Ottobre 27th, 2015 Riccardo Fucile
LO SFOGO DELL’EX COMANDANTE DELL’ARMA TRICARICO CHE SPIEGA COME SI SAREBBERO POTUTI RISPARMIARE MILIONI E CRITICA L’OPERAZIONE
La storia del nuovo Airbus presidenziale voluto da Matteo Renzi continua a provocare malumori anche negli ambienti dell’Aeronautica, malumori che trovano voce nelle critiche del generale Leonardo Tricarico, ex comandante dell’Arma e oggi presidente della Fondazione Icsa, il think tank strategico più autorevole.
Tricarico, che è stato consigliere militare dei premier Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema, contesta tutti gli aspetti dell’operazione che arricchirà lo stormo di Palazzo Chigi con un lussuoso A-340 per le trasferte intercontinentali senza scalo.
Dal segnale politico che viene dato agli italiani con «un esborso evidentemente non necessario in uno scenario di rigido contenimento della spesa pubblica».
Una spending review che pesa anche sui bilanci della Difesa, sottoposti a tagli soprattutto per quanto riguarda l’addestramento del personale con una riduzione delle ore di volo dei piloti militari.
Mentre invece per i voli blu di ministri e premier «da sempre la presidenza del Consiglio non reintegra per intero i costi di esercizio sostenuti dall’Aeronautica».
Il generale Tricarico concentra le sue perplessità sulla «dinamica procedurale nella scelta del nuovo velivolo».
Perchè un Airbus? E perchè la decisione di prenderlo in leasing da Ethiad, la società degli Emirati che ha da poco rilevato Alitalia?
E infine perchè è stato tenuto tutto sotto segreto «quando negli Stati Uniti il processo di acquisizione di nuovi jet ed elicotteri presidenziali è sempre reso pubblico, tenendo riservate solo le specifiche tecniche e gli aspetti di sicurezza?».
In passato — ricorda l’alto ufficiale — si era affidata la selezione del mezzo più idoneo ai vertici dell’aviazione militare, contando sulla loro competenza. E nonostante questo, l’assenza di gare d’appalto per acquisire un velivolo civile — con un mercato estremamente competitivo proprio nel settore delle versioni vip — è stata spesso criticata.
C’è un altro aspetto sottolineato dal generale, che è stato anche il responsabile dell’intera campagna aerea occidentale sul Kosovo. L’Aeronautica non ha in linea altri jet Airbus, mentre invece schiera due Boeing KC-767: un velivolo disponibile anche in versione “vip” e con un’autonomia di poco inferiore al mezzo prescelto da Renzi.
Acquisirne un terzo avrebbe semplificato tutti gli aspetti gestionali.
Dall’addestramento degli equipaggi — al momento l’Airbus di Renzi è affidato a piloti di Ethiad perchè nessun italiano è qualificato ai comandi — ai pezzi di ricambio e ai costi di manutenzione. Ma secondo Tricarico per soddisfare le esigenze transcontinentali di Palazzo Chigi si sarebbero potuti evitare nuovi contratti: bastava allestire uno dei due Boeing già presenti a Pratica di Mare per i voli a lungo raggio della presidenza del Consiglio «cosa possibile fin d’ora con capacità 200 posti, aggiungendo un semplice kit di trasformazione, facilmente smontabile, con costi presunti dell’ordine di decine di migliaia di euro anzichè dei milioni legati al leasing».
E l’ex comandante conclude con una domanda, la stessa posta da molti cittadini: «Ma quanti milioni si spenderanno per questo leasing?»
Gianluca Di Feo
(da “L’Espresso”)
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Ottobre 27th, 2015 Riccardo Fucile
“NEI PROSSIMI GIORNI INAUGUREREMO ALTRI CANTIERI”… E OGGI POTREBBE RITIRARE LE DIMISSIONI… A QUEL PUNTO IL PD RISCHIA IL BAGNO DI SANGUE
Ignazio Marino sembra tutto, fuorchè un sindaco dimissionario.
A una settimana dal 2 novembre, giorno in cui le dimissioni rassegnate il 12 ottobre diventeranno effettive, il primo cittadino della Capitale continua a macinare lavoro e atti come se il tempo che lo separa dall’addio all’amministrazione capitolina — almeno in teoria — non dovesse contarsi ormai a ore.
La giornata del sindaco dimissionario è iniziata poco prima delle 10, quando Marino è entrato a Palazzo Senatorio.
“La mia è una giunta che lavora e che guarda avanti — ha detto poi nel corso dell’inaugurazione di un viadotto in periferia a Roma — questa città ha patito corruzione e criminalità , noi abbiamo mostrato discontinuità . Questo ponte è stato realizzato in pochi mesi come lavori in Via Marsala”.
“Domani e dopodomani inaugureremo altri cantieri, Roma deve andare avanti”, ha detto ancora Marino, che però non ha voluto rispondere sulle sue mosse future.
Perchè il futuro dell’aministrazione Marino è ancora un’incognita.
“Verifichiamo quello che succede in aula — ha detto l’assessore all’Ambiente, Estella Marino, ai giornalisti che le chiedevano cosa farebbe se il sindaco ritirasse le dimissioni, dando così per scontato che Marino abbia deciso di andare alla conta, portando la crisi in sala consiliare — nelle precedenti settimane io ho manifestato il mio dissenso rispetto alle scelte del partito non per contrastare qualcuno, ma perchè reputavo non fosse il modo corretto per affrontare questa vicenda, che è soprattutto politica, e nelle sedi politiche va affrontata”.
Intanto Marino continua a fare il sindaco.
A metà pomeriggio il sindaco ha effettuato un sopralluogo lampo nel cantiere dove si sono appena conclusi i lavori per la creazione del collegamento viario Fidene-Villa Spada. Insieme a lui l’assessore ai Lavori Pubblici Maurizio Pucci.
“Queste due borgate, Fidene e Villa Spada — ha spiegato il primo cittadino — erano separate da decine di anni da due linee ferroviarie. Sul vecchio ponticello le persone dovevano spostarsi a senso alternato: con questi due nuovi ponti cambia la viabilità e la vivibilità di questi due quartieri con un’altra opera per la città conclusa in tempi straordinari”.
Una giornata scandita da nuovi impegni per la città e terminata all’Auditorium Conciliazione per assistere all’anteprima romana di ‘Spectre’, il nuovo film di James Bond girato nella capitale la primavera scorsa.
Lo scenario più probabile è che una volta ufficializzato il ritiro delle dimissioni, Marino si presenterà poi in Assemblea capitolina per chiedere alla sua ormai ex maggioranza di andare avanti insieme.
Gli esponenti del Partito democratico, a quel punto, risponderebbero con una mozione di sfiducia, che verrebbe portata in Aula e depositata proprio al termine dell’intervento del sindaco uscente senza neanche un intervento di replica, facendo partire così il countdown – l’ennesimo in questa vicenda – dei dieci giorni necessari prima di poter mettere ai voti il documento.
Ma la mozione di sfiducia il Partito democratico lo dovrebbe però firmare assieme alle opposizioni, in alternativa ci sarebbero le dimissioni in blocco di 25 consiglieri (sono solo19 sono quelli del Pd, altri 6 andrebbero comunque pescati tra le altre forze politiche, dal M5s a Fratelli d’Italia, con evidente imbarazzo di tutti).
E alla fine potrebbe rivelarsi una trappola: ve l’immaginate una campagna elettorale con Marino che può andare a dire che è stato fatto fuori da quelli di Mafia capitale e con il voto delle destre?
Il Pd rischierebbe un bagno di sangue.
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Ottobre 27th, 2015 Riccardo Fucile
MA SUL NUMERO IDENTIFICATIVO CHISSA COME MAI NON CI SENTONO
L’associazione Funzionari di Polizia (Anfp) presenta il conto al governo, critica la gestione dell’ordine pubblico, chiedendo nel contempo a gran voce un ammodernamento dei reparti Mobile.
L’occasione la offre la presentazione avvenuta stamattina a Palazzo Chigi del libro “Dieci anni di ordine pubblico”, una analisi socio statistica di Armando Forgione Roberto Massucci e Nicola Ferrigni.
Nel 2014 le forze di polizia impiegate per le manifestazioni sono state 775.194, nel corso degli anni il numero dei feriti tra le Forze di Polizia è cresciuto complessivamente del 70%, passando da 230 casi del 2005 ai 391 del 2014, con un picco decisamente significativo nel 2011 che fa registrare un numero di feriti pari a 702, in particolare in manifestazioni ambientaliste.
Nella prefazione del testo, il segretario dei Funzionari, Lorena La Spina, argomenta che la gestione dell’ordine pubblico, così com’è oggi, non è adeguata ai tempi. È antica. Superata.
Dal 2005 a oggi il numero delle manifestazioni di piazza è cresciuto di quasi il 19% passando dalle 8.000 manifestazioni del 2005 alle 9.490 del 2014. Complessivamente il numero delle manifestazioni svoltesi dal 2005 al 2014 è stato pari a 87.862.
Ma Lorena La Spina sostiene che le forze dell’ordine non dispongono di mezzi di protezione e di armi adatte per far fronte a una media di 24 manifestazioni al giorno di rilievo per l’ordine pubblico. E, soprattutto, non sono supportate da un efficace ed efficiente quadro normativo.
“Nel nostro Paese – scrive il segretario dell’Anfp – la Polizia risente della carenza di strumenti utili a limitare le occasioni di contatto con i manifestanti, occasioni che si rivelano quasi sempre molto pericolose e tali da mettere a repentaglio la sicurezza dei nostri operatori e dei terzi”.
Task force antisommossa.
La realtà , aggiunge La Spina, “suggerisce la modernizzazione dei reparti preposti al mantenimento dell’ordine pubblico”, anche attraverso “la creazione di vere e proprie task force “antisommossa”, altamente specializzate”, tali da garantire “l’isolamento dei teppisti professionisti che confidano di essere protetti dalla folla”. Dopo l’analisi delle criticità , le proposte del sindacato della classe dirigente della Polizia.
Proiettili in gomma.
Con l’obiettivo di ampliare le dotazioni di strumenti intermedi tra un eventuale “corpo a corpo” e l’arma da fuoco, dovrebbe essere valutato l’uso di proiettili di gomma, che, se di tipo adeguato e affidati a personale rigorosamente addestrato, sono innocui, ma hanno grande efficacia deterrente contro i violenti (da diversi anni sono del resto in commercio munizioni “calibro 12” con proiettili in gomma “a soffietto”, che, al momento dell’impatto, si allargano fino a raggiungere un diametro di diversi centimetri).
Fucili marcatori.
Potrebbero essere sperimentati fucili “marcatori”, armi ad aria compressa che sparano sfere di plastica contenenti vernice colorata, “per rendere possibile l’identificazione dei facinorosi e dei violenti, anche una volta cessata l’emergenza”.
Difese anti petardi.
Secondo La Spina, “appare necessario equipaggiare le nostre unità con strumenti di difesa dal lancio di petardi e di altri prodotti progettati per esplodere a terra, che peraltro continuano ad essere immessi sul mercato”.
Tonfa.
Le dotazioni oggi a disposizione dei poliziotti, a cominciare dagli sfollagente di gomma, “si rivelano spesso insufficienti a contenere i manifestanti, specie quando si tratta di soggetti molto numerosi e armati, con la conseguenza che gli agenti restano esposti a colpi di bastone, di spranga, e di armi improprie di vario genere”. Insomma, meglio i tonfa, come fanno i tedeschi.
Scudi in kevlar.
Per i funzionari, sarebbe auspicabile l’impiego di scudi realizzati con materiali più moderni e leggeri, ma al tempo stesso più resistenti, quali il Dyneema e il Kevlar.
Uniformi paracolpi.
Andrebbero anche modificate le uniformi utilizzate nei servizi di ordine pubblico, con idonei accessori paracolpi, adeguatamente strutturati per la protezione degli operatori e per la sicurezza dei servizi.
Fondine anti furto.
Per evitare il furto di pistole durante tafferugli e aggressioni (in molti cortei da anni si verificano tentativi di questo tipo), sarebbero utili “fondine interne per la custodia della pistola, al fine di tutelare il personale da tentativi di sottrazione dell’arma”.
Radio hi-tech.
Secondo i Funzionari, “bisognerebbe, poi, sviluppare nuove tecnologie per assicurare continuità e qualità nelle comunicazioni radio, oggi rimesse a vecchi apparati portatili che, per dimensioni e peso, sono spesso di intralcio nelle fasi di scontro”.
Daspo dei cortei.
Per altro verso, osservano i Funzionari, le misure di prevenzione attualmente previste si rivelano inidonee a fronte di soggetti la cui “pericolosità sociale possa dirsi “qualificata” da un sostanziale abuso del diritto di manifestare”. E così ben venga il Daspo anche in ordine pubblico. È infatti “certamente debole”, denuncia La Spina, “l’ambito degli strumenti volti a fronteggiare e contenere il pericolo nelle fasi immediatamente precedenti gli scontri”.
Troppo permissivi.
Anche nel caso in cui qualche manifestante prenda parte a manifestazioni pubbliche facendo uso di caschi protettivi o con il volto travisato, la pena è assai blanda: arresto da 1 a 6 mesi.
No al codice identificativo divise.
Insomma, fino a quando non cambieranno le regole e le forze dell’ordine non saranno messe in grado di operare con mezzi e norme moderni, i Funzionari sono contrari all’uso di un codice identificativo. Il codice, spiega il segretario Anfp, “rappresenta un punto di arrivo, che si potrà concretizzare solo quando il livello degli strumenti legislativi e tecnici a disposizione potrà garantire un contesto di legalità non manipolabile”.
L’argomento della gestione dell’ordine pubblico è particolarmente delicato per il Viminale, visto che, come osservano Forgione, Massucci e Ferrigni, “oggi il conflitto sociale rischia di ritornare sulla scena con tutta la sua carica dirompente, come testimoniato dalle numerose proteste contro il governo Berlusconi prima, nel 2011.
E contro le politiche di austerità del governo Monti poi, nel 2012. Nonchè quelle avverso l’esecutivo Renzi nel 2014”. Per non dimenticare “le dimostrazioni dei movimenti “Lotta per la casa” e la rivolta anti-immigrati”.
Alberto Custodero
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 27th, 2015 Riccardo Fucile
IL “DON CIOTTI SICILIANO” IMPEGNATO NELLA LOTTA ALLA MAFIA E IL “BERGOGLIO ITALIANO” CHE GIRA ROMA IN UTILITARIA PER AIUTARE I POVERI
Due parroci alla guida delle arcidiocesi di Palermo e Bologna.
È la rivoluzione di Papa Francesco che, contrastando il più classico “spoils system ecclesiale”, ha deciso di affidare la guida del clero dei capoluoghi della Sicilia e dell’Emilia Romagna nelle mani di due “pastori con l’odore delle pecore”.
Per Palermo, Bergoglio ha scelto don Corrado Lorefice, 53 anni, nativo di Modica in provincia di Ragusa.
Attualmente è vicario episcopale della diocesi di Noto guidata da monsignor Antonio Staglianò, divenuto famoso per le sue prediche in musica con brani di Noemi e Marco Mengoni. Lorefice è soprannominato “il don Ciotti della Sicilia” per la sua lotta alla mafia e i suoi scritti su don Pino Puglisi.
Succederà al cardinale Paolo Romeo che guida l’arcidiocesi siciliana dal 2006 e che ha raggiunto da tempo ormai l’età canonica della pensione.
Teologo molto stimato, Lorefice è autore anche di un libro su “Dossetti e Lercaro: la Chiesa povera e dei poveri” in cui analizza gli interventi del “progressista” cardinale di Bologna negli anni Sessanta in cui il porporato chiedeva con forza al mondo ecclesiale di tornare al Vangelo delle origini spogliandosi del lusso e della mondanità della corte papale.
Temi e lotte oggi al centro del pontificato di Francesco. Una nomina, quella di Lorefice, che ha stupito lui stesso.
“Quando il nipote gli ha telefonato per dirgli che lo avevano fatto arcivescovo di Palermo — racconta a ilfattoquotidiano.it il fratello maggiore Michelangelo — lo zio prete gli ha risposto meravigliato: ‘Dove lo hai letto?’. Mio fratello non mi aveva detto niente e in famiglia siamo rimasti tutti molto stupiti di questa decisione del Papa”.
Per Bologna, invece, Bergoglio ha scelto monsignor Matteo Maria Zuppi, romano, 60 anni, dal 2012 vescovo ausiliare di Roma per il settore Centro, ma per numerosi anni parroco ed esponente della Comunità di Sant’Egidio fondata dall’ex ministro Andrea Riccardi.
Succederà al cardinale Carlo Caffarra che guida l’arcidiocesi emiliana dal 2003 e che, come Romeo, ha raggiunto da tempo l’età canonica della pensione.
Zuppi, che gira per Roma con la sua semplice utilitaria, è soprannominato “il Bergoglio italiano” per la sua modestia e la sua attenzione ai poveri e agli ultimi.
Due nomine inattese che lasceranno l’amaro in bocca a molti vescovi che negli ultimi mesi hanno sperato di essere promossi a Palermo e Bologna.
Due sedi tradizionalmente cardinalizie, ma non è detto che ciò avverrà anche in futuro con Lorefice e Zuppi nel ribaltamento dei criteri voluto da Francesco che non ha ancora voluto dare la porpora al patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, e all’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia.
Anzi, Bergoglio, lasciando delusi molti carrieristi, ha voluto nominare cardinali i vescovi di diocesi più piccole, come Perugia con Gualtiero Bassetti, Agrigento con Francesco Montenegro e Ancona-Osimo con Edoardo Menichelli.
Tre uomini di cui il Papa si fida moltissimo e che ha voluto accanto a sè nel Sinodo dei vescovi sulla famiglia che ha aperto le porte della Chiesa ai divorziati risposati.
I criteri con i quali Bergoglio sta rinnovando l’episcopato mondiale, creando non pochi mal di pancia, sono stati indicati chiaramente da lui stesso.
Parlando alla Cei Francesco ha sottolineato che “i laici che hanno una formazione cristiana autentica, non dovrebbero aver bisogno del vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo! Hanno invece tutti la necessità del vescovo pastore!”.
Così come il Papa ha chiesto alla Congregazione per i vescovi, “nel delicato compito di realizzare l’indagine per le nomine episcopali”, di essere “attenti che i candidati siano pastori vicini alla gente: questo è il primo criterio. Pastori vicini alla gente. È un gran teologo, una grande testa: che vada all’università , dove farà tanto bene! Pastori! Ne abbiamo bisogno! Che siano, padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; che amino la povertà , interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, che non abbiano una psicologia da ‘principi’. Siate attenti che non siano ambiziosi, che non ricerchino l’episcopato. E che siano sposi di una Chiesa, senza essere in costante ricerca di un’altra”.
Francesco Antonio Grana
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 27th, 2015 Riccardo Fucile
DI NUOVO INDAGATO L’EX TESORIERE DELL’IDV LAZIALE… I RAPPORTI CON BEVILACQUA, VICINO AL CLAN MANCUSO…. SUL SUO CONTO ARRIVAVANO I SOLDI DEL GRUPPO E PARTIVANO QUELLI DESTINATI AGLI USURAI
Un rapporto stretto, che veniva da lontano, passando di padre in figlio.
Il legame tra Vincenzo Maruccio e Ferruccio Bevilacqua — il colletto bianco legato, secondo gli investigatori, al clan di ‘ndrangheta dei Mancuso, arrestato oggi a Roma per usura — non nasceva per caso.
Il padre dell’ex tesoriere del gruppo dell’Italia dei valori alla Regione Lazio, Franco Maruccio, già in passato si sarebbe prestato a fare da tramite per il giro di soldi gestiti da Bevilacqua “fornendo provviste finanziarie e rapporti bancari”, come scrive il Gip Flavia Costantini nell’ordinanza di custodia cautelare.
Dunque un vincolo stretto e antico, che univa l’ex consigliere regionale dell’Idv, già finito agli arresti nel 2012 per peculato, con il giro romano di Ferruccio Bevilacqua, l’imprenditore originario di Vibo Valentia definito dai magistrati romani “un usuraio, riciclatore estremamente vicino alla cosca Mancuso”.
Rapporti che il Gico e il Nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza della capitale hanno ricostruito in due anni di indagine, serviti per far luce su una serie di società riconducibili a Bevilacqua, sparse tra l’Italia, San Marino e la Svizzera.
Una rete che sarebbe servita per riciclare i soldi originati dall’attività di usura, vero core business del gruppo Bevilacqua, secondo quanto ricostruito dalla Dda di Roma.
Ed è proprio dall’inchiesta sui fondi destinati ai gruppi politici in regione Lazio che nasce l’operazione che ha portato a sei arresti e all’iscrizione nel registro degli indagati di altre 11 persone, con ipotesi di reato che vanno dall’usura aggravata per aver favorito un gruppo mafioso, fino al riciclaggio, reato contestato allo stesso Vincenzo Maruccio.
Nel corso delle verifiche sui conti correnti dell’ex esponente dell’Idv — almeno 11 rapporti bancari — è emerso un flusso di 650mila euro diretto all’entourage di Bevilacqua, con altri 150 mila euro in ingresso. Il nome dell’uomo vicino ai Mancuso era ben noto agli investigatori del Gico, comandati dal colonnello Gerardo Mastrodomenico, che, insieme al nucleo valutario, hanno ricostruito il rapporto tra i due e l’attività di prestito a tassi di usura addebitata allo stesso Bevilacqua.
E la figura di Vincenzo Maruccio a Roma era sicuramente un punto di riferimento importante. Il suo ruolo di tesoriere Idv era sicuramente una carta importante: secondo il Gip, Maruccio non avrebbe “esitato a utilizzare, per le operazioni di riciclaggio, disponibilità che gli venivano dall’illecita appropriazione di somme delle quali aveva il possesso in quanto tesoriere del gruppo dell’Italia dei valori alla regione Lazio”.
“Quello che è preoccupante è il perdurare di rapporti con la terra d’origine di questi soggetti che arrivano nella capitale”, ha spiegato il procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino durante la conferenza stampa.
Un legame che le stesse intercettazioni hanno confermato: “Voi lì in Calabria, noi qui a Roma, ma siamo la stessa cosa, tutta una famiglia“, spiegava Bevilacqua in una delle telefonate finite agli atti. Il “colletto bianco” era arrivato nella capitale nel 2009 e, secondo la Procura, aveva proseguito quella che era stata la sua attività nella zona di Vibo Valentia.
La consistenza del patrimonio sequestrato oggi dalla Guardia di finanza è il segno del peso che il gruppo è riuscito a raggiungere in pochi anni di attività .
Appartamenti a Miami, ristoranti e ad altre società attive nella centrale piazza Bologna, quote di 11 società , una ventina di conti correnti, diverso contante e lingotti d’oro, trovati nel corso della perquisizione nell’abitazione di Ferruccio Bevilacqua.
Andrea Palladino
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 27th, 2015 Riccardo Fucile
LE IMMAGINI REGISTRATE DALLE TELECAMERE DEL SUPERMERCATO DOVE AVVENNE LA COLLUTTAZIONE
In un video registrato dalle telecamere di sorveglianza scorrono le drammatiche immagini della rapina in cui l’ucraino Anatoliy Korol ha perso la vita.
Lo scorso 29 agosto l’uomo provò coraggiosamente a fermare due banditi in un supermercato di Castello di Cisterna (Napoli). Ma ebbe la peggio.
Morì davanti alla figlioletta. Anatolyi venne ucciso con due colpi di pistola. Dopo sette giorni, i due assassini sono stati assicurati alla giustizia.
La medaglia di Mattarella
L’eroico gesto del 38enne, padre di tre figli, è stato ricordato alcune settimane fa al Quirinale: il Presidente Sergio Mattarella ha consegnato una medaglia al valore alla moglie di Korol (Video)
La vicenda
La tragedia di fine agosto nel piccolo comune dell’hinterland napoletano, scosse le coscienze. Giunse al culmine di un’estate già molto difficile, con tanti morti ammazzati nel capoluogo e in provincia (e settembre sarebbe stato pure peggio). Erano le 21, supermercato in chiusura, con pochi clienti. Anatolyi Korol, manovale, era appena uscito dopo aver fatto la spesa, insieme alla figlioletta di un anno e mezzo. I due rapinatori, bardati dal casco integrale, si sono fiondati alle casse pistola in pugno.
L’ucraino non ci pensa due volte, rientra nel market e tenta di fermare uno dei malviventi, Marco Di Lorenzo.
Riesce quasi a immobilizzarlo, tenendolo per il collo.
Il complice, Gianluca Ianuale, però non sta a guardare. Sorpreso e poi accecato dalla rabbia prova a ferire l’ucraino addirittura con una penna, usata a mo’ di pugnale. Anatolyi resiste ma nulla può contro i colpi di pistola esplosi da Ianuale.
Voleva colpire le gambe, dirà ai magistrati. I proiettili invece trafiggono fatalmente Korol.
I due fuggono, e il 38enne muore al cospetto della sua bimba.
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Ottobre 27th, 2015 Riccardo Fucile
CHE SUCCEDE NEL PD E NELLE ALTRE COALIZIONI
Non c’è due senza tre?
Dopo i grandi ritorni di due noti sindaci della primavera del 1993, Leoluca Orlando a Palermo ed Enzo Bianco a Catania, la strada per il “Bassolino parte terza” sembra farsi in discesa.
Almeno nel centrosinistra dove, a pochi giorni dall’assemblea provinciale Pd (convocata il 29 con le primarie all’ordine del giorno), non è stato ancora trovato un nome forte e condiviso in grado di correre come candidato unico del partito.
Sembra un po’ il replay dell’anno scorso, quando il Pd le provò tutte per impedire la corsa a governatore dell’altro grande vecchio della sinistra campana, Enzo De Luca: le primarie furono rinviate varie volte, e alla fine si tennero ugualmente dopo una defatigante ricerca del “nome forte” per farle saltare.
Una ricerca che vide impegnati anche i vertici nazionali del Pd, ma che si scontrò contro mille ostacoli.
Stavolta dovrebbe (il condizionale è d’obbligo quando si parla di vicende campane) andare diversamente.
Le primarie quasi certamente si terranno il 7 febbraio (insieme a Milano e forse a Roma), e Bassolino, che ancora ufficialmente non si è pronunciato, sarà della partita.
“Eravamo in pochi a volere le primarie, ancora qualche settimana fa”, ha twittato nelle ultime ore.
“Ora siamo in molti. Bene, avabti con intelligente determinazione”. Potrà contare su due elementi di forza: il giudizio complessivamente positivo di buona parte della città per i suoi anni da sindaco e l’assenza di una nuova classe dirigente del Pd napoletano in grado di conterdergli la vittoria.
Un enorme vuoto politico da riempire. Della serie: la parte del Pd che vorrebbe aprire una pagina nuova deve per forza trovare un candidato della società civile, magari un accademico di fama, perchè dentro il partito, nei quattro anni di opposizione a De Magistris, non è nata una nuova leadership.
Anzi, il partito si è sempre più balcanizzato e nell’ultimo sondaggio Ipr Marketing è sceso al 14%, meno della metà dei voti delle europee 2014.
Insomma, il rischio di non arrivare neppure al ballottaggio, e per la seconda volta di fila dopo il 2011, è più che concreto.
E anche così si spiega la scarsa veemenza con cui chi non vorrebbe Bassolino gli si sta opponendo.
E così le primarie, che nel 2014 furono considerate come un male da evitare, un anno dopo appaiono quasi a tutti come “una occasione per allargare il consenso intorno al Pd”. Lo dice chiaramente Francesco Nicodemo, giovane renziano della prima ora: “Se non si trova un Maradona che mette tutti d’accordo, e ad oggi non c’è, le primarie sono una occasione importante per allargare il quadro. Auspico che ci siano in campo diverse visioni di città , che ci si confronti sul merito, non sullo schema vecchio contro nuovo”.
Certo, c’è sempre la variabile De Luca: il governatore e storico avversario di Bassolino, che vede come un male il ritorno in sella del rivale.
E tuttavia gli uomini forti di De Luca a Napoli, il deputato Massimiliano Manfredi e il capogruppo in Regione Mario Casillo, non sembrano orientati a boicottare le primarie. Ma si riservano entro fine novembre la ricerca di un nome che possa ragionevolmente contendere la vittoria all’ex sindaco.
Le ricerche finora non hanno dato buon esito: un contatto con il medico Paolo Siani, fratello di Giancarlo, il giornalista assassinato dalla camorra, ha dato esito negativo.
Il profilo però resta quello: una “personalità esterna che porti un valore aggiunto al Pd”, spiegano dal fronte non bassoliniano.
L’alternativa potrebbe essere un candidato under 40, magari proveniente dalla Fonderia lanciata da Nicodemo con Pina Picierno e Gennaro Migliore nel 2014.
“Possibile, ma non sarò io il candidato”, spiega Nicodemo ad Huffpost. Uno dei nomi che circola — ma estraneo al gruppo della Fonderia- è quello del deputato Leonardo Impegno, classe 1974, già presidente del consiglio comunale col sindaco Iervolino.
Bassolino intanto incassa sul piano personale l’assoluzione dall’accusa di omissione in atti d’ufficio in relazione alla gestione dei rifiuti durante l’emergenza in Campania.
Proprio nei giorni in cui l’ex Governatore sta lavorando a ricostruire la sua rete di relazioni, in verità mai interrotte, partendo dal mondo extrapolitico che lo sostenne nel 1993: una pre-campagna più esterna al Pd che tra i dirigenti di partito.
Compare sempre più in giro per la città : dal teatro San Carlo ai convegni, alle presentazioni di libri.
E in ogni occasione riscuote un certo calore da parte del pubblico. “Sarà una battaglia almeno tra quattro forze che in partenza non hanno differenze incolmabili tra loro. Dipende dalla campagna elettorale, dai candidati, sette otto mesi sono un’eternità , si smuovono montagne”, ha detto nei giorni scorsi a un evento dei Giovani dem.
“Si avverte un bisogno di politica. Saranno i cittadini a dirci cosa e chi è vecchio e cosa è nuovo. Bisogna correre per vincere. Senza primarie, il Pd non partecipa neanche alla gara”.
Un calore che invece manca nel partito, dove solo l’europarlamentare Massimo Paolucci (che era uscito dal Pd nei mesi scorsi in polemica con l’inquinamento delle primarie per le regionali da parte di “interi settori del centrodestra”) lo sostiene apertamente.
Più tiepidi la deputata Valeria Valente e Andrea Cozzolino, sconfitto da De Luca alle ultime primarie campane.
Domenica Bassolino ha visto a Ercolano il capo della minoranza dem Roberto Speranza, nelle prossime ore potrebbe incontrare Massimo D’Alema in arrivo a Napoli per un convegno. Ma la dinamica minoranza-minoranza non è la chiave giusta per leggere la magmatica realtà politica partenopea.
Anche se, va detto, il premier rottamatore, come nel caso di De Luca, non è affatto contento della corsa di un grande vecchio del passato.
Anche se Bassolino lo ha sostenuto nel 2013 nella corsa alla segreteria Pd.
Raccontano che Renzi stia cercando di spingere i suoi uomini sul territorio a trovare una valida alternativa. Del resto, le comunali 2016 sono una prova del fuoco delicatissima per il premier. Che rischia di pagare a caro prezzo lo scarso controllo del partito a livello locale. Una delle ipotesi che circola da alcune settimane al Nazareno è quella di regolamentare le primarie: far votare solo gli iscritti agli albi degli elettori in modo da fermare i candidati sgraditi.
Oltre al Pd, lo scenario delle elezioni napoletane appare molto frastagliato.
Il sindaco De Magistris è in risalita, dopo l’assoluzione al processo Why Not, è in pole position per l’accesso al ballottaggio ma rischia di pagare l’eccesso di politicizzazione della campagna, più contro il governo Renzi che sui temi della città .
I grillini sono forti nei sondaggi, ma divisi al loro interno tra chi, come Roberto Fico (e Casaleggio) vuole una corsa in solitaria anche con un candidato poco noto e una grossa parte dei militanti napoletani che insiste per un’alleanza con De Magistris, a cui anche il sindaco sta lavorando alacremente.
A destra regna ancora il caos.
Gianni Lettieri, candidato sconfitto nel 2011, insiste per ricandidarsi, sostenuto dall’ex governatore Caldoro, ma buona parte di Forza Italia non lo vuole e lo stesso Berlusconi preferirebbe Mara Carfagna.
Il gruppo Noi con Salvini e Fratelli d’Italia insistono per le primarie. Insomma, non c’è ancora neppure una coalizione.
Per questo Bassolino inizia a crederci al ballottaggio contro De Magistris, per giocarsela tra due ex sindaci.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 27th, 2015 Riccardo Fucile
LEGGE DI STABILITA’ E NON SOLO
Molti folgorati sulla via di Renzi si chiedono com’è che il Sire di Rignano non piaccia a tutti: lo reputano inconcepibile. Provo a rispondergli io
Perchè tra i sogni di molti non c’era, e non c’è, riscrivere la Costituzione con Verdini.
Perchè gli Scilipoti sono moralmente improponibili anche quando vanno da destra a Renzi, che è poi — a ben pensarci — un percorso neanche troppo incoerente.
Perchè tra Razzi e Migliore, o tra De Gregorio e Andrea Romano, non è detto che uno scelga i secondi. (Magari, per dire, non sceglie proprio. Non scorgendone le differenze)
Perchè se prima di farti eleggere prometti la spending review, e quando sei stato eletto (da chi?) per prima cosa ti regali un aereo carissimo — pure usato e neanche troppo ben messo — per poter twittare da sopra le nuvole, a quel punto un po’ di credibilità la perdi
Perchè prima di farsi eleggere voleva il tetto contante a 500 euroe ora a 3mila. Ops
Perchè c’è un limite nell’essere bugiardi, ma lui lo supera. Con agio
Perchè Berlusconi aveva una classe dirigente fatta di Gelmini e Biancofiore, e perchè i grillini hanno tra le truppe chi usa i congiuntivi come parmigiano sul pesce e crede ai complotti anche solo se il bagno del ristorante è occupato, ma non è che Renzi sia circondato da piccoli Churchill. Anzi
Perchè, tra la Boschi e la Carfagna, è tutto da dimostrare che la seconda sia peggiore.
Perchè la Picierno. E basta
Perchè se essere di sinistra significava per molti non il credere a ideali diversi, ma il vincere costi quel che costi, allora non è più politica ma calcio: allora è tifare. Allora, per troppi “intellettualoni”, votare Pds e derivati significava solo tifare Inter (o Milan, o Juventus, o quel che volete voi) e sperare anche loro — prima o poi — in qualche arbitro compiacente. E se è così, non stupitevi se nel frattempo in tanti sono scesi dal treno
Perchè Renzi, pur di vincere, ha spostato l’asse del Pd non tanto verso il centrodestra, ma ha piuttosto creato una Democrazia Cristiana 2.0 popolata da paninari invecchiati, droidi impalpabili e gattopardi mai fuori moda.
Perchè Cicchitto se ne intende.
Perchè Riotta non se ne intende.
Perchè ha abbattuto lo Statuto dei Lavoratori.
Perchè ha trasformato l’assunzione a tempo indeterminato in tempo perennemente determinato (però non te lo dicono).
Perchè la riforma della buona scuola è una “buona sòla”, e per una volta la statista Anna Ascani ci ha visto giusto su Twitter.
Perchè attacca i giornalisti e ha un’idea di Rai come quell’altro.
Perchè non racconta come ha speso quei soldi in Provincia e Comune a Firenze.
Perchè Marino è un comico inconsapevole, ma De Luca è molto peggio.
Perchè è caricaturale in ogni cosa che fa, sembra Jerry Calà venuto malino e se lo avessimo avuto in classe (e ce lo abbiamo avuto) lo avremmo riempito di capaccioni.
Perchè a scuola copiava dal compagno di banco bravo, e oggi dalla Confindustria meno brava
Perchè già allora era il più antipatico e bruttino, e ciò nonostante giurava di aver baciato la più carina del Liceo. E qualcuno, chissà perchè, gli credeva.
Perchè i suoi abracadabra sono vecchi di vent’anni, e se ai Lerner basta oggi “No Imu per tutti” per votarlo, io mi ricordo ancora quando a dirlo era un altro. E però, al tempo, ai Lerner non bastava per volerlo. Anzi, non gli piaceva per niente.
Perchè le Province ci sono ancora.
Perchè il Senato ci sarà ancora (però sarà inutile).
Perchè l’Italicum è persino più brutto del Porcellum.
Perchè ognuno ha le perversioni che si merita.
Perchè, quando era boyscout, nelle cuffie del walkman ascoltavaWild Boys. E gli bastava per sentirsi ribelle.
Perchè “Quando è merda è merda/e non ha importanza la specificazione” (questa è volgare, ma più che altro è di Gaber e Luporini. E dunque non è volgare).
Per tutti questi motivi, e la lista è assai incompleta nonchè in continuo aggiornamento, milioni di italiani continueranno a ritenere impossibile diventare renziani.
Fatevene una ragione.
Andrea Scanzi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 27th, 2015 Riccardo Fucile
FLASH MOB DI 2.000 PERSONE PER IL BLOCCO DEL SALARIO ACCESSORIO: INVASI CORTILI E CORRIDOI
Non c’è pace al ministero dell’Economia.
All’indomani dell’alta tensione registrata tra il dicastero e l’Agenzia delle Entrate, ma anche all’interno dello stesso Tesoro, oggi i corridoi e il cortile del ministero di via XX settembre sono stati “invasi” dai dipendenti che hanno protestato per il taglio al cosiddetto Fua, il Fondo unico di amministrazione.
Il Fua è un fondo utilizzato nella Pubblica amministrazione per il compenso accessorio dei dipendenti e che viene ripartito all’interno di ogni ministero con una contrattazione interna.
Il governo ha disposto il taglio del fondo già con il bilancio di assestamento, presentato dal Governo a giugno e approvato in Parlamento a settembre.
Nel Ddl Stabilità inoltre si prevede che dal 1 º gennaio 2016 le risorse destinate annualmente al “trattamento accessorio del personale” vengono congelate: ovvero non potranno superare quelle messe a disposizione per il 2015.
A fronte di un aumento di appena 8 euro lordi mensili, “grazie” allo sblocco dei contratti della Pubblica amministrazione, i dipendenti del Tesoro protestano per il taglio del salario accessorio e hanno quindi incrociato le braccia in uno sciopero bianco, sfilando da questa mattina, fischietti alla mano, per i corridoi del ministero, fino alla porta del capo di gabinetto Roberto Garofoli
Le proteste arrivano a una settimana da quelle messe in atto dai dirigenti della Ragioneria dello Stato che hanno incrociato le braccia per giorni contro il taglio del 10% sui premi in stipendio,norma poi eliminata dalla versione definitiva della Stabilità .
(da “Huffingtonpost”)
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