Ottobre 25th, 2015 Riccardo Fucile
MARINO NON MOLLA E LANCIA LA CAMPAGNA DEI CONSIGLIERI: “LI VOGLIO CONVINCERE UNO AD UNO, SE NON MI VOGLIONO DEVO DIRMELO GUARDANDOMI NEGLI OCCHI”
Da Piazza del Campidoglio parte la campagna d’autunno di Ignazio Marino. Anzi, la ‘campagna dei consiglieri’: “Se vogliono cacciarmi, devono dirlo guardandomi negli occhi. Li voglio incontrare uno ad uno, singolarmente. E poi vedremo cosa succederà in Aula”.
Il sindaco dimissionario (forse ancora per poco), che non a caso ha citato Che Guevara, ha indossato — almeno moralmente — il berretto del rivoluzionario e adesso è pronto a una settimana di battaglia nella speranza di sovvertire le decisioni dei vertici del Pd.
Ma per lo stato maggiore dem, quello di Marino, non è altro che un “ultimo tentativo disperato”, come fu l’annuncio della restituzione dei 20mila euro spesi con la carta di credito del Comune.
Da lunedì, per il primo cittadino, iniziano i sette giorni decisivi.
In teoria il conto alla rovescia scade il 2 novembre, quando le dimissioni diventeranno effettive, ma ‘Ignazio-Che’ di andar via non ha alcuna voglia.
L’abbraccio della città , e in piazza c’erano anche i delusi del Pd, ha ridato al primo cittadino la carica, o forse l’illusione, per andare avanti.
Avanti fino al ritiro delle dimissioni e giungere così alla prova dell’Aula, sapendo che la piazza — senza i voti della sala Giulio Cesare — non basta.
Così, tornato nella sua stanza, dopo il bagno di folla e in preda ancora alla commozione, il primo cittadino ha deciso il piano d’attacco, che spera lo porterà dritto dritto a un faccia a faccia anche con il premier Matteo Renzi, dal quale pretende che gli renda almeno “l’onore delle armi”.
Ma il segretario dem, impegnato tra l’altro in un viaggio in Sud d’America, vuole incontrarlo solo quando le dimissioni diventeranno effettive.
Tra le mani di Marino è tornato il pallottoliere nella speranza che qualche consigliere dem, in questi ultimi giorni, sapendo che il sindaco non è indagato, ci abbia ripensato: “Se il Pd mi vuole mandare a casa, senza alcun motivo, dovrà farlo con i voti della destra, con quelli di Mafia Capitale”, va dicendo ai suoi collaboratori, con i quali è rimasto chiuso in Campidoglio per tutto il pomeriggio e da dove vorrebbe far partire i colpi di cannone contro il Pd.
La prima mossa di Marino sarà resistere puntando tutto sui consiglieri, che proverà a convincere, con parole di questo tenore: “Non sono indagato. La storia degli scontrini non esiste più, ditemi perchè devo andare via”.
Lo stato maggiore del Pd è in fibrillazione: “Marino è capace di tutto”, dice qualcuno, che teme un colpo di scena dell’ultimo momento. Soprattutto in Aula.
Così il senatore del Pd ed ex assessore capitolino, Stefano Esposito, si affretta a dire: “E’ un’esperienza finita. La posizione del partito è chiara”. Anche dal Nazareno fanno sapere che “dopo la piazza di oggi non è cambiato nulla”.
Il primo cittadino si ostina però a pensare che ci siano ancora margini e che ci sarebbero alcuni consiglieri pronti a tornare sui loro passi.
Alla luce del confronto che avrà con loro ritirerà le dimissioni e andrà in Aula. Oppure andrà da dimissionario e chiederà un dibattito approfondito.
Qui, il sindaco vuol far emergere quantomeno la spaccatura che, secondo lui, esiste tra i consiglieri dem. Passaggio che, spiegano i suoi collaboratori, lacererebbe definitivamente il partito romano, trasformando la sala Giulio Cesare in una bagarre che danneggerebbe il futuro politico del Pd.
Tuttavia se Marino arrivasse a ritirare le dimissioni, diversi assessori dem sarebbero pronti a lasciare per indebolirlo ancora di più. C’è chi parla di otto-nove defezioni pronte su dodici persone in Giunta.
I più convinti sostenitori di Marino restano i consiglieri dei Municipi.
“Orfini ci ha ricattato. Quando lo abbiamo incontrato — racconta Valter Mastrangeli, consigliere del VI municipio — ci ha detto di sfiduciare il presidente altrimenti non saremmo più stati ricandidati. Il Pd si deve prendere le sue responsabilità davanti ai cittadini”.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 25th, 2015 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DEL DIRETTRICE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE: DIRIGENTI IN FUGA E NESSUNA GARANZIA AI DIPENDENTI
Sconcertata dalle scelte del governo sul contante. Messa in un angolo dalla Consulta con 767 dirigenti decaduti, molti dei quali in fuga verso il privato. Dipinta come amante dei blitz. L’Agenzia delle entrate si sente sotto assedio.
Di più, squalificata, isolata, priva di interlocutori a Palazzo Chigi e al Mef, il ministero dell’Economia azionista.
L’allarme è volato alto giovedì, quando la direttrice Rossella Orlandi ha quasi gridato commossa, al convegno della Cgil: “Le agenzie fiscali rischiano di morire, rimangono in piedi solo per la dignità delle persone che ci lavorano”. Ma cosa succede?
La soglia del contante è solo l’ultimo, ma pesantissimo, muro alzato dal governo.
Una barriera che l’Agenzia non si aspettava, eretta a insaputa della stessa Orlandi, indirettamente sconfessata dal premier Renzi e soprattutto da Padoan, ormai ben distante anche dalle sue convinzioni.
Un anno fa in Parlamento il ministro dell’Economia citava proprio la Orlandi, ripetendo che limitare il contante e abbassare la soglia servono “a fare emergere le economie sommerse e ad aumentare la tracciabilità ”
Ora il ministro difende invece il suo “diritto a cambiare idea”, smentendo se stesso e così anche la direttrice.
Il legame tra cash ed evasione non esiste. E dunque via libera pure agli affitti fino a tremila euro pagati con denaro frusciante, come rivela la legge di Stabilità appena bollinata. Il regno del nero legalizzato.
Come se non bastasse, c’è poi quella retorica insistita del premier, quando in tv ripete in loop: “Mai più blitz a Cortina”.
Reiterando così l’immagine di un’Agenzia succhiasoldi a prescindere.
“Ma io i blitz non li condivido, non li ho mai fatti”, si sfoga la Orlandi con i suoi. “Perchè continuare a paragonarmi alla gestione Befera?”.
Un feeling si è interrotto, non c’è dubbio. Renzi stima la Orlandi, ma l’armonia della Leopolda sembra lontana.
“Il fisco deve essere semplice, serve un patto tra cittadini e Stato che non incida nella vita delle persone e delle aziende”, scandiva la direttrice dal palco fiorentino dell’assise renziana, il 25 ottobre del 2014.
Un anno dopo, la soglia del contante sale, gli affitti si pagano cash, l’Agenzia delle entrate è abbandonata a se stessa nella lotta contro l’evasione, quasi una decina di super-dirigenti, declassati e tornati a 1.500 euro al mese, hanno preferito altri lidi professionali, importanti studi fiscali o società di consulenza internazionali.
Lasciando scoperti posti delicatissimi per il controllo dei grandi contribuenti, il prelievo sulle multinazionali, l’accertamento.
Il nuovo concorso che dovrebbe sanare la situazione non si riesce a organizzare. Almeno non prima del 27 novembre quando il Consiglio di Stato si esprimerà sul terzo bando messo in questione dalla sentenza della Consulta sui dirigenti promossi con procedure interne, anzichè via concorso.
E comunque anche con la nuova selezione, nessuna corsia preferenziale garantisce un ritorno in sella dei decaduti.
Così, il giovane fresco di laurea avrà la stessa chance di uno specialista. Il malumore è alle stelle. Qualcuno teme addirittura che la Orlandi possa gettare la spugna, mettendo sul tavolo le dimissioni.
Qualcun altro scommette sulla sua tempra di donna forte e testarda: “Non mollerà “. C’è amarezza e fastidio, però. “Mi accusano di lanciare falsi allarmi, ma se il recupero dell’evasione non è crollato è solo per la dedizione dei colleghi e il loro senso dello Stato”, si sfoga lei
D’altro canto, sul fisco la maggioranza vira verso centrodestra.
La norma sul contante porta la firma vistosa dell’Ncd di Angelino Alfano, ma anche di Scelta Civica del sottosegretario Enrico Zanetti, tornato all’attacco: “Parlare di morte dell’Agenzia mi sembra esagerato e irrispettoso. Basta fare le selezioni. C’è un concorso aperto a tutti. Se poi i dirigenti interni non hanno voglia di partecipare… “. Pure il ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia chiude alla richiesta della Orlandi, in vista del rinnovo del contratto degli statali: “Mi sembra difficile che ci possa essere un comparto solo per le agenzie fiscali”.
I muri si alzano. Il cerchio si stringe.
Valentina Conte
(da “la Repubblica”)
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Ottobre 25th, 2015 Riccardo Fucile
MISURE DI SCARSA RILEVANZA ECONOMICA, RICERCA DEL CONSENSO CON TASI E CONTANTE… DI SPESA PUBBLICA NON SI PARLA
C’era una volta la legge finanziaria, l’annuale assalto alla diligenza delle prebende pubbliche. Adesso si chiama legge di stabilità : l’assalto continua, ma la legge è soprattutto il pretesto per una battaglia politica a colpi di slogan tra il Governo, in cerca di consenso, e chi punta a sottrarglielo.
Ideologia, tanta; rilevanza economica per il Paese – crescita, inflazione, produttività , investimenti, ricerca e sviluppo, export, mercato dei capitali, stabilità del sistema bancario — pochissima.
Una vasta micro-redistribuzione del reddito, mascherata da grande scontro ideologico.
Le questioni vitali su cui si è scatenato il dibattito? Contante; tassa sulla prima casa; e approvazione di Bruxelles.
Così, se per alcuni l’aumento di 2000 euro del tetto ai pagamenti in contanti abbasserebbe il tasso di legalità del paese; per il Governo è un valido sostegno alla ripresa dei consumi.
Troppa demagogia.
L’evasione si contrasta con la tracciabilità dei dati finanziari, l’incrocio delle tante banche dati che registrano ormai ogni aspetto della nostra vita, gli accordi internazionali contro i paradisi fiscali, un’organizzazione più efficiente e meno burocratica dell’amministrazione finanziaria, norme semplici e certezza del diritto, incentivi agli accordi preventivi e taglio dei tempi del contenzioso.
Tutti strumenti di cui l’Italia si è dotata negli ultimi anni, in linea con quelli dei paesi più avanzati. Bisogna solo usarli meglio.
Criminalità e corruzione, che sono i grandi utilizzatori del contante, non si fermano di certo di fronte a qualche limite sulle banconote.
Ma è falso anche il contrario: un po’ di contante in più non stimolerà certo i consumi.
È solo marketing politico del Governo verso quel blocco sociale che ha sempre votato Forza Italia e la Lega: padroncini degli autotrasporti; negozianti coi ricchi clienti stranieri; piccoli commercianti e ristoratori alle prese coi gravami di carte e conti bancari; proprietari di case e artigiani che vogliono schivare l’Iva sulle piccole riparazioni; anziani che vedono con terrore bancomat e conti online.
Un blocco che però è da sempre inviso alla sinistra tradizionale
Discorso identico per l’eliminazione dell’imposta sulla prima casa.
È insensato giustificarla con un presunto effetto ricchezza. La motivazione politica (convincere che ridurre le tasse non è una prerogativa della destra) è ovvia.
Per questo si agisce sull’imposta che tocca direttamente il maggior numero delle famiglie italiane e una delle poche che è pagata direttamente dai cittadini (le altre sono principalmente ritenute alla fonte).
Come ideologiche e di facile presa sono le argomentazioni per contrastare l’abolizione della tassa: un regalo ai ricchi proprietari di ville e castelli, salvo sorvolare il problema di definire esattamente chi è “ricco” (meglio stare sugli slogan), o sul fatto che molte seconde case sono solo piccoli investimenti del risparmio di tanti italiani.
La misura è criticabile, ma le motivazioni sono altre: una tassazione degli immobili equa ed efficiente richiederebbe la riforma del catasto, a prezzi di mercato, finita invece nel dimenticatoio e ignorata per convenienza da Governo e opposizioni.
Anche lo spauracchio di Bruxelles è usato strumentalmente: l’opposizione lo invoca, sperando che le dia una mano a sostenere le proprie tesi; Renzi lo insulta per catturare simpatie nel vasto movimento anti europeo che si sta allargando a macchia d’olio, e non solo in Italia.
Dei veri elementi critici, non si parla.
Non si taglia la spesa pubblica, che da decenni cresce inesorabilmente, nemmeno nella versione edulcorata di spending review o lotta agli sprechi.
L’ennesimo commissario, professore, super manager, esperto sbatterà la porta disilluso, non capendo, beata ingenuità , che nel paese dei mille interessi costituiti la soluzione non è tecnica, ma politica: i tagli si fanno solo con il fiato della troika sul collo; o quando un governo potrà governare senza dover fare continui compromessi ( di qui il miraggio della riforma elettorale che lo permetta).
E l’idea iniziale di mettere il canone in bolletta per assicurare più risorse alla Rai, vero oggetto del desiderio dei partiti (idea per fortuna eliminata dall’ultima bozza) serviva per evitarle ristrutturazioni e tagli, e riducendo la concorrenza per la torta pubblicitaria, per la felicità di tutti i media, respiratore artificiale della politica. Tutta.
Senza eccezioni.
Alessandro Penati
(da “la Repubblica”)
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Ottobre 25th, 2015 Riccardo Fucile
“INCOMPRENSIBILE IL RICORSO A VERDINI”
“Questa è una manovra che guarda al consenso verso chi governa, piuttosto che all’interesse nazionale del medio periodo, il che è un po’ paradossale visto che non ci sono contendenti”.
E’ l’impietoso giudizio dell’ex premier Mario Monti, intervistato a “In 1/2 ora” sulla legge di stabilità del governo di Matteo Renzi.
Il senatore a vita ha espresso grosse perplessità sull’abolizione dell’Imu sulla prima casa e sulla possibilità di pagare in contanti fino a 3mila euro – dai mille che erano stati fissati proprio dall’esecutivo Monti.
“Non vedo giustificazione economica” all’innalzamento del tetto sul contante, ha spiegato l’ex presidente del Consiglio.
“Penso che Renzi abbia voluto cambiare il meccanismo per dare la sensazione agli italiani di allentare il controllo” dello Stato. Ma “siamo una strana società , tollerante nei confronti del peccato civico”. “I problemi dell’Italia non derivano dagli ingranaggi costituzionali ma dalla nostra eccessiva predisposizione come società italiana verso corruzione ed evasione fiscale. Se per approvare le riforme dobbiamo allentare la presa su questo non sono certo sia un fatto positivo”.
Un giudizio non positivo anche per la legge di stabilità nella sua globalità perchè presenta “minor prudenza” di quella necessaria rispetto ad un disavanzo “che potrebbe non diminuire quanto possibile e a quanto ci veniva raccomandato”.
Monti si riferisce alla tassa sulla prima casa che secondo le anticipazioni verrà cancellata: “Non proseguendo con determinazione la strada della riduzione del disavanzo pubblico, l’Italia rafforza gli avversari di Mario Draghi. L’argomento nordico è che quando le condizioni monetarie si rendono più facili, i governi rilassano i loro sforzi”.
Per Ferdinando Giuliano, giornalista italiano del Financial Times, la manovra tiene conto anche della composizione sociale dell’elettorato di Renzi: la casa è un bene posseduto soprattutto dalle generazioni più anziane e non dai giovani.
“Poichè il dramma dell’Italia è la disoccupazione giovanile, bisognava puntare molto di più sulla riduzione del cuneo fiscale per facilitare le assunzioni e non sulla tassa della casa. E’ dunque una manovra che guarda di nuovo alle generazioni che hanno già beneficiato tanto perchè le case sono possedute maggiormente dagli anziani”, ha sottolineato Giuliano.
Monti ha poi criticato l’alleanza del Pd con Silvio Berlusconi e con Denis Verdini “la cui posizione rispetto alla giustizia non è lineare”.
“Ho massimo rispetto per ciascuna personalità della vita pubblica, incluso Silvio Berlusconi, che conosco di più, e il senatore Denis Verdini che conosco appena di vista, ma non si può restare indifferenti rispetto alla circostanza che il governo ha ritenuto di avvalersi del contributo politico decisivo del primo, persona molto rispettabile ma che tuttavia in base alle leggi dello Stato è stato messo in una certa condizione e, recentemente, per dare benzina al funzionamento della maggioranza e del governo, del senatore Verdini, la cui posizione rispetto alla giustizia non commento, ma che non mi sembra assolutamente lineare e semplice da descrivere. Se per migliorare una legge elettorale e una legge costituzionale -ha aggiunto- dobbiamo ricorrere al coinvolgimento decisivo di personalità che non sono l’emblema della lotta alla corruzione e alla fiscalità non so se sia un passo avanti o un passo indietro per la società e anche per l’economia”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 25th, 2015 Riccardo Fucile
“NON VINCONO GLI ATEI DI SINISTRA, MA LA STRATEGIA GESUITA UNITA ALLA TRADIZIONE MISTICA”
«Tra forti resistenze, Francesco ricompone un’antica disputa». Il filosofo Massimo Cacciari attribuisce al fondatore dei gesuiti, Sant’Ignazio «questa vittoria al Sinodo»
Riammissione ai sacramenti caso per caso. Cosa significa?
«Un nobile compromesso della Compagnia di Gesù. Il Sinodo ha seguito le orme di Sant’Ignazio. Non è mettersi d’accordo fingendo di ignorare le differenze. È il riconoscimento della complessità civile ed etica del contesto mondano, con la necessità di accompagnarlo nelle valutazioni. Non è cedere a principi e comportamenti mondani. È riconoscere la realtà per cambiarla»
Una strategia «politica»?
«Sì. Francesco non si confonde con l’etica mondana, ma si colloca all’interno per influenzarla. È la linea dei gesuiti in Sud America, Cina, India: sempre avversata da reazionari e radicali come Giansenio e Pascal, per i quali il Vangelo è una spada: o sì o no. In Curia ci sono ostilità di cui si fa portavoce anche Giuliano Ferrara, contro la presa d’atto delle trasformazioni etiche e comportamentali. Accusano il Papa di cedimento, di resa al mondo moderno. Non è così»
Non condivide queste critiche?
«No. La Chiesa è più complessa della riforma del Senato o della minoranza Pd. Francesco applica la comprensione ignaziana della contemporaneità . Non è tatticismo politico come pensano i suoi nemici interni: viene dalla grande mistica umanistica. Sant’Ignazio aveva come riferimento Erasmo da Rotterdam e venerava San Francesco. Bergoglio non ha scelto il nome del santo di Assisi per arruffianarsi il moderno ecologismo. Sa sciogliere lentamente i nodi, ha una prospettiva di secoli. La Chiesa termina con la fine dei tempi. Lo scontro emerso al Sinodo è vero, reale, profondo. Non finirà col Sinodo, non si può prevedere come andrà a finire. La pazienza è virtù raccomandata dai Padri della Chiesa, insieme a un’obbedienza non passiva e servile, ma consapevole che la Chiesa ha tutto il tempo per formare i fedeli all’ascolto. Si giudica Francesco solo da questa prospettiva».
Cosa minaccia il pontificato?
«L’eterogenesi dei fini è un pericolo sempre presente nella storia della Chiesa. Bergoglio deve affrontare due tipi di ostilità alla sua azione. Un’opposizione reazionaria trova espressione in una fronda minoritaria destinata all’irrilevanza: sono pezzi di vecchio apparato che provano a boicottare Bergoglio per spirito di conservazione e che sono arroccati in trincee devastate. C’è poi una resistenza più intelligente che ho riscontrato in dialoghi con alcuni vescovi. Mi dicono che di fatto la comunione ai divorziati risposati la danno già e che è una prassi diffusa. Però temono di metterla nero su bianco come se sancire la riammissione ai sacramenti faccia venir meno la sacralità del matrimonio. Un salto che, per loro, depotenzia un principio se non viene collocato in un adeguato contesto teologico»
La dottrina è solo un pretesto?
«Negare l’Eucarestia ai divorziati risposati non ha un fondamento dogmatico. Si basa sulla tradizione. Chi non è d’accordo con le aperture di Francesco denota un eccesso di timore e di prudenza. Ma avere paura è un errore.
Al Sinodo si è riproposto un secolare dissidio nella Chiesa.
Francesco è coerentemente un gesuita, nella sua accezione più nobile. Alla fine è riuscito a trascinare con sè la maggioranza dei padri sinodali.Ora il Papa è più forte, ma l’esito della partita rimane imprevedibile. Deve diffidare dell’appoggio laicista di quanti vogliono appropriarsi del Papa per ecologismo o altre battaglie che nulla hanno a che vedere con la profondità del suo messaggio di fede. Gli atei di sinistra rischiano di provocare al pontificato di Bergoglio gli stessi danni che gli atei devoti e i tecon hanno causato a quello di Ratzinger».
Giacomo Galeazzi
(da “La Stampa”)
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Ottobre 25th, 2015 Riccardo Fucile
POI SI DIFENDE COME SCAJOLA: “A NOSTRA INSAPUTA”
“D’accordo tutto, ma proprio alla Coop dovete vendere il calendario di Benito Mussolini?”
E’ quello che ieri hanno pensato vari clienti dei supermercati Coop di Reggio Emilia e provincia, che negli espositori, assieme a calendari 2016 di ogni tipo, ne hanno trovato uno dedicato al Duce.
Si legge sulla Gazzetta di Reggio
Ad imbattersi nel calendario del Duce — con tanto di primo piano in copertina, assieme ad una sua frase e all’annuncio “quello che fece, quello che disse” —è stato un cliente della Coop di Sant’Ilario, Milo Rozzi, il quale evidentemente non ha trovato molta coerenza tra il dittatore di Predappio e la Coop.
Lo stesso cliente, oltre a fotografare il calendario esposto tra gli altri, poco dopo informa la Gazzetta («In barba a tutti i principi fondatori della Coop! Come socio, sono disgustato!») e contatta l’azienda.
La risposta non tarda ad arrivare: «La ringraziamo per la sua segnalazione — scrive il Servizio Filo Diretto della Coop Consumatori Nordest — I corner edicola sono gestiti direttamente da fornitori esterni e l’organizzazione del punto vendita non ha notato l’esposizione del calendario. Abbiamo chiesto al fornitore di togliere il calendario dalla vendita partendo dal principio che la storia del ventennio fascista ha impedito alle cooperative di operare, mettendole fuori legge. Pertanto concordiamo con l’inopportunità dell’esposizione dell’immagine di Benito Mussolini nei nostri punti vendita».
Già nel pomeriggio, alla Coop di Sant’Ilario non c’era più traccia del Duce. Tutto risolto.
Nel corso del pomeriggio Rozzi ed altri clienti avvistano l’uomo di Predappio in altri supermercati Coop, anche a Reggio Emilia, mescolato ai calendari dedicati a Milan e Inter, Vasco Rossi e Tiziano Ferro, Papa Francesco e Medjugorje, Ferrari e “Vita da cani”, famiglia e pastore tedesco.
E segnalano il calendario “ardito” alla Coop Nordest.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 25th, 2015 Riccardo Fucile
L’ARCHEOLOGO E STORICO DELL’ARTE: “OGNI INTERVENTO VERRA’ IMPUGNATO AL TAR IN ASSENZA DI UNA LEGGE QUADRO”
“Illegale, semplicemente. Deve intervenire Matteo Renzi: deve appellarsi alla Corte Costituzionale contro questa delibera, prima che in luogo bellissimo e fragile come la Liguria accada qualcosa di irreparabile”.
Lancia un appello forte al premier, Salvatore Settis, e liquida il nuovo Piano casa della Regione Liguria, varato dalla giunta di Giovanni Toti.
“Una giunta che fa il male sapendo benissimo di fare il male del territorio”, attacca. Archeologo e storico dell’arte, ex direttore della Scuola normale superiore di Pisa, ex presidente del Consiglio superiore dei beni culturali (diede le dimissioni nel 2009 in polemica con l’allora ministro Sandro Bondi), presidente del Comitato scientifico del Musèe du Louvre, Settis fa, anche con i suoi libri, la sentinella ai beni culturali ed ambientali del nostro Paese.
Professor Settis, la Regione Liguria ha varato un nuovo Piano casa permanente: si può tornare a costruire, ampliando gli edifici, nei Parchi
“Prima di scendere nel merito dei contenuti, basta fermarsi al contenitore. Questa ondata di Piani casa, promulgati dalle regioni, è illegale, perchè non esiste la legge quadro, nazionale, di riferimento. Sono rami senza un albero normativo: cadono, non hanno fondamento. È così anche per il Piano casa della Liguria”.
Perchè manca la legge nazionale?
“Silvio Berlusconi, da premier, annunciò un Piano casa nazionale, con linee generali, da cui avrebbero dovuto discendere i Piani casa regionali. Ma qualche giorno dopo quell’annuncio, purtroppo, avvenne il terremoto dell’Aquila. E siccome nelle linee guida di quel Piano nazionale c’era la quasi abolizione di ogni norma antisismica, alla fine la legge non venne mai emanata. Ecco perchè qualsiasi Piano casa è illegale e Matteo Renzi deve e può impugnarlo alla Corte costituzionale”.
Passiamo ai contenuti: le paiono esagerate le polemiche intorno al testo della delibera?
“Il destino di questo Piano è essere abolito, perchè è palesemente illegale. Mi pare un tentativo di così estrema e selvaggia liberalizzazione del cemento portato avanti dal presidente Toti che sfocia nella pura irragionevolezza. Non dispero però. Spero che il governo Renzi, se è di centrosinistra come dice, vada alla Corte Costituzionale. E se non vi ricorre il premier, confido nell’ufficio legislativo del ministero dei Beni culturali”.
E se nessuno si muovesse? Cosa rischia la Liguria?
“Al primo atto amministrativo che venisse compiuto secondo le norme di questo Piano Casa, al primo intervento edilizio, al primo muretto edificato, qualsiasi associazione potrebbe fare ricorso al Tar. Però ci vorrà tempo. E finchè il Tar non si sarà pronunciato, allora potranno essere commesse le piraterie più spaventose. Non appena il Piano casa, se non bloccato prima, entrerà in vigore, vedrete, si scateneranno tutti a costruire, a martoriare la stupenda Liguria. Bisogna essere vigili e consapevoli: se non viene fermato prima, è certo, succederà proprio così”.
Il dissesto idrogeologico ha già presentato il conto ai liguri: il presidente Toti dice che il Piano servirà per ristrutturare e riqualificare, non per costruire.
“Fare un Piano casa del genere in una regione martoriata come la Liguria, con un eccesso di costruito e con un dissesto idrogeologico che la rende fragilissima, e che ha già prodotto purtroppo una sequenza di eventi luttuosi, la ritengo un’azione semplicemente irresponsabile”.
Professore, pensa che davvero questa legge potrebbe però rimettere in moto l’economia, come dice Toti, rilanciando il settore edilizio?
“È semplicemente una falsità . Proprio recentemente ho partecipato a un convegno organizzato dall’Associazione nazionale costruttori, invitato da loro. E, a sorpresa di tutti, il loro presidente ed io ci siamo trovati d’accordo. Ormai la linea dell’associazione è netta: la manodopera vittima della crisi si recupera efficacemente solo reimpiegandola nelle opere di ripristino del territorio, nel recupero degli edifici abbandonati e malsani, c’è un modo di utilizzare la manodopera edilizia senza devastare il territorio, ma bisogna scegliere questa strada. E la Liguria dovrebbe essere la regione guida, in Italia. Se una regione civile come la Liguria e una città colta come Genova cadono in questa trappola, come faremo a difendere altri territori meno civili? Questo Piano, che arriva dalla giunta Toti, è un messaggio barbarico”.
Michela Bompani
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 25th, 2015 Riccardo Fucile
FDI AL PRIMO TURNO CON RAMPELLI CANDIDATO DI BANDIERA E ALLEATI DELLA LEGA, POI APPOGGIO A MARCHINI… MARCHINI NON VUOLE IN LISTA CONSIGLIERI CHE ABBIANO AVUTO RUOLI NELLA GIUNTA ALEMANNO E CHE VERRANNO OSPITATI IN FDI
Si affilano le armi nel centrodestra capitolino. Nonostante manchi un leader unitario. Nonostante la crisi dei partiti, Forza Italia in primis, renda difficile anche il dialogo interno. Nonostante la lotta fraticida che da sempre contraddistingue i moderati-conservatori della Capitale.
La cornice entro la quale affrontare la campagna elettorale tuttavia è quasi pronta. Salvo sorprese dell’ultima ora il leader della Civica, Alfio Marchini sarà con ogni probabilità il candidato di punta del centrodestra.
Una lista civica composta dalle costole dell’ex Pdl, la corrente di Raffaele Fitto che ha fatto il suo ingresso in Campidoglio con i consiglieri Ignazio Cozzoli e Francesca Barbato e, probabilmente, dal senatore Andrea Augello e dall’ex coordinatore regionale Vincenzo Piso, che hanno dato l’addio al Nuovo centrodestra di Angelino Alfano.
Forza Italia, invece, nell’attesa che Silvio Berlusconi cali qualche asso nella manica, si presenterà a sostegno di Marchini con un nuovo simbolo.
Ma il nodo, al momento più complesso da sciogliere, sarebbe quello del “diktat” di Marchini di non volere in lista i consiglieri uscenti che abbiano avuto ruoli nell’amministrazione targata Alemanno.
Una ghigliottina praticamente per diversi eletti. A partire dall’ex vicesindaco Sveva Belviso, oggi a capo dell’Altra Destra, augelliana doc. Stessa musica tuttavia potrebbe essere suonata anche per l’attuale capogruppo degli azzurri e il suo vice, Davide Bordoni e Dario Rossin.
Di fatto, assecondare il divieto, significherebbe azzerare completamente il partito di Berlusconi a Roma.
A quel punto infatti il «cambio casacca» degli uscenti, che vogliono ricandidarsi, andrebbe ad ingrossare le fila di Fratelli d’Italia.
Il partito di Giorgia Meloni perderebbe il treno della candidatura a sindaco, correndo tuttavia in solitaria al primo turno con una candidatura «di servizio», ad esempio di Fabio Rampelli. Una partita da giocare al fianco di Noi con Salvini. Una «conta» insomma da mettere poi sul tavolo nazionale e giocarsi la fiche più alta.
Una roulette russa, per la destra capitolina. Al momento, la candidatura della Meloni resta una meteora in un cielo, ancora sognante, che guarda troppo e solo ancora a destra.
(da “il Tempo”)
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Ottobre 25th, 2015 Riccardo Fucile
LA REAZIONE DELL’EX SINDACO AL TENTATIVO DI FRATELLI D’ITALIA “DI RIFARSI UNA VERGINITA'”… PER LA FICTION: “C’ERAVAMO TANTO AMATI”
“Voglio ricordare a Giorgia Meloni che fino all’ultimo giorno della mia amministrazione ne ha fatto parte con numerosi esponenti di Fratelli d’Italia: un assessore con deleghe molto importanti, il presidente di Ama, l’amministratore delegato di Risorse per Roma e, fino a qualche tempo prima, anche il presidente di Atac insieme a tanti altri.”: Alemanno non ci sta al maldestro tentativo della ledaer di Fratelli d’Italia a volersi accreditare come “il nuovo” a Roma, smarcandosi anche dal proprio passato e dalle relative responsabilità politiche.
Ricorda l’ex sindaco: “Aggiungo che nell’elezione del 2013 la lista di Fdi col mio nome cubitale scritto nel simbolo era schierata nella mia coalizione ottenendo peraltro un buon risultato. Quindi, se ho amministrato male, lei e il suo gruppo dirigente se ne sono accorti solo il giorno dopo oppure hanno preferito continuare a occupare poltrone importanti fino all’ultimo momento. Dal punto di vista politico è sbagliato e ingiustificabile, e mi rivolgo anche a tutti gli altri che insieme a me hanno governato Roma, esibire verginità sparando contro tutta la nostra esperienza amministrativa di cui si è stata parte integrante.
Alemanno conclude: “Solo ricostruendo la verità sul passato con il giusto equilibrio si possono costruire nel futuro nuove esperienze di governo credibili agli occhi dei romani”.
Per la serie “C’eravamo tanto amati”.
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