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USA, LA CORTE SUPREMA SANCISCE LA FINE DEL DIRITTO ALL’ABORTO: PROTESTE IN TUTTA AMERICA

Giugno 24th, 2022 Riccardo Fucile

DA 50 ANNI LA SENTENZA ROE V. WADE GARANTIVA ALLE DONNE IL DIRITTO DI ABORTIRE… BIDEN: “ORA E’ A RISCHIO LA SALUTE DELLE DONNE”

In America la sentenza che tutelava il diritto delle donne a interrompere una gravidanza non esiste più. Con una decisione che rovescia un diritto fondamentale radicato negli Stati Uniti da 50 anni, la Corte Suprema ha annullato la storica sentenza Roe v. Wade, con cui nel 1973 la stessa Corte aveva riconosciuto il diritto della texana Norma McCorvey di interrompere la gravidanza garanetendo a tutte le donne di poter abortire liberamente.
La decisione è stata presa da una Corte divisa, con 6 voti a favore dei giudici conservatori e 3 contrari, i giudici liberal Sonia Sotomayor, Elena Kagan e Stephen Breyer che hanno diffuso un comunicato per dissociarsi: “Tristemente, molte donne hanno perso oggi una tutela costituzionale fondamentale. Noi dissentiamo”.
Tutti e tre i giudici nominati dall’ex presidente Donald Trump, che ha perso nel voto popolare sia nelle elezioni del 2016 che in quelle del 2020, durante il suo mandato hanno votato per l’abolizione della sentenza. E infatti Trump è il primo a esultare: “È la volontà di Dio. La decisione vuol dire seguire la Costituzione e restituire i diritti”, ha detto l’ex presidente Usa a Fox.
Quello della Corte Suprema è stato un “tragico errore” e la sentenza emessa è il risultato di un’ “ideologia estrema”, ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, nel discorso tenuto alla nazione nel pomeriggio di venerdì.
La Corte suprema, ha detto il presidente, “ci ha riportato indietro di 150 anni, ora è a rischio la salute delle donne” e ha chiamato gli americani a una battaglia politica contro la sentenza: “Permettetemi di essere molto chiaro e inequivocabile – ha detto – l’unico modo in cui possiamo garantire il diritto di scelta di una donna (sull’aborto) è che il Congresso ripristini questi diritto con una legge federale. Non c’è nessuna azione esecutiva del presidente che possa farlo. Ma al momento al Congresso mancano i voti per farlo ora, dunque gli elettori alle elezioni di novembre devono far sentire la loro voce”.
Il caso
La decisione è stata presa nel caso “Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization”, in cui i giudici hanno confermato la legge del Mississippi che proibisce l’interruzione di gravidanza dopo 15 settimane. A fare ricorso era stata l’unica clinica rimasta nello Stato a offrire l’aborto. Una bozza trapelata nelle scorse settimane (redatta dal giudice Samuel Alito, risalente a febbraio e confermata poi come autentica dalla corte) aveva indicato che la maggioranza dei ‘saggì erano favorevoli a ribaltare la Roe v Wade, suscitando vaste polemiche e proteste negli Usa. Alito che scrive nel dispositivo “La Roe vs Wade è stata sbagliata fin dall’inizio in modo eclatante. Il suo ragionamento – aggiunge – è stato eccezionalmente debole, e la decisione ha avuto conseguenze dannose”.
Cosa succede ora
Ora quindi i singoli Stati saranno liberi di applicare le loro leggi in materia. Si torna agli anni precedenti alla sentenza, quando l’aborto negli Usa era disciplinato da ciascuno Stato. In oltre la metà l’aborto era considerato reato, quindi non poteva essere praticato in nessun caso. In oltre 10 Stati era legale solo se costituiva pericolo per la donna, in caso di stupro, incesto o malformazioni fetali.
Reazioni
Già prima della diffusione, poco dopo le 10 ora locale, della decisione ufficiale centinaia di persone, in maggioranza donne, si sono riunite per protestare di fronte all’edificio che ospita il massimo organismo giuridico americano. E le principali organizzazioni pro choice hanno diffuso un comunicato in cui denunciano “ogni tattica e minaccia di gruppi che usano la distruzione e le violenza come mezzo, non parlano per noi, i nostri sostenitori, le nostre comunità e il nostro movimento”, si legge nella dichiarazione di Planned Parenthood, Naral Pro-Choice America e Liberate Abortion Campaign.
“Siamo impegnati a proteggere ed espandere l’accesso all’aborto e alla libertà riproduttiva attraverso un attivismo pacifico e non violento”, concludono. Diversa la reazione dei repubblicani. Il leader del gruppo alla Camera, Kevin McCarthy, plude alla decisione “che salva vite umane”.
Obama accusa: “Aborto ora dipende da capricci, attaccata la libertà di milioni di persone”
“Oggi la Corte suprema non solo ha annullato quasi 50 anni di precedenti, ha relegato la decisione più intensamente personale che qualcuno possa prendere ai capricci di politici e ideologi, attaccando le libertà essenziali di milioni di persone”. Così Barack Obama in un tweet, sua prima reazione alla sentenza. La moglie l’ex presidente degli Stati Uniti. “Ho il cuore spezzato per gli americani che hanno perso il diritto fondamentale di assumere decisioni informate” in merito al loro corpo. Lo afferma Michelle Obama parlando di una “decisione orribile” da parte della Corte Suprema sull’aborto. “Avrà delle conseguenze devastanti”, aggiunge. Durissima anche Hillary Clinton che bolla la decisione della Corte Suprema sull’aborto come un'”infamia”, un “passo indietro per i diritti delle donne e i diritti umani”.
(da agenzie)

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GLI AMERICANI VOGLIONO FARE I PISTOLERI E LA CORTE SUPREMA FEDERALE (NOTI FIGLI DI TRUMP) LI ACCONTENTA

Giugno 24th, 2022 Riccardo Fucile

EMESSO UN PARERE CHE VIETA ALLO STATO DI NEW YORK DI LIMITARE IL DIRITTO DI UN LEGITTIMO POSSESSORE DI UN’ARMA DI PORTARLA CON SÉ QUANDO ESCE DI CASA, DI FATTO CANCELLANDO UNA LEGGE IN VIGORE DA PIÙ DI 100 ANNI

Lo Stato di New York non può limitare il diritto di un legittimo possessore di un’arma di portarla con sé quando esce di casa. La Corte suprema federale ha emesso ieri un parere che di fatto cancella una legge che era in vigore da più di cento anni nello Stato del nord est e che sottometteva il diritto dei cittadini di circolare armati alla capacità di dimostrare l’estrema urgenza che motivava tale necessità.
La Corte ritiene che la licenza che New York rilasciava con molta parsimonia è incostituzionale, in quanto contraddice il principio enunciato dal secondo emendamento, quello che stabilisce il diritto di organizzare milizie armate.
La decisione, che era attesa e data per scontata vista l’attuale configurazione del collegio giudicante, è stata presa seguendo fedelmente la trincea politica sulla quale i togati sono schierati: i sei conservatori hanno votato a favore; i tre progressisti hanno votato contro.
Il parere ha un valore storico, sia per le conseguenze che avrà per milioni di possessori di armi nello Stato di New York e in altri Stati degli Usa che avevano adottato finora una simile disciplina, sia per la valenza politica del messaggio che i giudici hanno voluto comunicare: la Corte suprema non ha più nessun timore ad esprimere il suo parere in tema di circolazione delle armi, ed è pronta a cassare le leggi disegnate per controllarla.
La consulta aveva scelto per decenni di tacere sulla materia, e di fatto lasciare che i singoli legislatori di ogni Stato legiferassero a seconda della sensibilità e della cultura locale. La prima eccezione a questa prassi si è avuta nel 2008, quando lo stesso collegio giudicante asserì per la prima volta il diritto di ogni cittadino statunitense a possedere e custodire armi nella propria abitazione.
Fu quel parere – bollato come un abuso da gran parte della giurisprudenza negli Stati Uniti – a stabilire senza mezzi termini la costituzionalità di un diritto che i padri costituenti avevano concepito con tutt’altre intenzioni nel 1791.
Dopo quell’intervento nel 2008, la Corte si era di nuovo chiusa nel silenzio. Mentre la progressione delle stragi e della violenza armata agitava il dibattito politico nel paese, la consulta ha rifiutato sistematicamente di discutere le tante cause controverse che affollavano i tribunali.
È stato solo dopo l’arrivo sugli scranni dei tre giudici nominati da Donald Trump: Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett, tutti strenui difensori del secondo emendamento, che le maglie si sono aperte, fino alla discussione che si è chiusa con il parere espresso ieri.
La decisione arriva il giorno dopo l’approvazione presso il senato di Washington della prima legge in dieci anni che limita l’accesso alle armi per i giovani dai 18 ai 21 anni sospettati di instabilità mentale o odio razziale preconcetto. La concomitanza fa pensare quasi ad un passaggio di contrappunto, come a voler rassicurare chi teme che i politici possano regolare e abolire i diritti dei possessori di armi.
Il confronto si sposta ora infatti nelle assemblee parlamentari dei singoli stati. La governatrice di New York Kathy Hochul ha detto ieri che sta già lavorando alla redazione di un nuovo testo di legge che contraddica il verdetto della corte, e assicuri i suoi cittadini contro l’incubo di essere circondati in strada da pistoleri ignoti e invisibili.
Le nuove leggi che molti Stati progressisti vorranno approvare, saranno a loro volta soggette alla revisione ultima del giudizio della corte suprema, e il contenzioso potrebbe essere lungo e divisivo tra la popolazione.
È anche per questo che all’annuncio della decisione, il primo cittadino Joe Biden ha reagito con parole forti: «Sono profondamente deluso – ha detto in un comunicato Era dal 1911 che lo Stato di New York proteggeva i suoi cittadini richiedendo che chi porta armi addosso lo faccia per motivi di estrema emergenza. Esorto i politici a trovare nuovi mezzi per assicurare che quella protezione non scompaia».
(da Il Messaggero)

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“DELUSO E DISTACCATO DAL M5S”: GRILLO SI SFOGA CON IL DENTISTA FLAVIO GAGGERO CHE DUE ANNI FA SI CANDIDO’ ALLE REGIONALI IN LIGURIA

Giugno 24th, 2022 Riccardo Fucile

QUELLA DI BEPPE “E’ UNA RITIRATA DI RIFLESSIONE” DOPO LO PSICODRAMMA SEGUITO ALLO STRAPPO DI DI MAIO … LA BATTAGLIA SUL NO ALLA DEROGA AL VINCOLO DEI DUE MANDATI: “È L’ULTIMA REGOLA IDENTITARIA CHE ABBIAMO E NON POSSIAMO CAMBIARLA”

Più forte infuria la bufera, più forte è il richiamo dei porti sicuri, ancora meglio se un po’ nascosti. Nelle ore in cui tutti cercavano Beppe Grillo, a Roma come a Sant’ Ilario, tra post enigmatici e viaggi saltati all’ultimo minuto, il garante del Movimento si trovava dalla parte opposta della città rispetto al suo quartiere, a Pegli, estremo ponente genovese, in poltrona nello studio del suo dentista.
È nell’abbraccio di Flavio Gaggero, 85 anni, odontoiatra di fiducia ma soprattutto amico di sempre, che in questi giorni il (fu?) Elevato si è rifugiato a discutere del momento della sua creatura in piena crisi. Nessuna otturazione in programma, però. Piuttosto una «ritirata di riflessione», viene definita nel partito, da quei pochissimi che hanno ancora un contatto più o meno diretto con il fondatore, che comunque andrà a finire non gli ha impedito di mandare messaggi «precisi» – si fa capire – a quello che rimane del suo partito.
Amici stretti sin dai tempi in cui la politica faceva solo da sfondo ad altre carriere, il Grillo di passaggio in visita a Gaggero, nello studio dentistico che a Genova è un’istituzione (sono di casa vecchi compagni di scuola come Renzo Piano o Gino Paoli, ma si allunga l’orario e si cura gratis per comunità, centri di accoglienza e richiedenti asilo) viene descritto come «profondamente deluso, quasi distaccato, ancora più che arrabbiato ».
Non tanto dall’addio di Luigi Di Maio, né dalla scivolata più dolorosa (tra le tante) della pur breve gestione di Giuseppe Conte. Quanto dall’osservare più o meno a distanza un Movimento finito «disperso » per strade troppo lontane da quelle delle origini, e sentire troppa ingratitudine nei suoi confronti.
«Io c’ero quando è nato il Movimento, a muovere Beppe e chi gli stava vicino era puro spirito francescano, era la convinzione ci fosse bisogno di persone per bene in politica – è l’unica concessione che fa alla richiesta di non parlare della crisi di queste ore Gaggero, che due anni fa si candidò alle Regionali liguri senza troppa fortuna – Poi però è venuto tutto il resto, le elezioni, il posto in Parlamento, gli stipendi, e al posto dello spirito francescano, guardate qua. La politica non è farsi eleggere o prendere parte alle commissioni, la politica è ben altro».
Non una questione di responsabilità personali, insomma. Nessuna colpa particolare attribuita al pur troppo ambizioso Di Maio, né a Conte e alla sua inesperienza, come viene definita. Il problema è cronico, quasi endemico. E riguarda ancora quell’identità irrisolta su cui il mondo grillino si interroga da sempre.
L’eterno cruccio di un Movimento diventato partito, che non a caso potrebbe, vorrebbe “riconquistare” il suo fondatore sul campo della prossima discussione interna all’orizzonte, quella sulla deroga ai due mandati. Viste le implicazioni del caso nelle future primarie siciliane del campo progressista, dove il nome forte del M5S avrebbe dovuto essere Giancarlo Cancelleri, attuale sottosegretario del governo Draghi e già due mandati da consigliere regionale alle spalle, l’idea dei vertici grillini sarebbe quella di ragionare sull’ipotesi di prendere più tempo su un eventuale voto, e lasciare che un tema così sensibile venga affrontato più avanti, a tempesta superata. La sua contrarietà a un rinvio, però, non solo dallo studio del suo dentista, Beppe Grillo l’ha fatta arrivare chiaro e tondo. «È l’ultima regola identitaria che abbiamo – è il suo messaggio – e non possiamo cambiarla».
(da Repubblica)

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LA SUPERCAZZOLA DI MUSUMECI CHE PRIMA ANNUNCIA DI VOLER “TOGLIERE IL DISTURBO”, E POI RINVIA LA DECISIONE AL DOPO BALLOTTAGGI: UN ALTRO INCOLLATO ALLA POLTRONA

Giugno 24th, 2022 Riccardo Fucile

“SONO DISPONIBILE A UN PASSO DI LATO SE ME LO CHIEDE LA MELONI”… GIA’ UN ANNO FA DICEVA DI ESSERE PRONTO “A TRE PASSI INDIETRO PER TUTELARE L’UNITÀ DEL CENTRODESTRA”

Dopo le frecciate di Ficarra&Picone, fischi e claque di Taormina, arrivano inevitabili le ironie sul mezzo ritiro annunciato di Nello Musumeci dalla corsa a succedere a sé stesso in vista delle Regionali di autunno. «Tolgo il disturbo», aveva detto lunedì.
Ipotesi temuta dai suoi, ma auspicata da avversari interni del centrodestra come Gianfranco Micciché. Aspettavano tutti ansiosi. E forse il presidente della Regione (uscente, ma non troppo) è riuscito in qualche modo a scontentare tutti, ieri mattina. Con una conferenza stampa che sostanzialmente rinvia la decisione al dopo ballottaggi.
Perché al passo indietro o al passo avanti ha preferito quello laterale lasciando ventilare l’ipotesi: «Disponibile a un passo di lato». Ma a patto che glielo chieda personalmente Giorgia Meloni, «la mia leader».
E a patto che questo serva «all’individuazione di un candidato unitario: quando lo avranno trovato me lo presenteranno e tutti saremo felici di poterlo sostenere».
Per lui sarà una sorta di mossa del cavallo, in questa partita a scacchi. Ma ha facile gioco Nuccio Di Paola, il capogruppo dei tormentati Cinquestelle all’Assemblea siciliana, a canzonare: «È il passo del gambero».
L’amarezza di questi giorni non sfocia comunque in una resa del presidente della Regione, bistrattato dal coordinatore di Forza Italia perché, sostiene Micciché, «non passa mai la palla». Una resa?
«Non so cosa sia la parola resa. Non mi dimetto. Fino all’ultimo giorno servirò il popolo siciliano rimanendo con la schiena dritta…». Frasi che stridono con un’altra promessa-minaccia dell’anno scorso, quando si diceva pronto « a tre passi indietro per tutelare l’unità del centrodestra ».
Avranno materia i comici per ironizzare su passi e passetti, ma i sassolini dai quali Musumeci prova a liberarsi sembrano pietre pesanti, pur insinuando con messaggi interni, senza specificare: «Spero che mi si dica presto, se non dovessi essere io il candidato, la verità. Ma forse se qualcuno dicesse la verità il centrodestra pregiudicherebbe la prossima vittoria… Non fatemi dire altro».
Il riferimento è a quel blocco che fa vacillare l’aspirazione di un suo secondo mandato, alle resistenze della Lega, di una parte di Forza Italia e degli Autonomisti che hanno come leader un predecessore di Musumeci, l’«assolto» Raffaele Lombardo, tornato fra le quinte della scena politica, come succede per Totò Cuffaro.
Di qui il contrattacco del governatore: «Io sono un presidente scomodo in una terra che finge di voler cambiare».
Poi mira al fortino da dove volano le frecce più avvelenate, quello di Micciché, attuale presidente dell’Assemblea: «Ho dovuto subire indicibili e ignobili attacchi dal fuoco amico, preoccupato più a delegittimare me che ad attaccare le opposizioni».
È da lì che è scattata la metafora del «non fa toccare palla». Con Musumeci che sbotta: «Ci sono palle e palle: di diverso colore, di cuoio, di gomma. Ci sarà un momento per parlare di quelle che è pericoloso toccare».
Caterina Chinnici, invece, sarà la candidata del Pd alle primarie del centrosinistra allargate al M5S in programma il 23 luglio. Lo ha deciso la direzione regionale approvando la relazione del segretario Anthony Barbagallo.
(da il Corriere della Sera)

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IUS SCHOLAE, SONDAGGIO YOUTREND: 6 ITALIANI SU 10 FAVOREVOLI, COMPRESI GLI ELETTORI DEL CENTRODESTRA

Giugno 24th, 2022 Riccardo Fucile

LA META’ DI CHI VOTA SOVRANISTA E’ PIU’ EVOLUTO DEI LORO POLITICI CAVERNICOLI DI RIFERIMENTO

Sta per arrivare in esame alla Camera, salvo ulteriori ostacoli, il disegno di legge sullo ius scholae presentato dal presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera Giuseppe Brescia (M5s) che verrà discusso mercoledì 29 giugno.
Nonostante le divisioni politiche in parlamento, gli italiani sembrano essere piuttosto concordi sul testo.
Il 59 per cento delle persone intervistate da YouTrend si dice a favore della proposta di legge, si parla quindi di quasi sei italiani su dieci.
Un dato ancor più sorprendente se affiancato dal sì del 48 per cento di coloro che si dichiarano elettori della Lega e dal 35 per cento di quelli di Fratelli d’Italia.
Si tratta di due partiti che si sono sempre opposti al ddl in questione, che invece trova sostegno dal Pd, Liberi e Uguali, M5s e Forza Italia.
Nelle ultime ore è arrivata la denuncia anche da Khaby Lame, il content creator più seguito in assoluto su TikTok, che dopo questo risultato raggiunto ieri, oggi ha dichiarato: «Sono il re di TikTok ma mi sento ancora straniero senza cittadinanza».
La spaccatura degli elettori
Ad analizzare il fenomeno è stato YouTrend in un sondaggio commissionato da Action Aid, onlus impegnata contro la povertà e che da anni si batte per lo ius soli e lo ius culturae. I risultati verranno presentati oggi al Quirinale al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Agli intervistati è stato poi presentato il numero di studenti, figli di stranieri, che frequentano la scuola in Italia, ma che non hanno ancora la cittadinanza.
Qui l’elettorato di destra si divide ancora di più: il 25 per cento dei sostenitori della Lega si dice ancora più favorevole, così come il 20 per cento di quelli di Fratelli d’Italia. Ma non solo, il 12 per cento di coloro che si dicono elettori di Salvini affermano che potrebbero anche pensare di cambiare voto per questo motivo, come il 6 per cento di chi appoggia Giorgia Meloni.
Nel momento in cui nel sondaggio gli intervistatori non hanno citato esplicitamente lo ius soli o ius scholae, ma hanno invece chiesto: «I bambini nati in Italia dovrebbero avere sempre la cittadinanza italiana?», i favorevoli crescono ancora di più.
Arrivano al 62,9 per cento le persone che si dicono concordi e a quasi il 50 per cento il sì di coloro che si dicono della Lega e di Fratelli d’Italia. Dati che lasciano intendere che in alcuni casi la divisione sul tema è dovuta più al dibattito politico e non tanto alle ricadute reali di esso sulla società.
Molti, il 64 per cento degli intervistati, ritengono grave che i tanti minori che sono cresciuti fin da piccoli in Italia non possano sentirsi cittadini del nostro Paese. Per il 38 per cento non è giusto che non possano accedere ai concorsi pubblici, al 33 che non possano esprimere il proprio voto alla maggiore età e al 31 che non possano partecipare a determinate gite scolastiche all’estero.
La legge in questione permetterebbe di acquisire la cittadinanza ai minori nati in Italia e a coloro che sono approdati nel nostro Paese entro i 12 anni di età, che vi risiedano legalmente (senza interruzioni) e che abbiano frequentato almeno 5 anni di scuola sul territorio nazionale.
La problematica della cittadinanza per i minori stranieri tocca circa un milione e mezzo di giovani, di cui due terzi nati in Italia (Istat 2021).
Il centrosinistra, Pd, M5s e Italia Viva, è unito nel sostegno al ddl, mentre il centrodestra si trova spaccato con Fratelli d’Italia e Lega contrari e Forza Italia favorevole.
Attualmente, salvo alcune eccezioni, è in vigore lo ius sanguinis: occorre che uno dei due genitori sia in possesso della cittadinanza per poterla ottenere.
(da agenzie)

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VERSO LA CONFERMA DELLE MASCHERINE FFP2 SUL LAVORO A LUGLIO, QUALCUNO SI E’ ACCORTO CHE IL “LIBERI TUTTI” E’ STATA UNA CAZZATA?

Giugno 24th, 2022 Riccardo Fucile

“LASCIAR CIRCOLARE IL VIRUS E’ PERICOLOSO”: LE PERSONE SENSATE LO AVEVANO CAPITO GIA’ DA MESI

A luglio sarà confermato l’obbligo di mascherine Ffp2 sul lavoro. Negli impieghi a contatto con il pubblico e in quelli in cui i colleghi sono troppo vicini.
Ma potrebbe cambiare il limite del distanziamento sociale da un metro a due. I tecnici del ministero del Lavoro e quelli della Salute stanno mettendo su una bozza di documento che diventerà il nuovo protocollo per l’occupazione. Da sottoporre successivamente alle imprese e ai sindacati. Con una data limite: quella del primo luglio.
Perché il 30 giugno scadono i vecchi protocolli. E lasciare tutti liberi fin dall’estate potrebbe essere un azzardo. Anche perché nel frattempo il contagio da Coronavirus ha ricominciato a correre. E intanto l’esperto Massimo Andreoni avverte: la strategia di lasciar circolare il virus è pericolosa.
A parlare oggi della nuova bozza del protocollo sul lavoro è La Stampa. Il quotidiano spiega che i tecnici di Speranza vogliono reintrodurre le Ffp2 al chiuso quando si è a contatto stretto con clienti e colleghi. Dovrebbero continuare a indossarle camerieri, baristi, sportellisti degli uffici privati e delle banche e lavoratori non protetti da barriere di vetro o plexiglass. Anche in ufficio e in fabbrica andranno tenute quando si lavora a meno di due metri di distanza uno dall’altro. Confcommercio ha già detto che in ogni caso continuerà a suggerire di indossare i dispositivi di protezione individuale ai gestori delle attività commerciali e di ristorazione.
Le nuove linee guida saranno sprovviste di alcuni divieti. Come quelli delle trasferte di lavoro. Resterà invece l’obbligo di sanificare a fine turno le scrivanie e gli oggetti che si utilizzano per il lavoro, a partire dai computer. Per i lavoratori fragili sarà ancora privilegiato lo smart working. Per il lavoro in presenza dovrebbe essere previsto il cambio di mansione in caso di impossibilità al lavoro agile. Niente limiti all’uso di aria condizionata. Almeno dal punto di vista della pandemia. Negli uffici pubblici per ora non cambia nulla. Il ministro competente, Renato Brunetta, ha già disposto la raccomandazione.
La libera circolazione del virus
Intanto il direttore scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive e primario di infettivologia a Tor Vergata Massimo Andreoni avverte: lasciar circolare il virus è un’idea pericolosa. Andreoni, in un colloquio con Alessandro Mantovani per il Fatto Quotidiano, dice che «le decisioni sono state prese in funzione del tempo anziché dell’andamento epidemico: anziché dire ‘il 15 giugno faremo’ sarebbe stato meglio aggiungere ‘se le cose vanno bene’». E aggiunge che «il virus si trasforma da pandemico in endemico non solo perché è meno aggressivo, ma anche perché c’è molta immunità naturale. In altri Paesi ha fatto più vitti#me. Ma allora è meglio farlo circolare? No».
Per il prof più il virus circola «e più muta e può andare in direzioni non gradite. Omicron ha fatto più di 30 mutazioni. I dati mostrano che Ba. 5 è più immune escape di altre varianti, sfugge meglio. E allora servono più booster vaccinali, bisogna inseguire il virus dove vuole lui». Infine, sostiene l’infettivologo, «ora ci sono questi vaccini combinati molto interessanti, ma c’è anche un disamore della popolazione verso il vaccino. L’altra banalità è che c’è il bel tempo, però in Texas o in India hanno avuto il Covid anche con il caldo. Vedo un atteggiamento diverso da giugno 2020 o 2021, quando pure l’epidemia era in un momento di bassa attività: allora la gente indossava le mascherine, ora invece dice basta. Lo capisco, ma questo determina nuove varianti più trasmissibili».
(da agenzie)

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IL CASO DI MANLIO DI STEFANO, ANTI NATO NEL M5S, FILO NATO POST M5S

Giugno 24th, 2022 Riccardo Fucile

TUONAVA CONTRO L’ALLEANZA ATLANTICA SUL BLOG DI GRILLO, ORA STA CON DI MAIO NEL PARTITO PIU’ ATLANTISTA DEL PARLAMENTO

Sembra ieri. E invece era il 12 gennaio del 2017 quando l’allora deputato e capogruppo del MoVimento 5 Stelle in Commissione Esteri Manlio Di Stefano tuonava contro l’Alleanza Atlantica sul blog di Beppe Grillo (l’intervento poi è finito sul Blog delle Stelle). «Da tempo la NATO (tanto per non dire gli Stati Uniti) sta giocando con le nostre vite», scriveva il deputato.
E per essere ancora più chiaro aggiungeva: «Il M5S si oppone da sempre a questa immonda strategia della tensione e chiede, con una proposta di legge in discussione alla Camera dei Deputati, che la partecipazione italiana all’Alleanza Atlantica sia ridiscussa nei termini e sottoposta al giudizio degli italiani». Una posizione chiara, chiarissima. Ribadita il 28 gennaio dello stesso anno con un argomento nel frattempo tornato d’attualità: l’Ucraina.
Dietrofront, avanti marsch!
«Nel voler forzare l’ingresso di Kiev nella Nato, in poche parole, gli Stati Uniti stanno giocando con scenari di terza guerra mondiale», diceva il deputato in un intervento in Commissione. Mentre intanto il M5s invitava tutti al convegno “Se non fosse NATO“. E non finisce mica qui. Negli anni i suoi interventi in politica estera hanno appassionato i commentatori. Nel 2016 andò a Mosca per rappresentare il M5S al congresso di Russia Unita, il partito di Putin. L’anno prima annunciò un viaggio in Crimea sostenendo che «l’Europa non è indipendente. Gli Stati Uniti stanno trascinando l’Ue in una crociata contro la Russia, che contraddice gli interessi storici del nostro continente».
O tempora, o mores! Oggi deve essere successo qualcosa. Perché Manlio Di Stefano nel frattempo ha lasciato il Movimento 5 Stelle ed è entrato in Insieme per il Futuro, seguendo il leader Luigi Di Maio. Anche lui, come il ministro degli Esteri, è al secondo mandato. Ma lo stesso Di Maio ha assicurato che le poltrone non c’entrano niente con la scelta di lasciare il partito di Giuseppe Conte.
Anzi, il problema era un altro: «È un fatto molto grave che tende a creare tensioni e instabilità all’interno del Governo. Vengo accusato dai dirigenti della mia forza politica di essere atlantista ed europeista. Lasciatemi dire che, da Ministro degli Esteri, davanti a questa terribile guerra rivendico con orgoglio di essere fortemente atlantista ed europeista».
Alleanze atlantiche ed elettorali
E ancora: «Abbiamo scelto di fare un’operazione verità, partendo proprio dall’ambiguità in politica estera del M5S: in questo momento storico sostenere i valori europeisti e atlantisti non può essere una colpa. Di fronte alle atrocità di Putin dovevamo scegliere». Più chiaro di così è difficile. Viva l’Atlantismo, e pazienza se la Nato “gioca con le nostre vite”, come diceva Di Stefano.
Dalla sua pagina Facebook è intanto nel frattempo sparito ogni riferimento al M5s. Via il simbolo e via il nome, anche se nel frattempo quello del partito di Di Maio ancora non compare.
In compenso tanti post sulla guerra in Ucraina che «ci sta danneggiando» e nel frattempo bisogna «rispondere all’invasione russa». E qualche commento nostalgico, come quello di Rossella: «Balle. Quello che volete sono quattrini e privilegi. Se credevate che non ce ne saremmo accorti, ci avete sottovalutati. E questo è più grave, faremo in modo che sia un boomerang».
(da agenzie)

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I 600.000 EURO DI DEBITI CHE GLI ELETTI CHE VANNO CON DI MAIO LASCIANO AL M5S

Giugno 24th, 2022 Riccardo Fucile

UNA VENTINA DI PARLAMENTARI ERA INDIETRO CON LE RESTITUZIONI AL PARTITO

La stima è del Fatto Quotidiano, che ne parla oggi in un articolo a firma di Lorenzo Giarelli: Di Maio e i suoi lasciano al Movimento 5 Stelle circa 600 mila euro di debiti.
Tra i parlamentari che seguiranno il ministro degli Esteri in Insieme per il Futuro, infatti, una ventina lascia il M5s senza aver onorato gli impegni sulle restituzioni. E apre anche un buco nei conti, visto che con il calo della consistenza numerica dei gruppi alla Camera e al Senato arriveranno anche meno soldi dal parlamento.
Senza contare la storia della multa per i voltagabbana: era stato lo stesso Di Maio a istituirla facendoci campagna elettorale sopra alle elezioni del 2018. Ma adesso non sembra avere alcuna intenzione di pagarla. Peccato, visto che 100 mila euro in più avrebbero fatto comodo a Conte & Co.
Ma torniamo alle restituzioni mancate. Di regola da aprile 2021 ciascun eletto nel Movimento 5 Stelle in parlamento deve versare mille euro al partito come autofinanziamento. Altri 1500 invece dovrebbero andare nel computo delle restituzioni, ovvero i soldi che il M5s “restituisce” al popolo tagliando gli stipendi troppo alti dei politici.
Chi sono i parlamentari più indietro? Tra questi, scrive il Fatto, c’è Vincenzo Spadafora, che in 14 mesi (da aprile 2021, appunto) ha versato al M5S 10.500 euro dei 30 mila dovuti. Primo Di Nicola, che sarà il capogruppo di Insieme per il Futuro in Senato, è invece fermo al 2021, anno in cui ha versato 20 mila euro. Mattia Fantinati a febbraio 2021 versò 6 mila euro; poi più nulla. Il suo debito da aprile 2021 è di 30 mila euro. Ma l’elenco è ancora più lungo: nella lista ci sono anche Stefano Vignaroli, Marta Grande, Gianluca Vacca. In tutto poco più di venti.
(da agenzie)

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SALVINI SI DEDICA AL BILIARDINO: LA BUFALA CHE “E’ SALVO GRAZIE ALLA LEGA” DAL CONTROLLO DELLA AGENZIA DELLE ENTRATE

Giugno 24th, 2022 Riccardo Fucile

IN REALTA’ NON E’ MAI STATO IN PERICOLO, BASTA SAPER LEGGERE LE NORME VIGENTI

Prima dice “con tutti i problemi che hanno gli italiani, ci sono parlamentari che pensano alle canne”, commentando l’approvazione in Commissione Giustizia alla Camera di un testo sulla depenalizzazione della Cannabis, poi però twitta sul “libero biliardino in libero Stato”: “Grazie a chi, a nome della Lega, ha corretto una norma assurda”, dice Matteo Salvini.
In base a una norma inserita nel maxiemendamento al dl Pnrr approvato in Senato entro il 15 novembre di ogni anno l’Agenzia delle Dogane dovrà individuare gli apparecchi “meccanici ed elettromeccanici che non distribuiscono tagliandi” (come i biliardini) che saranno esenti dall’obbligo di verifica tecnica e conseguente nulla osta da parte della stessa Agenzia oggi necessari per l’utilizzo.
La vicenda aveva messo sul piede di guerra i balneari, che temevano multe fino a 4mila euro per ogni biliardino non “autorizzato”.
Agenzia delle Entrate: “Nessuna nuova regolamentazione”
In una nota l’Agenzia aveva però fatto notare come nulla fosse cambiato rispetto alle norme passate. “Nelle ultime ore, nessuna nuova regolamentazione è intervenuta per modificare la normativa di settore già esistente – si legge nel documento – I biliardini, come sempre, potranno essere liberamente installati in tutti i luoghi aperti al pubblico in continuità con le regole del passato e secondo le modalità già previste”. In particolare, spiega l’Agenzia, “una norma del 2012 ha inserito i biliardini fra quegli apparecchi le cui caratteristiche devono essere disciplinate da interventi ministeriali: ciò con l’intento di garantire la sicurezza dell’esercizio. A titolo esemplificativo per comprendere l’utilità dell’intervento – si legge ancora nella nota – tra i diversi documenti che il produttore deve presentare per la commercializzazione del prodotto sono presenti anche quelli che garantiscono gli standard di sicurezza dei giocatori previsti dalle normative europee. Queste regole valgono naturalmente solo nei luoghi aperti al pubblico e non per la vendita di biliardini a privati. Un intervento normativo del 2020 ha consentito all’Agenzia di intervenire come ente di regolazione. Conseguentemente, nel 2021, nei mesi di maggio e giugno, sempre per salvaguardare i biliardini già installati nei luoghi aperti al pubblico ed evitare che una norma inapplicata del 2012 portasse a centinaia di sequestri su tutto il territorio nazionale, l’Agenzia ha adottato regole semplificate di autodichiarazione che non prevedono più una autorizzazione ma un semplice nulla osta. Sotto l’aspetto tributario, tali apparecchi sono assoggettati, da oltre venti anni, all’imposta sugli intrattenimenti. Anche in questo caso, nulla è cambiato con la nuova regolamentazione”.
(da NextQuotidiano)

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