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“O VOI CAPI’?”: COME LUCCI PROVA A SPIEGARE A SALVINI PERCHE’ I RISTORANTI NON POSSONO APRIRE LA SERA

Febbraio 24th, 2021 Riccardo Fucile

“MA LO VUOI CAPIRE O NO CHE SE RIAPRI LA SERA SCOPPIA IL BORDELLO? LA GENTE S’EMBRIAGA, SE FA LE CANNE, SE FA DE TUTTO”

Matteo Salvini continua imperterrito a ripetere: “Perchè i ristoranti non possono aprire anche a cena?”. E perfino Lucci a Cartabianca si è messo di buzzo buono a cercare di spiegargli che non è una buona idea. Ci sarà  riuscito?
Enrico Lucci esordisce al suo ingresso in studio scherzando sui calzini a righe dell’ex ministro dell’Interno.
Ma subito incalza il “Capitano” chiedendogli conto delle sue parole: “L’altro giorno ho visto ‘sta notizia che hai detto ‘Qua o si riapre tutto o sarà  un disastro’. Allora io ho riflettuto ‘Aoh, ma ‘sta cosa già  la sappiamo tutti quanti, non è ‘na grossa novità . La novità  è come risolvere l’eventuale disastro. Purtroppo questa cosa di riaprire tutto non se po’ fa’!”.
Salvini ovviamente continua a ripetere che i sindaci e anche il presidente dell’Emilia Romagna Bonaccini sono d’accordo con lui sulla riapertura dei ristoranti.
Lucci chiede anche a Salvini, ricordandogli che ora è al governo, quando arriveranno i ristori. Salvini si schernisce spiegando che il governo non è ancora insediato perchè non sono stati nominati i sottosegretari, ma che la priorità  è sbloccare i 32 miliardi di rimborsi.
Il siparietto continua per qualche minuto con Lucci che un po’ serio e un po’ faceto prova a rielaborare il concetto per spiegare il rischio che si corre con i ristoranti aperti la sera: “Ma lo vuoi capire o no che se riapri la sera scoppia il bordello? La gente s’embriaga, se fa le canne, se fa de tutto”, è la frase cult. E in tanti su Twitter l’hanno trovata efficace

(da “NextQuotidiano”)

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COVID, TORNA L’INCUBO SCUOLE: A FAR PAURA ORA SONO LE VARIANTI

Febbraio 24th, 2021 Riccardo Fucile

DA BRESCIA A BERGAMO, DA CREMONA A ROMA, DA TREVISO A SASSARI

Le scuole sono tornate al centro delle cronache Covid. Il mantra “la scuola è sicura”, così fuorviante nella precedente stagione di governo, non viene neppure più accennato. Le varianti hanno cambiato il punto di vista anche di un Comitato tecnico scientifico che in autunno voleva convincere il governo a tenere tutta l’istruzione aperta, in nome della tutela del sapere e dell’integrità  psichica dello studente. D’altro canto, per la prima volta l’ultimo report dell’Istituto superiore di sanità , venerdì scorso, ha indicato come la fascia d’età  8-19 anni sia in qusto momento quella con più contagi.
Il legame varianti Covid-adolescenti, e ovviamente adolescenti-scuola, ha trovato un’altra conferma nell’istituto del Quartiere africano di Roma, il Sinopoli di Via Mascagni: dopo aver conosciuto un caso di “inglese” — con la chiusura di materna ed elementare del plesso -, ha certificato la presenza della “brasiliana”, la forma del virus che sta assediando l’Umbria e che ancora non si era vista nel Lazio. Otto persone, due insegnanti e sei studenti, al momento sono positive. Per millecinquecento studenti, docenti e amministrativi nei prossimi cinque giorni è previsto il controllo epidemiologico. Istituto Sinopoli ovviamente chiuso
Negli ultimi tre giorni sei le scuole fermate per Covid a Roma, soprattutto istituti per l’infanzia ed elementari. La variante inglese, il cui focolaio è stato avvistato in un plesso di Carpineto, la larga provincia di Roma, ha portato il presidente del Lazio, Nicola Zingaretti, a far chiudere le scuole in zona, dai nido alle superiori, e a dichiarare aree rosse sia Carpineto che Colleferro. Il sindaco di Anagni, Danile Natalia, ha avvistato il problema e vietato l’ingresso agli istituti scolastici della sua città  ai ragazzi di Carpineto e Colleferro. Due casi di variante inglese, su diciannove totali, sono stati certificati in una primaria del Comune di Fiumicino, sempre Città  metropolitana di Roma.
“La situazione è preoccupante”, dice Mario Rusconi presidente dell’Associazione nazionale presidi del Lazio. “Se doppia mascherina o protezioni Ffp2 non dovessero bastare, è necessario mettere le classi in quarantena e ricorrere alla Didattica a distanza”.
Dieci contagi nella scuola elementare Marconi di Cecina hanno contribuito a far passare il comune livornese in zona rossa. E l’assessore alla Sanità  dell’Emilia Romagna, Raffaele Donini, ha spiegato che a Bologna e nella sua provincia nelle ultime settimane c’è stato un “incremento significativo” dei contagi da Covid: “Anche nel settore della scuola”. Donini ha chiesto all’Azienda sanitaria di attivare maggiori risorse per assicurare le attività  di contact tracing e sorveglianza: “Siamo nel picco epidemico”.
L’area più critica resta la Lombardia settentrionale. Gli istituti scolastici sono stati chiusi a Brescia, in sette comuni in provincia di Bergamo e in uno nel Cremonese: in queste aree è scattata la zona arancione rafforzata. In Lombardia, nella settimana dal 15 al 21 febbraio, sono stati 547 i casi di tamponi positivi segnalati dalle scuole all’Ats Città  metropolitana di Milano. Sono 409 alunni e 138 operatori scolastici. Il numero di persone isolate, invece, è a quota 6.106, di cui 5.902 alunni e 204 operatori. Dei 547 positivi, 20 sono del nido, 76 della scuola dell’infanzia, 149 della primaria, 118 della secondaria di primo grado e 184 di quella di secondo grado.
A Soligo di Treviso   è stata fermata un’intera scuola elementare con le sue dieci classi. E così a La Maddalena, in provincia di Sassari, dove una bambina è stata colpita dalla variante inglese. In venti comuni della provincia di Ancona, capoluogo compreso — sono entrati tutti in zona arancione -, la diffusione del contagio si è concentrata in alcune classi e in alcuni plessi.
Non decolla, per ora, il piano “unità  mobili”, una sorta di pronto interventio nelle scuole per circoscrivere il contagio accertato e avviare un rapida e selettiva campagna di isolamento e tamponi rapidi. Lo ha chiesto il ministero dell’istruzione su indicazione del Cts, coinvolge Difesa, Esercito e Protezione civile.
In Puglia, dove il Tar aveva sospeso l’ordinanza regionale “studenti tutti a casa” accogliendo l’istanza del ricorso presentato dal Codacons Lecce e da un gruppo di genitori. il presidente Michele Emiliano ha firmato una nuova ordinanza che tiene ogni ciclo in Didattica a distanza (ora chiamata Did, integrata) fino al 14 marzo.
In diverse Regioni, come abbiamo raccontato nella newsletter Dietro la lavagna sono partite le vaccinazioni al personale scolastico. La Toscana ha bruciato le tappe, il Lazio è partito ma i tamponi sono pochi: nel primo giorno sono stati vaccinati con Astrazeneca 4.000 docenti. Il Piemonte ha aperto le adesioni al vaccino per gli under 55 e così la Puglia. In Abruzzo si stanno vaccinando sia i docenti scolastici che il personale universitario, non senza problemi. Da lunedì scorso ci si prenota per le maestre dell’infanzia in   Veneto e in Emilia-Romagna, dove si sono registrati ritardi. Le Marche partiranno dal primo marzo.
In Calabria il presidente facente funzione, Antonino Spirlì, ha annunciato che dalla prossima settimana inizierà  la vaccinazione del personale della scuola, che si protrarrà  per 15-20 giorni, durante i quali gli istituti resteranno chiusi. La campagna non decolla in Lombardia e in Sicilia, dove le indicazioni sono state fin qui contraddittorie, come denunciala segretaria generale della Cisl scuola, Maddalena Gissi.
In generale, resta irrisolta la questione dei docenti pendolari, esclusi dalla vaccinazione sia nella regione dove insegnano che in quella di residenza.

(da agenzie)

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A BRESCIA IL VIRUS E’ FUORI CONTROLLO, MA POCHI GIORNI FA LA LEGA VOLEVA RIAPRIRE LO SCI

Febbraio 24th, 2021 Riccardo Fucile

BERTOLASO SI E’ SVEGLIATO: “BISOGNA INTERVENIRE IMMEDIATAMENTE”… POTEVA DIRLO A TEMPO DEBITO AL MINISTRO GARAVAGLIA CHE VOLEVA RIAPRIRE A TUTTI I COSTI

Quella di Brescia è una delle province più colpite dal covid: basti pensare che dall’inizio della pandemia, ora conta un centinaio di morti in più rispetto a Bergamo, atra città  martoriata dal virus.
Ora la situazione non è più sotto controllo, e Guido Bertolaso, neo commissario straordinario per il piano vaccinale della Lombardia, parla di “terza ondata giù arrivata a Brescia, dobbiamo intervenire immediatamente”.
A lanciare l’allarme è stato il sindaco della città , che nel fine settimana scorso chiama urgentemente il governatore Attilio Fontana: “Qui la situazione è grave”, “tranquillo è già  al vaglio del Cts”, lo rassicura il numero 1 del Pirellone. E chiude tutto con una zona arancione “rafforzata”, con possibilità  di lockdown locali e mirati. E fin qui poco male. Anzi, bene (ma è doveroso ricordare che lui lamentava che da Roma non dessero notizie su aperture e chiusure di tutto il territorio nazionale nelle fasi più acute della pandemia, se non poche ore prima. Ecco, lui ha fatto la stessa cosa con Brescia).
E però: fino a pochi giorni fa Attilio Fontana & company avevano tuonato contro il ministro della Salute Roberto Speranza, reo di aver fatto sapere solo poche ore prima agli imprenditori invernali che i loro impianti non avrebbero potuto riaprire. Perchè, ovviamente, la situazione sanitaria del Paese ancora non lo permetteva ieri e non lo permette oggi. Ma no, la Lombardia non l’ha accettato, tanto che non solo il capo della Regione ha detto la sua, ma anche il ministro leghista del Turismo Garavaglia aveva attaccato il collega alla Salute: “Non è possibile che decida all’ultimo e da solo” (che poi, solo non era. E anzi: era stata scelta condivisa da Draghi e dal suo esecutivo).
Ma vabbè. Indovinate però qual era una delle zone in cui -a detta dei suoi amministratori- i danni per gli imprenditori della montagna fossero maggiori? Il bresciano, ovviamente.
Dove, solo una settimana dopo dal fattaccio del rinvio dell’apertura degli impianti sciistici, il direttore generale dell’Asst Franciacorta (dove il covid ha attaccato pesantemente), he detto: “Nell’ospedale di Chiari ho trasformato tutto quello che potevo in reparti Covid. Chiudendo la Pediatria e accorpando Cardiologia e Neurologia. I ricoverati per colpa del virus sono passati da 50 a 95 in una settimana”

(da “NextQuotidiano”)

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BRESCIA, RICOVERI TRIPLICATI IN DUE MESI: “ABBIAMO BISOGNO DI AIUTO”

Febbraio 24th, 2021 Riccardo Fucile

“OCCORRE AUMENTARE IL NUMERO DELLE STRUTTURE PROTETTE DOVE POTER DIMETTERE I PAZIENTI”

Adesso è ufficiale: tutta la provincia di Brescia sarà  zona arancione rafforzata a causa della crescita dei contagi da Coronavirus. Le stime sulla diffusione delle varianti Covid, raccolte da Open, erano allarmanti già  il 18 febbraio.
E la vicepresidente di Regione Lombardia, Letizia Moratti, ha detto che le varianti sono presenti nel 39% dei casi. Sul territorio gli ospedali sono in affanno. Medici e infermieri continuano a lottare, ma ora devono affrontare quella che Guido Bertolaso non ha esitato a definire la «terza ondata» dell’epidemia. E anche loro hanno bisogno di aiuto.
«L’ospedale è un luogo in cui normalmente non si muore», racconta a Open Renzo Rozzini, responsabile dei reparti Covid in Fondazione Poliambulanza, uno dei maggiori ospedali di Brescia e caso unico di sanità  privata no profit in Lombardia. Rispetto alla morte — generalmente confinata nei reparti di terapia intensiva o di geriatria, ma in numeri molto più bassi rispetto a quelli determinati dalla pandemia — «non esiste una consuetudine, non c’è un allenamento possibile».
Veder morire così tanti pazienti, in altre parole, sta lasciando «ferite profonde» nell’animo del personale sanitario. E si può solo immaginare quale sia il livello di stress emotivo legato al mestiere, un fattore che pesa inevitabilmente anche sui turni, sull’organizzazione del lavoro: «Alcuni medici sono veramente segnati. Un medico, di per sè, si considera indistruttibile. Anzi, prende forza dall’atto di cura e fatica a farsi curare a sua volta, non accetta facilmente la propria fragilità . C’è anche chi rifiuta il supporto psicologico, perchè non riesce a parlarne. Bisogna stargli vicino».
Al Poliambulanza è stato necessario allestire pochi giorni fa un reparto Covid aggiuntivo rispetto ai tre già  presenti. Spiega sempre Rozzini: «Registriamo un aumento dei ricoveri e parallelamente, soprattutto nel fine settimana, una riduzione dei flussi in uscita, ovvero delle dimissioni». Il sabato e la domenica ci sono meno medici e la capacità  di accoglienza di tutto il sistema sanitario organizzato è più limitata. È sempre stato così, ma con l’epidemia ancora di più, perchè la priorità  viene data ai servizi di emergenza, alle ambulanze e ai pronto soccorso
Ricoveri quasi triplicati rispetto a Natale
I numeri parlano chiaro: «A Natale avevamo 54 pazienti Covid ricoverati. Domenica scorsa siamo arrivati a 132. Sono quasi triplicati». L’aumento è iniziato nella prima settimana di febbraio, con 90 pazienti. Poi, dal 10 febbraio, l’impennata vera e propria. «Ma l’ospedale deve funzionare anche per gli altri pazienti critici, che nell’ultimo anno sono stati di fatto espulsi. Ci sono anche altri pazienti che devono essere ricoverati, la capacità  non è illimitata», continua Rozzini
Pazienti trasferiti a Milano, Bergamo e Crema
Proprio per poter garantire anche questo tipo di attività , il Poliambulanza ha cominciato a trasferire altrove i malati di Covid-19. Domenica scorsa ne sono stati trasferiti cinque tra Milano, Bergamo e Crema. Ieri altri 11. «Oggi non so ancora quanti saranno, ma il dato è in crescita», prosegue Rozzini. E c’è anche un altro numero su cui riflettere: «A novembre abbiamo raggiunto un picco massimo di 126 ricoveri, meno quindi di domenica scorsa. E soprattutto il 60% arrivava da altre province. A novembre abbiamo dato, adesso siamo noi che abbiamo bisogno di aiuto, speriamo per un tempo limitato»
«Gli ordini si eseguono, non si discutono»
Sull’ordinanza appena varata dalla Regione, il dottor Rozzini non intende fare commenti inutili: «Quando c’è un’epidemia, bisogna entrare nell’ottica che gli ordini non si discutono. Se chi governa la sanità  dà  un ordine, bisogna eseguirlo. Io ricevo ordini e do ordini in una catena di trasmissione che deve essere logica per il bene della comunità . Bisogna salvare più persone possibili e per farlo c’è bisogno di una visione d’insieme. Con i “secondo me” non si va da nessuna parte»
Il peso delle variabili extra-cliniche sui percorsi assistenziali
Ma la zona arancione rafforzata sarà  sufficiente ad arginare la terza ondata a Brescia? «Questo non lo so», risponde Rozzini, «posso dire però che esistono variabili cliniche e variabili extra-cliniche». Queste ultime sono di carattere organizzativo e possono modificare drammaticamente i percorsi assistenziali. Chiarisce ancora Rozzini: «Se ho a disposizione dei posti dove dimettere i pazienti che possono proseguire il trattamento con cure a bassa intensità , tipo i Covid Hospital o simili, ho un flusso in uscita che mi permette di accogliere nuovi malati. Viceversa, se non ho la possibilità  di dimettere perchè il sistema è bloccato a valle, i pazienti si accumulano in ospedale e il numero dei posti letto necessari cresce sempre di più»
Le richieste alle istituzioni
La richiesta rivolta alle istituzioni, quindi, è chiara: serve un’organizzazione complessiva del sistema che incrementi il numero delle strutture residenziali e l’assistenza domiciliare. «In ospedale vengono curati i malati più gravi, con degenze lunghe, che poi avrebbero bisogno di luoghi di convalescenza e monitoraggio». Durante la prima ondata dell’epidemia i Covid Hotel «volevano solo pazienti autosufficienti». Il problema vero, però, sono quelli non autosufficienti, ad esempio perchè non sono in grado di prendere le medicine da soli: «Servono quindi strutture protette anche dal punto di vista infermieristico, non solo alberghiero. In Lombardia ce ne sono, ma non sono sufficienti. Sarebbe necessario aumentarle»
Segnali di speranza
La vera speranza è riposta nel vaccino: «Al Poliambulanza ci siamo vaccinati tutti. Medici, infermieri e personale amministrativo. Questo ci dà  sicurezza, è tutto un altro modo di lavorare». Poi c’è l’esperienza acquisita nella cura della malattia: «Siamo diventati molto più bravi nel capire i malati, prevedendo chi si potrà  aggravare. Durante la prima ondata ci basavamo molto sulle intuizioni, ma le intuizioni vanno sperimentate. Davamo gli antivirali, ma poi sono risultati non efficaci. Adesso ai pazienti diamo l’eparina in profilassi e il cortisone a dosaggi precisi quando hanno bisogno dell’ossigeno». Eppure la pressione sugli ospedali, fatalmente, condiziona anche la prognosi. Perchè «se ci sono troppi pazienti, la qualità  della cura non può essere adeguata»
Saturi anche i presidi della Asst del Garda
Lo stesso concetto viene espresso da Gaetano Elli, direttore sanitario dell’Asst del Garda. I tre presidi della Asst — Desenzano, Gavardo e Manerbio — sono saturi: «In questo momento abbiamo 170 pazienti Covid ricoverati di cui 11 in terapia intensiva e abbiamo esaurito la riserva di posti disponibili», spiega Elli. Regione Lombardia «ci ha chiesto di aumentare i posti letto», ma per assicurare un’assistenza adeguata servirebbero medici e infermieri in più. L’altra opzione, a parità  di forze disponibili, è dimettere un maggior numero di pazienti non Covid “scaricandoli” sulle strutture sanitarie residenziali, pubbliche ma in gran parte del privato convenzionato e accreditato. Per farlo, è indispensabile un alto livello di coordinamento. «Ho appreso con piacere dell’ordinanza regionale che ha istituito la fascia arancione rafforzata», conclude quindi Elli, «perchè nella nostra area i contagi stanno crescendo e per almeno un paio di settimane è prevedibile che il trend rimarrà  questo. Fatte salve le urgenze, dedicare ai pazienti Covid ulteriori posti letto significa essere costretti a dilazionare i ricoveri un po’ meno urgenti. Una scelta drammatica, ma di fronte all’emergenza sanitaria non possiamo comportarci diversamente».

(da Open)

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MORTO SUICIDA ANTONIO CATRICALA’, EX GARANTE DELL’ANTITRUST

Febbraio 24th, 2021 Riccardo Fucile

AVEVA 69 ANNI, E’ STATO ANCHE SOTTOSEGRETARIO ALLA PRESIDENZA CON IL GOVERNO MONTI

L’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ed ex Garante dell’Antitrust, Antonio Catricalà , è stato trovato morto questa mattina nella sua abitazione a Roma, nel quartiere Parioli. Catricalà , secondo quanto si apprende da fonti investigative, si sarebbe suicidato sparandosi un colpo di pistola. Il corpo senza vita di Catricalà  è stato trovato sul balcone dalla moglie, in casa al momento dello sparo. Sul posto è presente la Polizia e la Scientifica. La Procura di Roma ha avviato un fascicolo di indagine in relazione al suicidio e il pm di turno Giovanni Battisti Bertolini si è recato sul luogo.
Sessantanove anni compiuti lo scorso 7 febbraio, Catricalà  ha ricoperto l’incarico di presidente dell’Autorità  Garante della Concorrenza e del Mercato per sei anni, dal 2005 al 2011. Nel suo lungo curriculum anche una duplice esperienza come sottosegretario alla presidenza del Consiglio con l’esecutivo guidato da Mario Monti, dal 2011 al 2013. Dal 2001 al 2005, quando capo del governo era Silvio Berlusconi, è stato anche segretario generale della presidenza del Consiglio dei ministri.
Sposato e con due figlie, Catricalà  dal 2017 era anche presidente di Adr, la società  che gestisce l’aeroporto di Fiumicino. Laureato in giurisprudenza a 22 anni, è stato anche magistrato del Consiglio di Stato e viceministro dello Sviluppo Economico durante il governo Letta.   Allievo di uno dei massimi esperti di diritto privato, il professor Rescigno, Catricalà  ha anche avuto una parentesi come professore all’Università  degli studi di Roma Tor Vergata
Si moltiplicano intanto i messaggi di cordoglio da parte dei rappresentanti delle istituzioni e del mondo politico. “Grande amico, grande servitore dello Stato, Antonio Catricalà  lascia un incolmabile vuoto in tutti quelli che lo hanno conosciuto e hanno avuto l’onore e il privilegio di lavorare con lui. È un dolore fortissimo”, ha detto il ministro per la funzione Pubblica Renato Brunetta. L’aula del Senato ha rispettato un minuto di silenzio, su invito della presidente Elisabetta Casellati, iinformando l’aula della morte dell’ex sottosegretario, esprimendo “il cordoglio personale e dell’Assemblea” alla famiglia.

(da agenzie)

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