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MAFIA CAPITALE: LA SENTENZA CONFERMA COME DESTRA E SINISTRA “MUNGEVANO LA MUCCA” PER CARMINATI

Luglio 21st, 2017 Riccardo Fucile

I POLITICI CONDANNATI SONO TRASVERSALI

Pd e Pdl. Esponenti di partito, ma anche tecnici e funzionari che nelle retrovie della politica sono cresciuti fino ad arrivare ai vertici di municipalizzate, a guidare sezione regionali di schieramenti di livello nazionale, a coordinare l’azione amministrativa di commissioni del Campidoglio, a maneggiare milioni in fondi pubblici destinati alla gestione dell’accoglienza dei migranti.
Sono i volti delle istituzioni, gli uomini che a destra e sinistra “mungevano la mucca” della cosa pubblica (secondo l’illuminante definizione coniata il 14 marzo 2013 da Salvatore Buzzi) condannati dalla X sezione penale del Tribunale di Roma nel processo al Mondo di mezzo.
Luca Gramazio, l’uomo di Carminati alla Regione Lazio
Trentaquattro anni al momento dell’arresto, il figlio dell’ex senatore Domenico Gramazio, figura di rilievo nella storia del Movimento Sociale Italiano, vantava già  un cursus honorum di tutto rispetto: già  capogruppo del Pdl in Campidoglio, quando la mattina del 4 giugno 2015 le manette scattano intorno ai suoi polsi Luca è capogruppo di Forza Italia alla Regione Lazio.
Dove era, secondo l’accusa, la longa manus destra del sodalizio criminale. Alla Pisana la torta è ricca, gli appalti milionari specie nella sanità .
Quello sul Recup, il centro unico delle prenotazioni delle prestazioni sanitarie, su tutti: a Carlo Maria Guarany che gli fa notare che la gara vale “60 milioni de euro“, Massimo Carminati precisa: “In Regione c’avemo Luca“. “Sì, ma io voglio di’ — replica il collaboratore di Salvatore Buzzi condannato a 5 anni, — questi qui la gara de 60 milioni di euro l’avranno vista, no? Se ne saranno…”. “No, ma Luca sicuramente è stato interessato — gli risponde l’ex Nar — Se c’è da dà  una spinta, gliela damo”.
Un rapporto che lega il Cecato all’intera famiglia Gramazio: “Mio padre era in splendidi rapporti con i genitori di Carminati — raccontava in aula l’esponente di Forza Italia nell’aprile 2016 — militavano insieme nel Msi degli anni ’70 ed erano presenti al mio battesimo“.
L’amicizia è solida e resiste agli anni: il 21 luglio 2013, Luca e papà  Domenico vedono con l’ex Nar a cena Dar Bruttone, trattoria in zona San Giovanni. Discutono della strana rapina di qualche giorno prima al Centro Iniziative Sociali di via Etruria 79.
Data la singolarità  dell’episodio e sospettando che le forze dell’ordine possano aver piazzato microspie, Carminati dispensa consigli: “Faglie fa’ una bella bonifica, guarda dentro le cose, dentro tutte le placche, faglie smonta’ le plastiche”.
Condannato a 11 anni, unico politico accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso, ora andrà  ai domiciliari.
Mirko Coratti, il garante della spartizione in Campidoglio
“Me so’ comprato Coratti”, dice Buzzi in un’intercettazione. Le carte dell’inchiesta descrivono il ruolo che secondo l’accusa l’esponente del Pd, arrestato il 4 giugno 2015 e condannato a 6 anni, aveva in Assemblea Capitolina: “Nel corso di dialoghi con i suoi collaboratori — si legge nell’ordinanza di custodia cautelare del 29 maggio 2015 — Buzzi indica il ruolo di Coratti nell’assegnazione delle gare; Coratti che si preoccupa che siano rispettati gli equilibri politici tra maggioranza e opposizione in Consiglio Comunale nella percezione delle relative utilità “.
Coratti, in pratica, aveva il compito di far sì che venissero accontentati sia gli appetiti del centrosinistra che del centrodestra. Un ruolo che emerge chiaro dalle intercettazioni: “Coratti dice che sulla gara AMA 27 lui non se la po’ carica’ tutta quanta — spiega Buzzi nel gennaio 2014 a un collaboratore — dice ‘una parte deve esser a carico dell’opposizione’”. Nel senso che una parte dell’appalto deve essere affidata a una coop legata al centrodestra romano.
Luca Odevaine, il gestore dell’affare migranti
“Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”, la frase scolpita da Buzzi nella percezione dell’opinione pubblica. L’uomo che gestiva gli affari grassi sull’accoglienza era Luca Odevaine, condannato a 6 anni e 6 mesi (8 con la continuazione).
Non è un politico in senso stretto: è un tecnico, Odevaine, ma era organico al Pd ed era stato vice capo di gabinetto del sindaco Walter Veltroni. Da membro del Tavolo di coordinamento nazionale sull’immigrazione del Ministero dell’Interno e “consulente del Consorzio Calatino Terra d’Accoglienza, ente che soprintende alla gestione del C.A.R.A. di Mineo” “sono in grado un po’ di orientare i flussi che arrivano da giù… — spiega il diretto interessato, intercettato, al suo commercialista — anche perchè spesso passano per Mineo… e poi… vengono smistati in giro per l’Italia… se loro c’hanno strutture che possono essere adibite a centri per l’accoglienza da attivare subito in emergenza… senza gara. Io insomma gli faccio avere parecchio lavoro…”.
Un lavoro, quello di Odevaine, ben retribuito: “Ho percepito cinquemila euro al mese da Buzzi da fine 2011 al novembre del 2014 — ammetteva il 2 febbraio 2017 in aula — per lui risolvevo i problemi, facilitavo gli interessi di Buzzi. Ho preso soldi anche dalla cooperativa La Cascina” per la struttura del catanese: circa “10mila euro, poi diventati 20mila euro” per un totale di circa “260 mila euro”.
Vicenda per la quale aveva patteggiato una pena a 2 anni e 8 mesi. Patteggiamento raggiunto anche nell’altro troncone dell’inchiesta: quello sulla concessione dell’appalto dei servizi, dal 2011 al 2014, allo stesso Cara.
Franco Panzironi, la longa manus di Carminati all’Ama —
Il “Tanca”, altro tecnico, era uomo di Gianni Alemanno che lo aveva messo alla guida dell’Ama, ma l’ex sindaco lo aveva scaricato subito, l’8 dicembre 2014, sei giorni dopo la prima tornata di arresti: “Esistono anche collaboratori infedeli“. Nell’ordinanza del 29 maggio 2015 viene definito “pubblico ufficiale a libro paga, partecipa all’associazione fornendo uno stabile contributo per l’aggiudicazione di appalti pubblici, per lo sblocco di pagamenti in favore delle imprese riconducibili all’associazione; garante dei rapporti dell’associazione con l’amministrazione comunale negli anni 2008/2013“.
Una definizione ancora più netta del suo ruolo operativo la dava nel luglio 2015 Franco Gabrielli: “La conduzione di Ama era subappaltata a Mafia Capitale”,   scriveva l’allora prefetto nella relazione inviata all’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano. Amministratore delegato della municipalizzata capitolina dei rifiuti dal 5 agosto 2008 a 4 agosto 2011, il 27 maggio 2015 Panzironi è stato condannato a 8 anni e 8 mesi per la Parentopoli di Ama, centinaia di assunzioni irregolari tra il 2008 e il 2009.
Giordano Tredicine, lo “sposo” di Buzzi
Rampollo della famiglia di venditori ambulanti che gestisce gran parte dei camion bar a Roma, è stato condannato a tre anni. Presidente della Commissione Politiche Sociali e Famiglia sotto la giunta Alemanno, al momento dell’arresto nel giugno 2015 era vicepresidente del consiglio comunale e vicecoordinatore di Forza Italia per il Lazio. “A noi Giordano c’ha sposati — spiegava Buzzi a Caldarelli in un’ intercettazione, utilizzata dagli inquirenti per illustrare la logica spartitoria utilizzata dal gruppo — e semo felici de sta co Giordano”. Perchè, proseguiva il capo delle coop rosse, “stamo de qua.. e stamo de là …”, sia con il centrosinistra che con il centrodestra“.
Andrea Tassone, minisindaco di Ostia. Poi sciolta per mafia —
Condannato a 5 anni, Andrea Tassone è l’ex presidente Pd del Municipio di Ostia, sciolto per mafia il 28 agosto 2015. “In più occasioni ha intrattenuto rapporti e connivenze con il branch economico di Mafia Capitale”, scriveva Gabrielli nella relazione inviata al Viminale nella parte dedicata alla proposta di scioglimento. Verde pubblico e spiagge, nel mirino di Carminati e soci: “’400mila per il verde ce li danno a noi — spiega il ras delle coop Salvatore Buzzi in un’ambientale del 16 maggio 2014 negli uffici della 29 giugno — Tassone è nostro, è solo nostro, non c’è maggioranza e opposizione, è mio”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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BERLUSCONI ACCOGLIE I CENTRISTI. PRONTO IL NOME: “ITALIA CIVICA”

Luglio 21st, 2017 Riccardo Fucile

ENTRO 15 GIORNI NASCERA’ IL NUOVO CONTENITORE POLITICO…. ALL’OPERA GHEDINI E BRUNETTA, OBIETTIVO E’ SUPERARE IL 3%

«Ho visto ieri sera Silvio a una cena», butta lì Franco Carraro nella buvette del Senato. Neanche il tempo di dirlo, che gli si forma intorno un assembramento di centristi interessati. «Sì, e Berlusconi mi ha pure spiegato che cosa vuole fare di voi: vi accoglierà  a braccia aperte e vi metterà  nel suo nuovo contenitore; anzi, in un bel secchio, ahahah».
Delusione dipinta sul volto degli astanti che non gradiscono la battuta. Quel sadico di Fabrizio Cicchitto ha coniato un’altra definizione del contenitore che dovrebbe raccogliere gli ex berlusconiani pentiti del loro pentimento, dunque pronti a tornare all’ovile: sarà  la «bad company» di Forza Italia, messa su apposta per inglobare gli «impresentabili».
Scherzi e ironie si sprecano, come se fosse tutta una burla, o quasi. Solo che il Cav sta facendo sul serio.
Per chi è al corrente dei suoi piani, le dimissioni del ministro Enrico Costa sono l’inizio di una vasta offensiva che mira a impossessarsi rapidamente dell’area centrista, sgretolando lo Stato cuscinetto di Alfano.
Entro breve il famoso secchio, o contenitore, prenderà  le sembianze di un vero e proprio movimento, destinato a fiancheggiare il partito berlusconiano.
Tempi rapidi
È già  pronto il nome: si chiamerà , salvo ripensamenti, Italia Civica, riecheggiando l’esperienza montiana e pure le liste autonome che fioriscono spontanee in molti Comuni.
Tra fine mese e l’inizio di agosto, comunque prima che chiudano i lavori parlamentari, verrà  formalizzata la nascita del nuovo soggetto politico.
Motore dell’operazione è l’avvocato Niccolò Ghedini, il quale da tempo ha assunto una veste di maggiore protagonismo dentro Forza Italia, in piena sintonia con il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta.
L’obiettivo consiste nel dare casa a gruppi e personaggi che potranno tornare utili nella campagna elettorale, radicati sul territorio e con un pacchetto di voti.
L’ex leghista Flavio Tosi, per esempio, ne porta con sè 100mila secondo le stime berlusconiane: sarà  arruolato. Idem Lorenzo Cesa, segretario Udc, al quale viene accreditato addirittura l’1 per cento sparso qua e là .
Dentro Italia Civica confluirà  il Partito dei pensionati, che sempre riciccia sotto elezioni. Non è da escludere che lì finiscano gli stessi animalisti di Michela Vittoria Brambilla, finora mai decollati nei sondaggi nonostante l’appeal mediatico.
Fanali puntati su Maurizio Lupi, già  ministro con Matteo Renzi: le porte del neo-partitino per lui sarebbero spalancate in quanto vanta ancora parecchie aderenze nel mondo ciellino.
La somma di tutti questi apporti potrebbe superare il 2 per cento. Sono voti, fa notare Brunetta, che Forza Italia comunque non prenderebbe e «danno il senso di un’articolazione dell’offerta politica».
Di sicuro, vogliono offrire la sensazione di un Cav tornato seducente.
La «start-up»
Non finisce qui. Oltre al partitino satellite, la prossima settimana si formerà  un ulteriore raggruppamento.
Al Senato i gruppi di Forza Italia, di Idea (il movimento di Gaetano Quagliariello) e parte di Gal daranno vita a una Federazione della libertà , consacrando un rapporto di vicinanza già  da molto tempo avviato.
Potrebbe forse aderirvi Raffaele Fitto con il suo manipolo (Direzione Italia) radicato soprattutto in Puglia. L’ex ministro non ha ancora scelto dove e con chi schierarsi.
Di sicuro, però, lui e Quagliariello non hanno alcuna intenzione di finire nel «secchio» con tutti gli altri centristi, anche se la forza di gravità  spinge inesorabile nella direzione della «bad company» o, come la vende Berlusconi, della più luminosa «start-up» nel firmamento della politica.

(da “La Stampa”)

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REGIONE LIGURIA SOTTO INCHIESTA, IPOTESI ABUSO D’UFFICIO E PECULATO: UFFICIO STAMPA DI TOTI NEL MIRINO

Luglio 21st, 2017 Riccardo Fucile

IL CONCORSO VINTO DA JESSICA NICOLINI E LA SUA ATTIVITA’ DI ATTIVISTA PER BUCCI NONOSTANTE IL RUOLO DOVESSE MANTENERLA AL DI SOPRA DELLA CAMPAGNA ELETTORALE… MOLTE FOTO AVALLANO QUESTO DOPPIO RUOLO

Un fascicolo con l’ipotesi di reato di abuso di ufficio, al momento a carico di ignoti, è stato aperto dalla procura della Repubblica a seguito di un esposto del gruppo M5s riguardante la gestione dell’ufficio stampa della Regione Liguria.
In particolare vengono sollevati interrogativi sia sulla regolarità  del concorso pubblico che a giugno del 2016 ha visto nominare capo redattore dell’ufficio stampa della Giunta la giornalista Jessica Nicolini che fino a quel giorno, e a cominciare dal 2015 quando il centro destra aveva vinto le elezioni regionali, era stata la portavoce del presidente Giovanni Toti.
E proprio sul ruolo di Nicolini nella sua veste istituzionale è incentrata la seconda parte dell’esposto.
Il capo ufficio stampa dell’ente Regione ha infatti partecipato attivamente, e lo dimostrano innumerevoli post su Facebook e tweet da parte della stessa giornalista, alla campagna elettorale per le ultime amministrative a fianco di Toti.
Un lavoro di pura propaganda politica che mal si concilia con il ruolo super partes del capo ufficio stampa dell’Ente.
Ma non è solo una questione di opportunità  politica. L’esposto adombra infatti aspetti che potrebbero contemplare la contestazione del peculato.
In altre parole Jessica Nicolini sarebbe stata pagata dallo Stato italiano e avrebbe utilizzato risorse pubbliche (strumenti come Ipad o cellulari, rimborsi etc) non per svolgere i propri compiti istituzionali bensì a “scopi privati “come recitano diverse sentenze di Cassazione, che nel caso in questione sarebbe il supporto al suo ex datore di lavoro Giovanni Toti e alla sua parte politica.
Naturalmente si tratta di una tesi ma il procuratore aggiunto del pool reati contro l’amministrazione Vittorio Ranieri Miniati lo ha ritenuto meritevole di approfondimenti ora il fascicolo d’inchiesta è sul tavolo del pm Gabriella Marino, lo stesso magistrato che indaga su un’altra grana della giunta Toti, il concorso per l’addetto stampa del San Martino che ha visto presentarsi alla selezione un solo candidato, Pietro Pisano, al quale il ruolo era stato in precedenza affidato per un incarico a tempo di pochi mesi.
Tornando al caso Nicolini all’esposto sono allegate alcune fotografie, provenienti dai profili pubblici Facebook e Twitter del capo ufficio stampa della Regione.
Tutte testimoniano di una partecipazione da “attivisti” ad alcuni momenti clou della recente campagna elettorale in cui Toti si è speso quotidianamente a favore dei candidati sindaco dei due centri più importanti Genova e Spezia.
Per quest’ultima una foto immortala Nicolini che riprende con un tablet il palco del candidato poi vincitore Pierluigi Peracchini.
Poi ci sono gli scatti che vedono Nicolini impegnata a immortalare Toti non nelle sue attività  istituzionali ma nei palchi elettorali di Bucci o nella festa in corso Italia il giorno dopo la vittoria ai seggi.
C’è anche un’immagine che immortala Nicolini con altre due giornaliste dell’ufficio stampa sullo scalone di Tursi la notte dell’elezione a sindaco di Bucci. Nicolini con le dita fa il segno della vittoria.

(da “La Repubblica”)

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INTERVISTA A MARINO: “IL PD E’ IN AGONIA MORTALE, CONTRO DI ME UN’OPACA CONVERGENZA DI INTERESSI”

Luglio 21st, 2017 Riccardo Fucile

“RENZI MI HA IMPEDITO DI FARE PULIZIA NEL PARTITO”

«C’è un curioso paradosso: nessuno - Procura, imputati, parti civili, tribunale – ha ritenuto di convocarmi come uno dei cento testimoni. Come in politica, anche nel processo che ha contribuito a cacciarmi dal Campidoglio sono stato “marziano”». Sono trascorsi 21 mesi dalla sua caduta e Ignazio Marino è tornato all’università  di Filadelfia, lavora a un progetto su scambi di organi a livello internazionale per aumentare il numero di trapianti.
Ha seguito il processo?  
«Non ho mai neanche ascoltato le registrazioni su Radio Radicale. Meglio le cartelle cliniche».
Che effetto le fa la sentenza?
«Prevalgono un senso di giustizia e la tristezza per l’immagine della città . Non c’è capitale di un Paese del G7 con una classe dirigente così scadente. Anche dal punto di vista criminale, visto che si accontenta di quattro caramelle di tangenti».
Saviano ha paragonato la sentenza al negazionismo di antico sapore siciliano. Secondo lei a Roma la mafia c’è?
«Lo dissi all’inizio del mio mandato, c’è il video sul web. Lo confermo. Basta contare i negozi di frutta che diventano sale da slot machine».
E la mafia a sfondo politico?  
«Situazione ancora più umiliante. Evidentemente il lavoro della giustizia non basta. Bisognerebbe ripristinare una forma di ostracismo, come nell’Atene del V secolo».
La Raggi ha detto in aula: «Hanno ucciso Roma, oggi vincono i cittadini».
«Una frase di circostanza. Almeno avrebbe potuto prepararsene una più originale».
Gotor, molto vicino a Bersani, ha detto che Mafia Capitale servì a Renzi per liquidare Marino. Il renziano Esposito gli ha risposto che non è vero.  
«Non ho sufficiente intelligenza per commentare le parole di un senatore, per di più con curriculum studiorum come quello di Esposito».
E gli avversari di Renzi? All’epoca la difesero come avrebbero potuto?  
«Domanda da rivolgere a loro. Io fui ridicolizzato e umiliato – dalla Panda rossa ai petali dei Casamonica al fantomatico invito del Papa – con una campagna intrisa di malafede. Ma ricordo anche la solidarietà  di persone del Pd come Bersani, Delrio e Legnini».
E D’Alema?  
«Ah, lui mi ha sempre dimostrato stima. Il nostro rapporto è oltre il Pd».
Ormai anche in senso letterale: ne siete entrambi fuori.  
«Ma io sono un fuoriuscito particolare, sottoposto a una rimozione forzata come le auto in divieto di sosta».
Eppure dopo i primi arresti la sua posizione si era rafforzata.  
«Sembrava che il Pd volesse affidarmi la rigenerazione del partito. Poi Renzi si rivolse a Orfini, che gli garantiva totale asservimento».
Perchè, secondo lei?  
«Il mio bisturi sarebbe stato incisivo».
Che cosa hanno in comune Renzi e Orfini?  
«Sono due professionisti della politica, nel senso deteriore».
Che cosa è successo dopo?  
«Nemmeno una riga del rapporto Barca, secondo cui 27 circoli del Pd romano su 108 sono “dannosi” e da chiudere, è stato realizzato. Gli attuali dirigenti del Pd hanno voluto impadronirsi del partito piuttosto che riqualificarlo. A costo di consegnare la Capitale alla destra trasfigurata all’ombra dei Cinquestelle».
C’è stata una strumentalizzazione della parola “mafia”?
«Non direi, certo non da parte mia. Renzi e Orfini hanno colto l’occasione per allontanare chi stava lavorando con determinazione per sradicare dal Comune le consorterie criminali come quella condannata oggi. Azioni evidentemente non capite o non gradite. Chi era al governo voleva chiudere la mia esperienza “marziana” il più rapidamente possibile».
In questa vicenda che ruolo ha avuto la Procura di Roma?  
«Ho per la magistratura un rispetto inscalfibile. Ma obiettivamente, senza Mafia Capitale e l’inchiesta sugli scontrini io sarei ancora in Campidoglio. Contro di me ci fu una convergenza opaca di interessi. Non so se qualcuno abbia voluto o tentato di condizionare la magistratura. Ma so che i giudici non sono condizionabili».
Come sta ora Roma oggi?  
«Il disastro è sotto gli occhi di tutti. Chi la guida in questo momento non è all’altezza».
Qual è il risultato di un anno di giunta Raggi?  
«Lasciare Roma senza controllo e così riconsegnarla – non voglio dire se consapevolmente o solo con superficialità  – a chi nel vuoto di visione ha sempre fatto buoni affari».
Il mondo di mezzo o altri?  
«Fossi nei panni della Raggi, mi preoccuperei del fatto che in questi giorni vengono riaffidate – con l’assenso di Comune e Regione – quasi 1000 tonnellate al giorno di rifiuti, valore 175 mila euro, al monopolista privato, l’avvocato Cerroni».
Questa sentenza la allontana o la avvicina dalla politica?  

«Io non ho mai chiuso con la politica intesa come impegno sociale e intellettuale».
Prodi pare aver portato le sue tende fuori dal Pd. Le sue dove sono piantate?  
«Nella sinistra e nella democrazia, dunque lontanissime dal Pd di Renzi. Soffro per l’agonia a cui è sottoposto il partito che ho contribuito a fondare. Oggi mi sembra difficile dire che il Pd renziano esista ancora».
Che pensa di quello che si muove fuori dal Pd?
«Comprendo e apprezzo gli sforzi di Pisapia, Speranza, Bersani e D’Alema, come gli interventi di Prodi e Letta».
Lei ci sarà ?  
«C’e’ un tempo per ogni cosa, se sarà  richiesto il mio contributo ci penserò».
E Renzi? Leggerà  il suo libro?  
«Perchè, Renzi legge?».
Non intendevo questo. Lei leggerà  il libro di Renzi?  
«Per restare a Firenze, preferisco Dante».
Che pensa del fatto che Gentiloni, da lei sconfitto alle primarie romane, oggi sia premier?
«Nel Pd renziano arrivare terzi conviene».
Esclude di tornare a fare politica a Roma?  
«Nei miei brevi periodi in città  percepisco affetto. Da bambino ho imparato a non escludere niente».

(da “La Stampa”)

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L’INSANO SOLLIEVO

Luglio 21st, 2017 Riccardo Fucile

LA SENTENZA SUL PROCESSO DI MAFIA CAPITALE E CHI GIOISCE PERCHE’ SONO SOLO CRIMINALI E NON MAFIOSI

Quando la politica di una città , di fronte a condanne per 250 anni di carcere, festeggia ci sarebbe da essere contenti.
Ma se si ascolta meglio e si scopre che non si festeggia perchè giustizia è stata fatta bensì perchè i criminali che dominavano la scena sono riconosciuti delinquenti però non mafiosi, allora c’è davvero da avere paura.
Quando ci si sente sollevati perchè i Palazzi erano infiltrati fino al midollo da un’associazione criminale che non può essere definita mafiosa, allora si è perduti.
Amare Roma significa fare pulizia, non continuare a nascondere la spazzatura della corruzione, del malaffare e della criminalità  organizzata dietro una rivendicazione d’orgoglio posticcio.
Significa fare i conti davvero e fino in fondo con una città  che è diventata capitale dello spaccio di cocaina, in cui il crimine controlla gangli economici vitali.
Le sentenze si rispettano ma la sensazione di sollievo che si è diffusa ieri sembra portare le lancette del tempo molto indietro, a quegli anni in cui si negava la ‘ndrangheta in Piemonte o in Emilia, in cui si scuoteva la testa indignati all’idea che i clan stessero conquistando tutto l’hinterland milanese.
E sappiamo quali danni abbiano fatto decenni di sottovalutazione politica dei fenomeni mafiosi.
Ora a Roma si stabilisce che è la geografia a definire i fenomeni e non i fenomeni a riscrivere la geografia. La mafia è tornata ad essere cosa siciliana, nessuno si permetta più di immaginare che sopra il Garigliano nuovi clan autoctoni possano utilizzare modalità  che sono proprie delle associazioni di stampo mafioso.
Possiamo andare a dormire tranquilli, magari dopo aver fatto un brindisi.
Ma chiudete bene la porta e assicuratevi che i ragazzi siano in casa.

(da “La Repubblica”)

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