Dicembre 31st, 2022 Riccardo Fucile
LA LEGA AL 7,8% E FORZA ITALIA AL 6,2% (SUPERATA DAL TERZO POLO) … IL VOTO PER CATEGORIE: GLI OPERAI SI SONO SPOSTATI A DESTRA PER ASSENZA DI RAPPRESENTANZA, MA LA MELONI PREVALE ANCHE TRA IMPRENDITORI E PENSIONATI
Lo scenario politico di fine anno fa registrare la tenuta del consenso per il governo e la premier: l’indice di gradimento dell’esecutivo flette di un solo punto (da 55 a 54), mentre quello per Giorgia Meloni rimane stabile a 58.
La legge di bilancio rappresentava un importante banco di prova per il governo, tenuto conto che veniva elaborata a poche settimane dall’insediamento, con il rischio che potessero emergere dietro front rispetto alle recenti promesse elettorali e tensioni tra i partiti della maggioranza, che pure non sono mancate; ebbene, non accenna a diminuire l’apertura di credito espressa da quasi un italiano su due.
L’apprezzamento per l’operato della premier si riflette anche sugli orientamenti di voto che vedono aumentare il vantaggio di FdI, oggi stimato al 31,7%, su tutte le altre forze politiche. Il M5S, dopo aver scavalcato il Pd un mese fa, consolida il secondo posto con il 17,6%, mentre i dem fanno segnare un’ulteriore flessione (-0,9%) attestandosi al 16,3%. A seguire, la Lega con il 7,8% e Azione/Italia viva (7%) che sorpassa Forza Italia (6,2%, in calo di 0,6%).
Nel complesso il centrodestra ottiene il 46,8% delle preferenze e si mantiene stabile rispetto a fine novembre (+0,1%), mentre il centrosinistra subisce un ulteriore calo (-1,4%) e scende al 22,1% (-4% rispetto alle politiche).
Conte si conferma al primo posto nella graduatoria dei leader con un indice di gradimento pari a 32, seguito da Salvini (27), Berlusconi (24) e Calenda (22, in crescita di 2 punti rispetto a novembre); da segnalare il calo di Fratoianni (-3) e Bonelli (-2), raggiunti da Renzi a quota 16.
L’anno appena trascorso è stato molto denso di cambiamenti, soprattutto nell’ambito del centrosinistra dove per diversi mesi fu ipotizzata un’ampia alleanza (il cosiddetto «campo largo») che, peraltro, secondo i sondaggi risultava assai competitiva; la fine del governo Draghi ha indotto un cambio nelle strategie dei partiti: il perimetro del centrosinistra guidato dal Pd si è ridotto, l’alleanza tra Calenda e Renzi ha dato origine al Terzo polo e il M5s, rinunciando alle scelte degli anni passati, ha deciso di posizionarsi nell’area progressista.
Ed è stato un anno all’insegna della volatilità delle preferenze degli elettori, basti pensare che a gennaio Pd (20%), Lega (19,7%) e FdI (19,5%) erano separati solo da 0,5%, il M5s era al 15,9% (ma a fine luglio era precipitato all’11,3%) e Forza Italia si attestava al 9,2%. Il dato più rilevante ha riguardato il centrodestra che mantenendo nel corso dei mesi un bacino elettorale sostanzialmente simile, ha registrato un significativo travaso di voti da Lega e FI a favore di FdI.
La volatilità non accenna a diminuire nemmeno dopo le elezioni del 25 settembre, infatti l’analisi dei flussi elettorali mostra significativi spostamenti nelle scelte degli elettori. Il partito guidato da Giorgia Meloni tre mesi dopo il voto può contare su l’elettorato più fedele (87,9% di chi votò FdI alle politiche oggi confermerebbe il proprio voto) e sulla più elevata capacità di attrarre nuovi elettori che provengono soprattutto dall’area dell’astensione (13,6%) e dagli alleati del centrodestra (4% da FI e 3,4% dalla Lega), e in misura minore dal Terzo polo (1,6%), dal Pd e dal M5S (1,4%). La Lega può contare sulla fedeltà del 72,1% dei propri elettori ma non riesce ad arginare il flusso verso FdI (12,4%) e l’astensione (10,5%)
Inoltre, FI e Noi moderati hanno un elettorato meno fedele (65,5%) e più sensibile al richiamo di FdI (14%). Passando ai partiti dell’opposizione, le difficoltà del Pd stanno generando disorientamento e delusione in una parte dei propri elettori, un quinto dei quali (19,7%) dichiara di essere indeciso su chi votare o di volersi astenere, e gli altri elettori in uscita risultano più propensi a votare per il M5S (3,8%) o un’altra forza di sinistra (1,9%) rispetto al Terzo polo (1,5%); da notare anche il 2,4% dei dem che salta sul carro del partito vincitore.
L’apprezzamento per le scelte di Conte trova conferma nell’elevato tasso di fedeltà degli elettori pentastellati (84,5%) e dall’attrazione di astensionisti (il 16,1% degli attuali elettori alle politiche si era astenuto). Quanto al Terzo polo, quasi quattro elettori su cinque (78,6%) dichiara di voler confermare il proprio voto e l’orientamento di coloro che cambierebbero la propria scelta privilegerebbe FdI (6,4%), mentre il 2% voterebbe Pd e l’1,9% Forza Italia.
E tra i voti in entrata si conferma la maggiore provenienza dal Pd (4,1%) e dalle altre forze del centrosinistra (2%) rispetto ai voti provenienti dal centrodestra (nel complesso 2,2%). Da ultimo l’area del non voto che, come sappiamo, ha toccato il livello più elevato di sempre nelle elezioni legislative (39%, considerando oltre agli astensionisti anche le schede bianche e nulle): la stragrande maggioranza di costoro (81%) conferma la volontà di disertare le urne, mentre tra coloro che esprimono una preferenza le prime tre forze politiche sono, nell’ordine, FdI (6,7%), M5S (4,4%) e Ps (3,2%).
Il voto «mobile»
L’attitudine degli elettori a cambiare il proprio voto complica molto la vita dei partiti che possono contare sempre meno su blocchi sociali stabili con i quali interagire e di cui rappresentare le istanze. Ad esempio gli operai e i lavoratori esecutivi, storicamente rappresentati dai partiti di sinistra, da tempo privilegiano il voto a destra ed oggi per il 39,1% dichiarano di voler votare per FdI, mentre il Pd (erede della tradizione di sinistra) si colloca al quarto posto con il 9% dei consensi; e, per rimanere nell’ambito del Pd, si è fortemente attenuata la connotazione che si era affermata negli ultimi anni, ossia quella del primo partito tra i laureati, le persone più abbienti e i residenti nei quartieri cittadini più ricchi (da cui la sarcastica definizione «partito-Ztl»): l’erosione del voto dem da parte del Terzo polo ha riguardato prevalentemente questi elettori, con il risultato di far perdere al Pd il primato tra costoro a vantaggio di FdI.
Un altro esempio riguarda i ceti produttivi (imprenditori e autonomi) che insieme alle casalinghe costituivano i principali riferimenti di Forza Italia e oggi si sono trasferiti in FdI, mentre il partito di Berlusconi è retrocesso al quinto posto con il 9,1% tra gli imprenditori e i dirigenti e il 6,4% tra gli autonomi e al quarto posto tra le casalinghe con l’11,1%; oppure ancora i cattolici, spesso rincorsi dai leader di partito come se rappresentassero un gruppo sociale coeso, portatore degli stessi valori e degli stessi interessi: oggi il partito più votato dai praticanti è FdI (32% tra gli assidui e 37,4% tra i saltuari), mentre alle Europee del 2019 fu la Lega, alle Politiche del 2018 il M5S e alle Europee del 2014 il Pd, non diversamente dall’elettorato nel suo complesso, a conferma del fatto che la fede rappresenta un frammento dell’identità che convive con altri frammenti (tra cui la politica).
Insomma, la questione è capire «chi rappresenta chi», ed è una questione decisiva per la definizione della proposta politica nonché delle modalità comunicative con cui entrare in relazione con il proprio elettorato attuale e potenziale. La competizione Dunque FdI risulta il primo partito presso tutti i segmenti sociali con poche eccezioni, rappresentate dagli elettori più giovani (18-34 anni), dagli studenti, dalle persone di condizione economica bassa, dai disoccupati e dai residenti nelle regioni del Sud e isole.
Presso costoro il M5S rappresenta la forza politica più votata, seguita da FdI. Il partito di Giorgia Meloni risulta quindi molto trasversale: prevale tra gli imprenditori e i lavoratori autonomi, ma anche tra gli impiegati, gli operai, le casalinghe e i pensionati, come pure tra i laureati ma anche tra coloro che hanno la licenza elementare o nessun titolo, tra i cattolici praticanti ma anche tra i non credenti. La trasversalità rappresenta sicuramente un punto di forza, che fa di FdI un partito interclassista, ma in prospettiva può rappresentare un elemento di debolezza perché non è sempre facile trovare un punto di equilibrio tra le esigenze contrapposte che i diversi gruppi sociali esprimono, soprattutto in una congiuntura complessa come quella attuale.
(da il “Corriere della Sera”)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 31st, 2022 Riccardo Fucile
“NON MI È PIACIUTA LA MELONI: INSTILLARE DUBBI SUL RICHIAMO VACCINALE NON VA BENE”
Fabrizio Pregliasco, virologo e candidato del Centrosinistra alle Elezioni Regionali in Lombardia, è intervenuto a “Italia città aperta”, trasmissione di Cusano Italia Tv, condotta da Roberta Feliziani.
La Cina e il nuovo rischio di un innalzamento dei contagi in Italia. “Il rischio di una nuova impennata dei contagi è alto, e purtroppo manca un piano pandemico che possa intervenire sui problemi che potrebbero verificarsi.
Quello che sta accadendo adesso in Cina costringe le varie nazioni europee – Inghilterra, Germania, Spagna – a monitorare la situazione. Per ora, le varianti isolate in Cina sembra siano sostanzialmente uguali a quelle europee. Occorre, però, restare vigili perchè il virus muta casualmente, non si replica in modo preciso e continuo”.
Sulle parole della Meloni sui vaccini. “Non mi è piaciuta la Meloni durante il discorso di fine anno, quando è stata tentennante in merito al tema della vaccinazione. Instillare dubbi sul richiamo vaccinale non va bene. Dobbiamo dare invece il messaggio di quanto sia importante la risposta vaccinale per evitare la nuova fiammata”.
Sui problemi della sanità lombarda. “Alla sanità lombarda servono compensazioni economiche per il personale medico e infermieristico. Medici e infermieri scarseggiano, soprattutto nelle situazioni più scomode. Ci sono pochi medici in quelle specializzazioni che sono cruciali e che necessitano di essere valorizzate. Il governo aveva promesso facilitazioni e compensazioni per tutti coloro che lavorano nei pronto soccorso, ma nella manovra non c’è nulla”.
(da Radio Cusano Campus)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 31st, 2022 Riccardo Fucile
SONO STATI DISMESSI I CENTRI MAGGIORI… L’IMMUNIZZAZIONE VA A RILENTO E MANCA UNA CAMPAGNA EFFICACE PER I 12 MILIONI DI ANZIANI E FRAGILI ANCORA SENZA QUARTA DOSE
Chiudono gli ultimi hub con i vaccini d’addio, proprio mentre s’ invitano quasi 12 milioni d’anziani e fragili senza protezione a fare la quarta dose, i più piccoli a tornare a vaccinarsi, i resistenti a colmare le lacune di iniezioni mai affrontate. Se un anno fa, tra l’autunno e l’inverno 2021-2022, c’erano circa 3mila hub in tutta Italia, (tanti ne contava il commissario Francesco Figliuolo che guidava la campagna vaccinale) tra file chilometriche, prenotazioni h24, punture la notte di Capodanno e brindisi negli open day, oggi pure le grandi strutture che avevano resistito alla fase di normalizzazione vanno in dismissione.
A geografia variabile rimangono 2.300 punti vaccinali, ma si tratta spesso di ambulatori o case della salute, aperti secondo gli orari delle Usl, con il supporto dei medici di famiglia. Accessibili, con o senza appuntamento, nelle grandi città, più difficili da raggiungere nei piccoli centri o per gli anziani che vivono l’angoscia delle sale d’attesa ingolfate di pazienti influenzati (più di 6 milioni di persone ha messo a letto il virus stagionale in due mesi). E nei frigoriferi giacciono 15,6 milioni di dosi.
(da “la Repubblica”)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 31st, 2022 Riccardo Fucile
NEL MERIDIONE IL NUMERO DI PENSIONI HA SUPERATO GLI STIPENDI… TRA INIZIO 2019 E SETTEMBRE 2022 IL SUD HA PERSO 575MILA PERSONE IN ETÀ LAVORATIVA
Il Mezzogiorno vive un preoccupante paradosso occupazionale: il totale dei pensionati è superiore alla somma di lavoratori dipendenti e autonomi. La sproporzione è drammatica: 7,2 milioni i pensionati contro circa 6 milioni di lavoratori. Un dato che influenza quello nazionale: nell’insieme della Penisola i pensionati superano i lavoratori di 205mila unità con 22,7 milioni di assegni a fronte di 22,5 milioni di addetti a gennaio 2022.
È quanto ha sottolineato l’Ufficio studi della Cgia di Mestre evidenziando che, a livello territoriale, tutte le regioni del Mezzogiorno presentano un numero di occupati inferiore al numero degli assegni pensionistici erogati. In termini assoluti le situazioni più «squilibrate» si sono verificate in Campania (-226mila), Calabria (-234mila), Puglia (-276mila) e Sicilia (-340mila).
Tra le province con maggior problematicità si segnalano Messina (-94mila), Lecce (-104mila) e Napoli (-137mila). Nel Centro-Nord, invece, solo Marche (-36mila), Umbria (-47mila) e Liguria (-71mila) presentano una situazione di criticità. Le situazioni più «virtuose» sono in Emilia Romagna (+191mila), Veneto (+291mila) e Lombardia (+658mila).
La principale motivazione di questo fenomeno risiede nella denatalità. Tra il 2014 e il 2022 la popolazione italiana nella fascia di età più produttiva (25-44 anni) è diminuita di oltre 1,36 milioni di unità (-2,3%). Tra inizio 2019 e settembre 2022 questo fenomeno il Meridione ha perso 575mila persone in età lavorativa.
Tuttavia, il risultato “anomalo” del Sud va spiegato anche in base al minor numero degli occupati è sensibilmente inferiore. Alla fine del terzo trimestre 2022 il tasso di occupazione del Mezzogiorno si attestava al 46,6% dove è in diminuzione di 0,3 punti percentuali rispetto alla fine di giugno 2022, con un lieve incremento del tasso di inattività al 45,7%. In valore assoluto i meridionali di età compresa tra 15 e 64 anni che non hanno un lavoro e non lo cercano sono 5,8 milioni.
Confrontando le analisi della Cgia di Mestre con i recenti dati Istat, si può dedurre che in qualche misura il reddito di cittadinanza, oltre a non aver funzionato per l’inserimento lavorativo dei meridionali, abbia funzionato anche da «scivolo» verso la pensione dei residenti al Sud.
E se anche, come evidenziato dallo Svimez, l’emigrazione (125-150mila persone l’anno) continua a svuotare il Mezzogiorno di persone in età lavorativa, gli imprenditori non solo al Nord, osserva l’Ufficio studi degli artigiani mestrini, denunciano difficoltà nel reperire personale. E non si tratta solo di figure professionali la cui mancanza è causata anche dal disallineamento tra scuola e mondo delle imprese. I giovani, prosegue la Cgia, tendono a rifiutare le posizioni meno prestigiose che solo in parte vengono “coperte” dai lavoratori stranieri. E questa sembrerebbe rappresentare un’altra distorsione generata dal reddito di cittadinanza anche se non ci sono statistiche eloquenti sul tema. Di certo, la «congruità» dell’offerta ai percettori del reddito, che consente fino a oggi di non accettarla, è un freno all’occupabilità.
C’è, però, un altro dossier su cui intervenire ed è la politica per la famiglia. Secondo la Banca d’Italia, è indispensabile incentivare la crescita demografica (aiuti ai genitori e ai minori), allungare la vita lavorativa, incrementare la partecipazione femminile nel mercato del lavoro e, infine, innalzare il livello di istruzione della forza lavoro. Tutte sfide che nel 2023 il governo dovrà necessariamente affrontare.
(da il Giornale)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 31st, 2022 Riccardo Fucile
MELONI GARANTISCE CHE NON SI TORNERÀ A LOCKDOWN E GREEN PASS, PER NON DELUDERE I CONTRARI AL VACCINO CHE L’HANNO VOTATA. MA QUANTO POTRÀ DURARE QUESTA LINEA? IL MINISTRO DELLA SALUTE FA L’EQUILIBRISTA SUI TAMPONI, E FORZA ITALIA PRESSA SUI VACCINI
«Seguiremo le indicazioni che ci darà la scienza, così come abbiamo cominciato a fare con gli aeroporti. E di certo non neghiamo l’esistenza del Covid. Siamo stati tra i primi paesi Ue ad adottare misure di prevenzione, prenderemo provvedimenti adeguati all’evoluzione del quadro ma ci sono due punti ai quali non torneremo mai. E sono il green pass e il lockdown. Non ci saranno più, né l’uno né l’altro. Quella storia è finita».
C’è una strada più o meno dritta che parte da Palazzo Chigi e arriva al ministero della Salute. E ci sono decine di persone che nelle ultime quarantott’ ore di ritrovato allarme Covid l’hanno percorsa a più riprese. Andata e ritorno, senza sosta, in un viaggio iniziato e finito sempre davanti alla stanza di Giorgia Meloni.
Ecco, chiunque sia uscito dallo studio della presidente del Consiglio nei giorni e nelle ore precedenti all’uscita della nuova circolare del ministero della Salute ha portato con sé una certezza, che racchiude la linea del governo sul contrasto al Covid destinata – nelle intenzioni di chi guida il governo – a rimanere una specie di «primo comandamento» da non mettere in discussione in nessun caso.
«Mai più green pass, mai più chiusure». In fondo, è la parafrasi di quella leggera concessione al politichese a cui Meloni si era abbandonata nel corso della conferenza stampa di fine anno, chiarendo che «il modello di privazione della libertà non mi è parso così efficace, come dimostra la Cina».
Giorgia Meloni, insomma, fissa i paletti. Si fa quello che consiglia la scienza ma a un certo punto, che sono green pass e chiusure, non si arriva.
Ci si ferma prima, come a un semaforo rosso. A Palazzo Chigi respingono le accuse che arrivano dall’opposizione, negano di voler mettere il bavaglio agli scienziati, rovesciano le teorie di chi accusa almeno due dei tre partiti principali della maggioranza (Fratelli d’Italia e Lega) di voler cancellare lo spettro del Covid con un tratto di penna.
«Siamo stati i primi a controllare gli aeroporti e ci auguriamo che il resto dell’Unione europea ci segua compatto», è l’adagio di Palazzo Chigi messo a verbale da uno di quegli uomini-chiave che nelle ultime ore ha fatto la spola tra la sede del governo e il ministero della Salute.
Segue sequenza di provvedimenti che potrebbero essere assunti qualora la situazione peggiorasse, che poi è diventata il corpo della nuova circolare del ministero della Salute elaborata col supporto dell’Istituto superiore di sanità: agevolazione dello smart working, mascherine al chiuso, distanziamento fino ad arrivare a quella responsabilizzazione dei cittadini che comprende, per esempio, misure cautelative che vanno dall’autosorveglianza all’isolamento «raccomandato». È la linea del governo, certo.
Ma è soprattutto la linea di Meloni, che secondo le persone a lei più vicine «aveva visto in anticipo e con talmente tanta nitidezza» il tema della recrudescenza del Covid da avocare a sé la scelta del ministro della Salute, poi ricaduta su una persona di strettissima fiducia come Orazio Schillaci. Il contrasto con Forza Italia, che ambiva ad aggiudicarsi quella casella del «Monopoli» del governo e che inizialmente aveva accarezzato il sogno di poter indicare Licia Ronzulli, il nemico numero uno dei no-vax, nasce da lì; la presidente del Consiglio, invece, aveva tirato dritto, sottratto il ministero della Salute al gioco di equilibri della maggioranza e deciso in prima persona, stabilendo quindi il principio che sul contrasto al Covid scelte e responsabilità erano, sono e saranno in capo a una persona: lei.
Già, Forza Italia. La tensione col partito di Berlusconi, sul punto, rimane un tema da monitorare. Una specie di allarme che balla sempre a ridosso di un punto di equilibrio, di un livello di guardia. Ieri, a quasi tre settimane dalla scelta della capogruppo Ronzulli di non partecipare al Senato al voto sul decreto rave, che contiene anche il reintegro dei medici no-vax, il remake dello stesso film è andato in scena alla Camera e quel punto di equilibrio è stato superato.
Sono stati 13 su un totale di 44 i deputati forzisti (solo 4 di questi erano in missione) che hanno deciso di non partecipare alla votazione finale sul provvedimento, confortati dall’imprimatur che il Cavaliere e la sua cerchia ristretta hanno sintetizzato in una frase: «Sul Covid noi faremo quello che dice la scienza».
Che, in fondo, è lo stesso adagio che si sente in queste ore a Palazzo Chigi, anche se le differenze e le sfumature sono talmente tante che a volte «sembra di trovarci – per usare la sintesi di un autorevole berlusconiano – a scorgere l’inizio del tunnel alla fine di una strada illuminata». Sulla campagna di vaccinazione, per esempio, tema su cui ridurre le tante voci della maggioranza a una sola sintesi sembra già un’impresa ai limiti dell’impossibile. E forse anche oltre.
(da il il “Corriere della Sera”)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 31st, 2022 Riccardo Fucile
RAPPORTO OSSERVATORIO CITTA’ CLIMA: + 55% RISPETTO AL 2021, CON 29 MORTI
Il 2022, l’anno più caldo di sempre in Italia, o più precisamente da quando viene tenuta traccia della “febbre” del pianeta, è stato un vero e proprio annus horribilis per quel che concerne l’impatto dei cambiamenti climatici, con un incremento significativo di molti fenomeni meteorologici e idrogeologici estremi.
Secondo un rapporto presentato il 30 dicembre da Legambiente, infatti, nell’anno che sta per concludersi c’è stato un aumento del 55 percento rispetto al 2021 dei suddetti fenomeni, alcuni dei quali hanno provocato immense tragedie. Sono in tutto 29 le persone che hanno perso la vita a causa di questi drammatici eventi, che abbracciano alluvioni, trombe d’aria, siccità, frane, mareggiate e altri fenomeni catalizzati – per intensità e frequenza – dalle emissioni di CO2 (anidride carbonica) e altri gas a effetto serra, derivate dalle attività umane.
Secondo il rapporto “Osservatorio Città Clima” di Legambiente, l’Italia settentrionale è stata la più colpita in assoluto da eventi meteo-idrogeologici estremi.
Per quanto concerne le singole regioni, sono risultate maggiormente investite la Lombardia, il Lazio e la Sicilia, mentre tra le province lo è stata l’area metropolitana di Roma. Nel complesso si sono verificati oltre 300 di questi eventi.
I più drammatici in assoluto sono stati tre: il distacco di una parte del ghiacciaio della Marmolada verificatosi il 3 luglio, che ha investito e ucciso 11 persone; l’alluvione che ha colpito le Marche tra il 15 e il 16 settembre, uccidendo 13 persone; e la recente frana alluvionale sull’isola campana di Ischia, che il 26 novembre ha strappato la vita a 12 persone. Tutti questi eventi sono stati innescati da fenomeni legati al cambiamento climatico, come piogge record e temperature estreme. Basti pensare che ad Ischia, nella notte del disastro, sono caduti poco meno di 130 millimetri di pioggia in meno di 6 ore, mentre a Senigallia il fiume Misa è passato da 21 centimetri di altezza (ore 22:00) agli oltre 5,30 metri delle 23:45. Il ghiacciaio della Marmolada a causa delle temperature in costante aumento in soli 10 anni ha perso il 30 percento della massa, mentre la copertura del ghiaccio è diminuita di quasi un quarto. Non c’è da stupirsi che secondo gli esperti il ghiacciaio della “Regina delle Dolomiti” sia destinato a sparire nel giro di due / tre decenni.
E questi sono stati solo gli eventi con più morti in assoluto. Legambiente ha sottolineato che nel 2022, in Italia, sono stati registrati 104 casi di allagamenti e alluvioni scatenati da piogge intense; 81 casi di danni scatenati da trombe d’aria e raffiche di vento (che hanno devastato in particolar modo il lungomare del Parco Nazionale del Circeo); una trentina di casi di danni provocati da grandinate e siccità prolungata e 18 da mareggiate. Sono state registrate anche 13 esondazioni di fiumi, 11 frane, 8 casi di temperature estreme e in 4 casi è stato coinvolto il patrimonio storico. Per quanto concerne le temperature, già a maggio a Firenze sono stati superati i 36° C, mentre a giugno a Guidonia Montecelio, in provincia di Roma, stati superati i 41° C. Le temperature più alte rilevate nelle grandi città del Sud, dove ad agosto la colonnina di mercurio è arrivata a sfiorare i 45° C.
Gli eventi estremi che hanno avuto l’incremento maggiore sono stati i danni da siccità, passati dai 6 del 2021 ai 28 dell’anno che sta per finire, con un aumento del 367 percento. Tutti ricordiamo le immagini della scorsa estate (ma non solo) del Po in secca, dal quale sono emerse carcasse di mezzi della Seconda Guerra Mondiale e i resti di animali preistorici. Secondo i calcoli degli esperti, nei primi mesi del 2022 nell’Italia centro-settentrionale c’è stata una riduzione delle piogge del 44 percento, con una perdita di 35 miliardi di metri cubi di acqua rispetto alla media del periodo. Nel Lazio il lago di Bracciano è sceso di quasi 1 metro e mezzo.
Tra gli altri danni si segnala un incremento significativo per quelli da grandinata (+ 107 percento), da tornado e raffiche di vento (+ 76 percento) e da alluvioni (+ 19 percento).
In un Paese martoriato dal dissesto idrogeologico come il nostro simili eventi possono scatenare vero e proprie catastrofi, come accaduto nelle Marche e a Ischia.
Per questa ragione Legambiente sottolinea l’importanza di agire immediatamente e drasticamente contro la crisi climatica, il cui impatto è sempre più catastrofico. E siamo appena all’inizio delle “sofferenze indicibili” cui andremo incontro, se continueremo a non fare nulla e non proveremo a contenere l’aumento delle temperature di 1,5° C rispetto all’epoca preindustriale. Per Legambiente sono necessarie “politiche climatiche più ambiziose e interventi concreti” che non sono più rimandabili.
Fra le richieste all’attuale governo vi sono risorse adeguate per il Piano di adattamento climatico; l’aggiornamento del PNIEC, il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima; nuove semplificazioni per le rinnovabili; linee guida aggiornate per le Sovrintendenze; e potenziamento degli uffici regionali che rilasciano le autorizzazioni. “Nella lotta alla crisi climatica il nostro Paese è ancora in grave ritardo, rincorre le emergenze senza una strategia di prevenzione, che farebbe risparmiare il 75% delle risorse spese per riparare i danni. Al Governo Meloni, al posto di nuovi investimenti sul gas, chiediamo cinque azioni urgenti da mettere al centro dell’agenda dei primi mesi del 2023 ad una veloce approvazione del Piano nazionale di adattamento climatico”, ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. I dati dell’organizzazione giungono a sole 3 settimane da quelli della Carovana dei Ghiacciai, che hanno evidenziato lo stato di salute drammatico dei ghiacciai alpini.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 31st, 2022 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO DELLA POLIZIA: L’ITALIA E’ IL TERZO PAESE PIU’ SICURO D’EUROPA
In Italia sono aumentati sia i reati commessi da minori che le violenze sessuali. Confrontando i primi 10 mesi del 2022 con quelli del 2019, infatti, emerge che un aumento del 14,3% del numero di minori che sono stati denunciati o arrestati.
Cifra simile per le violenze sessuali, che rispetto allo stesso periodo del 2021 hanno visto un incremento del 15,7%. A renderlo noto è il rapporto di fine anno della Polizia criminale, che sottolinea anche come siano in forte crescita gli omicidi commessi dai minorenni, che aumentano del 35,3%, passando dai 17 del 2019 ai 23 del 2022.
Stesso trend per tutti i reati menzionati: attentati +53,8%, tentati omicidi +65,1%, lesioni +33,8%, percosse +50%, rapine +75,3%. Il report comunque sottolinea come le grandi città italiane si confermino tra le più sicure in Europa. Nel 2022 a Roma si sono contati 26 omicidi su una popolazione di 4,2 milioni di abitanti, mentre a Milano sono 19 su 3,9 milioni. Ben lontane dalla maglia nera di Bruxelles dove a fronte di una popolazione appena superiore al milione di abitanti, si sono verificati 179 omicidi, e di Parigi che ne conta 100 su 2,1 milioni di abitanti.
L’Italia è il terzo Paese più sicuro d’Europa
Il rapporto continua il confronto, sottolineando come solo lo 0,6% (16) degli omicidi nell’area di Roma sia avvenuto nel territorio comunale. Meglio della capitale fanno solo Madrid e Oporto. Il confronto è ancor più impressionante se si guarda alle città americane, dove i numeri sono moltiplicati per decine di volte. Washington conta 32,7 omicidi ogni 100 mila abitanti. Chicago 29,1. Proprio questo tasso evidenzia come l’Italia sia il terzo Paese più sicuro d’Europa dopo Norvegia e Svizzera, con un tasso di 0,6 omicidi ogni 100 mila abitanti. La Germania si attesta a 0,9, Inghilterra e Galles a 1,2, la Francia all’1,4.
Reati sessuali: aumentano le violenze e diminuisce lo stalking
Per quanto riguarda i reati legati al sesso, le violenze sessuali sono in aumento, mentre diminuiscono del 10,3% i reati persecutori o di stalking. In calo anche i maltrattamenti familiari che scendono del 3,9%. Gli omicidi in ambito familiare o affettivo rimangono il 41% del totale.
Meno rapine e furti rispetto al 2019
Appaiono in forte crescita furti e rapine, il cui incremento sfonda la doppia cifra, ma solo se si confronta il 2022 con il periodo della pandemia. Guardando ai dati pre Covid, si registra invece una diminuzione lieve ma significativa. I reati di questo tipo sono stati 782.391 nei primi 10 mesi del 2022, contro gli 887.905 del 2019. Nel 2021, se ne contavano 653.889.
Catturati 1.360 latitanti
Infine, il rapporto rende noto che dall’inizio dell’anno sono stati catturati 1.360 latitanti in 64 Paesi, ovvero 26 in più rispetto allo stesso periodo del 2021. Di questi, 654 erano attivi, ovvero ricercati dalle autorità italiane, mentre 715 erano passivi, ovvero ricercati e catturati dalle autorità estere.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 31st, 2022 Riccardo Fucile
DALLE UMILI ORIGINI AL TENTATIVO DI RIMUOVERE “LA SPORCIZIA CHE C’E’ NELLA CHIESA” FINO AL RITIRO
«Il segno della Croce è in qualche modo la sintesi della nostra fede, perché ci dice quanto Dio ci ha amati; ci dice che, nel mondo, c’è un amore più forte della morte, più forte delle nostre debolezze e dei nostri peccati».
Joseph Aloisius Ratzinger, che dopo l’elezione a pontefice scelse il nome di Benedetto XVI, è morto a Roma oggi 31 dicembre.
Papa emerito da quando, il 28 febbraio 2013, ha rinunciato al ministero petrino, è stato il pontefice più longevo della storia: Leone XIII morì a 93 anni agli inizi del secolo scorso, Clemente XII a 87 e Clemente X a 86. Ma a parte l’età, sono altri i “record” che hanno caratterizzato il pontificato del 265esimo successore di san Pietro. Negli otto anni di soglio pontificio, il suo magistero ha alternato fasi di profondo conservatorismo a spinte innovatrici riconosciutegli di rado. Indiscusse, però, le sue qualità intellettuali, così come il merito di aver tenuto unita la chiesa nel passaggio tra la scomparsa del carismatico Karol Józef Wojtyła e l’elezione del primo papa sudamericano, Jorge Mario Bergoglio.
Le origini
Creato cardinale a 50 anni, Ratzinger nacque a Marktl, in Baviera, nel 1927. «Suo padre era un commissario di gendarmeria e proveniva da una famiglia di agricoltori della bassa Baviera, le cui condizioni economiche erano piuttosto modeste – si legge nella biografia ufficiale del Vaticano -. La madre era figlia di artigiani di Rimsting, sul lago di Chiem, e prima di sposarsi aveva fatto la cuoca in diversi alberghi». Trascorre l’adolescenza nei pressi della frontiera tra Germania e Austria, a pochi chilometri da Salisburgo: un contesto che lo stesso papa definirà «mozartiano» e nel quale svilupperà la passione per la musica classica. Abile pianista, Ratzinger ha amato, sopra tutte le altre, le composizioni di Wolfgang Amadeus Mozart: «Quando cominciava il Kyrie era come se si aprisse il cielo». Nella musica mozartiana, per Ratzinger, «risuona la grazia della creazione, così come doveva essere all’origine e come dovrà essere alla fine dei tempi; risuona la semplice trasparenza di qualcosa che non deve essere cercato né edificato, ma è semplicemente donato».
Gli scandali
Il suo pontificato, iniziato il 19 aprile 2005, è stato subito animato dall’intento di rimuovere «la sporcizia che c’è nella chiesa»: Benedetto XVI, poche settimane prima dell’elezione, aveva denunciato gli scandali del clero durante la via Crucis. Negli anni successivi, Ratzinger volle incontrare personalmente alcune vittime di preti pedofili, ad esempio durante i viaggi del 2008 negli Stati Uniti e in Australia, e nel 2010 in Inghilterra e a Malta.
Celebre è la lettera indirizzata alla comunità irlandese, Paese particolarmente colpito dallo scandalo della pedofilia. «Non posso che condividere lo sgomento e il senso di tradimento che molti di voi hanno sperimentato al venire a conoscenza di questi atti peccaminosi e criminali e del modo in cui le autorità della Chiesa in Irlanda li hanno affrontati. Da parte mia, considerando la gravità di queste colpe e la risposta spesso inadeguata ad esse riservata da parte delle autorità ecclesiastiche nel vostro Paese, ho deciso di scrivere questa lettera pastorale per esprimere la mia vicinanza a voi, e per proporvi un cammino di guarigione, di rinnovamento e di riparazione».
Con il documento De delictis gravioribus, Benedetto XVI ha reso più efficaci le procedure giudiziari per i casi di abuso sessuale, rimarcando anche l’importanza di «dare sempre seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte». Il 16 maggio 2011, in una lettera circolare, il pontefice pubblicava delle linee guida contro la pedofilia dei chierici, sollecitando azioni di monitoraggio e intervento da parte dei vescovi diocesani. Azioni che arrivano dopo secoli di silenzio e ipocrisia, ma che rappresentano una responsabilità troppo grande per un pontefice simbolo di un’istituzione che deve cambiare ma non ha ancora le condizioni – e le gerarchie – per farlo.
Sotto l’aspetto della trasparenza finanziaria dello Stato del Vaticano, Ratzinger ha anche impresso un cambio di direzione per far aderire gli enti e le persone collegate alla Santa Sede alle norme internazionali contro il riciclaggio e il finanziamento al terrorismo. Tra i record citati in apertura, è da segnalare che Ratzinger è stato il primo papa ad aprire un account Twitter, nel 2012: @Pontifex. Iconica, dopo l’abdicazione – evento molto raro nella storia del papato – la fotografia scattata il 23 marzo 2013 a Castel Gandolfo, quando il successore Bergoglio fece visita a Ratzinger. Per la prima volta nel corso di secoli, due papi si incontravano. Già prima che compisse 95 anni, monisgnor Gaenswein, segretario di Ratzinger, aveva reso pubblico il lento declino fisico che stava colpendo il papa emerito. Seppure con una «testa lucia», Benedetto XVI «è come una candela che si consuma lentamente».
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 30th, 2022 Riccardo Fucile
OLTRE 30 PERSONE AL SEGUITO, SPESE SUPERIORI RISPETTO AI SUOI PREDECESSORI
Tre visite istituzionali fuori dall’Italia, una delegazione monstre di oltre 100 persone, e una spesa per viaggi e pernottamenti superiore ai 155mila euro. Questo è il quadro, decisamente poco sobrio, che emerge andando a curiosare tra le prime missioni istituzionali della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
Per carità: più che legittimo che una premier, specie se appena arrivata, partecipi alle visite con tutti i crismi del caso. Ma è un fatto che spese di questo tipo, andando a vedere i predecessori della stessa Meloni (da Mario Draghi a Giuseppe Conte), non si trovano.
Il dato, andando nello specifico, emerge in riferimento al mese di novembre, di fatto il primo mese in cui l’azione del governo targato Fratelli d’Italia è entrata nel vivo.
Ebbene, la Meloni ha compiuto in totale quattro missioni istituzionali, una in Italia e tre all’estero. Partiamo dalla prima per la quale, secondo i dati riportati da Palazzo Chigi, le presidente del Consiglio ha voluto con sé una delegazione di 22 persone.
In totale sono stati spesi 1.496 euro per i viaggi e 953 euro per pernottamento e pasti. Poca roba, dunque.
I conti sono notevolmente diversi per le tre missioni all’estero. Secondo la tabella governativa, infatti, risulta innanzitutto che i componenti della delegazione interna alla presidenza del Consiglio siano stati, nel totale delle tre visite, ben cento, cui si sono aggiunte altre 12 persone esterne a Palazzo Chigi.
Un bel seguito, non c’è che dire. Che forse giustifica l’esborso, decisamente più alto rispetto alla missione istituzionale compiuta in Italia: i costi sostenuti per i trasferimenti sono stati pari a 78.674,22; quelli per pernottamento e pasti 77.548,13. Totale: 156.222,35 euro.
In media, dunque, 50mila euro per ogni missione compiuta. Se si dovesse andare di questo passo, le spese potrebbero diventare preoccupanti. Ma di quali viaggi stiamo parlando? Il documento con gli esborsi purtroppo non li riporta.
Ma consultando l’agenda di Palazzo Chigi è facile ritrovare il bandolo della matassa: giovedì 3 novembre incontro con i vertici delle istituzioni europee a Bruxelles; lunedì 7 novembre vertice dei capi di Stato e di Governo alla COP27 a Sharm El-Sheikh; martedì 15 e mercoledì 16 novembre vertice del G20 a Bali.
Tutte riunioni importantissime, ci mancherebbe. Ma 156mila euro per quattro giorni effettivi di trasferta resta una cifra discreta.
In attesa di conoscere le spese anche per le missioni effettuate nel mese di dicembre, si aspetta la pubblicazione di un altro tassello fondamentale per conoscere come il nuovo governo si sta muovendo: nomi, cv e compensi dei vari staff ministeriali.
A distanza ormai di tre mesi, infatti, Palazzo Chigi (ma anche molti ministeri, dalla Salute all’Interno passando per gli Esteri e l’Istruzione) non ha ancora pubblicato sul sito i nomi di consulenti e collaboratori. Inezia? Non proprio.
Le norme parlano chiaro. La fatidica sezione “amministrazione trasparente”, imposta dalla legge a tutte le pubbliche amministrazioni, sul sito manca dei dovuti aggiornamenti. Parliamo, in altre parole, di tutto l’armamentario la cui indicazione on line è stata regolata nel dettaglio dal decreto legislativo numero 33 del 2013.
E cosa dice questo decreto? Semplice. “Le pubbliche amministrazioni pubblicano” nomi, cognomi, curricula e compensi di chiunque abbia “incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo […] entro tre mesi dalla elezione, dalla nomina o dal conferimento dell’incarico”. Si resta in attesa di novità.
(da La Notizia)
argomento: Politica | Commenta »