Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
IN CALO LEGA, FORZA ITALIA, TERZO POLO E M5S, RISALGONO IL PD E VERDI
La crescita di Fratelli d’Italia nei sondaggi politici sembra non arrestarsi
più. Dopo una leggera flessione registrata da alcuni istituti demoscopici a gennaio – forse per via del caso delle accise sulla benzina, che ha pesato non poco nel dibattito pubblico – il partito della presidente del Consiglio è tornato a volare nelle intenzioni di voto.
La testa nei sondaggi elettorali non è mai stata in discussione, ovviamente. Ma tra gennaio e febbraio Meloni e i suoi hanno guadagnato un altro punto, infrangendo l’ennesimo record personale. Intanto il Movimento 5 Stelle è di nuovo in calo, con il Partito Democratico in rimonta. Questo è il quadro che esce dall’ultimo sondaggio dell’istituto Ixè, pubblicato oggi. Vediamo i dati partito per partito.
Fratelli d’Italia è in testa al sondaggi politico: Giorgia Meloni e i suoi segnano un più 1,0% rispetto alla stima precedente del 3 febbraio e salgono al 31,1%.
A seguire – ma con una distanza che resta abissale – c’è il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, che però subisce un’importante battuta d’arresto: meno 0,7% e scende al 17,2%.
Dietro ai grillini, il Partito Democratico – che presto sarà guidato da Stefano Bonaccini o da Elly Schlein – prova la rimonta con un più 0,2% che li porta al 16,9%.
Disastro Lega e Forza Italia, crescono Verdi e Sinistra
Per il resto del centrodestra, le intenzioni di voto sono un sostanziale disastro: la Lega di Matteo Salvini continua a calare, con un meno 0,2% che la fa scivolare al 7,6%; malissimo anche Forza Italia di Silvio Berlusconi, che perde addirittura lo 0,8% calando al 6,7%.
Non ne approfitta il Terzo Polo di Azione e Italia Viva: Carlo Calenda e Matteo Renzi perdono a loro volta lo 0,4% e passano al 6,6%.
Nelle retrovie cresce l’alleanza Sinistra Italiana e Verdi, con un più 0,4% che la porta al 4,2%. Malissimo anche +Europa, con un meno 0,7% che gli vale il 2,1%. Chiudono la lista Per l’Italia con Paragone all’1,8% (meno 0,9%) e Noi Moderati allo 0,9% (più 0,4%).
Il campo largo potrebbe battere il centrodestra alle elezioni
Il dato forse più interessante di questo sondaggio politico, però, è quello per coalizioni. Il centrodestra oggi vale nel Paese il 46,3%, il centrosinistra nella formula disastrosa delle elezioni politiche di settembre – con Pd, Sinistra, Verdi e +Europa – appena il 23,2%. Praticamente la metà.
Ma cosa succederebbe se si formasse il famoso campo largo ipotizzato per anni? Sommando le percentuali di centrosinistra, Movimento 5 Stelle e Terzo polo – per quanto sia un esercizio semplicistico – si arriva leggermente oltre il centrodestra. Un’alleanza di tutte le opposizioni, infatti, varrebbe il 47% e sarebbe quasi un punto sopra il centrodestra.
È uno scenario impossibile al momento, ma con un orizzonte lungo di legislatura chissà che a qualcuno non venga in mente di ricucire i rapporti logorati tra forze di opposizione. Magari proprio al nuovo segretario del Pd. O alla nuova segretaria.
(da Fanpage)
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Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
DA GIORNI DENUNCIA I MANCATI RIFORNIMENTI ALLA SUA BRIGATA, A BAKHMUT, E OGGI ALZA IL TIRO: “IL MINISTRO DELLA DIFESA, SERGEI SHOIGU, È UN TRADITORE”… A MOSCA È IN ATTO UNA LOTTA DI POTERE SENZA SCONTI
Il capo del gruppo di mercenari Wagner, l’oligarca russo Yevgeny Prigozhin, ha esortato i russi a fare pressione sull’esercito affinché fornisca munizioni ai suoi combattenti. Un appello senza precedenti che evidenzia la portata delle tensioni tra i mercenari e lo stato maggiore russo.
“Se ogni russo al suo livello – senza chiamare nessuno a protestare – dicesse semplicemente ‘Date a Wagner le munizioni'”, ha detto. Da giorni Prigozhin attacca il ministro della Difesa Sergei Shoigu dicendo che ‘non stava più fornendo munizioni e i suoi militari stanno subendo enormi perdite’. E l’ha accusato di essere un ‘traditore’.
Nel suo discorso Putin non ha parlato della situazione militare, ma a dare notizie che non sembrano certo confortanti per la Russia è stato il fedelissimo Evgenij Prigozhin, ex ristoratore, fondatore e capo del gruppo armato Wagner. Tra la sua organizzazione e i vertici militari, compreso il ministro della Difesa, ci sono scontri continui.
Per la prima volta qualcuno dalla parte russa ammette che l’attacco disperato contro Bakhmut sta costando «centinaia di morti al giorno». Questo a fronte delle dichiarazioni ufficiali degli alti vertici militari ferme a cinque mesi fa, quando in un comunicato venne riconosciuta la perdita di 5,937 uomini. Poi più nulla.
Ma secondo le stime degli ucraini e degli occidentali, le perdite sarebbero molto più alte. Kiev parla addirittura di 150 mila morti
A Bakhmut tutte le testimonianze raccontano di attacchi russi scriteriati, con reclute ed ex carcerati mandati a ondate contro le mitragliatrici ucraine, come avveniva nei folli attacchi della Prima guerra mondiale. Ora le parole dello stesso Prigozhin sembrano confermare questa strategia: «Centinaia di morti ogni giorno».
Prigozhin ha fatto rilasciare un suo documento sonoro nel quale accusa senza mezzi termini lo Stato Maggiore e il ministro della Difesa in persona. «Impartiscono a destra e a manca ordini per dire che alla Compagnia Wagner non si devono dare munizioni e non la si deve aiutare con il trasporto aereo».
Secondo il «cuoco di Putin», «ora sono state cancellate perfino le forniture di pale per scavare le trincee».
Per Prigozhin, è in corso «un tentativo di distruggere la Wagner che può essere equiparato al tradimento della Patria». Accuse pesantissime che erano state avanzate anche nel recente passato, sia pure non in termini così espliciti. Lui gode della protezione di Putin, ma fino a un certo punto. Tanto che l’11 gennaio il presidente ha invece riconfermato la sua fiducia nel Capo di Stato Maggiore Gerasimov facendolo nominare anche responsabile diretto dell’Operazione militare speciale.
Quella del «cuoco» è una denuncia disperata. Gli alti papaveri dell’Esercito, secondo lui, chiamano poi in continuazione i responsabili dei canali Telegram e di altri media chiedendo di non mostrare sue immagini o di mettere in giro voci false sul suo conto. La conclusione è amara: «Non ne posso più di scrivere lettere che tanto non legge nessuno».
(da agenzie)
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Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
TRA BREXIT, AUMENTI CAUSATI DALLA GUERRA IN UCRAINA E CATTIVI RACCOLTI SULLA GRAN BRETAGNA SI È ABBATTUTA UNA TEMPESTA PERFETTA
Nei supermercati Asda, la terza catena del Regno Unito, ora ogni cliente
può comprare solo tre pomodori, tre peperoni, tre cetrioli, tre cespi di insalata, tre broccoli, tre cavolfiori e tre lamponi. Nei supermercati Morrison, invece, da oggi ci sarà un limite di massimo due pomodori, due cetrioli, due peperoni e due cespi di insalata. Sempre che gli scaffali non siano già vuoti, come testimoniano numerose foto sui social scattate a Londra e altre città.
Già, perché diversi supermarket britannici hanno iniziato a razionare frutta e verdura per quella che gli esperti chiamano “la tempesta perfetta”. Le catene di distribuzione qui hanno fatto flop a causa soprattutto «dei cattivi raccolti in Spagna e Nord Africa, dove la recente ondata di freddo ha provocato grossi disagi», spiega al Telegraph Tim O’Malley di Nationwide Produce, importante azienda della distribuzione alimentare nel Regno Unito.
Ma non è l’unica ragione.
Per esempio c’è l’alta inflazione scatenata dalla guerra in Ucraina. Non solo. Ci sono gli alti costi energetici – che hanno limitato l’uso di serre – e dei fertilizzanti, sempre a causa della guerra.
Ovviamente, c’è chi dà la colpa alla Brexit, soprattutto online. Ma un impatto c’è, vedi i costi supplementari e i ritardi delle consegne provocati dall’uscita dal mercato unico europeo e dai controlli alle frontiere. Del resto, gli scaffali vuoti sono scene estremamente rare in Ue.
Come ricorda Bloomberg, il settore agroalimentare in Gran Bretagna è severamente fiaccato dai posti di lavoro vacanti che non si riescono ad occupare dopo la Brexit e l’uscita dalla libera circolazione Ue, tanto che l’economia britannica ha bisogno di circa 1,2 milioni di introvabili lavoratori.
(da La Repubblica)
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Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
AL MOMENTO NON CI SONO MARGINI DI TRATTATIVA CON LA RUSSIA…GLI USA FORNIRANNO LE ARMI NECESSARIE MA PER ORA SONO ESCLUSI I CACCIA F-16…IL NODO CRIMEA CHE “MAD VLAD” CONSIDERA LA SUA LINEA ROSSA°
A Varsavia Joe Biden ha parlato come il «Commander in Chief» dell’intero Occidente. Sarà il presidente americano a indicare il percorso della nuova fase della guerra. Come si sta orientando la Casa Bianca? Ecco che cosa ci risulta, punto per punto. Gli americani sono convinti che il conflitto durerà ancora per molto, nessuno azzarda una previsione.
A Washington pensano che Vladimir Putin sia tuttora convinto di poter piegare la resistenza ucraina, anche se l’armata russa ha crescenti problemi. Tuttavia, osservazione cinica ma purtroppo rilevante, l’amministrazione Biden ritiene che Putin continuerà a gettare nella mischia truppe fresche, mandandole allo sbaraglio.
La guerra, quindi, potrebbe diventare ancora più sanguinosa. Gli Usa forniranno le armi necessarie. Per ora sono esclusi i caccia F-16. Ma la posizione potrebbe cambiare come è successo con i carri armati Abrams.
Al momento non ci sarebbero possibilità di trattative. Non si sta muovendo nulla. Tutti i canali di dialogo con Putin sono chiusi.
La strategia degli Stati Uniti è semplice e ambigua nello stesso tempo: mettere l’Ucraina nelle condizioni migliori sul campo di battaglia. Biden non ha intenzione di formulare alcuno schema per un possibile negoziato. Il timore è che un’eventuale proposta americana possa innescare divisioni prima in Ucraina e poi nel blocco occidentale.
Uno dei problemi più complicati resta la Crimea.
Nessuno dell’amministrazione si esprime ufficialmente, ma l’idea dominante è che per gli ucraini sarebbe molto rischioso provare a riconquistare la penisola. La Casa Bianca ritiene che quella sia una «linea rossa» per Putin. La sua reazione potrebbe essere devastante. Non c’è alcuna fiducia in quello che Pechino presenta come «piano di pace». Per la Casa Bianca è semplicemente un tentativo per alleggerire la pressione politico-diplomatica su Putin
I cinesi non hanno neanche consultato gli ucraini e quindi, per definizione, è una mediazione che non può andare da nessuna parte. Non solo. Sabato scorso a Monaco la vice presidente Kamala Harris aveva affermato che «la Cina sta approfondendo i rapporti con la Russia». A quanto risulta i servizi segreti Usa starebbero preparando un dossier che verrà pubblicato nei prossimi giorni, con le prove di «questo legame». Finora il segretario di Stato, Antony Blinken, ha precisato che «non ci sono segnali di forniture di armi cinesi alla Russia».
(da La Stampa)
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Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
RIVENDICATO DAL GRUPPO “NO NAME”: COLPITI SITI DI CARABINIERI, MINISTERO INTERNI E DIFESA
Un gruppo di hacker russi ha rivendicato un massiccio attacco
informatico all’Italia. Sei attacchi, ad altrettanti siti di istituzioni e aziende italiane.
Il gruppo, NoName 057(16), ha detto di aver cominciato l’offensiva in risposta alla visita di Giorgia Meloni in Ucraina. I siti attaccati sarebbero quello dei Carabinieri, del ministero degli Esteri, della Difesa ma anche quelli di società come la banca Bper e la società utility A2a.
Da quanto si è potuto verificare in queste ore, i siti istituzionali hanno a tratti problemi di accesso. Mentre nessun problema si è riscontrato finora sui siti delle aziende.
La rivendicazione è arrivata in mattinata sui canali Telegram del gruppo che in queste ore continua a condividere messaggi fornendo dettagli di nuovi attacchi e annunciandone altri nelle prossime ore. Si tratta di attacchi Ddos – Denial of service attack – che avvengono tramite un’offensiva coordinata di decine di migliaia di tentativi di accesso a dei siti simultaneamente, facendone collassare i server. Un attacco in sé facile, ma potente.
“L’Italia fornirà all’Ucraina il sesto pacchetto di assistenza militare, che includerà tre tipi di sistemi di difesa aerea”, hanno scritto gli hacker sul canale Telegram. Tutti i messaggi sono stati condivisi con l’immagine di un orso, chiaro riferimento alla Russia, che da una zampata alla bandiera italiana.
“Come ha detto il primo ministro italiano Giorgia Meloni durante una conferenza stampa a Kiev, si parla dei sistemi anticarro SAMP-T, Skyguard e Spike. Oggi continueremo il nostro affascinante viaggio attraverso l’Italia russofoba”.
Tutti i messaggi si chiudono con un messaggio in russo: “Verso la nostra vittoria”, calcando la ‘Z’, lettera diventata famosa per marchiare i tank russi presenti sul territorio ucraino.
Chi è No Name, il gruppo russo che ha rivendicato l’attacco
NoName 057(16) è tra i gruppi russi più attivi nella cyberguerra che affianca il conflitto cinetico in Ucraina. Il gruppo è stato creato un anno fa, a marzo 2022, poco dopo l’ingresso dei carri armati russi nel territorio di Kiev. Si è reso subito protagonista di una serie di attacchi contro enti governativi e infrastrutture critiche in Ucraina e nei Paesi che la supportano. In particolare Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Slovacchia, Norvegia e Finlandia.
È la prima volta che gli attaccanti prendono di mira l’Italia. Anche se non è la prima volta che l’Italia viene colpita da gruppi di hacker filorussi. Lo scorso anno, ad aprile, il gruppo Killnet aveva messo a terra il sito del Senato, della Difesa e degli Esteri in un attacco del tutto simile a quello sferrato oggi da No Name.
(da agenzie)
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Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
SPONSOR DI MARINE LE PEN) E GRANDE FAN DI SALVINI: “PIÙ A LUNGO DURA QUESTA GUERRA, PIÙ LA SOCIETÀ RUSSA SI PURIFICA DAL VELENO OCCIDENTALE”
“Puniremo i traditori”, ha detto Putin in un discorso zeppo di risentimento e paranoia. Ma assieme alle parole del capo, altrettanto rivelatorio è ciò che trapela da figure un tempo tenute a debita distanza, che con la guerra hanno guadagnato peso e autorevolezza.
Non c’è solo il fondatore delle milizie Wagner, Yevgeny V. Prigozhin, i cui soldati piano piano avanzano verso la città di Bakhmut, nel Donbas. C’è anche il miliardario ultraconservatore Konstantin Malofeev, detto anche “l’oligarca di Dio”, che ha finanziato i separatisti sempre nel Donbas e in Europa è conosciuto per essere sponsor della destra sovranista – avrebbe dato soldi al partito di Marine Le Pen, oltre ad aver definito Matteo Salvini, che dice di aver incontrato varie volte, “il futuro dell’Italia e dell’Europa”.
La nuova Russia in guerra è un’occasione anche per lui. Putin l’ha rimodellata in totale opposizione ideologica all’Occidente. Ciò che indica Putin è la Russia “eterna”, religiosa, culla dei valori “della tradizione”, libera dal virus corruttore del progressismo liberale. Esattamente quello che predicava da anni un tipo come Malofeev.
Tanto che proprio Malofeev si è detto contento che la guerra in Ucraina non si stia risolvendo in fretta. «Se il blitzkrieg (contro Kiev) avesse avuto successo, se Putin fosse riuscito a sottomettere in fretta l’Ucraina, nulla sarebbe cambiato», parole sue riportate dal New York Times.
«Più a lungo dura questa guerra, più la società russa si sta purificando dal liberalismo progressista e dal veleno occidentale. In Russia, il liberalismo è morto per sempre, grazie a Dio».
(da La Stampa)
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Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
“MI SENTO PARTE DI QUELLA RECITA DEL POTERE. LO SONO STATO, ORA NON LO SONO PIÙ. ECCO PERCHÉ NON FACCIO MOLTA FATICA A STACCARMI DALLA SITUAZIONE IN CUI MI TROVO E A GUARDARMI DA FUORI”
Tutti a chiedersi a quale incarico Mario Draghi potrebbe ancora ambire.
Se per la sua «terza vita», a 75 anni compiuti, pensi ancora all’ipotesi Quirinale, a un ruolo in una grande banca d’affari o se accetterebbe una «chiamata» da Bruxelles. Pochissimi gli avvistamenti: uno ufficiale ai funerali di Benedetto XVI, un paio semi-chimerici fra gli scaffali di un supermercato milanese «vicino a palazzo Marino» e a una cena di banchieri durante l’ultimo Forum economico di Davos.
Ma poi ieri arriva lui in persona alla Fondazione Corriere della Sera, scegliendo come prima vera uscita pubblica post-Palazzo Chigi la presentazione del libro del vignettista Emilio Giannelli, e un po’ spiazza tutti. Non per quello che dice sull’attualità politico-economica dialogando con Ferruccio De Bortoli, Luciano Fontana e Paolo Conti davanti all’editore Urbano Cairo, seduto in prima fila.
L’unica frase che si lascia sfuggire, ricordando le scelte prese quasi un anno fa, è sul tema dell’approvvigionamento energetico. «Sul gas era importantissimo svincolarsi il più presto possibile dalla Russia e dovremmo rimanere tali – spiega -. Quello era il mio dovere in quel momento rapidissimo: era la prima settimana della guerra e dovevo fare più accordi internazionali possibili per assicurare l’autosufficienza italiana dal gas rispetto alla Russia».
E Draghi non stupisce nemmeno per quello che non rivela sul suo futuro. «Ormai sono un ex, non ho niente da chiedere – si schermisce quando De Bortoli prova a stuzzicarlo – . Mai dire mai? Lo dici tu…». Piuttosto Draghi sorprende perché, parlando del valore della satira, «Dalle vignette di Emilio Giannelli porto a casa il fatto di riuscire a guardare al potere e ai potenti. Io mi sento parte di quella recita. Lo sono stato, ora non lo sono più. Ecco perché non faccio molta fatica a staccarmi dalla situazione in cui mi trovo e a guardarmi da fuori».
«Giannelli divide il mondo in due categorie, i potenti e i normali, i contadini toscani che guardano alla realtà più grande di loro con stupore e distacco – prosegue -. Il potente e più vanitoso degli altri, ma è anche uno che tende a vedere cose che non esistono. Giannelli entra e distrugge la simmetria. Riporta il potente con i piedi per terra. È come se gli dicesse: ma non ti guardi mai allo specchio?». Ride di gusto quando Giannelli lo ringrazia «perché finalmente ho capito come faccio le vignette».
(da agenzie)
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Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
RITRATTO DI UN UOMO NON PIU’ NELL’OMBRA
Si potrebbe fare leva su altre celebri e non fortunate “cognatanze”: Paolo Pillitteri con Bettino Craxi, Gabriele Cimadoro con Antonio Di Pietro e, a destra, la parabola disgraziata di Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Gianfranco Fini e co-protagonista della non commendevole vicenda della casa di Montecarlo.
Ma la storia di Francesco Lollobrigida detto Lollo, 50 anni, cognato di Giorgia Meloni, ha ormai assunto uno spessore diverso. Perché Lollobrigida non è, o non è più o non è solo, un beneficiario della parentela con la premier Giorgia Meloni.
È diventato un uomo-chiave di Fratelli d’Italia, abile tessitore di una rete di potere e clientele, oltre che fidato consigliere dell’inquilina di Palazzo Chigi. Se proprio un paragone va fatto, giusto accostare la sua traiettoria a quella di storici bracci destri, come lo fu Martelli per Craxi, Gianni Letta per Berlusconi, Guerini per Matteo Renzi.
Titolare di un ministero che già nel titolo vuole raffigurare l’identità della Destra (la Sovranità alimentare), l’ex rappresentante del Fronte della Gioventù è la cinghia di trasmissione fra il partito e il governo: in realtà lui doveva continuare a fare il capogruppo alla Camera ma Meloni, con la logica del capotribù, alla fine ha deciso di infarcire il suo esecutivo di fedelissimi. E a Lollo, of course, ha assegnato un ruolo di rilievo: l’Agricoltura non è un ministero di serie A ma è sempre stato un crocevia di voti e interessi.
Però non solo: Lollobrigida è il capodelegazione, insomma il portavoce, dei ministri di Fdi in Consiglio dei ministri. E in questa qualità, per fare un esempio, a dicembre era pronto a guidare la cabina di regia sulla Finanziaria quando tempi stretti e richieste degli alleati rischiavano di far saltare tutto. Nei fatti, era già stato individuato come commissario per la manovra.
La sua longa manus si estende anche al Turismo, delega assegnata a Daniela Santanché (altra esponente di FdI), ma soprattutto agli enti e alle poltrone pesanti degli assessorati di mezz’Italia. Il superministro e il responsabile Turismo di Fratelli d’Italia, Gianluca Caramanna (deputato al secondo mandato), influenzano l’Enit attraverso Sandro Pappalardo, ex assessore regionale in Sicilia, e poi vantano legami diretti con una lunga serie di amministratori nelle Regioni, dalla Lombardia alla stessa Sicilia, dove solo per un incidente clamoroso (un maxi finanziamento da 3,7 milioni concesso a una società lussemburghese per la passerella della Sicilia al festival di Cannes) è stato rimosso l’assessore al Turismo Francesco Scarpinato. Sostituito prontamente con un’altra esponente di Fdi, Elvira Amata.
Anche in Liguria, nelle Marche, in Calabria la delega è in mano a Fratelli d’Italia. E chi l’ha lasciata, nel frattempo, è stato promosso in parlamento: come Manlio Messina, Gianni Berrino e Fausto Orsomarso. Sono le “antenne” del partito di Giorgia Meloni in un territorio popolato da 32 mila albergatori e 7 mila balneari e che muove cifre da capogiro: 3 miliardi di euro di progetti per la coesione territoriale, 2,5 miliardi di euro del Pnrr. Soldi spendibili in maniera veloce e spesso senza gara.
“Meglio di me, Crosetto”
In cima a tutto c’è Francesco Lollobrigida, che dal papà ex dc ha preso la capacità di stringere rapporti a tutto campo: “Io un uomo-chiave? In realtà mi sento un po’ una chiavica”, scherza lui. “E poi questa capacità di relazione ce l’hanno, più di me, colleghi come Guido Crosetto”.
Ma anche la tendenza a minimizzare fa parte del personaggio, che ha smesso di impermalosirsi quando si parla della “cognatanza” (termine da lui stesso usato con disinvoltura): “Devo sempre ripetere che ho cominciato a far politica diversi anni prima di Giorgia?”, puntualizza. “Gli ambienti giovanili della destra erano chiusi ed emarginati, era naturale che lì nascessero rapporti sentimentali come quello fra me e Arianna Meloni. Però, dico, perché nessuno si scandalizza se il Pd schiera i coniugi Franceschini fra Senato e Camera o se, nel gruppo di Avs che conta appena 13 deputati, due scranni sono di Fratoianni e sua moglie?”.
Moto d’orgoglio che anima un’attività che vede Lollo sovrintendere anche ad altri settori cruciali del governo. Che è nei fatti il coordinatore dei ministri tecnici: Salute e Lavoro. Orazio Schillaci, non è un mistero, è un nome indicato da lui. E la moglie Arianna, presenza assidua negli uffici del ministero della Salute, funge da cerniera. “Ma Schillaci è bravissimo e nella corsa a rettore di Tor Sapienza aveva già mostrato grandi doti politiche”. Con Elvira Calderone, ministra del Lavoro, c’è invece un antico rapporto di amicizia che coinvolge anche il marito, Rosario De Luca, presidente della Fondazione studi del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro.
Tirar su questa rete, per un uomo come Lollobrigida, non è stato semplice. L’ha aiutato anche l’esperienza sul territorio, maturata sin dai tempi dell’attività da rappresentante d’istituto al liceo Braschi di Subiaco e nelle sue esperienze negli enti locali, culminate con il ruolo di consigliere regionale e poi assessore della giunta Polverini.
È riuscito a tenersi alla larga da estremismi e nostalgie (“L’Msi? Il 50 per cento dei nostri tesserati non ne ha neppure memoria”) seppure con qualche eccezione: rimbalza ancora sul web la polemica per un sacrario dedicato al gerarca fascista Rodolfo Graziani finanziato dalla Regione Lazio, su sua iniziativa, e fatto costruire dieci anni fa ad Affile. Lollobrigida era lì, in prima fila all’inaugurazione.
Ma è ormai a suo agio nelle istituzioni, punto di riferimento del nuovo corso meloniano per grand commis e potenti portatori di voti. Nella burocrazia non usa il machete di Crosetto ma il bisturi. Poche rimozioni, qualche innesto mirato: nell’Agea, la potente agenzia per le erogazioni in agricoltura, ha spedito Fabio Vitale, l’ex dirigente Inps che nelle Marche aveva scoperchiato la pentola dei “furbetti” del reddito di cittadinanza, con inchiesta giudiziaria annessa. Vitale con Giorgetti era finito al Mise, Lollobrigida l’ha sottratto al collega Adolfo Urso assieme a Sergio Marchi, già al Copasir e oggi responsabile della segreteria tecnica del ministero dell’Agricoltura. A Nello Musumeci, ministro del Mare, ha “suggerito” un suo dirigente, Riccardo Rigillo, nominato capo di gabinetto dall’ex governatore siciliano.
Lollo c’è, è ovunque. Per qualcuno è ingombrante: in cima ai rivali interni c’è Fabio Rampelli, candidato ma mai fino in fondo a tutte le elezioni possibili e messo da parte anche per le Regionali nel Lazio a favore di Francesco Rocca, naturalmente uomo di Lollobrigida. “Sono come la sora Camilla, tutti la vonno e nissuno la pija”, commentò memorabilmente Rampelli, per giunta commissariato nella guida del partito a Roma.
Barba e Capelli
La corsa del biondo luogotenente di Giorgia con il vezzo del look (è solito entrare nella sala da barba della Camera per farsi pettinare prima delle sedute) prosegue lontano dagli ardori giovanili delle sezioni romane (“Le botte all’Università? Succedeva. E se me le davano, reagivo”) e vicino ai granai elettorali della Penisola: strategico il rapporto con Coldiretti. Il presidente, Ettore Prandini, alla vigilia del voto partecipò a un evento elettorale organizzato da Lollobrigida a Potenza. Fu ricambiato dalla neopremier il primo ottobre con una visita a Milano, nella sua prima uscita pubblica dopo le elezioni. “C’era pure Arianna, che nel partito” dice il marito “ha la delega alle questioni complesse, a Roma e in periferia: è una grande mediatrice”.
Letta così, sembra una coppia di diplomatici dentro il cerchio magico della premier, con cui i Lollobrigida si confrontano nei pranzi domenicali oppure nei vertici del lunedì con altri dirigenti.
La “cognatanza” paga, e Lollo tenta la scalata anche per diventare il numero due negli indici di popolarità degli esponenti di Fdi: nei social ha l’engagement più alto, grazie anche al profluvio di post (427) prodotti nei primi due mesi di governo: il segreto si chiama Matteo Caracciolo, un giovane che si occupa del web e che lavorava con Stefano Patuanelli, il predecessore di Lollobrigida all’Agricoltura: proviene – udite udite – dall’associazione Rousseau di Davide Casaleggio. Ma il cognato più famoso d’Italia ha deciso di tenere con sé anche chi voleva aprire il Palazzo come una scatoletta di tonno: pure questo, in fondo, è esercizio di sovranità alimentare.
(da La Repubblica)
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Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
IL MISTERIOSO TITOLO DI STUDIO IN MEDICINA CONSEGUITO A TIRANA
C’è anche una strana storia che riguarda una laurea nell’indagine per
corruzione e riciclaggio che coinvolge il governatore della Sardegna Christian Solinas. E ancora una volta ci va di mezzo l’Albania.
La procura di Cagliari lavora su due filoni d’inchiesta: al centro l’acquisto di una casa e alcune nomine. Oltre al governatore nel registro degli indagati sono iscritti i nomi del suo consulente Christian Stevelli, dirigente del Partito Sardo d’Azione, dell’imprenditore Roberto Zedda e di Roberto Raimondi, direttore generale dell’Ufficio dell’autorità di gestione del programma operativo Eni Cbc Bacino del Mediterraneo. E se il titolo di studio a Tirana ricorda altre vicende politiche che risalgono a decenni fa, quella dell’immobile somiglia a tante altre vicende finire sotto indagine in questi anni.
La casa e il prezzo
Il primo filone d’indagine riguarda l’acquisto di alcuni terreni a Capoterra, e l’ipotesi di reato è quella di corruzione e riciclaggio. La procura di Cagliari sta indagando sulla caparra, di alcune centinaia di migliaia di euro, versata dall’imprenditore Zedda per i terreni riconducibili al governatore. Tutto parte però dalla casa comprata da Solinas in via dei Tritoni a due passi dalla spiaggia del Poetto. Per acquistarlo Solinas avrebbe sottoscritto con l’imprenditore cagliaritano Zedda un preliminare di vendita per 550 mila euro per una porzione di una vecchia abbazia a Capoterra acquistata nel 2002 per circa 40 mila euro. Secondo una consulenza fatta fare dalla Procura il prezzo pagato sarebbe oltre dieci volte maggiorato rispetto al valore di mercato. E questo occulterebbe una presunta tangente. Secondo la procura la compravendita è stata perfezionata.
I terreni a Capoterra
Secondo il governatore no: «Non si è mai addivenuti alla stipula dell’atto definitivo in quanto il compianto promissario acquirente è venuto a mancare. Il contratto preliminare è stato però consensualmente risolto con gli eredi, ai quali ho restituito per intero la caparra a suo tempo versata mediante rogito notarile regolarmente registrato».
L’immobile (da ristrutturare) invece Solinas l’ha acquistato il 10 marzo 2021. Pagandolo alla fine 1,1 milioni di euro, coperti in gran parte con un mutuo da 880 mila euro ottenuto dal Banco di Sardegna. Quando la procura aveva aperto un fascicolo informativo dopo l’arrivo di alcuni esposti anonimi lo stesso Solinas aveva reagito ipotizzando «un caso mediatico fondato su ricostruzioni parziali e strumentali, su allusioni e accostamenti suggestivi, su gravi omissioni che orientano una lettura fuorviante».
La laurea a Tirana
La storia della laurea a Tirana invece la racconta oggi Il Fatto Quotidiano. Secondo il pm Solinas, in cambio della nomina di Raimondi in Eni, avrebbe ottenuto addirittura una laurea honoris causa in Medicina dall’Università di Tirana. E anche una cattedra nella stessa università e un incarico da docente presso la Link University di Roma. Raimondi è direttore della scuola di dottorato di ricerca dell’Università pubblica di Medicina di Tirana. Ma anche professore presso il dipartimento di sanità pubblica e docente straordinario a tempo indeterminato all’ateneo privato Unilink, con sede a Roma. Rimane misterioso come Solinas avrebbe giustificato il conseguimento di una laurea che in Italia prevede lezioni e tirocini mentre faceva il presidente di Regione.
Il rapporto difficile tra Solinas e i titoli di studio
Di certo il governatore ha un rapporto difficile con i titoli di studio. Vantava infatti un diploma d’eccellenza in sociologia conseguito all’Università Leibnitz di Milano. Che però non è riconosciuta dal Miur. Solinas si è laureato in giurisprudenza nel 2018 all’Università di Sassari. Ma l’ateneo si è sempre rifiutato di mostrare la tesi considerandola tutelata dalla privacy. Ora arriva questa storia curiosa della laurea in medicina a Tirana.
(da Open)
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