Ottobre 13th, 2015 Riccardo Fucile
LA SPONDA DI SALVINI POTREBBE VENIRE MENO A DICEMBRE IN CASO DI CONDANNA IN PRIMO GRADO DELL’UOMO DELLA RAMAZZA PER I FAVORI ALLA SUA COLLABORATRICE DEL “LEGAME AFFETTIVO”
“Si va avanti”. Nel giorno più nero per la giunta lombarda a guida Lega, Roberto Maroni e Matteo Salvini si incontrano in mattinata a Palazzo Lombardia a Milano e cercano insieme la strada per uscire dall’angolo.
“Forza e coraggio”, è l’esordio del leader leghista. “Nessun passo indietro, non mi farò intimidire”, sussurra il governatore, che rinuncia al previsto viaggio a palazzo Chigi per discutere col governo e Pisapia del destino delle aree Expo e resta chiuso nel suo ufficio in cima al grattacielo.
La botta è fortissima, per una Lega impegnata a contendere i voti di protesta ai grillini, ma la exit strategy è individuata subito nello scaricare al suo destino Mario Mantovani, vicepresidente finito in carcere
La linea leghista prevede dunque la difesa a oltranza di Massimo Garavaglia, potente assessore all’Economia.
“Sono rimasto stupito dell’arresto di Mantovani e mi auguro che sarà in grado di dimostrare la sua correttezza. Da quanto si apprende, la gran parte delle contestazioni che gli vengono rivolte sono estranee al suo incarico in Regione”, scrive il governatore.
Una nota molto sintetica, dunque, che non pare proporzionata al terremoto che ha investito Palazzo Lombardia: con il vicepresidente in carcere, il governatore a giudizio il 1 dicembre per presunte pressioni in favore di due sue collaboratrici e l’assessore all’Economia indagato.
Un “triplete” al cui confronto gli scontrini che sono costati la poltrona di sindaco a Ignazio Marino appaiono davvero poca cosa.
E tuttavia, a differenza dei vertici Pd, Salvini ha deciso di avallare la scelta di Maroni di resistere.
E anche gli altri partner di maggioranza, Forza Italia e Ncd, paiono assolutamente intenzionati a respingere le mozioni di sfiducia alla giunta già annunciate da Pd e M5s.
“Una cosa è certa: il lavoro della Lombardia non deve essere interrotto, ma procedere all’insegna della trasparenza”, mette a verbale Mariastella Gelmini.
Così anche il coordinatore lombardo di Ncd Alessandro Colucci e il capogruppo al Pirellone Luca Del Gobbo: “Confermiamo pieno sostegno e fiducia a Maroni”.
L’idea, condivisa da tutto il centrodestra, è che non si possa ripetere un replay del 2012, quando fu la stessa maggioranza, a partire dalla Lega, a sfrattare Formigoni dopo lo tsunami giudiziario.
E poi le dimissioni di Maroni porterebbero dritte al voto a giugno per le regionali, in concomitanza con il Comune d Milano: e il rischio sarebbe quello di far fare l’en plein al Pd.
Per Maroni il momento però resta molto buio.
Per l’ex ministro dell’Interno, l’uomo che ha scalato la Lega di Bossi impugnando le ramazze contro il cerchio magico del Senatur e i diamanti dell’ex tesoriere Belsito, è certamente un grosso danno di immagine.
Un handicap anche per il suo ritrovato protagonismo sulla scena politica nazionale. Ma la convinzione di Maroni è che ci siano “tutte le condizioni” per andare avanti.
La fiducia in Garavaglia resta piena, e lo stesso assessore si è detto pronti a farsi “ascoltare subito” dai magistrati.
La linea dunque è quella di resistere. Giovedì ci sarà una riunione della maggioranza, in vista del voto della mozione di sfiducia congiunta Pd-M5s previsto in Aula per il 20 ottobre. Ma non sono previste crepe nella maggioranza.
Si aspetta l’esito del processo di primo grado a Maroni, fissato per il primo dicembre davanti alla quarta sezione penale del tribunale di Milano.
L’accusa è di turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente e induzione indebita per le presunte pressioni per favorire due sue collaboratrici: una con un impiego in una società della Regione (Eupolis) con un compenso da 29.500 euro l’anno, e l’altra per un viaggio a Tokyo dal costo di 6mila euro. Quella missione fu annullata all’ultimo dallo stesso Maroni, che mandò in Giappone proprio il vicepresidente Mantovani.
In caso di condanna in primo grado rischia di decadere per effetto della legge Severino.
E in quel caso la sponda di Salvini rischia seriamente di venire meno.
“Le situazioni si difendono fin dove è possibile, ma è chiaro che Matteo non si immolerà sull’altare della regione Lombardia”, è il ragionamento nella cerchia più stretta del leader della Lega.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 13th, 2015 Riccardo Fucile
ECCO COME FUNZIONERA’
È arrivato il «giorno X». Oggi il Senato ha dato il via libera al ddl che segnerà la più importante modifica della Costituzione dalla sua nascita, ponendo fine al bicameralismo paritario.
Non è il via libera definitivo del Parlamento, perchè ci vorranno altri tre passaggi. Saranno votazioni formali: la sostanza del testo – salvo imprevisti – non verrà toccata.
Il vero scoglio arriverà tra un anno, quando i cittadini diranno la loro votando al tanto atteso referendum.
Rispetto alla versione iniziale, il testo è molto diverso e gli ultimi ritocchi – in particolare sulla semi-elettività dei senatori – sono frutto dell’accordo che ha riportato la pace nel Pd. Avremo un Senato composto da sindaci e consiglieri, con funzioni limitate, un’unica Camera che legifera e vota la fiducia.
Più poteri al governo, che potrà chiedere tempi certi per l’approvazione dei suoi ddl. Capitolo risparmi: resteranno molti costi fissi, circa l’80%, che nemmeno questa riforma potrà abbattere.
«Finisce il bicameralismo paritario»: che significa?
Oggi Camera e Senato hanno le stesse, identiche, funzioni. Con la riforma, la Camera continuerà a votare le leggi e a svolgere le funzioni di indirizzo e di controllo politico – per esempio votando la fiducia al governo -, ma lo farà in maniera esclusiva.
E il Senato cosa farà ?
Non voterà più la fiducia e la sua funzione legislativa sarà drasticamente ridotta. Non avrà più competenza sulle leggi ordinarie. Potrà solo chiedere delle modifiche, ma il suo parere non sarà vincolante. Resta la competenza concorrente, tra Camera e Senato, in alcune materie specifiche, come le leggi elettorali, le leggi costituzionali e la ratifica dei trattati dell’Ue. Avrà una funzione di raccordo tra lo Stato e gli enti locali. Per questo sarà composto da amministratori: 74 consiglieri regionali e 21 sindaci. Ci saranno poi 5 cittadini nominati dal Presidente della Repubblica.
Saranno i cittadini a eleggere i 95 senatori?
La risposta è «nì». Durante le elezioni regionali, i cittadini esprimeranno la loro preferenza, indicando chi vorranno mandare in Senato (una legge ordinaria, ancora da approvare, regolerà questo meccanismo). Ma poi saranno i consigli regionali ad eleggere i futuri senatori, in proporzione alla loro composizione politica.
I senatori avranno un’indennità ?
No, riceveranno solo quella da sindaco o da consigliere. Avranno però l’immunità .
Quanto risparmierà il Senato con la riforma?
Non è facile dirlo. Ma proviamo a fare due calcoli: nel 2014 le spese del Senato ammontavano a 501 milioni di euro. Di questi, circa 98 milioni vanno ai senatori (41 milioni per le indennità , 36 milioni per i rimborsi spese e 21 milioni per i contributi ai gruppi parlamentari). Altri 9 milioni vanno al personale addetto alle segreterie particolari. Questi costi saranno praticamente azzerati. Ci sono poi le spese di funzionamento, che oggi pesano per 44 milioni: qualcosina si risparmierà anche da qui, ma certamente non tutto.
A spanne, restano ancora circa 380-390 milioni…
Eh sì, perchè ci sono alcuni costi che non potranno essere azzerati. Almeno non nell’immediato. Parliamo per esempio delle pensioni degli ex senatori (80 milioni), del costo del personale (151 milioni) e delle pensioni degli ex dipendenti (120 milioni).
Cos’altro cambia con il ddl?
Cambia il Titolo V della Costituzione: sono state definite in modo più netto le materie di competenza legislativa dello Stato da quelle delle Regioni. È stato anche rivisto il quorum per i referendum (si abbassa se aumenta il numero di firme presentate) e sale il numero di firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare (da 50 mila a 150 mila). Vengono inoltre aboliti definitivamente il Cnel e le Province.
Chi eleggerà il Presidente della Repubblica?
I deputati e i senatori in seduta comune. Per i primi tre scrutini servono i due terzi dei componenti; dal quarto si scende ai tre quinti degli aventi diritto; dal settimo basterà la maggioranza dei tre quinti dei votanti.
Cosa succede adesso?
Ora il testo della riforma dovrà tornare alla Camera. In caso di via libera senza modifiche si concluderà la prima lettura. Poi dovrà essere nuovamente approvata dal Senato e infine ancora della Camera. A quel punto, come annunciato, ci sarà il referendum.
Marco Bresolin
(da “La Stampa”)
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Ottobre 13th, 2015 Riccardo Fucile
LA RICERCATRICE MARTA FANA: “NON E’ UNA RIPRESA STRUTTURALE, OGNI NUOVO CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO E’ COSTATO GIA’ 20.000 EURO”
“Il governo farebbe bene a studiare e fare molta meno propaganda ingannevole”.
Marta Fana, dottoranda in Economia a SciencesPo Paris, commenta così gli ultimi dati Inps sui contratti di lavoro.
E’ lei che per prima ha segnalato l’errore del ministero del Lavoro sui numeri relativi ai contratti stabili ad agosto.
Ora è l’istituto di previdenza a dare le cifre: nei primi otto mesi del 2015 i contratti a tempo indeterminato sono aumentati di 319mila unità rispetto allo stesso periodo del 2014.
Ma la ricercatrice sottolinea che, a dispetto di quanto dicono le “groupies del Pd”, la verità è che ” i nuovi contratti pseudo stabili sono pochi”.
Questi dati dimostrano davvero che c’è la ripresa, come sostiene il governo?
Il governo farebbe bene a studiare e fare molta meno propaganda ingannevole che francamente non fa bene a nessuno. Esiste un po’ di ripresa, ma questa non è strutturale: nessuno sforzo in investimenti, in avanzamento tecnologico all’orizzonte. È tutta una questione di ciclo economico, e il mercato del lavoro al netto del ciclo è dopato dagli sgravi.
Eppure i numeri parlano di un aumento del tempo indeterminato rispetto all’anno scorso. Come vanno lette queste cifre?
Con due miliardi regalati alle imprese è il minimo vedere un segno più, dobbiamo chiederci quanto vale questo segno più. Quello che i dati dicono è che, al netto delle cessazioni, il numero di contratti netti a tempo indeterminato è di 91.663 tra il primo gennaio e fine agosto di quest’anno e rappresenta circa il 15% dei nuovi contratti totali. Il 77% sono contratti a termine e il residuo riguarda i contratti di apprendistato. Poi ci sono le trasformazioni, cioè quelle che in gergo vengono chiamate stabilizzazioni, anche se di stabile con il contratto a tutele crescenti non c’è nulla: queste sono 331.792. Molte di più dei nuovi contratti veri e propri. Questa è indiscutibilmente la prima evidenza da tenere a mente: i nuovi contratti pseudo stabili sono pochi, e di conseguenza anche la nuova occupazione.
Ma il Partito democratico festeggia il risultato. Il capogruppo alla Camera Ettore Rosato ha commentato: “Con #riforme, più lavoro stabile e precariato nell’angolo. Su 2014, +305% posti fissi: +319mila. #italiariparte”.
Più lavoro stabile è francamente un eufemismo: il governo ha svenduto i diritti dei lavoratori per una mensilità di indennizzo per anno lavorato nel caso di licenziamento senza giusta causa. Nel frattempo ha dato alle imprese quasi due miliardi in un anno per creare 90.000 posti di lavoro. Questo va detto e ripetuto costantemente. Allo stesso tempo, una cosa che non sappiamo è quanto durano questi nuovi contratti a tempo indeterminato, solo tra qualche anno potremo dire se sono mediamente stabili o meno. In ogni caso, vedere che il numero di cessazioni di contratti a tempo indeterminato è per giunta aumentato nel 2015 rispetto al 2014 ci fa capire che di stabilità al momento non c’è alcun segno se non sulla carta. Inoltre, vorrei ricordare che contratti a termine, part time involontario, voucher, somministrazione sono tutti contratti precari checchè se ne dica, quindi quando valutiamo lo stato del precariato dovremmo tenere tutti questi elementi in considerazione, qualcosa che le “groupies” del PD non riescono a fare.
Si parlava dei voucher. Secondo l’Inps, nel 2015 ne sono stati venduti quasi 30 milioni in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con un balzo del 71%.
Il numero di voucher cresce in modo impressionante, da inizio anno sono più di 71 milioni di ore di lavoro pagate 7,50 euro e senza diritto a assegni di disoccupazione, maternità e malattia. Quindi non soltanto il precariato e lo sfruttamento, ma anche la discriminazione tra lavoratori continua ed è stata accentuata dal Jobs Act. Il rischio evidente ma su cui non ci sono informazioni è che questo strumento contrattuale sia usato per rapporti di lavoro che non sono salutari come invece dovrebbero, ma appunto sostituiscono lavoro subordinato a tutti gli effetti. Il lavoro accessorio doveva far emergere i lavoretti domestici in nero o quelli in agricoltura, ma in realtà i voucher sono usati soprattutto altrove: commercio, settori non identificati, eccetera. Nel 2014, per dare un’idea, circa 650milia nuovi individui hanno lavorato almeno un’ora tramite voucher.
Quanto hanno pesato il decreto Poletti e il bonus contributivo su questi dati?
Fare un’analisi rigorosa che studi l’impatto di ciascuna di queste determinanti attualmente è impossibile, mentre si possono fare ragionamenti descrittivi per capire più o meno le tendenze. Sicuramente, dato l’incessante aumento dei contratti a termine, sappiamo che il decreto Poletti ha avuto un discreto successo, non tanto nei primissimi mesi di applicazione quanto a partire da settembre dello scorso anno. Gli sgravi pesano enormemente sul contratto a tempo indeterminato, infatti la percentuale di nuove attivazioni indeterminate era dieci punti percentuali più elevata fino a marzo rispetto al dato di agosto (43 contro 33%). Ad oggi, ci ritroviamo con un costo relativo agli sgravi intorno a 1,8 miliardi di euro, il che significa che ogni nuovo contratto a tempo indeterminato è costato 20mila euro già solo nel primo anno.
Qual è l’influenza dei fattori macroeconomici (basso pezzo del petrolio, rapporto euro/dollaro favorevole, quantitative easing) sui numeri del lavoro?
Il basso prezzo del petrolio e di molte altre materie prime ha influito positivamente sull’economia di tutta l’eurozona e quindi anche sui relativi mercati del lavoro. Lo stesso vale per il cambio euro dollaro. Il quantitative easing non è una misura che spinge l’economia reale ma le banche e finora non pare abbia dato enormi frutti (sempre guardando alle risorse impiegate). Tuttavia, c’è da tenere a mente che negli ultimi due mesi l’economia mondiale ha rallentato, spinta dalla Cina ma anche dal Brasile, quindi non è detto che questi fattori macroeconomici riusciranno ancora a trainare la seppure debole ripresa italiana ed europea.
Stefano De Agostini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 13th, 2015 Riccardo Fucile
RAPPORTO THOMSON NEI PAESI DEL G20 RIVELA LE DIFFICOLTA’ DELLE DONNE CHE LAVORANO
Una specie di corsa a ostacoli. Una mediazione continua fra quello che dovrebbe essere e la realtà . Si potrebbe riassumere così il mondo del lavoro visto dalle donne dei Paesi del G20.
Perchè questo dice, in sintesi, il rapporto sui cinque problemi-chiave che il popolo femminile deve fronteggiare ogni santo giorno sui luoghi di lavoro.
La Thomson Reuters Foundation, in collaborazione con la Rockefeller Foundation, ha interpellato 9.500 donne nelle 19 nazioni del G20 (la ventesima sarebbe l’Unione Europea) per indagare sulle difficoltà nel bilanciare la vita privata con quella lavorativa, sul divario fra i salari maschili e quelli femminili, sulle differenze uomo/donna nell’accesso e nelle opportunità di lavoro, sulle molestie negli ambienti di lavoro e sull’impatto della maternità rispetto alle carriere.
Il rapporto, che sarà diffuso oggi in tutto il mondo, racconta le tante difficoltà ma anche le nuove speranze delle donne dei Paesi più industrializzati.
Così si scopre, per esempio, che l’età influisce sulle convinzioni positive.
Sotto i 35 anni la sfiducia è un po’ meno sfiducia: «solo» il 45 %, tanto per citare un risultato, crede che gli uomini abbiano un miglior accesso allo sviluppo professionale e alle opportunità di carriera.
«Solo», perchè se si sale nella fascia di età compresa fra i 35 e i 49 la percentuale sale al 50%.
Il capitolo Italia contiene numeri non proprio rassicuranti.
Prendi l’accesso al lavoro e lo sviluppo delle carriere: il 57% delle donne italiane intervistate pensa che gli uomini, in questo, siano decisamente favoriti.
Questa percentuale è la più alta d’Europa ed è preceduta soltanto dal dato dell’Arabia Saudita (61%) e della Corea del Sud (58%).
E ancora, sempre in Italia: c’è un 45% che mette proprio il gap fra maschi e femmine nelle opportunità di carriera in cima a tutti i problemi della propria vita lavorativa (è il numero più alto di tutti i 19 Paesi).
Al top delle preoccupazioni (il 43% delle italiane intervistate) anche la questione dell’equità dei salari.
E alla domanda: «Crede che le donne guadagnino meno a parità di lavoro?» i sì sono un terzo del totale.
L’argomento più spinoso, cioè le molestie sui luoghi di lavoro, in Italia ha una doppia faccia.
Il 16 per cento delle interpellate – ed è la percentuale più bassa fra i Paesi europei – dichiara di essere stata molestata mentre lavorava. Ma il dato fa i conti con un 55% che invece ammette: se dovessi subire molestie non lo racconterei.
Per inquadrare il problema a livello internazionale: quasi un terzo delle donne del G20 rivelano molestie sui luoghi di lavoro e le donne indiane guidano oggi la classifica delle più decise a denunciare.
«Lo ripetono loro stesse, non rimarranno mai più in silenzio» interpreta il dato Vrinda Grover, avvocatessa indiana della Corte suprema da sempre paladina delle cause per i diritti umani. «Non trascineranno più con loro il bagaglio di vergogna e lo stigma che hanno portato tante vittime prima di loro» assicura.
Mai restare in silenzio sembra essere anche il pensiero-guida della professoressa Lucy March, docente della facoltà di Legge all’Università di Denver, che ripete la sua storia ogni volta che può.
È diventata un caso, negli States, sul fronte della discriminazione salariale. Perchè ha scoperto che suoi colleghi maschi guadagnano, a parità di lavoro, circa 40 mila dollari l’anno in più. «È una lotta solitaria, la mia, per paura delle ritorsioni» racconta.
«C’è gente che sussurra di essere dalla mia parte ma nessuno osa dirlo pubblicamente». Cosa dice la ricerca? Che il 58% delle lavoratrici statunitensi ritiene che ricevere la stessa paga degli uomini sia uno dei problemi principali.
Dalla Francia la testimonianza di Brigitte Grèsy, consigliera superiore per l’equità professionale fra uomini e donne, citata nel rapporto.
A proposito del 55% delle sue connazionali che ritiene favoriti gli uomini nell’accesso al lavoro e negli avanzamenti di carriera, sostiene che «le donne in Francia sono consapevoli dell’iniquità adesso più che mai».
E poi c’è il binomio famiglia-carriera.
A credere che la strada dei figli non intralci quella degli avanzamenti professionali sono soprattutto le brasiliane (74 su 100). In Italia (con il nostro 32%) siamo meno fiduciose.
Giusi Fasano
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 13th, 2015 Riccardo Fucile
LO STUDIOSO SCOZZESE E’ CONSIDERATO UN ESPERTO DI CONSUMI E POVERTA’
«Il rallentamento della crescita economica nel mondo ricco, a partire dall’Europa anche prima della crisi finanziaria, è una delle minacce più gravi che abbiamo davanti».
E’ l’allarme che lancia il professore della Princeton University Angus Deaton, poco dopo aver ricevuto il premio Nobel per l’economia.
Deaton parla via streaming dall’auditorium della sua università , e la prima domanda a cui risponde è quella che gli abbiamo inviato noi via mail.
Di recente lei ha detto: «Il mio messaggio generale, le mie misurazioni, tendono a mostrare che le cose stanno migliorando, ma c’è ancora molto lavoro da fare» Questo miglioramento è vero anche per l’Europa, e qual è il lavoro che il Vecchio continente deve ancora fare per ottenere una crescita economica più forte
«E’ vero che ho passato parecchio tempo a dimostrare come il mondo stia diventando un luogo migliore. Durante gli ultimi 250 anni l’umanità si è trasformata dall’essere una entità vicina alla povertà estrema, a una società dove molti di noi vivono vite più ricche e possono esprimere al meglio i propri talenti e le proprie capacità . Però enfatizzo anche che c’è ancora molto da fare. La Banca mondiale ha annunciato pochi giorni fa gli ultimi dati economici, e la povertà è scesa ormai al 10% della popolazione globale. Ciò è magnifico, ma ci sono ancora 700 milioni di persone che vivono in questa condizione, e il loro stato ha serie conseguenze per ognuno di noi. Ci sono minacce, e una delle più gravi per tutti è il rallentamento della crescita economica nel mondo ricco, decennio dopo decennio, anche prima della crisi finanziaria del 2008. Questa crisi però ha reso la situazione ancora più dura»
Perchè?
«Il rallentamento rende tutto più difficile, complica le scelte della politica, abbassa la qualità della vita delle persone, soprattutto per la gente in fondo alla scala sociale. Se sommi questo fatto alla crescente diseguaglianza, ti rendi conto che molta gente nel mondo ricco sta soffrendo. Le loro vite peggiorano, e parecchi vedono il peggioramento come una conseguenza delle buone cose che invece stanno accadendo nel resto del mondo. Questo è un sentimento davvero difficile da affrontare»
Come mai fatichiamo a capirlo?
«I dati che esistono, ma molti non vogliono vederli o svilupparli, perchè vanno contro i loro interessi».
Lei è cresciuto in condizioni economiche difficili: quanto l’ha influenzata questo fatto nella scelta dei temi da studiare?
«Ho avuto pochi soldi almeno fino a quando ho fatto il dottorato. Non dico che essere povero aiuta, però ti dà una prospettiva più chiara del mondo. Ho capito soprattutto quanto conta la fortuna: se mio padre non si fosse ammalato di tubercolosi durante la Seconda Guerra Mondiale, io non sarei neanche nato, perchè lui sarebbe morto in un’operazione militare a cui era stato destinato dove tutti i soldati persero la vita. Poi fu lui, minatore del carbone, a spingermi verso l’accademia».
A cosa si sta dedicando ora?
«Studio soprattutto l’impressionante aumento della mortalità fra gli americani di mezza età . Persone che si tolgono la vita, o muoiono di overdose. Ritengo che la diseguaglianza sia una delle minacce più gravi della nostra società , perchè influenza tutto. Ha un effetto sulla politica, ma anche sulle scelte riguardo i cambiamenti climatici, che molti rifiutano di affrontare perchè vanno contro i loro interessi. Temo un mondo dove i ricchi fanno le regole, e gli altri devono obbedire. C’è molta gente che sta soffrendo, a causa della globalizzazione. Persone di mezza età , istruite e non, che vedono svanire le promesse di benessere con cui erano cresciute e crollare i loro redditi. Sono le persone che muoiono di overdose o si suicidano, e stanno cambiando l’intero profilo della mortalità negli Stati Uniti. Non dico che tutto questo sia provocato in maniera diretta dalla diseguaglianza, ma certamente l’estrema diseguaglianza sta peggiorando le cose, creando questa emergenza che ora studio».
Paolo Mastrolilli
(da “La Stampa”)
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Ottobre 13th, 2015 Riccardo Fucile
DOVEVA CURARE “L’ANALISI DEI COSTI DELLA SPESA DEI FARMACI”: PECCATO AVESSE SOLO IL DIPLOMA E NESSUNA ESPERIENZA IN MATERIA
Mario Mantovani, vicepresidente di Regione Lombardia, da assessore alla Sanità , aveva garantito una consulenza da 16 mila euro al suo autista-segretario, il 21enne Fabio Gamba, per occuparsi di “analisi dei costi delle spesa farmaceutica territoriale e ospedaliera, oltre che presidio ai tavoli tecnici”.
Ci si era chiesti con quali competenze. E infatti lo stesso Gamba il 6 maggio scorso ammise: “Non ho nessuna esperienza e questo potrebbe essere apparentemente un problema”. O più semplicemente basta essere il vicepresidente della Regione, per procurare al proprio autista-segretario un incarico.
Non di certo il primo perchè già nel 2013, Mantovani assicurava al suo tuttofare una consulenza, da maggio a dicembre, per 10 mila euro per svolgere mansioni avvolte nel mistero, visto che interpellato all’epoca dei fatti, aveva risposto in modo evasivo: “Lavoro nello staff del vicepresidente”.
Il curriculum del ragazzo di bottega di Mantovani era comunque ricco di spunti interessanti. Nel 2009 è in stage “presso la segreteria politica del sottosegretario di Stato Sen. Mario Mantovani in via Giolitti 20 ad Arconate”; nel 2010 fa l’educatore al “centro vacanze giovani di Igea Marina, in provincia di Rimini”, gestito da una cooperativa della famiglia Mantovani; nel 2011 lavora nella sede romana del fu ‘Popolo della Libertà ‘ in via dell’Umiltà ; nel 2012 presta una collaborazione occasionale in Rai, sempre a Roma, dove però nessuno si ricorda del suo passaggio. E’ iscritto all’università Bocconi di Milano, anche se gli esami, causa la sua intensa attività al fianco del vicepresidente della Lombardia, vanno un po’ a rilento.
Il suo curriculum si chiude con una perla: “Ulteriori informazioni: La mia più grande passione è la Politica”. ‘P’ maiuscola, per carità .
Ma per quale motivo questa grande passione doveva essere spesata dai lombardi con consulenze fantasiose?
(da “l’Espresso”)
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Ottobre 13th, 2015 Riccardo Fucile
IN TOTALE SONO CINQUE ISCRITTI NEL REGISTRO DEGLI INDAGATI, TRA CUI IL VICECOMANDANTE DELLA STAZIONE DI TOR SAPIENZA
Altri quattro carabinieri sono indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi, avvenuta nell’ottobre 2009 all’ospedale Sandro Pertini, una settimana dopo il suo arresto per droga.
Tre sono accusati di lesioni aggravate. Il quarto è iscritto per falsa testimonianza, così come il primo, l’ufficiale Roberto Mandolini, già indagato da tempo. In totale, quindi, sono cinque i militari attualmente indagati nell’inchiesta.
Così l’inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi entra nel vivo.
Gli accertamenti sono coordinati dal pm Giovanni Musarò dopo l’invio degli atti da parte dei giudici della corte d’appello.
Oltre al Maresciallo Roberto Mandolini, già iscritto da settimane nel registro degli indagati per falsa testimonianza, la procura di roma ha allargato l’inchiesta anche ad altri quattro militari: tre indagati per lesioni e uno per falsa testimonianza.
Le nuove iscrizioni riguardano: Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco e Vincenzo Nicolardi.
Per i primi tre si ipotizza il reato di lesioni aggravate: si tratta dei militari che parteciparono alla perquisizione in casa Cucchi ed al trasferimento di questi nella caserma Appia. Nicolardi è accusato di falsa testimonianza.
Stessa ipotesi di reati per la quale è iscritto da tempo l’allora vice comandante della stazione di Tor Sapienza, Roberto Mandolini.
(da agenzie)
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Ottobre 13th, 2015 Riccardo Fucile
IL GABIBBO BIANCO AVEVA FIRMATO UN ACCORDO DI COLLABORAZIONE SANITARIO CON LA REGIONE LOMBARDIA… SUL PIATTO 20 MILIONI DI EURO DEI LIGURI CHE FINISCONO NELLA GESTIONE DELLA SANITA’ LOMBARDA
L’arresto del vicepresidente della Regione Lombardia Mario Mantovani, finito sotto accusa per corruzione e concussione, sta mettendo in serio imbarazzo il governatore della Liguria Giovanni Toti e l’assessore leghista ligure alla sanità , Sonia Viale (anche l’assessore lumbard al bilancio Garaventa è tra gli indagati).
Il motivo? E’ da poche settimane che la Regione Liguria aveva avuto la bella pensata di promuovere un “Protocollo di collaborazione in ambito socio-sanitario” con la Regione Lombardia.
L’oggetto del protocollo è “il rafforzamento dei rapporti tra le due regioni ” nei diversi “temi sanitari”.
E qui c’è il primo campanello stonato: è la Liguria che esporta malati, non ci sono mai stati con regione Lombardia rapporti di collaborazione “organici”.
Sono circa 7.000 l’anno i pazienti in arrivo dalla Liguria, il che tradotto in soldi fa circa 18.20 milioni di euro l’anno. Che potrebbero diventare una voce fissa, meglio strutturale, del piano.
In pratica la “grande operazione” di Toti e Viale è solo l’istituzionalizzazione delle fughe verso la Lombardia.
La domanda che sorge spontanea: chi ci guadagna o meglio quanto ci perde la Liguria?
Quando avevamo denunciato che dietro l’operazione ci fosse solo la finalità di fare un favore alla sanità privata eravamo molto lontani dalla realtà ?
E oggi che emergono gli interessi delle cliniche private gestite dall’arrestato Mantovani, che dice l’assessore Viale?
Con evidente imbarazzo poco fa ha dichiarato che le “responsabilità sono personali”.
Ma quando è il sistema sanitario scelto che favorisce gli interessi di pochi, esiste una grave responsabilità politica nel voler perseverare nell’errore.
Altro che modello lombardo, meglio ritornare coi piedi per terra che a San Vittore.
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Ottobre 13th, 2015 Riccardo Fucile
LE INDAGINI DELLA CORTE DEI CONTI SI ESTENDONO ANCHE SULLE SPESE IN COMUNE
Sulle spese di Renzi sindaco, la Corte dei conti ha aperto un fascicolo.
La decisione è stata raggiunta a seguito delle dichiarazioni del ristoratore fiorentino Lino Amantini, che domenica in un’intervista al Fatto ha raccontato di quando, ai tempi di Renzi sindaco, inviava le fatture direttamente a Palazzo Vecchio.
Ieri, lo stesso ristoratore, assediato da telecamere e cronisti, ha detto all’Ansa: “Non parlo con nessuno, non dico proprio nulla;è tutto il giorno che squilla questo telefono. Lasciatemi lavorare, per favore”.
I magistrati contabili avevano già acquisito parte della documentazione relativa alle spese di rappresentanza, ma estenderanno ora l’inchiesta ad altre voci contabili per verificare l’intera gestione amministrativa.
In giornata si è mossa anche l’opposizione in Comune.
Il consigliere Tommaso Grassi di Sel durante i lavori dell’aula ha chiesto al sindaco Dario Nardella di rendere trasparenti le spese dell’attuale giunta e della precedente.
“Renzi noi lo conosciamo bene, già in Provincia ha mostrato ottime performance, ma stamane ha risposto al Fatto,che gli chiedeva di rendere pubblici i suoi scontrini, di averli già messi online”.
Noi, ha proseguito Grassi, “siamo andati a cercarli: inutilmente”.
Quindi, ha concluso, “rispetto a quello che è stato fatto dall’ex sindaco Marino — che ha indicato voci di spesa dettagliate con la massima trasparenza — chiediamo che altrettanto facciate lei e Renzi: ci uniamo alla richiesta del Fatto e le chiediamo di rendere tutti gli scontrini trasparenti al massimo, visto che al momento di trasparente c’è ben poco”. Nell’attesa (fiduciosa) delle ricevute dettagliate, ricordiamo quelle che Grassi chiama le “ottime performance”di Renzi quando era in Provincia.
Anche su quelle la Corte dei conti e la Procura aprirono un’inchiesta contestando inizialmente “spese pazze” per 20 milioni di euro, dieci dei quali per una società creata ad hoc per divulgare il suo verbo: Florence Multimedia.
Rimanendo nel parallelo con l’ex sindaco di Roma Marino, finito nei guai per viaggi e pasti.
Lino non è l’unico ristorante in cui Renzi riusciva a spendere oltre mille euro per un pasto .Al Cibreo,ad esempio,uno dei più rinomati della città , il 23 maggio 2008 raggiunge i 1.260 euro.
Fattura inviata in Provincia e pagata attraverso bonifico.
Alla Taverna del Bronzino lascia 1.855 euro mentre al Caffè Nannini — una pasticceria — versa in un sol colpo 1.224 euro.
Impossibile conoscere causale e commensali perchè non sono stati indicati all’epoca e perchè a oggi, nonostante più volte chiesti, Renzi non risponde.
Così come il fidato capo gabinetto Giovanni Palumbo — oggi a Palazzo Chigi — che ha firmato decine e decine di delibere per i rimborsi spese del presidente che aveva a disposizione anche una carta di credito con un limite di spesa mensile di 10 mila euro. Nell’ottobre 2007, però,Renzi riesce a farsela bloccare.
Durante un viaggio negli Stati Uniti, infatti, la carta viene sospesa a garanzia di un pagamento da parte di un hotel a Boston e così Renzi è costretto a pagare di tasca propria 4.106 dollari — al cambio dell’epoca 2.823 euro, all’hotel Fairmon di San Jose, in California.
Qui pasteggia ad aragoste.
Appena torna in Italia si fa restituire la somma con una delibera firmata il 12 novembre. Solo per questa trasferta oltre oceano, le casse della Provincia spendono 70 mila euro: non si sa per quante persone nè quali.
Un’altra missione in California, ma questa volta a Santa Clara per“attività internazionali” costa alle casse dell’ente 26.775,82 euro per sei giorni: dal 2 all’8 novembre.
Lo scopo del viaggio è specificato: incontrare i rappresentanti delle aziende Cisco e Apple e verificare lo stato di avanzamento delle attività avviate con il Mit, Massachusetts Institute of Technology. Che però è a Boston.
Nel 2009, dopo aver vinto le primarie come candidato sindaco del Pd alla guida di Firenze e prima però del passaggio da un Palazzo all’altro, Renzi vola di nuovo in America a spese della Provincia.
Questa volta si fa accompagnare dal fidato Marco Carrai e da un assessore. Spendono 45 mila euro.
Va nella speranza di incontrare il neoeletto presidente Barack Obama. Non riesce. Ma da oltreoceano fa sapere che l’ha invitato a Firenze.
Sulla vicenda è ancora aperto un fascicolo in procura scaturito da un esposto presentato dall’avvocato Carlo Taormina per conto di Alessandro Maiorano, dipendente di Palazzo Vecchio e grande accusatore di Renzi. Proprio oggi Taormina sarà ricevuto dal gip Alessandro Moneti in merito all’inchiesta.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Giustizia | Commenta »