo il 78% degli italiani è favorevole a un’assicurazione contro la non autosufficienza.
Assicuratori e consumatori hanno realizzato otto proposte per un sistema di welfare più efficiente ed equo.
Innanzitutto, occorre fornire a ogni cittadino un’informazione trasparente, semplice e completa sulla situazione pensionistica e sulle prestazioni attese.
Altro punto la lotta al fenomeno delle liste d’attesa.
Viene noltre sottolineata sia l’importanza di un quadro di regole chiare e uniformi per le forme sanitarie integrative, sia la necessità di incentivare lo sviluppo di sistemi mutualistici.
Inoltre un sistema equo e sostenibile non può prescindere da una politica fiscale che sia realmente “prowelfare” e che nel medio-lungo periodo sia positiva per i conti pubblici.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 20th, 2015 Riccardo Fucile
“NON LANCIO’ L’ALLERTA ALLARME”
La memoria difensiva in cui ribadiva che quello non era il suo compito, alla fine, non ha convinto
i pubblici ministeri.
Che nei giorni scorsi hanno formulato la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Raffaella Paita , ex assessore regionale alla Protezione civile e attuale capogruppo Pd in Regione, e Gabriella Minervini , che della Protezione civile era il capo nell’ottobre di un anno fa, quando l’esondazione del Bisagno mise in ginocchio Genova uccidendo l’infermiere in pensione Antonio Campanella.
Rispondono di omicidio colposo e disastro: per non aver diramato l’allerta e, a cascata, aver ritardato i soccorsi successivi alla fuoriuscita di più torrenti.
«Dovevano approfondire»
Secondo i sostituti procuratori Gabriella Dotto e Patrizia Ciccarese è quindi una colpa grave non aver dichiarato il massimo stato d’allarme «a fronte di plurimi bollettini di avviso (emessi dal centro meteo regionale di Arpal), tutti recanti i simboli di massima attenzione e quindi con esplicite segnalazioni di rischio meteorologico associato a temporali forti, cui consegue in automatico un livello di “criticità idrologica ordinaria diffusa”».
Ancorchè non s’ipotizzasse una notte da incubo, agli occhi di chi indaga c’era comunque motivo per preoccuparsi e loro non l’hanno fatto.
A questo proposito la Procura mette nero su bianco il dettaglio che rappresenterebbe una sorta di “aggravante”.
E spiega come persino il Comune, che pure non ha un centro meteo dedicato e necessita dell’input regionale per innescare la sua macchina, si fosse attrezzato meglio nonostante le scarse avvisaglie ufficiali.
Perciò, rimarca ancora l’accusa, gli indagati hanno colpe pure «a fronte della convocazione del Coc (Centro operativo comunale) avvenuta già alle ore 11 del 9 ottobre».
(da “il Secolo XIX”)
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Ottobre 20th, 2015 Riccardo Fucile
MA DE MAGISTRIS POTREBBE USUFRUIRE DELLA PRESCRIZIONE E RIMANERE AL SUO POSTO… RISCHIA DI PIU’ DE LUCA
La Consulta ha deciso: la legge Severino è costituzionale, il ricorso di De Magistris è infondato.
E per Napoli e la Campania è il caos, perchè se con questa decisione il sindaco partenopeo va verso la sospensione, la stessa sorte, per un effetto domino, dovrebbe toccare a breve anche al governatore eletto lo scorso maggio.
La norma contestata era quella relativa alla sospensione degli amministratori locali condannati, anche in via non definitiva, per determinati reati.
La questione era stata sollevata nell’ambito del caso del primo cittadino di Napoli.
Nel suo ricorso alla Corte costituzionale, il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sollevava il tema della legittimità costituzionale dell’articolo della Legge Severino che prevede l’applicazione retroattiva della sospensione dalle cariche di sindaco o amministratore in caso di condanna anche non definitiva per determinati reati.
Il 28 maggio scorso la Cassazione aveva stabilito la competenza giurisdizionale del giudice ordinario e non di quello amministrativo su queste materie.
Di conseguenza il provvedimento di sospensione del sindaco di Napoli Luigi de Magistris era stato bloccato, in attesa della pronuncia di oggi della Corte costituzionale.
Il sindaco partenopeo vede respinto il su ricorso ed è potenzialmente a rischio di una nuova sospensione dalla carica in base proprio alla Severino.
Ma resta in attesa del verdetto d’appello sulla causa penale da cui è iniziato tutto, ovvero la condanna in primo grado per abuso d’ufficio durante l’inchiesta ” Why not”, condotta da de Magistris quando era ancora magistrato, che ne determinò poi la sospensione da sindaco in base alla legge Severino.
Il processo inizia domattina e tutto lascia presagire che de Magistris beneficierà della prescrizione del reato. Nei mesi scorsi disse che non l’avrebbe voluta, ma oggi non si esprime sul punto. Quindi è probabile che accetterà la prescrizione. E in questo caso gli effetti della Severino sarebbero azzerati. Dunque il sindaco resterebbe al suo posto.
Maggiori rischi di aprono invece e per il presidente della Regione Enzo De Luca: anche i suoi ricorsi contro la legge andranno incontro alla sentenza, che riconosce valida la Severino, e dunque il presidente sarà di nuovo passibile di applicazione della Severino stessa.
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Ottobre 20th, 2015 Riccardo Fucile
IL VEIVOLO SOLCA I CIELI DA BEN NOVE ANNI: ALTRO CHE AFFARONE, HA COSTI ALTISSIMI DI GESTIONE
Il nuovo aereo di rappresentanza del governo italiano potrebbe arrivare in Italia già mercoledì
prossimo.
Diventerà il fiore all’occhiello della flotta della Presidenza del Consiglio. I lavori di allestimento non sono ancora definitivamente conclusi, ma la scritta “Repubblica Italiana” e il tricolore stilizzato già brillano sulla sua fusoliera dentro un hangar dell’aeroporto di Abu Dhabi.
È lì che sono state scattate le prime foto dell’Air Force Renzi che il sito aviazionecivile.it ha pubblicato in anteprima. Tutto bello, tutto scintillante.
Un affarone, ha fatto anche capire le scorse settimane il premier Matteo Renzi. Peccato si tratti però di un aereo usato, con una lunga carriera alle spalle e, soprattutto, con costi di gestione abbastanza impegnativi.
USATO SICURO
Qual è la storia del nuovo velivolo tanto voluto e strombazzato dallo stesso presidente Renzi?
Ilfattoquotidiano.it ha cercato di approfondire questo aspetto della vicenda. E lo ha fatto partendo dalla sigla che in bella mostra compare anche nelle foto pubblicate da aviazionecivile.it: A6-EHA.
Che fosse stato preso in leasing dalla compagnia emiratina Etihad era già noto.
La stessa Etihad che da poco più di un anno ha acquistato il 49% di Alitalia per 387 milioni di euro.
Meno noto è il resto, che si può apprendere facilmente da diverse banche dati disponibili online.
Consultando per esempio quella di AirFrames.org viene fuori che fino a poche settimane fa lo stesso aereo, sempre col numero di registrazione A6-EHA, solcava i cieli nella configurazione da 240 posti (12 in classe Premiere, 38 in Business, 200 in Economy).
L’ultimo volo con livrea Etihad risalirebbe ai primi giorni di ottobre.
Da Abu Dhabi a Tokyo e ritorno.
Di più: quello preso in leasing da Renzi è il terzo A340 a lasciare la compagnia che ne avrà a disposizione ancora 10, anche se il numero è destinato a scendere.
Ma la notizia che lascia sconcertati è un’altra: il “nuovo” aereo acquisito da Palazzo Chigi per i voli di Stato è vecchio di quasi 10 anni: Etihad lo ha preso in consegna a giugno 2006, quattro mesi dopo il termine del suo assemblaggio e potrebbe avere all’attivo, se è stato utilizzato con i normali cicli di lavoro, addirittura 54mila ore di volo.
COSTI ALTI
Tutta un’altra musica rispetto a quello che capita in altri paesi.
L’utilizzo dell’usato sembra impensabile, per esempio, negli Stati Uniti, dove Barack Obama ha dato il via libera al progetto del nuovo Air Force One.
Il Boeing attualmente in uso, solo nel 2015, ha pesato sul bilancio federale per oltre 102 milioni di dollari e il governo americano conta di spendere altri 3 miliardi nei prossimi cinque anni, in attesa del nuovo.
Cifre proibitive per il bilancio pubblico italiano, anche se di risparmi, con l’aereo scelto dal governo italiano, se ne vedranno pochi.
Si tratta di un Airbus A340-501. Un aereo grande e prestigioso, che permette di volare per oltre 18mila chilometri senza scalo, ma con costi di esercizio elevatissimi.
Far volare il jumbo jet che piace a Renzi, alimentato da quattro motori Rolls Royce Trent 553-61, costa tra i 20 e i 25mila euro di costi operativi per ogni ora di volo, di cui circa 14 mila di solo carburante.
Nulla, si dirà , rispetto agli oltre 100 mila dollari che spende il governo americano per far volare il 747-200 in uso al Presidente.
Ma comunque un lusso per le compagnie aeree, che hanno smesso da tempo di ordinare aerei quadrimotore spingendo i francesi di Airbus a chiudere il progetto nel 2011 a vent’anni esatti dalla produzione del primo esemplare.
Molto più convenienti sono i modelli bimotore.
Basti pensare che l’A350, sempre di Airbus, e il diretto concorrente, il “787 Dreamiliner”, prodotto dagli americani di Boeing, consentono di ridurre i costi operativi di oltre il 30 percento.
Un ragionamento che probabilmente è stato fatto anche nel quartier generale di Etihad Airways che presto sarà la terza compagnia al mondo per numero di A350 (ne ha ordinati 62) e B-787 (ne ha ordinati 71).
SUD AMERICA ADDIO
Trasformare un aereo passeggeri lungo 63 metri, con un’apertura alare di 60, e un’altezza di 17 metri (in teoria può ospitare oltre 300 passeggeri) in un velivolo per trasporto Vip richiede tempi molto lunghi.
Per questo motivo Renzi, che sperava di poter sfoggiare l’ultimo acquisto nel suo viaggio in Sud America, dovrà accontentarsi dei vecchi Airbus A319 in configurazione lungo raggio.
Per trasportare la delegazione di governo, imprenditori e giornalisti, per quella che da Palazzo Chigi definiscono una “missione di sistema”, ne decolleranno due.
Uno da 50 posti, acquistato nel 2000, e un secondo, da 36 posti, consegnato nel 2006. Per rinfrescare l’intera flotta di A319, nel 2011, la Direzione Armamenti Aeronautici della Difesa ha bandito una gara da 25 milioni di euro.
POCA TRASPARENZA
Non c’è traccia invece, nè sul sito del ministero della Difesa nè su quello del governo, delle valutazioni che hanno spinto alla scelta del “nuovo” A340-500.
Niente informazioni costi. Niente capitolato tecnico. Nessuna notizia sull’entità con la quale sarà sottoscritto il leasing.
L’unico documento finora disponibile è un “avviso di preinformazione”.
Due paginette firmate dal generale ispettore capo Francesco Langella che succintamente dicono che nel corso del 2015 sarebbero stati conclusi appalti superiori alla soglia comunitaria per l’acquisto, tra le altre cose, di “aeromobili ad ala fissa; velivoli da combattimento, da addestramento, da trasporto”.
E poi nulla di più, se non che “L’avvio delle singole procedure verrà reso pubblico nei modi di legge”.
ASTA DESERTA
Sappiamo invece qualcosa sulla procedura, avviata su iniziativa dell’ex presidente del Consiglio Enrico Letta, per la vendita di uno degli A319 e di due dei Falcon 900EX in forze al 31° Stormo dell’Aeronautica: le aste, già ripetute anche dal governo Renzi, sono andate sempre deserte.
Sarebbe stato un modo per recuperare qualche milione di euro prezioso in vista del futuro esborso per l’A340 voluto da l premier.
Ai prezzi di mercato un leasing come quello che l’Italia si accinge a sottoscrivere oscilla tra i 5 e i 10 milioni di euro l’anno comprensivo delle manutenzioni. L’acquisto invece, anche a causa della chiusura della linea di produzione, si aggira attorno a 30 milioni di euro.
Antonino Monteleone
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 20th, 2015 Riccardo Fucile
ANNA ASCANI SU TWITTER: “SOLO IN PIEDI AL CONVEGNO SULLA BUONA SOLA”…POI SI ACCORGE DELLA GAFFE MA ORMAI E’ TROPPO TARDI
Gaffe o svista? Chi lo sa, ma il tweet di Anna Ascani è di quelli che prestano il fianco ad attacchi ironici.
La deputata, esponente di spicco del renzismo televisivo, ha partecipato a un incontro per discutere della riforma della scuola del Governo Renzi.
Una riforma che è stata ribattezzata dal premier come “La buona scuola”, con tanto di hashtag su twitter.
Ed è stato proprio l’hashtag a rivoltarsi contro la deputata del Pd.
Perchè la Ascani ha pubblicato la foto di un incontro con il giovane rampollo renziano e consigliere comunale Pd Marco Pierini, con questa didascalia: “Solo posti in piedi a casa di Pierini per la buona sola”.
Errore del suggeritore di twitter, probabilmente. “La buona sola” infatti è il nome che i detrattori hanno dato alla riforma scolastica del ministro Stefania Giannini. Alla Ascani deve esserle sfuggito, tant’è che poco dopo il tweet scompare e riappare con la dicitura corretta: “La buona scuola”.
Ma ormai è troppo tardi.
(da “Huffingtonpost“)
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