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IL DIRITTO DI ABORTO NON SARÀ PIÙ GARANTITO A TUTTE LE AMERICANE: 25,5 MILIONI DI DONNE CHE VIVONO IN 20 STATI PERDERANNO LA POSSIBILITÀ DI RIVOLGERSI A UNA STRUTTURA SANITARIA ANCHE IN CASO DI UNA GRAVIDANZA INDESIDERATA, MAGARI DOVUTA A UNO STUPRO O A UN INCESTO

Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile

ORA SARANNO I SINGOLI STATI A LEGIFERARE IN MATERIA E LE NUOVE LEGGI RESTRITTIVE NEL SUD-OVEST DEL PAESE, DALLA LOUISIANA AL TEXAS, E NELL’ESTREMO NORD-OVEST, DAL IDAHO AL MONTANA, SONO PRONTE DA MESI

Il diritto di aborto non sarà più garantito a tutte le donne americane. Ieri la Corte suprema ha cancellato la sentenza Roe v.Wade che dal 1973 assicurava la facoltà di scegliere se interrompere la gravidanza.
È un passaggio epocale, un sisma giuridico, culturale, politico e, soprattutto sociale. L’America si prepara a vivere una nuova «Secessione», maturata sulla diversa interpretazione di uno dei diritti personali più delicati: la facoltà di decidere, oppure no, sulla propria maternità.
Nel giro di pochi giorni i 25,5 milioni di donne che vivono in 20 Stati perderanno la possibilità di rivolgersi a una struttura sanitaria anche in caso di una gravidanza indesiderata, perché seguita a uno stupro o a un incesto.
Le manifestazioni
Ieri, appena si è diffusa la notizia, intorno alle 10,30, gli attivisti delle due parti si sono radunati davanti all’imponente scalinata dell’edificio bianco, con le sue colonne i suoi capitelli grecizzanti, le statue e i simboli di un potere defilato, ma talvolta, come in questo caso, immenso. Il movimento «pro life» con i cartelli stampati, gli slogan inneggianti alla «sacralità» della vita, le preghiere. E le organizzazioni «pro choice», donne e ragazze, con un sentimento impastato di rabbia, indignazione, incredulità. Tra le più scatenate, megafono tra le mani, la deputata della sinistra democratica Alexandria Ocasio Cortez.
È l’immagine più viva e più chiara di un Paese lacerato anche da questa sentenza. La Corte ha deciso con una maggioranza netta: 6 togati contro tre. Ha prevalso, com’ era nelle attese, il blocco conservatore formato da Samuel Alito, giudice cattolico del New Jersey, che ha scritto il parere vincente fatto filtrare già il 6 maggio scorso.
Con lui si sono schierati Clarence Thomas e i tre nuovi arrivati Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh, Amy Coney Barrett. Le toghe nominate da Donald Trump. Ha votato a favore anche il presidente John G. Roberts, che ha aggiunto: «avrei preferito un approccio più moderato».
Si sono schierati contro i giudici scelti da presidenti democratici: Sonia Sotomayor, Elena Kagan, Stephen Breyer, che si ritirerà tra breve.
Il ricorso
L’esame della Corte aveva preso le mosse lo scorso autunno dalla causa costituzionale intentata dalla «Jackson Women’s Health Organization» contro la legge varata nel 2018 dal parlamento del Mississippi, controllato dai repubblicani. La norma vieta il ricorso all’aborto dopo la quindicesima settimana di gravidanza, sfidando l’altra sentenza cardine in materia: la Planned Parenthood v. Case y del 1992 che considera l’aborto praticabile fino quando il feto non sia autosufficiente, cioè fino a circa sette mesi di gravidanza. Fino a ieri la base giuridica sembrava solida: il 14° Emendamento della Costituzione, che assicura ai cittadini le libertà politiche e civili.
Ma il giudice Alito scrive nel suo parere, poi confluito nella sentenza: «Quella regola è stata introdotta in un’epoca (1868, ndr ) in cui neanche si discuteva di aborto». Conclusione: non c’è alcun fondamento costituzionale per garantire su tutto il territorio nazionale il diritto di scelta in tema di gravidanza. Conseguenza immediata: la parola torna ai cittadini e ai loro rappresentanti locali, «saranno i singoli Stati a legiferare in materia».
Le nuove leggi Nel Sud-Ovest del Paese, dalla Louisiana al Texas, e l’estremo Nord-Ovest, dal Idaho al Montana, le nuove leggi sono pronte da mesi.
Si aspettava solo il via libera (il «trigger») della Corte di Washington. La Nazione si spacca seguendo le linee della geopolitica. L’aborto sarà ancora garantito e protetto sulle due coste, nel complesso sono 21 Stati in cui vivono 26,5 milioni di donne, dalla California a New York. Le reazioni Per i progressisti è comunque un trauma profondo. E non bastano le parole di Joe Biden per risalire dal pozzo.
Il presidente americano è apparso indignato davanti alle telecamere: «È un giorno triste per la Corte e per il Paese; si torna indietro di 150 anni; ora è a rischio la salute di tante donne». Ma Biden è sembrato, ancora una volta, politicamente disarmato: «Non ho i poteri per rovesciare questa situazione. E in Congresso non ci sono neanche i numeri per una legge federale». Nel frattempo, aggiunge il presidente, «l’amministrazione farà il possibile per aiutare le donne». Per esempio, mettendo a disposizione le poche strutture sanitarie di proprietà federale nei territori anti abortisti. Oppure proteggendo le persone che si metteranno in viaggio verso gli Stati «aperti».
Non c’è molto altro che la Casa Bianca possa fare, se non provare a mobilitare l’elettorato democratico in vista delle elezioni di midterm di novembre. Biden, come aveva fatto poco prima la speaker Nancy Pelosi, invita gli americani «a eleggere più senatori e più deputati in favore del diritto di scelta».
Nell’altro campo l’atmosfera è chiaramente diversa. Il Movimento per la Vita coglie un successo preparato da anni di lavoro sul campo e di costante pressione politica sul partito repubblicano. E Donald Trump? In mattinata gira un’indiscrezione: «non è cosa buona per noi» avrebbe detto l’ex presidente, forse temendo davvero un aumento dell’afflusso alle urne. Poi, però, parlando con Fox News , Trump, prima si dichiara «orgoglioso» per aver nominato i tre giudici che hanno capovolto cinquant’ anni di giurisprudenza. Poi invoca l’intervento della Provvidenza: «Questa sentenza è voluta da Dio».
(da il Corriere della Sera)

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L’EMERGENZA IDRICA CHE HA COLPITO L’ITALIA È ANCHE COLPA DELLE NOSTRE TUBATURE

Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile

TRA IMPIANTI VECCHI, CONTATORI SBAGLIATI E ALLACCI ABUSIVI, SI PERDONO CIRCA 40 LITRI D’ACQUA OGNI 100 ,,, GLI INVESTIMENTI IN MANUTENZIONE SONO MENO DELLA METÀ CHE NEL RESTO D’EUROPA

Per giustificare il rischio di una nuova emergenza idrica che si sta abbattendo sull’Italia, nelle ultime settimane si punta il dito contro l’assenza di precipitazioni e un inverno povero di nevicate che ha impedito l’accumulo di acqua sulle Alpi con un effetto domino.
Si tratta senza dubbio delle principali motivazioni della situazione che stiamo vivendo ma c’è un aspetto altrettanto importante che non viene tenuto in doverosa considerazione e riguarda gli sprechi connessi alla rete idrica italiana.
Tra scarsa manutenzione, tubature vecchie di decenni, burocrazia, una miriade di società deputate alle gestione dell’acqua, la nostra rete idrica è a tutti gli effetti un colabrodo. I dati Istat che prendono in considerazione gli anni dal 2019 al 2021 ci consegnano un quadro impietoso: «Oltre un terzo dell’acqua immessa nella rete di distribuzione va perduto. Nel 2020 sono andati persi 41 metri cubi al giorno per km di rete nei capoluoghi di provincia/città metropolitana, il 36,2% dell’acqua immessa in rete».
Una percentuale che sale al 40% secondo il «Blue Book» della Fondazione Utilitas, ciò significa che ogni 100 litri immessi nella rete di distribuzione, 40 sono persi e non arrivano ai rubinetti delle case.
Nonostante da anni l’Istat metta in guardia sul pericolo della dispersione idrica, la situazione continua ad essere critica e peggiora in assenza di precipitazioni: «Le perdite totali di rete hanno importanti ripercussioni ambientali, sociali ed economiche, soprattutto per gli episodi di scarsità idrica sempre più frequenti. Sono da attribuire a fattori fisiologici presenti in tutte le infrastrutture idriche, alla vetustà degli impianti, prevalente soprattutto in alcune aree del territorio, e a fattori amministrativi, riconducibili a errori di misura dei contatori e ad allacci abusivi, per una quota che si stima pari al 3% delle perdite».
Basti pensare che in più di un capoluogo su tre si registrano perdite superiori al 45% con una situazione particolarmente preoccupante nell’Italia centrale e meridionale dove la provincia di Frosinone è fanalino di coda con una dispersione pari al 77,8% secondo i dati del dossier «Acqua in rete» di Legambiente seguita da Latina al 70,3%. La cattiva gestione della rete idrica ha portato nel 2020 ben undici comuni capoluogo di provincia del Mezzogiorno ad adottare misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua potabile disponendo la riduzione o sospensione dell’erogazione idrica.
Al tempo stesso, se è vero che il consumo giornaliero di acqua in Italia per ogni abitante è superiore alla media europea (236 litri contro 125), nel nostro paese gli investimenti in manutenzione delle infrastrutture è meno della metà che nel resto d’Europa (49 euro per abitante contro 100 euro in Europa) con un crollo a 8 euro per abitante al sud Italia. La Fondazione Utilitas punta il dito proprio sul gap Nord-Sud con grandi differenze tra le due aree del paese sia per la manutenzione della rete idrica sia per la gestione delle infrastrutture con il servizio idrico al Sud Italia gestito in prevalenza dalle amministrazioni locali.
Pensare che nel 2011 gli italiani hanno avuto l’occasione di cambiare le cose con il referendum sulla privatizzazione della rete idrica che è stato però presentato come un voto «sull’acqua pubblica». Così è prevalso un sentimento di scetticismo verso i privati nonostante gli enti pubblici si siano dimostrati incapaci di gestire la rete di distribuzione. Ora non resta che sperare i 4,4 miliardi previsti nel Pnnr per la tutela del territorio e della Risorsa idrica siano investiti correttamente per manutenzione e ammodernamenti anche se, ancora prima di partire, rischiano di essere insufficienti a fronte dell’immobilismo degli ultimi decenni.
(da il Giornale)

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INTERVISTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI UCRAINO, KULEBA: “SOLAMENTE LA NOSTRA VITTORIA MILITARE CONVINCERÀ LA RUSSIA AD AVVIARE SERI NEGOZIATI DI PACE”

Giugno 24th, 2022 Riccardo Fucile

“SPERO CHE LA POPOLAZIONE ITALIANA CAPISCA CHE PUTIN VUOLE LA CRISI ENERGETICA, ECONOMICA E ALIMENTARE IN TUTTA EUROPA”… “LA RUSSIA INVIDIA IL BENESSERE EUROPEO. NEL SUO MODELLO LA GENTE DEVE VIVERE IN MODO DISUMANO, PRONTA AD OBBEDIRE CIECAMENTE AI CAPI”

«Dato che mi parla dal Donbass, anche lei è in grado di toccare con mano gli effetti devastanti dei bombardamenti russi e le ragioni del mio argomento di base: solamente la nostra vittoria militare convincerà la Russia ad avviare seri negoziati di pace, le armi garantiranno la via diplomatica», esordisce Dmytro Kuleba nei cinquanta minuti d’intervista dal suo ufficio di ministro degli Esteri a Kiev.
Ministro, la questione delle armi all’Ucraina resta controversa in Europa. Non teme che, col protrarsi del conflitto, alcuni alleati si defilino anche per difficoltà politiche al loro interno?
«Non mi faccio illusioni. Nessuna guerra può mai cancellare la realtà della politica interna e nei Paesi democratici è inevitabile che le opposizioni cerchino momenti favorevoli per criticare il governo. Ma non credo che ciò avvenga perché si ignora il pericolo rappresentato dalla Russia di Putin, semplicemente assistiamo a normali lotte di potere. Draghi per esempio ha dimostrato una grande capacità di leadership, non solo riguardo all’Ucraina ma anche nelle questioni europee. E la politica funziona in questo modo: più hai successo più i tuoi avversari sono agguerriti. Però quello che conta è la capacità dei leader di spiegare ai cittadini che l’aggressione russa non riguarda solo le case ucraine, bensì ogni famiglia europea. Putin attacca gli equilibri interni, destabilizza, mira a indebolire libertà e democrazia. Se ci pensiamo bene, Mosca intendeva aumentare i prezzi dell’energia ben prima del 24 febbraio. Per fortuna Draghi e anche Macron tengono la barra diritta».
Un giudizio generale sull’Europa?
«Positivo. Dopo la visita di Draghi, Macron e Scholz a Kiev vediamo unità, chiarezza d’intenti, ovviamente ci sono differenze tra loro e noi abbiamo bisogno di più armi e di sanzioni più dure contro Mosca. Ma in linea di principio si va assieme nella stessa direzione, unica nostra richiesta è che tutto ciò sia più veloce».
E il summit che ha approvato il vostro status di Paese candidato a entrare nella Ue?
«Quattro mesi fa l’Ucraina e l’Europa erano molto distanti. Da allora è cambiato tutto. Sappiamo bene che il processo per diventare Paesi membri a pieno titolo sarà lungo. In ogni caso, il messaggio è già chiaro: l’Ucraina fa parte del progetto di integrazione europea, finisce l’era dell’incertezza, si apre un’epoca nuova tra Paesi che condividono gli stessi valori».
Sarà una guerra lunga, ogni giorno centinaia di vittime, l’economia è in crisi: siete pronti a combatterla?
«Una domanda difficile, ma legittima. Sì, la vita in Ucraina è sempre più difficoltosa e gli europei protestano per i prezzi dell’energia. Ma per noi si tratta di una guerra esistenziale in difesa della democrazia. Nessuno vorrebbe pagarne il prezzo. Spero che la popolazione italiana capisca che Putin vuole la crisi energetica, economica e alimentare in tutta Europa. La Russia invidia il benessere europeo. Nel suo modello la gente deve vivere in modo disumano, pronta ad obbedire ciecamente ai capi. Questa è una guerra tra dittatura e democrazia non scelta da noi o dagli italiani, l’ha imposta Putin. Però si spara sulla nostra terra. La domanda per tutti deve essere: siamo pronti a sottometterci al diktat di Putin? Certo che no, ma allora dobbiamo combattere, se non lo faremo dovremo ammettere che le democrazie sono incapaci di difendere i loro valori. Se Putin dovesse prevalere, le ripercussioni sarebbero planetarie e si rafforzerebbero gli autoritarismi».
Arrivano le armi?
«Difficile protestare con chi ci aiuta. Le armi arrivano e sarebbe stato quasi impossibile senza. Ma non bastano, non sono neppure sufficienti per stabilizzare il fronte del Donbass. La Russia è più forte. In Europa dovreste sempre considerare che noi siamo la vostra prima linea: necessitiamo di cannoni calibro 155 millimetri e lanciarazzi semoventi, oltre a tante munizioni, questa è una sfida dominata dai duelli di artiglieria».
In Italia i critici sostengono che se non riceverete armi sarete più aperti al compromesso con Putin
«Equivale a dire: non importa se muoiono tanti ucraini, che vengano massacrati, torturati; non ci interessa che i russi annettano una nazione europea sovrana. Chiunque rifiuta di mandarci armi sostiene le atrocità russe».
A che punto siete con i tentativi per riaprire l’export del grano?
«Stiamo organizzando con successo le strade sino ai porti rumeni e polacchi. Ma non basta. Occorre sbloccare Odessa, cosa che proviamo a fare con la mediazione Onu, la via resta lunga, credo che troveremo una soluzione».
E la via negoziale?
«Resta ferma alla scelta aggressiva di Mosca, intendono annettersi tutto ciò che conquistano, i loro cannoni continuano a sparare: questo è lo status quo».
Crede che Putin si fermerebbe se riuscisse a conquistare tutto il Donbass?
«No, perché lui non vuole solo il Donbass e neppure soltanto l’intera Ucraina, mira ad allargarsi all’Europa, minaccia tutti noi, ci dice che non potremo vivere bene sino a quando i russi vivranno male. Si fermerà solo quando sarà stato sconfitto militarmente».
Siete in ritirata dal Donbass e Kharkiv torna sotto attacco. State perdendo?
«Putin voleva occupare il Donbass entro il 9 maggio. Siamo al 24 giugno e ancora combattiamo. Ritirarci in qualche battaglia non significa affatto perdere la guerra».
In marzo-aprile, pur di terminare subito la guerra, voi sembravate propensi a riconoscere l’annessione russa della Crimea e le due aree separatiste filorusse nel Donbass create dopo la crisi del 2014. Vale ancora?
«Quale politico italiano sarebbe pronto a rinunciare a una parte del suo territorio nazionale in cambio della pace? E di una finta pace, perché i russi vogliono tutta l’Ucraina? Noi continuiamo a difendere l’integrità del nostro territorio sovrano. Chi in giacca e cravatta tranquillo nel suo ufficio ci consiglia di fare concessioni deve prima mettersi nei nostri panni. Cosa fareste voi? Non abbiamo cercato questa guerra, aspiriamo a una pace solida e duratura, certo non a una tregua che dia tempo ai russi di organizzarsi e attaccare di nuovo».
Vale ancora l’offerta del summit Putin-Zelensky?
«Certamente. Sarebbero loro a discutere nello specifico il modo per arrivare alla pace. Tutto è aperto».
Anche il fermarsi ai confini del 24 febbraio scorso, abbandonando quelli del 1991?
«Sarebbe poco saggio da parte mia enunciare adesso le nostre condizioni. Ma ogni punto sarebbe oggetto di dialogo».
Il pericolo dell’asse Cina-Russia?
«Pechino mantiene una politica equilibrata».
Vede ancora un ruolo per la mediazione del Papa?
«Non c’è nulla di nuovo. Saremmo felici di avere il Papa a Kiev. Con la diplomazia vaticana abbiamo molto lavorato ultimamente per spiegare che questa guerra è tutta responsabilità russa e nessuno ha mai provocato Putin».
(da il Corriere della Sera)

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PUTIN STA EPURANDO IL SUO ESERCITO. IL CREMLINO HA SOSTITUITO IL COMANDANTE DELLE FORZE AVIOTRASPORTATE RUSSE

Giugno 24th, 2022 Riccardo Fucile

CI SONO MOLTI ALTRI FUNZIONARI ACCUSATI DEL FALLIMENTO DELL’INVASIONE IN UCRAINA, E IL PRESIDENTE VORREBBE RIMUOVERLI: “QUESTE DRASTICHE ROTAZIONI ALL’INTERNO DELL’ESERCITO RUSSO, INDICANO UNA DISFUNZIONE IN CORSO NELLA CONDOTTA DELLA GUERRA”

Il Cremlino ha recentemente sostituito il comandante delle forze aviotrasportate russe e potrebbe essere in procinto di effettuare un importante rimodellamento della sua attuale struttura di comando in Ucraina, secondo un nuovo rapporto dell’Institute for the Study of War.
L’analisi ha rilevato che molti alti funzionari potrebbero essere accusati di non aver conquistato completamente l’Ucraina, spingendo il Cremlino a sostituirli con volti nuovi. L’attuale capo di stato maggiore del distretto militare centrale, il colonnello generale Mikhail Teplinsky, sostituirà l’attuale comandante delle forze aviotrasportate russe, il colonnello generale Andrey Serdyukov, secondo il rapporto.
Fonti ucraine hanno riferito che Serdyukov era stato precedentemente licenziato dal suo incarico dal Cremlino per «scarse prestazioni» e «alte perdite», secondo il rapporto dell’ISW.
«Queste drastiche rotazioni all’interno dell’esercito russo, se vere, non sono azioni intraprese da una forza sull’orlo di un grande successo e indicano una disfunzione in corso nella condotta della guerra da parte del Cremlino», afferma il rapporto.
L’ISW ha anche elencato altre voci di leader militari russi di alto livello epurati dai ranghi, incluso il comandante generale dell’invasione russa dell’Ucraina, il generale dell’esercito Alexander Dvornikov, sebbene le accuse non possano essere confermate in modo indipendente.
Un rapporto di Christo Grozev, il principale giornalista russo dell’agenzia investigativa Bellingcat, ha affermato che il presidente russo Vladimir Putin aveva pianificato di sostituire Dvornikov dopo aver sentito notizie del suo «bere eccessivo» e della mancanza di fiducia in lui da parte delle forze russe.
La Russia non è riuscita a conquistare l’Ucraina da quando è iniziata la sua invasione il 24 febbraio. Dopo non aver compiuto progressi nella cattura della capitale Kiev, le forze russe hanno rivolto la loro attenzione alla parte orientale del paese, dove ora è in corso una guerra feroce.
(da Business Insider)

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BALLOTTAGGIO VERONA, SBOARINA DISPERATO, FARNETICA DI GENDER E ROM PRONTI AD ASSALTARE LA CITTA’

Giugno 24th, 2022 Riccardo Fucile

TOSI LO MANDA A QUEL PAESE: “E’ UN ARROGANTE”… DON CAMPEDELLI ATTACCA IL VESCOVO SOVRANISTA CHE SI E’ PERMESSO DI DARE INDICAZIONE DI VOTO …TOMMASI CONTINUA A PARLARE CON LA GENTE PER STRADA DEI PROBLEMI REALI DI VERONA

“La sinistra vuole portare l’ideologia gender nelle scuole dei nostri bambini”. Il sindaco sovransita di Verona, Federico Sboarina mette questa frase nel volantino infilato nelle porte di tutti i veronesi nel penultimo giorno di campagna elettorale.
Sboarina, su Facebook ha lanciato un appello contro l’apocalisse che starebbe per abbattersi su Verona. “La città non può permettersi di riportare indietro le lancette dell’orologio: campi rom abusivi nei quartieri, furti e violenze a raffica, venditori abusivi molesti e pericolosi in centro”
Basterà questa chiamata alle armi per portare gli elettori ai seggi e favorire il recupero del centrodestra?
Tommasi ha continuato a percorrere i quartieri, parlando di una città “moderna e vivibile, solidale e ottimista”, non sull’orlo della guerra. Ha ricevuto la visita di Giuseppe Sala, sindaco di Milano, che ha detto: “Verona deve cambiare passo, e Damiano è la persona giusta. Un civico come me, slegato dalla vecchia politica, ha le idee belle chiare”.
Che i big non arrivino per l’ultimo giorno è nella norma. Tommasi ha disertato quando sono venuti Enrico Letta e Giuseppe Conte, per non farsi appuntare bandierine di partito sul petto.
Preferisce centinaia di magliette gialle che lo accompagnano e che animeranno la festa finale al parco Ottocento, con Dario Vergassola.
Chi non ci sta è invece un prete scomodo come don Marco Campedelli che ha ingaggiato con il vescovo un ruvido faccia a faccia in Seminario, accusandolo di “autoritarismo”. Intanto ha spedito all’agenzia Adista una lunga lettera. “L’iniziativa del vescovo Zenti (lettera del 18 giugno) può essere considerata un’incidente di percorso? Guardando indietro non si può invece leggerla come iscritta nel suo modo di porsi rispetto alla città? E al suo modo di interpretare il ruolo di vescovo? Nel 2015 cambiavano i destinatari: gli insegnanti di religione a cui indicava di sostenere la candidata di Salvini per le elezioni, adesso i destinatari sono i preti e i diaconi”.
Sul fronte politico, Flavio Tosi (con Forza Italia) ha ormai chiuso con Sboarina e denuncia il tentativo di far apparire accordi al ballottaggio che non ci sono, con chi non ha voluto apparentamenti. “Queste strumentalizzazioni sono l’ennesimo loro gesto arrogante nei confronti del partito fondatore del centrodestra. Un’arroganza che ha toccato il suo culmine con il rifiuto di Sboarina all’apparentamento e che continua da anni. Pensiamo a quanto detto dal Sindaco uscente in questa campagna elettorale: che Forza Italia al primo turno stava giocando nel campo avverso al centrodestra, o che Forza Italia non è un partito ma solo un logo. Frasi inaccettabili e, a risentirle, fa sorridere vedere ora gli sboariniani provare ad accaparrarsi i voti degli elettori di un partito che per anni hanno pesantemente dileggiato, tanto da costringerlo ad uscire ufficialmente dalla maggioranza di Palazzo Barbieri“.
(da Il Fatto Quotidiano)

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SONDAGGIO GHISLERI: FDI 22,5%, PD 21,8%, LEGA 14,8%, M5S 11%, FORZA ITALIA 7,5%, AZIONE+ EUROPA 5,4%, ITALEXIT 2,8%, ITALIA VIVA 2,5%, VERDI 2,8%, SINISTRA 1,7%, MDP 1,5%

Giugno 24th, 2022 Riccardo Fucile

ALLARME ROSSO PER SALVINI: LA LEGA SCENDE SOTTO IL 15%… IL PARTITINO DI DI MAIO PER ORA E’ ALL’1%… TRA CHI E’ RIMASTO NEL M5S, IL 35.7% VUOLE UN MOVIMENTO PIÙ MODERATO MENTRE IL 44.3% DESIDEREREBBE UN VOLTO PIÙ ESTREMO

«Non esiste separazione definitiva fino a quando c’è il ricordo», Isabelle Allende. “Insieme per il futuro”, ovvero il nuovo gruppo nato dalla scissione di Luigi Di Maio con il Movimento 5 Stelle guidato da Giuseppe Conte ha cambiato le carte in tavola nel pallottoliere della politica.
Quello che sta accadendo in questi ultimi giorni nella politica italiana sta rompendo gli usuali canoni di un certo modo di fare politica. Di questo ne è convinto il 38.6% degli italiani ed 1 elettore su 3 del Movimento rimasto con Conte (31.4%).
Una nuova “organizzazione”, quella del Ministro degli affari Esteri Luigi Di Maio, che attualmente è sotto stretta osservazione dal 21.5% dell’elettorato del Movimento 5 Stelle e non solo.
Infatti l’effetto domino innescato dalla separazione ha già prodotto delle defezioni di 2 esponenti di Coraggio Italia di cui 1 si è già iscritto al gruppo dell’ex 5Stelle.
Ad oggi, nel pieno dell’evoluzione di questa separazione, coloro che si dichiarano “molto interessati” nei confronti della nuova formazione intestata a Luigi Di Maio si afferma tra il 2.5% e il 3.0%.
Tuttavia nelle intenzioni di voto rilevate “a caldo”, post scissione, la neonata formazione non supera l’1.0%, tutti consensi sottratti alla base del Movimento che nella rilevazione settimanale scende all’11.0%.
Tuttavia è doveroso ricordare che, per poter definire l’esatta valutazione della distribuzione dei voti, sarà necessario stimare l’esito con almeno 3 rilevazioni consecutive registrate nell’arco dei prossimi 30 giorni.
La separazione di Luigi Di Maio dalla formazione grillina per il 63.1% dei cittadini italiani rappresenta il colpo di grazia per il Movimento che, dopo molte defezioni, rischia di diventare ininfluente o scomparire.
Sulla stessa linea troviamo il 65.8% degli elettori di Alternativa che si erano distaccati e separati dal Movimento il 23 febbraio 2021 e dal 71.6% degli elettori di Italexit, la nuova formazione di Gianluigi Paragone (eletto anche lui nel 2018 tra i senatori dei 5Stelle).
Data l’importanza che sta assumendo questo caso, è necessario comprendere come gli elettori hanno interpretato questa decisione di Luigi Di Maio di lasciare il Movimento 5 Stelle e di formare un proprio gruppo politico e parlamentare.
Ovvero il commento dell’opinione pubblica sulla percezione del perché è avvenuta e sui moventi per poterla identificare in un nuovo quadro politico rappresentano il vero aspetto interessante della faccenda.
Il 41.3% degli italiani intervistati legge questa risoluzione come una volontà di tutti coloro che hanno aderito al gruppo di proseguire la loro esperienza politica oltre il secondo mandato.
Tra questi troviamo ben 1 elettore su 2 del Movimento 5 Stelle (48.5%) e il 65.4% di quelli di ItalExit. Il 19.6% crede in un cambio di visione e quindi in una nuova evoluzione rispetto alle origini in cui gli stessi Deputati erano stati eletti (21.4% tra gli elettori dei 5Stelle e il 34.2% tra gli elettori di Alternativa).
Osservando il fenomeno dall’esterno si può dire che non si è agito proprio secondo l’approccio sperimenta, impara e adatta (Test, Learn and Adapt). Il tutto infatti, per come è stato comunicato, è stato recepito come una ricerca di vie di uscita da un campo di azione dove il controllo si era già perso da tempo.
Le ipotesi rilevate infatti, portano in luce una separazione che potrà creare un’ulteriore instabilità per il futuro del Governo di Mario Draghi (40.3%) in cui qualcuno (13.9%) identifica -anche- la possibilità di una nuova precarietà che porterà al voto in tempi più brevi del previsto (17.2% tra gli elettori rimasti fedeli al M5S).
Il tutto è scritto nelle future scelte del Movimento 5 Stelle: se si porrà in linea con il contesto portato avanti fino ad ora affiancando in maniera a-critica il Governo o deciderà di posizionarsi all’opposizione con una più ampia azione di manovra e con la speranza di sottrarre anche possibili consensi a Giorgia Meloni e ai suoi “No”.
Su queste posizioni le idee del suo elettorato si spaccano nettamente tra i governisti (37.2%) e gli oppositori (34.3%) con un buon 28.5% che non sa decidersi nel merito e quindi in possibile “fuga” una volta presa una decisione in un senso o nell’altro.
Abbiamo cercato di interpretare anche le ipotesi “comportamentali” che il -rimasto- Movimento 5 Stelle dovrebbe impiegare per attrarre maggiori consensi.
Anche in questo caso il 35.7% dei suoi elettori si schiera con una sintesi che verte verso un linguaggio ed un comportamento più moderato che comunque si sovrapporrebbe alla nuova formazione di Luigi Di Maio (secondo le prime indiscrezioni), mentre il 44.3% desidererebbe un idioma più estremo e sicuramente meno prevedibile visto anche lo stile mantenuto fino ad oggi dal leader Giuseppe Conte.
Esiste un codice che prevede che gli individui possono essere influenzati non solo dai caratteri vincenti, ma anche da una proposta contestuale evidente e conosciuta a cui aderire in maniera facile perché rispecchia il vissuto di ciascuno. Inoltre il valore delle origini ricopre da sempre un valore inestimabile perché tutto si caratterizza radicandosi nelle convinzioni di ciascuno, nelle sue tradizioni familiari e nei suoi legami di valore che acquisiscono via via nuovi confini, ma sempre riconducibili ad un senso e un destino.
Su queste basi la discussione del vincolo dei 2 mandati per i parlamentari eletti nel Movimento 5 Stelle rimane un caposaldo del contratto “grillino”. Una promessa contratta pubblicamente a cui tutti gli eletti di “allora” si sono impegnati a rispettare pubblicamente; ed è un vincolo che il 54.3% dei loro elettori desidera mantenere in virtù di quella identità oramai tanto annacquata.
Su questa scelta saremo in grado di misurare il coraggio e la forza di saper mantenere fede a quelle norme sociali cui sono stati chiamati gli elettori a votare dal 2013 ad oggi.
Alessandra Ghisleri
(da La Stampa)

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CI SONO PIU’ ASPIRANTI LEADER DI CENTRO CHE ELETTORI. SENZA CONTARE LE INCOMPATIBILITÀ CARATTERIALI

Giugno 24th, 2022 Riccardo Fucile

BRUGNARO PERDE QUASI TUTTI I PEZZI… CHE FARA’ MARA CARFAGNA?… MASTELLA: “IL CENTRO UNITO VALE QUASI IL 20% MA PURTROPPO GLI EGOISMI DI ALCUNI FRENANO UN PROGETTO AMBIZIOSO”

«Guardo con attenzione a Luigi Di Maio». Poi Beppe Sala precisa: «Come guardo con attenzione ad altri». Però ieri, parlando a Verona, il sindaco di Milano non ha certo nascosto il suo interesse verso il cantiere – che qualcuno chiama dell’«area Draghi», qualcun altro del «grande centro» – inaugurato con l’uscita del ministro degli Esteri dai 5 Stelle.
Citato in tutti i retroscena politici come uno dei suoi principali interlocutori, Sala chiarisce che «non ho piani elaborati con Di Maio», ma ammette: «Tra i giovani politici è uno che è cresciuto, ha fatto il suo percorso, lo guardo con attenzione. Bisogna giudicare le persone non solo dal passato ma anche dal potenziale: ha fatto degli errori? Ma quanti ne ho fatti io…».
Sulla collocazione di questo contenitore Sala ha le idee chiare: «Tutti parlano del centro, ma io non so esattamente cosa voglia dire. Credo che noi non possiamo stare con una certa destra. Se ti metti al centro, poi con chi governi? Devi fare delle scelte e la nostra deve essere quella di stare chiaramente in un ambito».
Gli aspiranti leader E se lo stesso Sala è stato spesso accreditato come uno dei possibili – futuri – leader di quest’ area, il problema è che nell’«area Draghi per il dopo Draghi» di aspiranti leader – presenti – se ne contano già una sfilza. Almeno sei: Luigi Di Maio, Carlo Calenda, Matteo Renzi, Giovanni Toti, Mara Carfagna, Luigi Brugnaro. E riuscire a individuarlo sarà un vero rompicapo.
Perché sul tavolo ci sono profonde incompatibilità (politiche ma soprattutto caratteriali), a cominciare da quella tra Matteo Renzi e Carlo Calenda, d’accordo forse solo su Di Maio: inviso a entrambi. L’operazione «grande centro» ha però discrete possibilità di successo, perché tutte le piccole formazioni in ballo hanno un granitico obiettivo comune: non sparire alle prossime Politiche.
E per centrare questo traguardo, tra l’attuale legge elettorale e con 345 posti in meno in Parlamento, l’aggregazione dovrà essere più ampia possibile, sindaci in testa.
Punto primo: servono voti. Ma chi tra questi sei aspiranti leader li ha davvero? Perché dopo ogni scissione, arriva immancabilmente la prova del nove delle urne, quando poi molti sono scomparsi.
Di Maio, almeno a giudicare le sue prime mosse, sembra aver ben capito i gravi rischi. Per questo ha deciso che Insieme per il futuro non sarà un partito e non avrà un simbolo, anzi sarà un «contenitore temporaneo» per unire più anime moderate. Lo strappo dei 61 parlamentari ex M5S è una operazione prettamente parlamentare.
Ora resta da capire, Di Maio a parte, che nel suo collegio campano è sempre andato fortissimo, quali saranno gli altri «scissionisti» in grado di portare voti veri. Incognita non da poco: molti sono pressoché sconosciuti.
Mara Carfagna, ministra per il Sud, spirito critico di Forza Italia, è l’unica donna tra i sei possibili leader, il che, oltre all’esperienza acquisita nei palazzi romani in quattro legislature, potrebbe favorire la sua possibile incoronazione come guida dei moderati.
I voti? Carfagna, campana, è forte al Sud, bacino che quasi sempre ha deciso l’esito delle elezioni. «Tutti gli occhi sono puntati su di me dopo la scissione nel M5S? – riflette -.Sto alla realtà e non azzardo previsioni, guardo a quanto accaduto. Di Maio ha deciso di consumare uno strappo molto coraggioso». Ma soprattutto: «Giudico questa scissione un bene, perché una parte del M5S ha dato vita a un processo di maturazione che li ha portati a prendere le distanze dalle posizioni estremiste dannose per l’Italia».
Il ruolo di Calenda Nella costruzione dell’«area Draghi», un azionista di maggioranza potrebbe essere Carlo Calenda. Azione, federato a +Europa, nei sondaggi veleggia tra il 4-5%. L’ex ministro, già alle ultime due tornate amministrative, ha tentato di fare da «capo cantiere» per aggregare più forze moderate.
L’incognita di Calenda, noto per il carattere fumantino, al momento è ancorata alla totale incompatibilità con i profili di Renzi e Di Maio, anche se dietro le quinte qualcosa si muove. Il fronte più spinoso per unire, forse, è quello di Matteo Renzi. Oggi Italia viva nei sondaggi oscilla tra il 2 e il 3%.
Così, anche per il forte pericolo di sparire alle Politiche, una personalità con forte ego politico come l’ex premier ha aperto al dialogo con altre forze, premettendo di essere anche disposto a fare un passo indietro. L’alleanza più fisiologica sarebbe tra renziani e il movimento del governatore ligure Giovanni Toti, che però ha già visto naufragare l’operazione con Coraggio Italia per unire anime, come quella di Luigi Brugnaro, che si sono poi rivelate del tutto incompatibili, tanto che il sindaco di Venezia ha proseguito da solo. Ma ieri 7 parlamentari (a cui se ne potrebbero aggiungere altri 4) hanno lasciato Coraggio Italia per una nuova formazione, Vinciamo Italia.
Della litigiosità dell’area si è accorto, poi, un esperto dell’area come Clemente Mastella: «Il Centro se unito vale quasi il 20% ma purtroppo gli egoismi di alcuni frenano un progetto molto ambizioso».
Non è solo Sala, tra i sindaci, un interlocutore di Di Maio. Anche il primo cittadino di Firenze Dario Nardella, da esterno, sta lavorando per favorire l’alleanza con il Pd: «Serve un Ulivo 2.0, depurato da egoismi e protagonisti che affossarono quell’esperienza – spiega al Corriere -. È inutile girarci attorno: con questa legge elettorale siamo obbligata a costruire un’ampia alleanza per battere la destra». Una visione, quella dell’asse con Di Maio, che però registra anche dissensi rilevanti, come quello del sindaco di Bergamo, Giorgio Gori.
(da agenzie)

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WASHINGTON FORNISCE ALL’UCRAINA I SISTEMI D’ARTIGLIERIA MULTIPLI AD ALTA MOBILITÀ M142 MEDIO RAGGIO, O HIMARS, DA QUASI 80 KM DI GITTATA, PIÙ DEI 25 KM DEGLI OBICI M777 GIÀ INVIATI

Giugno 24th, 2022 Riccardo Fucile

LA SPERANZA DEGLI ANALISTI AMERICANI E’ CHE SERVIRANNO AGLI UCRAINI NON SOLO A DIFENDERSI MA ANCHE A LANCIARE UNA CONTROFFENSIVA A SUD

Attacco e contrattacco. I russi puntano sul controllo dei cieli, rafforzando i sistemi di difesa aerea e mirando a creare uno scudo radar insieme alla Bielorussia del riluttante alleato Lukashenko, proteggendo le artiglierie che martellano le città e fanno terra bruciata prima che avanzino le truppe. Prossimo obiettivo Lysychansk, A Est, il Luhansk è per il 95 per cento occupato, il Donetsk per metà.
Gli ucraini tengono botta, fanno arretrare alcuni reparti per impedire che vengano circondati, e lavorano per il contrattacco appena saranno arrivati gli ultimi rifornimenti USA.
Ieri la Casa Bianca ha annunciato un altro pacchetto da 500 milioni di dollari. Si tratta dei sistemi d’artiglieria multipli ad alta mobilità M142 medio raggio, o Himars, da quasi 80 km di gittata, più dei 25 degli obici M777 già inviati. Esulta il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov: «Ringraziamo gli Stati Uniti per questi mezzi potenti! Sarà un’estate calda per gli occupanti russi, l’ultima per alcuni di loro».
EQUILIBRI SPOSTATI
L’analista militare Mykola Sunhurovsky, del Razumkov Center di Kiev, sostiene che i lanciatori Himars aiuteranno gli ucraini non solo a resistere, ma «potenzialmente anche a lanciare una controffensiva a sud, perché hanno una gittata più lunga, una precisione e una frequenza di fuoco in grado di competere coi sistemi di fabbricazione sovietica che i russi hanno usato nei primi quattro mesi».
Gli armamenti russi sono concentrati nel Donbass, «non si possono ri-dislocare finché la battaglia prosegue con questa intensità». Gli ucraini potrebbero, quindi, contrattaccare in altri settori meridionali, per esempio a Kherson, anche a protezione di Odessa. Gli americani garantiranno pure un flusso costante di munizioni.
Un altro esperto militare ucraino, Oleg Zhdanov, ritiene che «la Russia cercherà di lanciare il maggior numero possibile di attacchi su diverse città, perché la gittata dei missili russi, purtroppo, copre tutto il territorio».
Sull’altra parte del fronte, interviene il ministro della Difesa Serghei Shoigu, sollecitando «misure urgenti per aumentare la prontezza di combattimento del raggruppamento regionale delle truppe e della difesa aerea unificata, con misure congiunte di Russia e Bielorussia. Mosca è pronta a fornire qualsiasi supporto agli amici bielorussi».
Lo scorso 19 maggio, Lukashenko aveva annunciato l’acquisto dello scudo radar S-400 e di sistemi missilistici Iskander dalla Russia. In particolare, i generali di Putin hanno compreso che uno dei problemi maggiori della prima fase dell’invasione è stato quello di non riuscire subito e completamente a dominare i cieli. Il potenziamento dei sistemi di difesa aerea sta invece «limitando adesso scrive l’Institute for the Study of War americano l’efficacia dei droni ucraini, compromettendo una capacità chiave di Kiev in questa guerra».
Jack Detsch di Foreign Policy ha sostenuto, sulla base di fonti anonime ma combacianti, che le forze ucraine devono rinunciare a usare i droni turchi Bayraktar, fondamentali nelle prime settimane ma ora vulnerabili, e lo stesso vale per i droni d’attacco statunitensi Gray Eagle.
Il risultato è che le sortite aeree ucraine sono scese da 30 a 20 ogni giorno, e i velivoli si riducono. Aerei e droni ucraini continuano invece a colpire duramente il nemico nella provincia di Kherson, dove le difese russe sono ancora insufficienti.
Prosegue pure la colletta on line per dotare Kiev di nuovi Bayraktar. In 24 ore, a detta di un politico ucraino alla tv, grazie a una raccolta di oltre 10 milioni di dollari, sono stati acquistati tre droni. Dall’ormai periodico aggiornamento dell’Intelligence britannica, divulgato dal ministero della Difesa, risulta che il miglioramento delle prestazioni russe «è frutto del rafforzamento delle unità e della grande concentrazione di fuoco».
Sui media britannici si moltiplicano i commenti sull’eventualità di uno scontro diretto del Regno Unito con la Russia, e lo stesso nuovo capo di Stato maggiore della Difesa ha evocato la Terza guerra mondiale in una lettera alle truppe.
«Non commento le sue parole dice il generale Claudio Graziano, suo ex omologo italiano e presidente del Comitato militare della Nato ma in tutti i Paesi della Nato e dell’Unione Europea c’è la consapevolezza di trovarci in una fase di confronto permanente, che esiste una minaccia alla sicurezza, e che le forze armate devono essere pronte e avere disponibilità di mezzi, addestramento e preparazione. Non parlerei di Terza guerra mondiale, ma di necessaria presa d’atto di una situazione che richiede maggiori investimenti nella Difesa».
(da il Messaggero)

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AUMENTANO LE TENSIONI TRA QUELLI RIMASTI NEL M5S, CONTE SENTE AUMENTARE LO SCETTICISMO INTORNO ALLA SUA LEADERSHIP

Giugno 24th, 2022 Riccardo Fucile

LA VOTAZIONE PER STABILIRE DEROGHE O MENO AL TETTO DEI DUE MANDATI SLITTERÀ DI QUALCHE MESE, I GRILLINI INVOCANO CONCESSIONI

Resettare e ripartire. Giuseppe Conte fa un doppio passo. Da un lato mette nel cassetto la votazione sui due mandati, dall’altro incontra sindaci e consiglieri regionali per fare il punto e frenare una eventuale emorragia locale, dopo lo scouting dei dimaiani.
L’appuntamento è nel primo pomeriggio. E dura un paio d’ore. Il leader – secondo quello che raccontano i presenti – fa un discorso chiaro: «Adesso ripartiamo di slancio, chi ha tentennamenti faccia le sue scelte».
L’incontro verte molto su temi locali, ma si parla anche di prospettive future per gli stellati. L’idea è quella di serrare i ranghi e ripartire proprio dalla base. Conte promette di lanciare una piattaforma per i progetti locali, ma Roberta Lombardi frena sui tempi.
«È stata una riunione molto partecipata, con oltre 100 persone collegate e rappresentative di tutte le regioni italiane, in cui i rappresentanti del M5S nelle istituzioni territoriali hanno testimoniato la propria vicinanza al presidente Conte», spiega la coordinatrice. Lombardi vede il vertice come «un modo per ribadire che il nuovo corso del M5S vuole mettere radici in ogni parte di Italia, a partire dai referenti regionali già nominati e da quelli provinciali che entro breve tempo completeranno l’organigramma».
Insomma, in questo momento i territori ritornano centrali. In primo luogo la Sicilia, dove presto si terranno le primarie. Il Movimento rischia di non poter presentare come frontman Giancarlo Cancelleri. La votazione per stabilire deroghe o meno al tetto dei due mandati slitterà, secondo l’Adnkronos di qualche mese addirittura. Una prospettiva questa che, se confermata, fa presagire una stabilità politica nel medio periodo.
«Anche noi ora abbiamo bisogno di tranquillità», ammette un contiano. E spiega: «Dopo la scissione abbiamo la necessità di capire come riprendere il progetto, riassestare i nostri equilibri interni, fare una sintesi». Parole che si scontrano con la linea dura che Grillo, da garante, sta tenendo sul tetto. «Significa uccidere le nostre risorse» spiegano alcuni stellati. Il confronto tra i parlamentari e Grillo sembra non più rinviabile.
«Beppe deve venire qui e guardarci in faccia per parlare del futuro del Movimento. Ci spieghi cosa pensa: vedremo se saremo d’accordo con lui». Le tensioni rimangono, nemmeno troppo latenti.
C’è chi evoca lo strappo con il governo. Come l’ex M5S Alessandro Di Battista: «Non so se il Movimento sia finito. Potrebbe avere una possibilità se saprà fare delle scelte scomode, difficili e radicali, come quelle controcorrente su cui nacque», dice Di Battista
E spiega: «Potrei riavvicinarmi, ma ad una condizione, che è l’unica accettabile per i tanti delusi, me per primo, di queste ore: uscissero dal governo e facessero opposizione. Lo strappo andrebbe fatto subito, ora, prima dell’estate. Non può essere una svolta dell’ultima ora, magari poco prima del voto. Mi siederei al tavolo con Conte se uscisse dal governo prima dell’estate. Anche se sedersi non significa rientrare».
Le parole dell’ex deputato non vengono prese bene però da una parte dei Cinque Stelle: «Più che al futuro del Movimento, Alessandro pensa al suo di futuro». Sulla questione interviene anche la ministra Fabiana Dadone, che, senza nominarlo, lancia una stilettata a Di Battista: «So che è più facile far saltare il banco ad agosto, non sarebbe neanche una novità, ma non abbiamo mai cercato soluzioni semplici a problemi complessi. Non esistono. Le sirene degli uomini della provvidenza che ci vogliono fuori dal governo dovrebbero restare in vacanza». Intanto Conte torna a battere su temi progressisti, a partire dal salario minimo: «È una battaglia di civiltà per il paese».
(da il il “Corriere della Sera”)

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