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QUESTI NUMERI DIMOSTRANO CHE L’ITALIA HA DRAMMATICAMENTE BISOGNO DI UNA LEGGE CONTRO L’OMOTRANSFOBIA

Maggio 18th, 2021 Riccardo Fucile

50 RICHIESTE DI AIUTO AL GIORNO, 20.000 L’ANNO… IN EUROPA, TRA I PAESI CHE HANNO ADOTTATO LEGGI A TUTELA, L’ITALIA E’ AGLI ULTIMI POSTI

Finita la festa, forse sarebbe il caso di tornare di corsa all’urgenza politica.
La Giornata internazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia ricorda il 17 maggio 1990, quando l’Oms rimosse l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali ma quella di ieri è stata inevitabilmente la giornata per riflettere su quel Ddl Zan che è la risposta che ci si aspetta, finite le celebrazioni.
Ci sono i numeri, ad esempio, che qualcuno insiste a negare: Gay Help Line (la linea nazionale antiomofobia e antitransfobia per persone gay, lesbiche, bisex e trans gestito dal Gay Center) ieri ha raccontato delle 50 richieste d’aiuto che riceve ogni giorno, per un totale di 20mila all’anno. Numeri spaventosi.
Il 60% delle istanze d’aiuto arrivano da giovani tra i 13 e i 27 anni: in quella fascia d’età uno su due ha subito moderati o gravi problemi in famiglia dopo il coming out. Si arriva addirittura al 70% per quelli che hanno rivelato l’identità di genere.
Il 36% dei minorenni ha ottenuto come reazione la reclusione all’interno delle mura domestiche, tentativi di “conversione” e violenza verbale e fisica. Le notizie che leggiamo sui giornali sono solo uno squarcio della realtà: il 17% dei maggiorenni che si sono dichiarato ha perso improvvisamente il sostegno economico della famiglia.
A tutto questo, poi, si è aggiunta la pandemia che ha moltiplicato le minacce ricevute (dall’11% al 28%) e le discriminazioni sul lavoro (dal 3% al 15%) contribuendo al fenomeno della rinuncia a denunciare. Perché su questo tema bisognerebbe avere il coraggio anche di smettere di considerare le denunce come unica fotografia possibile della realtà.
Il progetto di raccolta dei casi di violenza omofobica e transfobica verificatisi in Italia dal 2012 ad oggi, raccolti da Massimo Battaglio nell’ambito del progetto “Cronache di ordinaria omofobia”, ha messo in fila, dal 2013 al 5 ottobre 2020, 876 casi di omo/transfobia per un totale di 1.166 vittime e quasi quotidianamente se ne registrano di nuovi. E questo è solo l’emerso.
Nella Rainbow Map elaborata ogni anno da Ilga-Europe, che valuta le leggi e le politiche in favore delle persone Lgbti (con Malta in testa con un punteggio del 94%), l’Italia sta tra gli ultimi (con il 22%) mentre la media europea è del 60% (Portogallo 68%, Finlandia, Spagna e Svezia 65%).
I diritti si celebrano principalmente innestando nuove politiche e, guardando i numeri, ci si continua a chiedere cosa si stia aspettando a votare una legge che è lì, pronta, per farci fare un passo in avanti.
(da TPI)

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“SIETE LESBICHE, VI AMMAZZEREI”: LE DUE UNIVERSITARIE INSULTATE SUL BUS A TORINO

Maggio 18th, 2021 Riccardo Fucile

FLAVIA E CLAUDIA SI VOGLIONO BENE DA DUE ANNI, SE QUALCUNO HA UN PROBLEMA VADA DA UNO PSICHIATRA (MA DI QUELLI BRAVI)

A volte quando ci si trova davanti a qualcuno che non vuole capire la migliore l’arma è l’ironia. E la risposta di Flavia all’omofobo che ha cercato addirittura di trovare consensi tra le persone presenti mettendole in minoranza lo riduce a quello che è: una spalla
«Eravamo alla fermata di piazza Castello e un signore continuava a fissarci. Scuoteva la testa, allargava le braccia» dicono Flavia Sorbo e Giulia Gualfo, 27 anni, universitarie fuori sede, in città per studiare cinema.
Una volta salite sul tram, quell’uomo continua a borbottare. «Come si fa? Non è possibile. Due donne insieme» ripete alzando sempre di più il tono di voce. Come a cercare consensi. Ad un certo punto scandisce la frase: «Fosse per me, vi ammazzerei». Flavia lo affronta: «Mi scusi, qual è il problema?» E lui: «Io con un uomo non andrei mai». Lei risponde serafica: «Nemmeno io»
Giulia e Flavia stanno insieme da due anni. Spiegano che nessuno è intervenuto per difenderle. Una signora dopo, in disparte ha detto loro che la scena non le era piaciuta ma di non farci caso e di lasciare perdere. Come se fosse normale far finta di niente.
(da agenzie)

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COME REPORT HA SMENTITO IN UN SOL COLPO LA LEGA E LIBERO

Maggio 18th, 2021 Riccardo Fucile

“ECCO PERCHE’ SOLO FALSE LE ACCUSE DELLA LEGA: NON ABBIAMO MAI INTERVISTATO IL FALSO MEDICO CHE ACCUSA LA REGIONE LOMBARDIA COME RISULTA DALLE TRASCRIZIONI”… “IL FALSO MEDICO HA COME LEGALE IL LEGHISTA COTA”

Ormai se ne inventano di ogni. La trasmissione di Rai Tre Report viene attaccata da destra e manca, ma risponde a ogni colpo.
Prima l’affaire Renzi e Italia Viva e il il falso dossier in cui vi è scritto che la Rai avrebbe pagato 45mila euro una società lussemburghese che avrebbe dovuto girare parte di quei soldi a una fonte.
Ora invece la Lega, tramite il deputato Fabrizio Cecchietti (commissario lombardo) e il capogruppo in Vigilanza Rai Massimiliano Capitanio, è andata all’attacco.
E ha sostenuto che Report avrebbe intervistato Andrea Adessi, un falso medico per “attaccare la Regione Lombardia e Fontana”.
Ma – risponde Sigfrido Ranucci con un post – sul loro sito è facilmente verificabile che questo sia un falso (basti leggere le trascrizioni del pezzo, che lì si possono trovare), e che Report non si sia mai affidato a questa persona.
Il servizio è uno che la squadra di Sigfrido Ranucci ha realizzato per raccontare la gestione del virus nella regione Lombardia, amministrata dal governatore Attilio Fontana, la vice Letizia Moratti e Guido Bertolaso.
Ecco cosa ha scritto Libero, dando fiato alla “denuncia” leghista:
“La foga di dover attaccare Regione Lombardia fa brutti scherzi. Ora scopriamo che uno dei paladini di Report, il sindaco di Robbio, Roberto Francese, si era affidato a un “falso” medico per somministrare i tamponi ai concittadini. Andrea Adessi non avrebbe titolo abilitativo e si sarebbe presentato in tv come medico». Lo dichiarano i deputati della Lega Fabrizio Cecchetti, commissario lombardo, e Massimiliano Capitanio, capogruppo in Vigilanza Rai. Insomma, pur di combattere Attilio Fontana, in una battaglia ostinata e a senso unico, Report, la trasmissione di Rai 3 condotta da Sigfrido Ranucci, si affida… a un falso medico.”
La risposta di Sigfrido Ranucci
In mattinata il conduttore di Report ha risposto a queste (infamanti) accuse. E lo ha fatto affidandosi ai social (sottolineando peraltro che il presunto medico sia assistito dall’avvocato Roberto Cota, leghista ed ex governatore del Piemonte):
“Report non si è mai affidata a un falso medico. Sono false le accuse della Lega, come è facile verificare dalle trascrizioni presenti sul sito. Non abbiamo mai né menzionato né intervistato Andrea Adessi, oggetto di indagini della Procura di Vercelli per abuso di professione, che ha potuto esercitare indisturbato senza controllo delle autorità regionali competenti. Ci eravamo invece occupati del caso Di Robbio e della battaglia del suo sindaco, Roberto Francese, che nei giorni in cui in Lombardia morivano ogni giorno decine di persone anche a causa dell’assenza dei tamponi, ha permesso ai suoi cittadini di accedere ai test sierologici rapidi. La polemica della Lega contro di noi risulta dunque non solo pretestuosa ma destituita di completo fondamento. Tanto più che a quanto ci risulta nei procedimenti giudiziari in cui è stato in passato coinvolto Adessi risulta che il suo legale fosse Roberto Cota, ex capogruppo della Lega alla Camera nonché ex presidente della Regione Piemonte.
(da “NextQuotidiano”)

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COME SALVINI HA PERSO LA BATTAGLIA SUL COPRIFUOCO

Maggio 18th, 2021 Riccardo Fucile

NIENTE ALLENTAMENTO FINO ALLE 24, DA DOMANI SLITTERA’ SOLO ALLE 23… FORZA ITALIA LASCIA SOLA LA LEGA

Da domani il coprifuoco in Italia slitterà alle 23. Mentre Giorgia Meloni soffia sul fuoco dicendo che non c’è nulla da gioire, è Salvini che ha perso la scommessa di ottenere da Draghi un allentamento della misura fino alle 24, come chiedeva la Lega.
“Grazie alle misure adottate, alla cautela della stragrande maggioranza delle persone e all’impatto della campagna di vaccinazione possiamo proseguire il percorso graduale di riaperture. Iniziamo da subito portando il coprifuoco alle 23 e definendo un percorso di ritorno all’attività per diversi settori vitali per il nostro Paese”, spiegava ieri il ministro della Salute, Roberto Speranza, in un post su Facebook, in cui invitava anche alla cautela. “Non dimentichiamo però la prudenza e l’attenzione alle norme fondamentali di prevenzione. La fiducia nella scienza e nelle sue evidenze è un faro irrinunciabile. I dati degli ultimi mesi hanno imposto scelte faticose, talvolta dolorose – aggiunge – oggi invece sono motivo di sollievo”.
Racconta il Fatto che questa volta Salvini ha deciso di non adottare la linea dura come nel precedente CdM che vide l’astensione dei ministri della Lega. Ma che non è per nulla soddisfatto di quello che ha ottenuto. E guarda caso la colpa sarebbe di Speranza:
I voti in cabina di regia e in Consiglio dei ministri dicono che ieri il centrodestra ha deciso di non rompere. Epperò alle 18, quando Matteo Salvini decide di prendere in ostaggio i suoi ministri e sottosegretari per avere delucidazioni sulla cabina di regia appena conclusa, più di un leghista storce la bocca leggendo le indiscrezioni: “È troppo poco”.
Tant’è che poco dopo dai vertici della Lega filtra “soddisfazione per le riaperture” ma “su alcuni fronti serve più coraggio, dalle piscine al chiuso ai matrimoni alle discoteche”. Nel Carroccio parlano di “resistenze di qualcuno”mettendo ancora una volta nel mirino il ministro della Salute Roberto Speranza. Sì, perché delle battaglie leghiste per riaprire tutto e subito, il governo ne ha accolte ben poche
Giorgetti invece, intervistato sul Corriere dice chiaramente di non essere soddisfatto ma punta il dito sulla mancata solidarietà di Forza Italia che secondo il numero due della Lega si è defilata dalla lotta
E perché allora non sembra soddisfatto?
«Perché noi avevamo posto anche altre questioni. Siamo rimasti un po’ da soli a fare questa parte, ma quello che ha stabilito il presidente Draghi va bene».
Perché siete rimasti da soli? E Forza Italia?
«Francamente?».
Francamente…
«Non pervenuta. Francamente, mi sarei atteso qualche sostegno in più, coerentemente con le posizioni che leggo sui giornali».
Ma voi che cosa chiedevate in più?
«L’orario del coprifuoco noi lo vedevamo in maniera diversa. L’idea era: i locali chiudano alle 23, ma si dia la possibilità di rientrare successivamente. Ma questa proposta non è stata accolta
Alla fine della fiera giova ricordare che non sono stati né Speranza né Forza Italia a decidere. È stato il presidente del Consiglio Mario Draghi, come spiega bene Repubblica:
Il premier ricorda davanti ai suoi ministri che il contesto epidemiologico è «decisamente migliorato» ed è anche frutto della campagna vaccinale e di regole di contenimento efficaci, oltreché di comportamenti adeguati. Parla Giancarlo Giorgetti. Mugugna un po’. Sa che Matteo Salvini va dicendo in pubblico che il coprifuoco va abolito e che alla vigilia della riunione di governo gli ha chiesto di battersi per portarlo da subito almeno fino alle 24. Il ministro dello Sviluppo mette agli atti, allora, un minimo di battaglia.
«Presidente – dice durante la cabina di regia – noi siamo per spostarlo a mezzanotte». Anche Maria Stella Gelmini non si mostra ostile a questa possibilità, ma sa già che il punto di caduta sarà le 23. La questione è risolta da Draghi, senza particolari tensioni. Non è opportuno aprire tutto subito, ricorda, «perché dobbiamo misurare gli effetti su ciascun intervento, e questa gradualità ce lo consente». Assicura che l’impianto del decreto è «equilibrato» e capace di tenere assieme le necessarie riaperture e la giusta prudenza rispetto a dati da consolidare
(da “NextQuotidiano”)

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OGGI LO CHIAMA “GRANDE MAESTRO”, MA SALVINI DEFINI’ BATTIATO “PICCOLO UOMO”

Maggio 18th, 2021 Riccardo Fucile

BATTIATO AVEVA DEFINITO LA CLASSE POLITICA “TROIE CHE IN PARLAMENTO FAREBBERO QUALSIASI COSA”… SALVINI EVIDENTEMENTE SI ERA RICONOSCIUTO NEL RIFERIMENTO

“‘Perché sei un essere speciale ed io, avrò cura di te…’ Una preghiera, un ricordo e una canzone per il grande Maestro, Franco Battiato”.
Così Matteo Salvini ha voluto ricordare, con un post pubblicato su tutti i suoi canali social, il cantautore che si è spento, nella notte, nella sua casa di Milo (in provincia di Catania).
In passato, però, il rapporto tra i due non fu dei più idilliaci e l’attuale segretario del Carroccio arrivò a definire il cantautore siciliano perfino “piccolo uomo”.
Ma cosa aveva portato a questa posizione di Matteo Salvini su Battiato? Il tema era, già all’epoca, molto spinoso e controverso.
Così come quella dichiarazione, rilasciata a Bruxelles, del cantautore siciliano – all’epoca dei fatti Assessore al Turismo della Regione Sicilia – riportata da il Fatto Quotidiano: “Queste troie che si trovano in parlamento farebbero qualsiasi cosa. È una cosa inaccettabile. Aprissero un casino”.
Insomma, in quella occasione (era il 26 marzo del 2013), Franco Battiato aveva utilizzato epiteti controversi da tutta la classe politica. Il suo discorso era riferito, non alle donne ma ai politici in generale. Una critica tout-court al sistema italiano (e non solo) con parlamentari disposti a tutto pur di mantenere il proprio status.
(da NextQuotidiano)

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INSOLITO, MODERNO, TRADIZIONALE: BATTIATO ERA LO STRAVINSKIJ DELLA CANZONE ITALIANO

Maggio 18th, 2021 Riccardo Fucile

ERA ENTRATO A GAMBA TESA ROVESCIANDO QUEL MONDO COME UN CALZINO… ADDIO AMICO, IL TUO SORRISO CE LO PORTIAMO DIETRO

Per parlare di Franco Battiato dovrei cominciare seguendo il filo di una lettura critica, attenta, documentata: siamo davanti a uno dei geni, un innovatore anomalo, senza paragoni della canzone italiana; anzi della musica italiana tout court, dai primi tentativi pop degli anni 60 allo sperimentalismo elettronico e minimalista; dalla stupefacente parabola che lo portò negli anni 80 al centro della scena alle commistioni colte (diverse opere liriche, una Messa, composizioni strumentali), fino al definitivo porsi come punto autorevole della cultura italiana tutta.
Ma a dominare adesso, in questo martedì mattina milanese in cui mi arriva come una fucilata la notizia della sua morte, è la malinconia, la tristezza, insieme al senso di un percorso di ricerca arrivato al suo punto finale, misteriosamente compiuto.
Dopo Giorgio Gaber, amico di famiglia e sostenitore fin dall’inizio del suo talento (cominciò la carriera come chitarrista di Ombretta Colli), dopo Lucio Dalla, talmente vicino a lui da volere anche lui una casa a Milo, sotto l’Etna, adesso Franco: è il terzo amico artista, frequentato, ascoltato, intervistato, seguito da vicino, che non potrò più ascoltare. L’ età senile ormai si fa sentire: ascolto la loro voce, le loro grandi canzoni, e partono le lacrime, vengono alla memoria tutti i concerti, i dischi, le cene, le visite, i viaggi, le battute, i sorrisi, gli incontri, i congedi.
L’ultima telefonata, quando capii che qualcosa in lui si era irrimediabilmente incrinato, l’ultimo no che ancora mi brucia, quando la “maledetta” televisione mi obbligò a dare forfait nel 2015 per la presentazione milanese della sua bellissima antologia “Le nostre anime”, cui avevo aderito con entusiasmo. Gli spiacque, e ancora mi brucia.
Prima, tanti anni prima, ero uno dei tanti ragazzini milanesi zazzeruti che affollava i festival degli anni 70 che dopo ore di intense di chitarre rock e cantautori a pugno chiuso puntualmente finivano (erano gli anni di “Fetus” e “Pollution”), col suo moog provocatorio, indecifrabile e fascinoso come i suoi capelli portati alla Angela Davis. Aveva cominciato pop, canzonettaro anzi, ma poi si era messo a studiare, aveva cercato maestri al Conservatorio di Milano, incontrato Stockhausen, Giusto Pio, prodotto opere minimaliste e frequentato il mondo delle gallerie e dell’avanguardia. Ma fra il 1979 e il 1981, con la trilogia “L’era del cinghiale bianco”, “Patriots”, “La voce del padrone” era rientrato a gamba tesa nell’agorà della canzone italiana rovesciandola come un calzino.
Era talmente consapevole quel pop, talmente surreale e calcolato e insieme giocoso e melodico, che mi venne da definirlo lo “Stravinskij della canzone italiana”. Era insolito ritmicamente, barbaro e insieme complesso, moderno e insieme tradizionale, da farmi pensare, si parva licet, alla rivoluzione del “Sacre” sulla scena musicale parigina dei primi del 900.
Era gustoso parlare con lui, ti regalava humour a più non posso, alleggerendo, ironizzando sempre. A meno che si toccasse il cuore profondo della sua ricerca spirituale, che ne ha fatto il faro di tanti eclettici dello spirito ma anche di molte obbedientissime monache di clausura.
L’ho inseguito fra sale d’incisione e teatri lirici, meravigliose location archeologiche e palazzetti dello sport; ho frequentato le sue case milanesi e, una volta, la piscina in pietra lavica nascosta nella sua casa di Milo. Ho approfondito, capendone poco, i suoi amori fra Gurdjieff e la casa editrice l’Ottava; mi ha fatto scoprire Guenon e il Sufismo, meravigliosa declinazione del credo islamico di cui non sapevo nulla.
Mi ha fatto incontrare – ricordo una lunga granita in un bar di Catania – il fascinoso filosofo Manlio Sgalambro, ma soprattutto ogni volta che tornavo ad ascoltarlo in concerto mi regalava, seduto sul suo tappeto al centro del palco, emozioni e riflessioni profonde.
Credeva, e forse vi ha creduto fino all’ultimo, nella reincarnazione, su basi molto approfondite che francamente non vi saprei spiegare. Chissà se davvero tornerà in altra forma; certo adesso è al cospetto di quel Mistero di cui sentiva intessuta la vita di noi uomini e la sua nel profondo.
Credo che ora si senta compiuto, felice, dopo gli ultimi anni segreti di certo segnati dalla sofferenza. Addio amico, il tuo sorriso ce lo portiamo dietro, e scusaci se ascoltando la tua voce anche per te ci scioglieremo in lacrime, per amicizia e bellezza, insieme.
(da Huffingotonpost)

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E’ MORTO FRANCO BATTIATO, GENIO DELLA MUSICA ITALIANA

Maggio 18th, 2021 Riccardo Fucile

AVEVA 76 ANNI… NELLA SUA LUNGA CARRIERA HA CONSEGNATO BRANI INDIMENTICABILI COME “LA CURA” E “CENTRO DI GRAVITA’ PERMANENTE”

È morto Franco Battiato. Il cantautore si è spento oggi nella sua residenza di Milo, era malato da tempo. Dopo la frattura al femore e al bacino era riapparso sui social ma non più in pubblico.
Era nato a Jonia il 23 marzo del 1945, aveva 76 anni. La conferma è stata data dalla famiglia che fa sapere che le esequie si terranno in forma strettamente privata e ringrazia tutti per le innumerevoli testimonianze di affetto ricevute.
Difficile incasellarlo, impossibile metterlo all’interno di un genere, dargli una pur semplice etichetta, e quindi se c’è un modo semplice per spiegare il suo lavoro è quello di chiamarlo “artista” e godere della sua musica senza tempo, ma anche del suo cinema, della sua pittura.
Nella sua lunghissima carriera ha consegnato brani indimenticabili come La cura, Centro di gravità permanente, Voglio vederti danzare. E sulla morte diceva: “Non esiste, è solo trasformazione”.
Capace di spaziare tra generi diversissimi dalla musica pop a quella colta, toccando momenti di avanguardia e raggiungendo una grande popolarità, ha sperimentato l’elettronica, si è misurato con la musica etnica e con l’opera lirica. Ha diretto anche diversi film tra cui Perdutoamor e Musikante su Ludwig van Beethoven presentato alla Mostra del cinema di Venezia.
Le visioni e le emozioni
La sensazione che una specie di appagamento interiore, di soddisfazione artistica, l’avesse alfine raggiunta, dopo tanto peregrinare, l’aveva data nel 1991, quando uscì Come un cammello in una grondaia. Il titolo diceva già tutto di quello che era diventato Battiato, ovvero un cantautore che sceglieva un titolo ispirandosi ad Al-Biruni, uno scienziato persiano del XII secolo. A dir poco insolito.
Nel disco c’era uno strano pezzo intitolato L’ombra della luce, non certo dei suoi più famosi, anzi, una mini-sinfonia di 4 minuti che sprigionava una calma e trasognata serenità. Come se esibisse un frammento di assoluto.
Il pezzo aveva qualcosa di misterioso, come fosse dovuto a logiche poco attinenti al mondo della canzone, ed effettivamente quando gli chiedemmo ragione di questa sensazione lui rispose con uno sguardo consapevole e commosso: “sì, è proprio così, quel pezzo è arrivato da altrove”.
Confessò che gli aveva attraversato la mente mentre era assorto in meditazione. Era fatto così, si commuoveva per queste visioni, non certo per i sentimenti ordinari, per gli amori cantati, e la sua rivoluzione l’aveva portata avanti proprio così, combattendo gli stereotipi, le rime facili, i mielosi sentimentalismi.
E del resto in quello stesso disco c’era anche Povera patria, la più struggente elegia cantata in Italia di fronte allo scempio della bellezza e della dignità umana. Un pezzo da ascoltare sempre, come una salutare prescrizione medica, come un compito da assolvere nelle scuole.
Battiato e quella storia iniziata nel 1971
Alle canzoni c’era arrivato quasi per scommessa. Anzi ci era tornato per scommessa, perché i suoi primi anni nella musica furono milanesi, alla corte della grande editoria musicale del tempo, in Galleria, dove si era trasferito abbandonando la natia Sicilia, e dove provò effettivamente a fare il cantantino commerciale per qualche anno, seppure con scarsi esiti, ma è l’unico passato che Franco rinnegava. Non amava quella roba, non la ricordava con simpatia.
La sua storia cominciò davvero nel 1971, quando uscì dalle nebbie purpuree della rivoluzione come artista devastante e minaccioso, autore di dischi avanzati e sperimentali come Fetus e Pollution e protagonista di spettacoli che stordivano o addirittura facevano infuriare gli spettatori.
Era spietato, abnorme, col volto trasfigurato dai trucchi, una vocazione all’“épater le bourgeois” che tutto sommato gli è rimasta addosso per tutta la vita, anche quando da quelle lussureggianti provocazioni era passato a qualcosa di più consonante.
Ma è vero che i successi arrivarono per scommessa, come lui stesso ha raccontato anni dopo, ricordando di aver risposto alla provocazione di un pugno di giornalisti musicali, tra cui il sottoscritto, radunati intorno alla rivista alternativa Muzak, che gli dissero che forse, se anche avesse voluto scrivere canzoni popolari, non ne sarebbe stato capace.
L’era del cinghiale bianco
Detto fatto, si mise a scrivere canzoni, anche se il primo dei dischi della nuova “era”, alla lettera L’era del cinghiale bianco, sembrava tutt’altro che popolare, ma era un gioiello, delicato e suggestivo, intrigante, ipnotico, capace di indicare una strada nuova percorsi che la nostra canzone non aveva m ai battuto.
E non erano solo gli argomenti, fascinazioni mistiche, esoterismi, citazioni colte, era il linguaggio stesso che era inedito, una scelta quasi oggettiva, senza partecipazione emotiva, spesso incastrando frasi con una tecnica di montaggio frammentata e surreale, con perle di staordinaria bellezza come Stranizza d’amuri, ben ribadita dal seguente Patriots, il suo secondo capolavoro, con Veneza-Istanbul, Prospettiva Nevski, dove si definisce ancora meglio quel sorprendente modo di intendere melodie e parole.
‘La voce del padrone’ e il boom commerciale
Poi arrivò l’esplosione commerciale, puntuale e travolgente con La voce del padrone, con pezzi che sembrarono inni intelligenti e spiazzanti dell’alba degli anni Ottanta, ovvero Bandiera bianca, Cuccurucucù e Centro di gravità permanente, una sbalorditiva sequenza che andò a celebrare un periodo irripetibile della canzone d’autore italiana e che portò al livello di massa idee e concetti che nessuno avrebbe mai potuto immaginare solo qualche anno prima.
Di quel clamoroso successo Battiato era allo stesso tempo lusingato, appagato, ma anche infastidito. Dopo aver dimostrato che era possibile, che grazie anche a un periodo di fertile Rinascimento culturale, si poteva utilizzare la canzone per fare arte, ironica, leggera, ma allo stesso tempo incisiva e a suo modo profonda, decise che bisognava andare avanti, migliorarsi, tornare ad atmosfere più pacate, più adatte al suo modo di concepire la musica e la performance. Il tono si fece più dolente, riflessivo, ma sempre più prezioso, e furono E ti vengo a cercare, L’oceano di silenzio fino alla inarrivabile La cura, tutti pezzi che possedevano l’insondabile ambiguità del doppio significato, rivolti ad amori terreni, così come a pensieri astratti, celesti, spirituali.
In realtà Battiato è stato anche tante altre cose, regista di film, autore di opere incredibilmente aliene e anche quelle lontane dagli stereotipi classici, pittore, generoso benefattore di giovani musicisti al cui appello non ha mai saputo né voluto resistere, autore di canzoni per altri e soprattutto per tante voci femminili che ha coltivato come un’arte a se stante, da Alice a Milva.
La ricerca della spiritualità
In fin dei conti è stato soprattutto un accanito ricercatore di arte e spiritualità, non disposto a compromessi, rigoroso, coerente. A volte sembrava spigoloso, quasi burbero, ma in genere capitava quando si trovava di fronte all’imbecillità o all’ignoranza, quelle davvero non le sopportava, altrimenti era gentile, protettivo, un uomo che aveva scelto la musica per raggiungere un obiettivo che andava molto al di là della musica stessa.
Per questo il suono gli era sacro, per questo l’atto della composizione era per lui il più sublime e insostituibile dei gesti umani, l’unico in grado di elevarci, di portarci in prossimità di quella verità che ha inseguito per tutta la vita, fino all’ultimo dei suoi giorni terreni.
(da La Repubblica)

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