Ottobre 19th, 2015 Riccardo Fucile
IL LEGALE CONTRATTACCA: “NON HA MAI CHIESTO LA CARTA DI CREDITO, NE’ L’AUMENTO DEL PLAFOND”
“Le firme sui giustificativi delle spese sono false e alcune sono state fatte mentre ero all’estero”.
Il sindaco dimissionario di Roma Ignazio Marino è stato sentito dalla Procura come persona informata sui fatti in merito al fascicolo sui pagamenti “sospetti” che ha sostenuto con la carta di credito del Comune.
Il medico si è presentato spontaneamente dai pm per dare la sua versione a proposito degli scontrini e delle spese di rappresentanza fatte con la carta di credito del Campidoglio: quattro ore di colloquio durante le quali ha negato le accuse e consegnato documenti al procuratore aggiunto Francesco Caporale e al pm Roberto Felici.
L’indagine è stata aperta dopo gli esposti presentati da Fratelli d’Italia e Movimento 5 Stelle. “Il sindaco non ha mai richiesto la carta di credito, che gli è stata invece attribuita dagli uffici”, ha detto l’avvocato Enzo Musco.
Il sindaco, dopo lo scandalo sui rimborsi, ha presentato ufficialmente le dimissioni il 12 ottobre scorso e resterà in carica fino al 2 novembre.
“Quanto ai giustificativi dei cosiddetti scontrini — si legge in una nota — il sindaco Marino ha dichiarato che tutte le sottoscrizioni a suo nome in calce non sono autentiche, come può facilmente rivelarsi ad occhio nudo”.
Il primo cittadino ha poi ribadito “di non avere mai fatto uso di denaro pubblico se non per i fini istituzionali consentiti ed anzi di avere donato al Comune di Roma, per tutto l’anno 2014, il 10 per cento della propria indennità di sindaco” e ha poi rivendicato “il merito di essere riuscito a ottenere donazioni private per oltre 10 milioni di euro e di avere intrapreso opere importantissime per l’immagine della città come, a titolo esemplificativo, la riedificazione delle colonne del Foro di Traiano“.
Il penalista, che ha ribadito il fatto che Marino non è indagato, ha aggiunto che “nella quasi totalità dei casi i giustificativi alle spese ricollegano la causale della cena alla tipologia dell’ultimo appuntamento della giornata programmato nell’agenda del sindaco”.
Ciò “è certamente dipeso dal fatto — ha proseguito — conosciuto solo adesso, che la ricostruzione delle causali delle cene è avvenuta a distanza di molto tempo da parte degli uffici del Comune i quali, non ricordando la vera finalità istituzionale della cena ne hanno evidentemente indicato una compatibile con un ultimo appuntamento in agenda”.
Musco ha aggiunto che l’agenda “non è quella cartacea ma in formato elettronico” ed “era a disposizione e consultabile da moltissimi uffici del Comune per un totale di circa 50 o 60 persone”.
Riferendo ancora sui giustificativi il penalista ha precisato che “recano quale data dell’apparente sottoscrizione del sindaco lo stesso giorno dell’evento il che è chiaramente impossibile perchè implicherebbe che il sindaco, terminata la cena, sia rientrato in Campidoglio a sottoscrivere il giustificativo”.
La lente dei magistrati è puntata soprattutto sulle cene che Marino — smentito da alcuni ristoratori — ha indicato come “istituzionali”.
In tutto sono sette gli scontrini che il primo cittadino deve giustificare.
Tra 24 ore Marino si presenterà in tribunale per l’inizio del primo processo a Mafia Capitale. In mattinata è fissata l’udienza del procedimento con rito abbreviato in cui sono imputati, tra gli altri, Giovanni Fiscon, ex direttore generale di Ama, l’azienda dei rifiuti.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 19th, 2015 Riccardo Fucile
L’ATTACCO DEL MINISTRO CONTRO DENIS NON E’ PIACIUTA AL PREMIER: “QUALE PD COSTRUIAMO?”
Proprio alla vigilia della presentazione della legge di stabilità , in quel budello di numeri risicati per la maggioranza che è il Senato, c’è una falla nella barca renziana.
E a Matteo Renzi non piace per niente.
I suoi lo raccontano infastidito dalle osservazioni a dir poco critiche del ministro Graziano Delrio sugli ‘avvicinamenti’ di Denis Verdini alla maggioranza di governo. E’ la rottura formale con un’area, quella di Delrio, che mai si è fusa veramente con il giglio magico del premier, Luca Lotti e Maria Elena Boschi, per citare dei nomi.
Quali conseguenze avrà sul Pd e sulla maggioranza di governo, è presto per dirlo.
Di certo, per ora, la mossa di Delrio ha degli effetti sulla minoranza Dem, che guarda speranzosa al ministro in vista della prossima battaglia parlamentare sulla legge di stabilità .
I bersaniani insomma non si sentono più soli e pensano di avere in mano — forse — una possibilità di uscire dall’angoletto dei ‘gufi’ in cui Renzi finora è riuscito a relegarli, visto che oltre a Delrio, anche il Guardasigilli Andrea Orlando critica la distanza pericolosa che separa il Pd da Denis Verdini.
Ma al di là degli effetti sulla minoranza Dem, il gesto di Delrio per ora viene vissuto con fastidio da Renzi. Che su Verdini al momento non ha come controbattere, in quanto ancora non sa se i suoi voti saranno indispensabili al Senato per mandare avanti la legge di stabilità , visti i mal di pancia nel Pd e le spaccature dentro Ncd.
E’ per questo che, come prima contromossa, dalla cerchia del premier parte subito un’artiglieria pesante contro Delrio.
In Senato raccontano di quando, prima dell’estate, la minoranza Pd andava vagheggiando di Delrio come premier alternativo a Renzi, in caso di crisi di governo sulle riforme costituzionali.
E ancora più pesanti: lasciano girare le voci secondo cui Delrio si sarebbe addirittura proposto a Sergio Mattarella quale capo del governo al posto di Renzi in caso di crisi. Cosa che Mattarella avrebbe riferito a Renzi. Veleni. Che lo staff di Delrio naturalmente respinge al mittente come autentiche malignità .
Ma il veleno segnala che la falla c’è. E che le riunioni dell’area di Delrio nel febbraio scorso, pur stroncate da Renzi, hanno ancora dei loro ‘perchè’.
Sostanzialmente, il ministro — stasera ospite di Lilli Gruber a ‘Otto e mezzo’ — sta provando a portare avanti un ragionamento che incrocia gli interrogativi della base di riferimento del Pd, spiegano dalla sua cerchia.
E cioè, va bene che Verdini e i suoi senatori del gruppo ‘A-La’ abbiano votato le riforme costituzionali. Del resto, in questo caso, è il resto di Forza Italia che ha cambiato idea.
Fin qui dunque le spiegazioni di Renzi reggono.
Ma se Verdini diventa appoggio esterno più o meno stabile al governo o peggio se entra in maggioranza, mission e identità del Pd renziano risultano traditi: e allora non ci siamo.
Spiega il delriano Matteo Richetti in un’intervista a Repubblica: “Bisogna distinguere la necessità di una legislatura che nasce senza vincitori e il profilo del Partito Democratico che Renzi vuole mettere in campo. Con gli alleati di governo, compreso Ncd, stiamo rispondendo all’esigenza delle riforme. Come progetto democratico però dobbiamo essere totalmente autentici al berlusconismo. L’ossessione per la legalità , la rottura di ogni furbizia sono incompatibili con la presenza di Verdini e di altri nello stesso soggetto politico…”.
Sulla soglia dei pagamenti in contanti a 3mila euro, inserita nella legge di stabilità , anche Delrio ha espresso delle perplessità in consiglio dei ministri.
Insieme al Guardasigilli Andrea Orlando e al ministro per i Beni culturali Dario Franceschini.
Sulla questione Verdini, il ministro delle Infrastrutture, ancora insieme a Orlando, lancia di fatto un campanello d’allarme, rivolto alle prossime amministrative.
Della serie: a quell’appuntamento, il Pd non può presentarsi con il fardello di Verdini sulle spalle. Tanto più che la sfida sarà con il Movimento 5 stelle.
Ma a Palazzo Chigi il tutto viene percepito come una pugnalata.
Non alle spalle, nel senso che non arriva del tutto a sorpresa, ma una pugnalata.
Del resto, da quando Renzi è al governo, quella di Delrio è la prima critica diretta sull’operato del premier che arrivi dalla stessa cerchia renziana, sebbene intesa come più larga del giglio magico.
Arriva dal ministero delle Infrastrutture e non da Palazzo Chigi, dove Delrio aveva il suo ufficio da sottosegretario fino allo scorso aprile. Fino a quando cioè Renzi decise di trasferirlo al dicastero vacante dopo le dimissioni di Maurizio Lupi, in quella che fu raccontata come una separazione consensuale dei due.
Finora Delrio si era occupato solo del compito assegnato: Infrastrutture.
Con l’affondo su Verdini entra in territorio politico. Ma chissà che sotto non ci siano anche diversità di vedute su grandi opere come il Ponte sullo Stretto di Messina. Delrio è convinto che il progetto “non sia una priorità ”, manca ancora “l’alta velocità in Calabria…”, ha detto la scorsa settimana a Ballarò.
Renzi invece sul tema non si è mai pronunciato pubblicamente e stando ai rumors non lo escluderebbe a priori.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 19th, 2015 Riccardo Fucile
E VERDINI FISSA IL PREZZO DEL SI’
Se fosse solo un fatto di sentimenti, Denis Verdini non avrebbe dubbi ad annunciare, sin da ora, il suo sostegno alla manovra di Renzi.
Perchè, come ha confidato a più di un interlocutore, “Matteo ha fatto una finanziaria con le nostre proposte: l’Imu, il contante…”.
E più in generale, l’ex plenipotenziario dei Berlusconi usa in privato le stesse parole che Fabrizio Cicchitto affida una un’intervista all’HuffPost: “Matteo sta riuscendo in quello che Berlusconi non è riuscito a fare: uccidere i comunisti”.
E non è un caso che proprio Cicchitto e Verdini abbiano ricominciato a sentirsi come quando gestivano assieme Forza Italia e il Pdl, perchè considerano inevitabile l’approdo finale: una lista di Moderati per Renzi, nella quale confluiscano i vari atomi centristi, alleata del premier ora e in futuro.
Però ciò che per Ncd è scontato, ovvero il voto sulla manovra, per Verdini va costruito politicamente.
Per questo martedì sera Denis riunirà la sua cerchia ristretta, proprio per discutere di manovra. E dalla riunione uscirà l’annuncio di una visita imminente della delegazione di Ala a palazzo Chigi.
Il Corriere ha anticipato quale è il “prezzo politico” del sostegno del gruppo di Verdini che potrebbe esprimersi nel voto favorevole al testo senza quello di fiducia. Un prezzo che si paga con quattro monete: il condono caro ai campani del gruppo, la fiscalità di vantaggio per il Sud, il Ponte sullo stretto caro ai siciliani e più risorse sulla sanità .
È comunque l’atteggiamento di chi già si sente in maggioranza e tiene una posizione negoziale in attesa del testo.
Testo che martedì arriverà al Quirinale, come ha annunciato Renzi nel corso della sua colazione al Colle con Sergio Mattarella.
Un primo check della manovra è stato già fatto. Il capo dello Stato è molto attento alle coperture e, dopo l’incontro col ministro Padoan e il ragioniere generale dello Stato, nella colazione odierna ha verificato che c’erano risposte agli interrogativi sollevati.
Certo al Colle non si è parlato di scelte politiche nè del prezzo del sostegno di un gruppo — Ala, appunto – che cresce ogni giorno.
E che dopo l’ingresso dell’ex forzista Iurlaro, avrà — parola di Verdini — altri ingressi a breve: “Uno a settimana” ha confidato l’ex plenipotenziario del premier.
Il prossimo, secondo le sue aspettative, sarà Sante Zuffada, vicino a Mario Mantovani e disgustato dalla gestione del partito lombardo di Gelmini e Romani e dall’atteggiamento avuto dopo l’arresto dell’ex vicepresidente della Lombardia.
Da quando Quagliariello ha prodotto la frana di Ncd al Senato, il telefono di Verdini scarica una batteria dopo l’altra: “Entro fine anno Denis raggiungerà quota 27 e sarà la seconda gamba della maggioranza” assicura chi ha parlato con lui.
È una manovra (politica) spericolata quella sulla manovra (economica).
E se è prematuro parlare di voto favorevole prima di avere rassicurazioni e condoni, è certo che la disponibilità , come sulle riforme, già consente a Renzi di avere due forni al Senato.
Nonchè un margine di sicurezza numerico dopo la frana di Ncd.
Perchè al centro tutto è in movimento. E proprio la manovra sarà il primo test dello schema dei “Moderati” per Renzi, schema che il premier non ha mai smentito o rifiutato neanche attraverso i suoi, rimanendo fedele alla vecchia massima che i voti che arrivano, come il denaro, non puzzano.
Da dovunque arrivino.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 19th, 2015 Riccardo Fucile
“HA UCCISO I COMUNISTI”
A un certo punto Fabrizio Cicchitto accenna il sorriso di chi la sa lunga: “La via d’uscita sulle unioni civili? Mi sembra che possa essere duplice: nel dibattito in Aula va sviluppato quel lavoro di confronto con l’elaborazione di emendamenti che non è stato fatto in commissione e poi si affermi il voto segreto e la libertà di coscienza, conoscendo la trasversalità delle posizioni sul merito”.
Montecitorio, secondo piano.
Fabrizio Cicchitto, ex capogruppo del Pdl nel fuoco della guerra frontale con le procure, ora Ncd, è presidente della commissione Esteri della Camera.
La sua stanza è murata di libri. Due scatoloni strabordano con le sue due ultime pubblicazioni.
La prima è L’uso politico della giustizia (contro le procure che hanno disarcionato Berlusconi), l’altra è La linea rossa (contro l’anomalia dei comunisti italiani): “Mi chiede di Renzi? È riuscito dove Craxi e Berlusconi non riuscirono: ha ucciso i comunisti. Per questo va costruito un nuovo centro alleato con lui”.
Partiamo dalle unioni civili.
Sì, e pure con calma. Perchè c’è chi vuol fare di questo tema una sorta di guerra di religione tra una religione ultra-laicista e una religione ultra-cattolica. Mentre invece la questione va affrontata in termini a-ideologici, partendo dal fatto che la nostra società è totalmente cambiata e che quindi accanto ai rapporti e alle unioni etero si è affermata anche una dimensione omosessuale. Ciò premesso in termini assolutamente laici reputo che le due cose vadano nettamente distinte: matrimonio e unione civili, anche per una ragione di fondo. Io francamente reputo assolutamente preferenziale per un bambino e una bambina crescere avendo un padre e una madre, di due sessi diversi: affermazione contestabile ma è il mio pensiero.
E questo è un dato di fatto
Lei ha fretta, le ho detto calma. Alla luce di questa valutazione generale, reputo che in commissione al Senato si sono scontrati due opposti estremismi. Quello della Cirinnà che è venuta meno al ruolo tipico di mediazione della relatrice — diversamente dalla Finocchiaro sulla legge costituzionale — e quello di alcuni amici dell’Ncd che hanno fatto un ostruzionismo portato all’eccesso impedendo anche una discussione sul merito e quindi la discesa in campo di quegli esponenti del Pd che in modo esplicito dicono che non sono d’accordo con la proposta di legge della Cirinnà .
Va bene, e questo è la situazione confusa che si è determinata. Faccia una proposta
Io credo che io mio partito la debba porre così: questo tema non sta negli accordi di governo. E però anche qui va evitato l’opposto estremismo di chi dal Pd dice “faremo maggioranze variabili” e di chi dall’Ncd dice “faremo cadere il governo”. La via d’uscita può essere duplice: nel dibattito in Aula va sviluppato quel lavoro di confronto con l’elaborazione di emendamenti che non è stato fatto in commissione e poi si affermi il voto segreto e la libertà di coscienza, conoscendo la trasversalità delle posizioni sul merito.
Vediamo se ho capito bene: la Boschi dice libertà di coscienza. Lei dice sì, ma anche voto segreto.
Ha capito bene, dopo una discussione in Aula diversa da quella che c’è stata in commissione.
Presidente Cicchitto, fin qui le unioni civili. Ma allarghiamo il discorso. Anche su questa storia dice il suo partito sta esplodendo. Quagliariello se ne è andato, accusandovi di essere una stampella di Renzi. Siamo al dunque…
Mi sembra che il momento scelto da qualche amico di chiedere a l’uscita dal governo del nuovo centro destra sia il piu’ sbagliato di tutti. Sulle unioni civili la partita è aperta e rinviata alle idi di gennaio. E ancora di piu’ sulla legge di stabilità si è aperto un confronto nel Pd rispetto al quale non è che l’Ncd può rompere paradossalmente con un governo che fa delle cose contestate da sinistra.
Anche lei pensa che è una legge di stabilità che avrebbe potuto scrivere Berlusconi?
Beh, io non voglio dire che la legge di stabilità è fatta con lo stampino del Berlusconi del ’94, ma insomma… Ha per obiettivo la crescita e realisticamente chi l’ha fatta sa che per rimetterla in modo bisogna rimettere in moto i consumi – anche aumentando la circolazione del contante – e le imprese. La critica giusta è quella di aver tagliato in modo limitato la spesa pubblica, ma si immagini che sarebbe successo se l’avesse tagliata di piu’. Credo dunque che l’ira di Berlusconi sia solo apparentemente contro Renzi, ma in effetti è contro se stesso.
Perchè? Si spieghi meglio
Perchè questo governo sta facendo una serie di cose che a lui non sono riuscite. Gliele elenco: la responsabilità civile dei giudici, il jobs act con l’abolizione dell’articolo 18, la detrazione dell’Irap, lo stesso divorzio breve che è un modo per sburocratizzare la vicenda giudiziaria dei coniugi. E poi l’aumento del contante e l’abolizione della tassa sulla prima casa. Per non parlare delle riforme costituzionali e della legge elettorale. E la prego di non eccitare il mio sadismo facendomi citare le frasi entusiaste con le quali Berlusconi e Romani esaltarono la legge elettorale e la legge costituzionale, ma su questo basta leggere il bell’articolo di Mattia Feltri sulla Stampa di qualche giorno fa.
Ma Mediaset, invece, è ancora al governo?
Intelligentemente per Mediaset il patto del Nazareno non è mai finito.
Ricambiata da una riforma della Rai che non apre il mercato ed è innocua per il biscione
E questo lo ha detto lei…
Presidente, premesso che non amo paragoni perchè spesso la storia si presenta spesso prima come tragedia poi come farsa, lei sta dicendo che Renzi sta realizzando ciò per cui Berlusconi è sceso in campo?
Attenzione, nella vita politica italiana dal ’94 a oggi sono esplose due novità . Una è stata quella di Berlusconi. Il quale dopo la rivoluzione giudiziaria di Mani pulite coprì un vuoto politico sul centro distrutto a cannonate dall’uso politico della giustizia. Per vent’anni Berlusconi ha vinto e perso contro una invincibile armata. Alla fine secondo me va concludendo male il suo ciclo politico ripetendo oggi male ciò che nel ’94 diceva bene e asserragliandosi in una posizione di conservazione di sè stesso. Quando un partito perde 9 milioni di voti e due terzi del suo gruppo dirigente chi lo guida dovrebbe fare una riflessione autocritica, che invece non vedo.
E la seconda novità ?
È Renzi, che nasce dallo stallo delle elezioni del 2013 e il sistema impallato da un movimento protestatario. Nello stallo sia Bersani che Letta marcarono il passo rischiando di dar via libera ad una ulteriore crescita dei Cinque Stelle e nella coscienza profonda del Pd riemerse la famosa invettiva di Moretti contro “i dirigenti coi quali non vinceremo mai”. Ed è esplosa la novità Renzi.
Vede una similitudine con Berlusconi?
Stanno su due piani diversi avendo entrambi, in contesti diversi, una grande capacità di comunicazione e di iniziativa politica. Per un paradosso della storia Renzi per salvare il Pd dallo stallo e il sistema istituzionale da una contestazione radicale è riuscito in quello che non riuscì nè alla destra nè a Bettino Craxi e neanche a Berlusconi: ha ucciso i comunisti.
A proposito di Craxi. Come se lo spiega il fatto che Renzi, trentenne, rottamatore, che si presenta come il nuovo che avanza, quando viene a Roma da Firenze come presidente della Provincia dorme al Raphael?
Conosco la sua perfidia e so come vorrebbe che le rispondessi, ovvero che nell’inconscio del giovane Renzi albergava il desiderio del potere e quindi ne frequentava i simboli, ma penso, banalmente, che è solo un caso. Il Raphael è un ottimo albergo vicino a palazzo Chigi, alla Camera e al Senato. Renzi è così de-ideologico che ha trascurato il precedente storico.
E per lei, ex socialista e ex berlusconiano, cosa rappresenta?
È stato il posto dove Craxi ha vissuto e il segno del livello di inciviltà in cui si arrivò a quei tempi. Ricorderà quando Occhetto convocò una manifestazione a piazza Navona affinchè il deflusso si concentrasse al Raphael e avvenisse la lapidazione tramite monetine dell’avversario storico.
Dunque, se questa è la sua analisi, il destino anche del suo partito è l’alleanza con Renzi
Finora Renzi ha evitato qualunque sistemazione politico-culturale complessiva della sua posizione, però se andiamo al nocciolo di quello che sta facendo diciamo che finalmente si afferma nel Pd una posizione di stampo blairiano che rappresenta il massimo della rottura rispetto alla Ditta. In una situazione di questo tipo, cosa dovrebbe fare il centro che già oggi collabora con Renzi: abbandonare il campo e seguire e Berlusconi in quell’intreccio di populismo lepenista e di familismo nostalgico che oggi caratterizza questo centrodestra? Io dico: il nuovo centro destra deve entrare nell’ordine di idee che il suo nome è cambiato nella sostanza politica e deve cambiare nella forma.
Sta dicendo che Ncd deve cambiare nome?
Sto dicendo non solo che deve cambiare nome perchè adesso è l’ora di costruire un nuovo centro. Ma anche che esso deve allargarsi a tutte le forze politiche parlamentari che finora frantumate e divise hanno sostenuto Renzi certamente in condizioni di subalternità . Visto che Renzi è una cosa e il Pd è un’altra non credo che esistano le condizioni che queste forze entrino nel Pd, ma invece devono aggregarsi autonomamente, darsi una veste politica e culturale, avere anche una posizione contrattuale, e quando è necessario conflittuale, e anche con Renzi e col Pd ed esprimere anche un salto di qualità imposto dalla situazione.
Traduco: facciamo “I Moderati” per Renzi. Lo sta dicendo al suo partito, a Verdini a quel che resta di Scelta civica.
Sì, in tempi ragionevoli ma rapidi vanno superate tutte le sigle esistenti e va posto in essere un processo di rifondazione politico e culturale tale da unificare un campo che finora qualcuno, compresi alcuni renziani, ha trattato come “un volgo disperso che nome non ha”.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 19th, 2015 Riccardo Fucile
RUBARE AI POVERI PER NON FAR PAGARE LA TASI AI RICCHI
Che razza di Stato è quello che premia al Quirinale l’uomo che più combatte i giochi d’azzardo e subito dopo spalanca la porta a 22.000 nuovi «punti gioco» destinati a rovinare altre centinaia di migliaia di italiani
«Basta, basta, basta! Non ne possiamo più di queste ipocrisie!», tuona don Luigi Ciotti. Ha ragione.
Le date dicono tutto.
Il 10 ottobre l’ Ansa annuncia che Sergio Mattarella ha deciso di nominare il sociologo Maurizio Fiasco Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
È un riconoscimento bellissimo: «Per la sua attività di studio e ricerca su fenomeni quali il gioco d’azzardo e l’usura, di grave impatto sulla dimensione individuale e sociale».
Rileggiamo: «Grave impatto sulla dimensione individuale e sociale».
Tre giorni dopo (tre giorni!) un disegno di legge dei grillini che propone seccamente di vietare la pubblicità sempre più asfissiante di ogni genere di scommesse possibili e immaginabili, disegno appoggiato da tutte le associazioni nemiche dell’azzardo, è affiancato da un altro progetto, del democratico Franco Mirabelli.
Risultato: l’ennesimo rinvio per impastare i disegni insieme.
«Un gioco sporchissimo che punta solo al rinvio», accusano i grillini. E denunciano: il disegno che ha ingoiato il loro «è stato scritto da Italo Volpe, dirigente dei Monopoli che si occupano di giochi».
Ma quando mai, salta su Mirabelli, «l’unico motivo che ci ha guidato è la convinzione che serva urgentemente una regolamentazione del settore per ridurre il gioco e combattere l’illegalità ».
Altri due giorni ed ecco che il governo infila nella legge di Stabilità la messa a bando, per rastrellare soldi, di altri 22 mila «punti azzardo», cioè sale giochi o spazi dedicati nei locali pubblici.
Il comunicato stampa di Palazzo Chigi inserisce la voce tra le «risorse» che dovrebbero reggere i conti della finanziaria.
Sei voci, di cui due in tema: «Imposta sui giochi» e «Giochi (nuove gare)».
Ricavato previsto: 500 milioni più 500 milioni.
Possibile? Ma non fu Matteo Renzi a firmare due anni fa, ancora sindaco ma già segretario del Pd, la proposta di legge di iniziativa popolare dell’Idv contro lo «Stato biscazziere»?
E non fu lui a bacchettare i parlamentari pd che avevano votato un emendamento che puniva i Comuni i quali, frenando il dilagare delle slot machine, avevano rinunciato agli incassi del gioco d’azzardo?
Disse allora, vibrante d’indignazione: «È pazzesco, allucinante. Ho chiamato Guerini che ha già parlato con Speranza e stanno cercando tecnicamente una soluzione: o un ordine del giorno o altro perchè è stata votata una cosa inaccettabile». Testuale.
Diranno, come già dicevano i governi precedenti, che coi soldi del gioco che Cavour definiva «una tassa sugli imbecilli», si possono fare cose buone.
Che più «bische legali» sono sul territorio meno spazio si lascia alle mafie. Che senza lo stato biscazziere «irromperebbero gli inglesi rivendicando la libera concorrenza europea». E via così…
Ma ci credono davvero? Davvero?
Don Ciotti che con Libera denuncia da anni l’andazzo dice di no: «È inaccettabile che di qua si denunci la crescita delle ludopatie e di là si continui a spingere il gioco. È una ipocrisia. E lo sanno».
Il primo a dargli ragione, per paradosso, è il sito del ministero della Salute dove si legge, testuale: «La ludopatia non è solo un fenomeno sociale, ma è una vera e propria malattia, che rende incapaci di resistere all’impulso di giocare d’azzardo o fare scommesse».
Di più: «La ludopatia può portare a rovesci finanziari, alla compromissione dei rapporti e al divorzio, alla perdita del lavoro, allo sviluppo di dipendenza da droghe o da alcol fino al suicidio».
Allora ti chiedi: ma cosa si dicono, tra di loro, Pier Carlo Padoan e Beatrice Lorenzin? Cosa ne pensa, il ministro della Salute, dell’alluvione di punti gioco?
Dobbiamo preoccuparci solo della varicella o anche dei «tossici» delle slot machine o delle scommesse sul calcio che rappresentano ormai 4 miliardi e 250 milioni?
Il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, che da anni batte e ribatte, lo ha scritto senza peli sulla lingua: «La vera forza dei signori di Azzardopoli è di essere mediaticamente invisibili». Troppa poca, l’attenzione dei tiggì, dei giornali, dei settimanali: «Questa misura fuori misura, fulmine violento e inaccettabile in un cielo già tempestoso, è una notizia che non circola».
Neppure dopo l’annuncio di don Virginio Colmegna che ha deciso di fare lo sciopero della fame contro la deriva dell’azzardo.
Quei ventiduemila nuovi «casinò» sparpagliati sul territorio, spiega Fiasco, vanno infatti ad aggiungersi ad almeno 90 mila «corner» (angoli-bisca nei bar e nei più diversi locali pubblici) che ospitano già 380 mila slot machine.
Più circa tremila «sale giochi», che ospitano altre 40 mila macchinette. Ma si tratta di stime: «Non siamo mai riusciti ad avere, nero su bianco, dati ufficiali credibili provincia per provincia».
Certo è che gli italiani, che giocavano 4 miliardi nel 2000, ne hanno giocati l’anno scorso «legalmente» 84,5.
Vale a dire oltre un decimo della spesa complessiva delle famiglie, pari a circa 800 miliardi.
E va già un po’ meglio che nel 2012, quando la crisi spinse i giocatori a puntare quattro miliardi in più.
Poi c’è il nero, in mano a stranieri e mafie. Quanto pesa?
Possiamo immaginarlo leggendo un’ Ansa di fine luglio dedicata all’Operazione «Gambling»: l’inchiesta «ha portato a 41 arresti, ma soprattutto al sequestro in tutta Italia e all’estero di beni per due miliardi di euro: 11 società estere, 45 imprese operanti sul territorio nazionale, 1.500 punti commerciali, 82 siti nazionali e internazionali e innumerevoli immobili». E parliamo di una sola inchiesta.
Sono passati tre anni dall’uscita del dossier di Libera «Azzardopoli». Dove si denunciavano alcuni spot demenziali e il materiale multimediale distribuito dai Monopoli nelle scuole per invitare i giovani, sia pure «moderatamente», a giocare.
E se qualcuno si tirava indietro? «Lo spirito del bacchettone aleggia sulla tua testa!». Due anni più tardi, a Ischia, un ragazzino si uccideva lanciandosi sulla scogliera: «Cara mamma, scusa, ho perso tutti i soldi al gioco».
Adesso, come ha dimostrato Nadia Toffa de «Le iene» entrando in un vero e proprio casinò «under 12», sono passati ai bambini.
Piccoli gambler crescono…
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 19th, 2015 Riccardo Fucile
STAVA PER RIVELARE LE CONFIDENZE DELL’AMICO FRATERNO… OGGI LA DEPOSIZIONE AL PROCESSO DELLA FIGLIA LUCIA CHE HA CONFERMATO L’ESISTENZA DELL’AGENDA ROSSA
Paolo Borsellino è stato ucciso 24 ore prima che andasse a svelare alla Procura di Caltanissetta quel che sapeva sulle “confidenze” del suo amico Giovanni Falcone e quelli che potevano essere i moventi e l’ambito nel quale Falcone era stato assassinato il 23 maggio del 1992 assieme alla moglie Francesca Morvillo ed agli uomini della sua scorta.
E’ quanto emerge dall’ultimo processo in corso per la strage del 19 luglio del ’92 dove furono uccisi Paolo Borsellino ed i cinque uomini della sua scorta e dove oggi ha deposto la figlia del magistrato, Lucia Borsellino, che ha confermato l’esistenza dell'”agenda rossa” del padre che non è stata mai ritrovata.
Lo conferma l’altro figlio Manfredi al processo: “Il giudice Paolo Borsellino, dopo la morte di Giovanni Falcone, attendeva con ansia di essere interrogato dai magistrati della procura nissena, a tal punto che una volta disse pubblicamente: io qui non vi posso dire nulla, ciò che ho da dire lo dirò ai magistrati competenti”.
Cosa Nostra e forse non solo Cosa Nostra, aveva paura di quel che Paolo Borsellino sapeva sulla morte del suo amico Giovanni Falcone e che sarebbe andato a dire il 20 luglio del 1992 ai suoi colleghi di Caltanissetta, titolari del’inchiesta sulla strage, con i quali aveva concordato un appuntamento per la sua testimonianza.
Ma non ne ha avuto il tempo perchè appunto, 24 ore prima, fu assassinato davanti l’abitazione della madre in via D’Amelio dove fu fatta esplodere una Fiat 126 imbottita di tritolo.
Chi sapeva che Paolo Borsellino il giorno dopo sarebbe andato a raccontare la sua verità sulla morte del collega ed amico fraterno Giovanni Falcone?
Una talpa che sapeva che quel 19 luglio Borsellino sarebbe andato a trovare la madre in via d’Amelio e che il giorno dopo sarebbe andato a testimoniare a Caltanissetta?
Interrogativi che si aggiungono agli altri tanti interrogativi e depistaggi che ruotano attorno alla strage in cui fu ucciso Paolo Borsellino che la Procura di Caltanissetta cerca di risolvere ma con molte difficoltà .
E che Borsellino avesse tante cose da dire sulla morte del suo amico Giovanni Falcone, lo aveva preannunciato il 19 giugno del 1992 quando nell’atrio della biblioteca comunale di Palermo partecipò ad un dibattito organizzato da Micromega.
In quell’occasione Paolo Borsellino davanti al numeroso pubblico che affollava la biblioteca comunale aveva detto: “In questo momento, oltre che magistrato, io sono testimone. Sono testimone perchè avendo vissuto a lungo la mia esperienza di lavoro accanto a Giovanni Falcone, avendo raccolto come amico di Giovanni tante sue confidenze, prima di parlare in pubblico, anche delle opinioni e delle convinzioni che io mi sono fatto raccogliendo tali confidenze, questi elementi che io porto dentro di me, debbo per prima cosa assemblarli e riferirli all’autorità giudiziaria (la Procura di Caltanissetta ndr), che è l’unica in grado valutare quando queste cose che io so possono essere utili alla ricostruzione dell’evento che ha posto fine alla vita di Giovanni Falcone, e che soprattutto, nell’immediatezza di questa tragedia ha fatto pensare a me , e non soltanto a me, che era finita una parte della mia e della nostra vita”. “Quindi io questa sera debbo astenermi rigidamente – e mi dispiace, se deluderò qualcuno di voi – dal riferire circostanze che probabilmente molti di voi si aspettano che io riferisca, a cominciare da quelle che in questi giorni sono arrivate sui giornali e che riguardano i cosiddetti diari di Giovanni Falcone. Per prima cosa ne parlerò all’autorità giudiziaria, poi – se è il caso – ne parlerò in pubblico. Posso dire soltanto, e qui mi fermo affrontando l’argomento, e per evitare che si possano anche su questo punto innestare speculazioni fuorvianti, che questi appunti che sono stati pubblicati dalla stampa, sul “Sole 24 Ore” dalla giornalista – in questo momento non mi ricordo come si chiama… – Liliana Milella, li avevo letti in vita di Giovanni Falcone. Sono proprio appunti di Giovanni Falcone, perchè non vorrei che su questo un giorno potessero essere avanzati dei dubbi”.
E che Paolo Borsellino il giorno dopo la sua morte sarebbe andato a testimoniare sull’inchiesta per la strage Falcone lo ha confermato l’allora Procuratore aggiunto di Caltanissetta, Francesco Paolo Giordano, adesso Procuratore di Siracusa che lo ha dichiarato anche una udienza del processo.
“Alcuni giorni prima della strage di via d’Amelio – ricorda Giordano – Paolo Borsellino era stato contattato dal nostro ufficio e dal Procuratore Giovanni Tinebra per essere sentito sull’inchiesta per la strage Falcone. Tinebra aveva parlato con Borsellino e questo risulta anche dai tabulati telefonici ed avevano concordato che sarebbe stato sentito lunedi 20 luglio o nei giorni successivi. Ma, purtroppo, non ce ne fu il tempo perchè il giorno prima, il 19 luglio del 1992, Paolo Borsellino fu ucciso nell’esplosione dell’autobomba insieme agli uomini della sua scorta”.
Francesco Viviano
(da “la Repubblica”)
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Ottobre 19th, 2015 Riccardo Fucile
RENZI INAUGURERA’ L’AIRBUS 340-500 DI ETIHAD CON IL VIAGGIO IN SUDAMERICA
Parcheggiato in un hangar di Abu Dhabi, adesso è atteso a Roma a Fiumicino.
Questione di giorni, forse di ore.
Eccolo il nuovo aereo ammiraglia della Repubblica Italiana, il nuovo “Air Force One” di Matteo Renzi.
Si tratta di un Airbus 340-500 (preso a leasing da Ethiad) con la scritta “Repubblica Italiana” e una bandiera tricolore che corre lungo la coda del velivolo.
Le foto sono state scattate da filippomartinix98 e pubblicate sul forum del sito Aviazionecivile.it.
L’aereo sostituirà l’Airbus 319 attualmente in uso.
Secondo il sito Flyorbitnews una volta arrivato in Italia il nuovo Airbus verrà immatricolato con la registrazione italiana: al momento c’è ancora la matricola degli Emirati, A6-EHA.
Sempre secondo il portale, l’equipaggio a bordo dell’Airbus sarà inizialmente arabo: il personale del 31° stormo sta infatti finendo l’addestramento necessario.
Nel primo volo dell’Airbus Matteo Renzi non sarà sicuramente solo.
Il Fatto ha riportato nei giorni scorsi che, a bordo del nuovo aereo da 50 milioni di euro l’anno, il premier effettuerà il suo viaggio istituzionale in Cile, Perù, Colombia e Cuba accompagnato da decine di giornalisti e imprenditori italiani.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 19th, 2015 Riccardo Fucile
SONO COSTATE ALLO STATO PIU’ DI UN MILIARDO, TRA FALSE ESENZIONI E INUTILI PRESCRIZIONI
Furgoncini utilizzati come ambulanze, centinaia di migliaia di farmaci per l’ipertensione prescritti anche a chi non ne ha bisogno, dipendenti di ospedali e cliniche convenzionate che timbrano il cartellino della presenza e tornano a casa.
E poi strutture costate decine di milioni di euro e mai aperte come il «Centro cuore» della Calabria, appalti truccati, Isee falsificati per ottenere l’esenzione dai ticket.
Se si esamina il dettaglio delle truffe e degli abusi nel settore della sanità pubblica si comprende che molto si può fare per riuscire a risparmiare.
La quantificazione del danno è stata effettuata dalla Guardia di Finanza: un miliardo e 67 milioni di euro tra il 1 gennaio 2014 e il 30 settembre 2015.
A tanto ammonta il «buco» nelle casse dello Stato provocato dagli illeciti compiuti da medici, infermieri, tecnici di laboratori, ma anche da quei cittadini che lucrano sulle prestazioni per ottenere vantaggio.
Non a caso le indicazioni fornite ai comandi delle Fiamme Gialle di tutta Italia invitano ad aumentare i controlli «perchè l’attività a contrasto degli illeciti in materia di spesa pubblica contribuisce all’aumento del livello di compliance della platea di soggetti a cui spettano le misure di agevolazione assistenziale e previdenziale».
Medicine e ambulanze
Secondo le norme «la prescrizione di alcuni farmaci “anti-ipertensivi” di costo elevato e rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale deve essere preceduta da una cura con farmaci contenenti il medesimo principio attivo ma non in “associazione fissa”, il cui costo è inferiore ai primi di circa un terzo».
Le verifiche compiute in Puglia dai finanzieri sulle ricette emesse tra il 2012 e il 2014 hanno portato alla denuncia di «482 medici di Brindisi, Bari, Lecce e Taranto, che hanno indebitamente prescritto farmaci – ben 15.541 confezioni – arrecando un aggravio al bilancio delle Asl di 194 mila euro».
È costata invece oltre un milione e mezzo di euro la truffa contro la Asl di Brescia per la convenzione con alcune società che dovevano occuparsi del trasporto dei pazienti dializzati grazie alla presentazione di richieste di rimborso per oltre due milioni di chilometri mai percorsi e di tariffe ben più alte di quelle massime fissate dalla Regione Lombardia, ma anche facendo risultare un numero di trattamenti molto più alto di quelli effettuati e falsando il numero delle persone trasportate».
A Bergamo il meccanismo scoperto era analogo, con un’aggiunta: «anzichè furgoncini, le società attestavano di utilizzare l’ambulanza e così aumentavano ulteriormente l’entità dei rimborsi».
Badge e ticket
La Finanza di Sulmona ha denunciato i dipendenti della Asl che dopo aver timbrato il cartellino «tornavano a casa oppure andavano a fare compere o la spesa».
Alcuni loro colleghi non perdevano neanche il tempo di andare a strisciare il badge : «Non andavano in ufficio e poi presentavano comunicazione sostitutiva dichiarando di aver perso il cartellino».
Per episodi analoghi dieci dipendenti della Asl di Benevento in servizio in ospedale sono stati sospesi dal servizio per ordine del giudice: avevano infatti creato un sistema di turni in modo che gli «assenti» venivano coperti dagli altri.
Tra le numerose truffe scoperte dagli specialisti delle Fiamme Gialle ci sono quelle compiute grazie alla falsificazione dell’Isee, l’indicatore della situazione economica di ogni cittadino.
Nel maggio scorso a Siracusa sono state segnalate alla magistratura «162 persone che hanno presentato dichiarazioni false e in questo modo hanno ottenuto l’esenzione dal pagamento del ticket».
Non sono gli unici, visto che in tutta Italia sono migliaia gli illeciti scoperti. Emblematico il caso di una signora di Genova, moglie di un ricco imprenditore, che era riuscita a risultare totalmente indigente e così non pagava nemmeno un centesimo per cure e medicine.
Indennità e ricoveri
A Piacenza è stata scoperta una clinica convenzionata che faceva risultare ricoverati pazienti in realtà curati in ambulatorio.
Danno accertato: 1 milione e 200 mila euro. In Piemonte erano state allestite cliniche in un ex albergo di mon-tagna e nell’abitazione del rappresentante di una delle società che aveva ottenuto la convenzione per il trattamento sociosanitario.
Esborso previsto: 3 mila euro a paziente.
A Cosenza centinaia di cittadini «beneficiari della “indennità di accompagnamento” negli anni tra il 2010 e il 2014, erano stati ricoverati presso strutture ospedaliere pubbliche o private per periodi superiori a 30 giorni, con retta a totale carico del Servizio sanitario nazionale, senza effettuare le prescritte comunicazioni all’Inps ed evitando che l’erogazione del beneficio venisse sospesa».
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 19th, 2015 Riccardo Fucile
DALL’AUSTERITA’ DI BERLINGUER ALLE PRIVATIZAZIONI DI PRODI, DAL SINDACATO UNICO DI D’ALEMA ALLA RIFORMA DELLE PENSIONI DI DINI
La polemica della sinistra Pd e della Cgil contro le cosiddette caratteristiche di «destra» della legge di stabilità , presentata da Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan, non accenna a scemare.
E anche se il ministro dell’Economia, in passato stretto consigliere di Massimo D’Alema, si sta dando molto da fare, per spiegare il senso delle misure, andando anche un po’ al di là dei tweet del presidente del Consiglio, la sensazione è che l’ala bersaniana si prepari a contestare in Parlamento la manovra con un’intensità simile, se non superiore, a quella appena usata per la riforma del Senato.
Ma a parte le difficoltà , specie di questi tempi, di definire chiaramente gli orientamenti delle politiche economiche (ci sono economisti di sinistra che non hanno nulla da invidiare ai «Chicago boys», e viceversa), l’aspetto sorprendente di queste critiche è che vengono da una parte del partito che ha sempre volontariamente accettato, sottoscritto, e talvolta sollecitato, provvedimenti impopolari quanto indispensabili, che hanno fatto sopportare sacrifici duri, e tuttavia inevitabili, ai lavoratori a reddito più basso, ai pensionati e agli strati meno protetti della società .
Un atteggiamento assai responsabile – sebbene alternato a bruschi ripensamenti -, attraverso il quale la sinistra politica non estremista negli ultimi quarant’anni si è pienamente legittimata ai compiti di governo.
Fu Enrico Berlinguer, l’ultimo grande segretario del Pci, e non certo un leader di destra, a lanciare la parola d’ordine dell’«austerità », in un convegno al Teatro Eliseo di Roma del 1977. Senza quella svolta, Andreotti, alla guida, dal ’76 al ’79, dei governi di unità nazionale, con l’appoggio degli stessi comunisti, non avrebbe potuto bloccare la scala mobile e sostituirla, nelle buste paga, con buoni del Tesoro di cui si sviluppò, subito, negli uffici pubblici e privati, un fiorente mercato nero.
E se certo non poteva essere considerato di sinistra il taglio della scala mobile, allo stesso modo non lo erano le grandi privatizzazioni (in qualche caso tra l’altro fatte a prezzi forse eccessivamente convenienti), avviate da Amato e Ciampi, e poi proseguite da Prodi e D’Alema nella prima metà degli Anni Novanta.
Con le banche pubbliche, poi con Telecom, con Eni ed Enel, fino a oggi alle Poste, la sinistra riformista rinunciava – meritoriamente verrebbe da aggiungere, e a costo di divisioni interne con la sua ala radicale – allo statalismo, un altro dei caposaldi della sua impostazione economica. D’Alema provò a spingersi più in avanti, quando toccò a lui guidare il governo, progettando una sorta di ristrutturazione di Cgil, Cisl e Uil in un sindacato unico che, proprio perchè imposto dal governo e dall’alto, non si realizzò.
Successivamente, anche in epoca di centrodestra, la sinistra ha continuato a dare un notevole contributo a manovre economiche fondate sul rigore e mirate al risanamento dei conti pubblici, seppur ad alto costo sociale.
Accadde, ad esempio, nel ’96, quando il governo Dini, nato dal ribaltone parlamentare voluto da D’Alema per disarcionare Berlusconi, mise a segno la riforma delle pensioni che, introducendo il sistema contributivo al posto di quello retributivo, veniva per la prima volta a colpire la categoria considerata più debole degli ex-lavoratori ritiratisi per anzianità .
Va detto che la riforma fu varata con l’accordo dei sindacati, che avevano e hanno tra i pensionati la maggior parte dei loro iscritti, e fu l’ultima volta che la Cgil consentì, sia pure a denti stretti, a far passare un intervento del genere.
Poco dopo, tornato Prodi al governo, fu proprio Bersani a lanciare la sua famosa «lenzuolata» di liberalizzazioni, che provocò, che com’era già accaduto in Francia, uno sciopero generale dei taxisti, un tempo in buona parte di sinistra, e da quel giorno schierati a destra.
La lista degli interventi di destra fatti dalla sinistra, come si vede, è piuttosto lunga e abbraccia periodi diversi.
Naturalmente, per ciascuna di queste scelte, va tenuto presente il contesto in cui venivano prese – ad esempio la vigilia dell’ingresso nel sistema dell’euro, o la necessità di rompere il monopolio pubblico dei servizi, per abbassarne il costo a favore degli utenti – e lo sforzo di una sinistra elettoralmente minoritaria, anche quando vinceva le elezioni, di legittimarsi di fronte a quella parte di elettorato che non l’aveva votata e restava sensibile al richiamo della propaganda anticomunista berlusconiana.
Nè più nè meno quel che in questi giorni cerca di fare Renzi, che tra l’altro è andato al governo senza avere alle spalle un passaggio elettorale e deve prepararsi al prossimo.
Marcello Sorgi
(da “La Stampa”)
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