Marzo 13th, 2023 Riccardo Fucile
FDI 30,6%, PD 18,6%, M5S 16%, LEGA 8,9%, FORZA ITALIA 7,4%, AZIONE 7.4%
Da un lato il Partito Democratico sta divorando – elettoralmente
parlando – il Movimento 5 Stelle. Dall’altro Fratelli d’Italia non è nel suo periodo di crescita maggiore, ma resta a un livello di consenso al momento irraggiungibile da qualsiasi altro partito.
I sondaggi politici segnalano queste due tendenze, e non fa eccezione quello realizzato da Agenzia Dire e Tecnè.
I grillini stanno continuando a perdere voti, che passano in maniera quasi inversamente proporzionale al Pd della neoeletta Schlein. Nelle retrovie si muove ben poco, con Lega, Forza Italia e Terzo polo a comporre un blocco abbastanza statico sotto ai dieci punti percentuali.
Il primo partito politico nelle intenzioni di voto è sempre Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che però segna un’ulteriore leggera flessione: meno 0,1% e scende al 30,6%.
Il Partito Democratico di Elly Schlein è tornato a essere stabilmente la seconda forza politica del Paese, dopo aver concesso il sorpasso per qualche mese agli ex alleati grillini: più 0,6% per il Pd, che risale al 18,6%.
Il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, intanto, sta praticamente crollando: i pentastellati perdono lo 0,5% e scivolano al 16,0%.
Sotto quota dieci punti la Lega è sempre in testa: il Carroccio guidato da Matteo Salvini guadagna uno 0,1% questa settimana, passando all’8,9%. A seguire ci sono – appaiati – Forza Italia e il Terzo polo formato da Azione e Italia Viva: il partito di Silvio Berlusconi perde lo 0,1% e passa al 7,4%, dove trova Carlo Calenda e Matteo Renzi, che invece restano stabili senza perdere né guadagnare punti.
Non si è ripresa l’alleanza Verdi e Sinistra, che perde un altro 0,1% e scende al 2,8%, pagando la svolta Schlein nel Pd. Chiudono le intenzioni di voto +Europa al 2,4% (meno 0,2%) e Italexit all’1,8% (più 0,1%).
(da Fanpage)
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Marzo 13th, 2023 Riccardo Fucile
PRIGOZHIN AVREBBE SOPRAVVALUTATO LA FIDUCIA DI PUTIN NELLE SUE FORZE PARAMILITARI (E INFATTI DENUNCIA CHE MOSCA NON GLI DÀ LE MUNIZIONI)
Il Ministero della Difesa russo sta mandando a morire a Bakhmut i mercenari Wagner nel tentativo di indebolire il suo fondatore Yevgeny Prigozhin e far deragliare le sue ambizioni per una maggiore influenza sul Cremlino.
Lo scrive nella sua analisi l’Institute for Study of War (Isw) spiegando che Prigozhin ha sopravvalutato la fiducia di Putin nelle sue forze paramilitari.
Non solo: le ambizioni politico-militari di Prigozhin hanno probabilmente allarmato il presidente russo, il quale ha visto come una minaccia l’aggressiva autopromozione di Prigozhin a spese di altri: il ministro Shoigu e il capo di Stato maggiore Gerasimov.
«Scrivi il tuo nome nella storia per Bakhmut! Cerchiamo uomini tra i 22 e i 50 anni, ti diamo assicurazioni sulla vita e sulla salute, pagamenti elevati e bonus “al completamento dei compiti”». Sembra un annuncio pubblicitario, ma l’offerta è quella di andare a combattere e morire per la “fortezza” ucraina che i russi da sette mesi non riescono a conquistare. È il video propagandistico, lanciato dal capo della Wagner Yevgeny Prigozhin, per reclutare nuovi soldati e rinforzare il suo corpo sempre più allo stremo nella battaglia del Donbass.
A Bakhmut sono concentrati i migliori corpi dell’esercito di Kiev, compresi i battaglioni più addestrati, il ceceno e il georgiano in testa. Il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, ha ribadito con orgoglio la volontà di non retrocedere
Secondo alti funzionari statunitensi, il Wagner group ha reclutato finora 50.000 soldati per combattere in Ucraina. Migliaia tra i detenuti. Ma la milizia sarebbe in pausa strategica, in attesa di ricevere rinforzi.
Prigozhin postava sui social le foto di decine di cadaveri dei suoi uomini a terra, denunciando che Mosca non gli dà le munizioni.
A Bakhmut, l’esercito russo starebbe spompando le sue forze, senza riuscire a lanciare offensive pesanti in altre direzioni.
(da agenzie)
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Marzo 13th, 2023 Riccardo Fucile
UNA PERCENTUALE CHE ARRIVA ALL’82% TRA GLI ELETTORI DELLA LEGA E AL 76% TRA QUELLI DI FDI, MENTRE SI FERMA AL 40% TRA CHI SOSTIENE IL PD
L’Italia si sta “presidenzializzando”. Lo confermano le indagini sul
“Rapporto fra gli italiani e lo Stato”, condotte da Demos per Repubblica . Due italiani su tre, infatti, confidano nel presidente Mattarella. Dunque, oltre 20 punti in più rispetto al 201
4, quando al Quirinale era insediato il predecessore, Giorgio Napolitano. Tuttavia, lo stesso Napolitano, nel 2011, aveva toccato l’80% di popolarità. Per scendere, negli anni seguenti, in modo sensibile. Intorno al 50%. E, ancor di più, durante il governo Renzi.
Una tendenza che rammenta come il ruolo del Presidente, più di ogni altra istituzione, “rappresenti” lo Stato. E, per questo, rifletta l’immagine del sistema politico. Anche in tempi di disincanto democratico. Caratterizzato dall’affermarsi dell’anti-politica. Un sentimento che esprime distacco e ostilità verso la politica e i soggetti che la rappresentano. In particolare, i partiti, insieme ai leader.
La figura del Presidente, pur venendo coinvolta da e in questo clima politico, “r-esiste”. Mantiene, cioè, credibilità. E, anche grazie all’autorevolezza personale di Mattarella, continua a costituire un riferimento per i cittadini. E permette alle istituzioni di r-esistere. Perché ne è il principale garante. Oltre e sopra le parti. Anche se le parti politiche lo valutano in modo diverso.
Oggi, come emerge dal sondaggio di Demos, è apprezzato e sostenuto dalla quasi totalità degli elettori del Pd e del Terzo Polo (Azione-Italia Viva). Ma dispone di un consenso maggioritario presso la base di tutti i partiti. Prossimo al 60% anche fra chi vota per la Lega e il M5S. In altri termini, supera le divisioni politiche tradizionali e nuove.
Appare altrettanto ampio il favore verso l’elezione diretta del Presidente. Secondo il modello dei sistemi presidenziali e semi-presidenziali. Che comprende e coinvolge molti importanti Paesi. Come gli Usa e la Francia. Nell’ultimo anno, in Italia, questo sistema di s-elezione e di scelta del Presidente ha mantenuto un consenso molto largo, fra i cittadini. Ma con differenze sensibili ed evidenti, dettate, in particolare, dalla posizione politica. L’elezione diretta, infatti, risulta molto apprezzata dal centro-destra, soprattutto nella base della Lega (82%) e di FdI (76%). È, inoltre, condivisa dai due terzi degli elettori di Forza Italia.
Non per caso, in quanto si tratta del partito personale (di Berlusconi), per definizione. Ma il consenso verso l’elezione diretta scende sensibilmente nel centro-sinistra. E diviene minoritario fra chi vota Pd, Terzo Polo. E lo stesso M5S.
D’altronde, l’importanza della persona, cioè, del capo, è cresciuta. Anche perché i partiti e lo stesso Parlamento hanno perduto potere. La stessa attività legislativa, negli ultimi anni, è stata svolta spesso dai capi di governo. Come rammenta la sigla Dpcm. Decreto del Presidente del Consiglio. Una sigla divenuta popolare, nel corso dei governi Conte 2 e Draghi.
Nell’ultimo periodo, peraltro, la spinta verso l’elezione diretta del Presidente della Repubblica si è incrociata con una domanda di cambiamento politico, che va oltre gli schieramenti. E si è tradotta, in particolare, nell’affermazione e nell’elezione di due donne, Giorgia Meloni ed Elly Schlein, a capo, rispettivamente, del governo e del principale partito di opposizione. Ora, per completare questo percorso, manca un solo passaggio. Il più importante. L’ascesa di una donna al Quirinale, dopo un Presidente della Repubblica stimato come Sergio Mattarella. Magari attraverso un’elezione… “diretta”.
(da La Repubblica)
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Marzo 13th, 2023 Riccardo Fucile
FINGERE COMPASSIONE PER QUEI CORPI CHE DA ANNI HANNO DIPINTO COME NEMICI MORTALI DELLA NOSTRA NAZIONE
Le bare di Cutro – quelle a cui il governo Meloni non ha avuto nemmeno il coraggio di rendere omaggio durante la sconcertante photo opportunity sul luogo del delitto – stanno in fondo a molte catene. Su quella, corta e determinante, dei fatti e dei non fatti di quella notte è, e sarà, relativamente facile fare luce.
Ma non bisogna per questo trascurare le altre: quelle politiche (le leggi sull’immigrazione: tutte securitarie e sostanzialmente razziste dalla Turco-Napolitano in poi, in una fuga verso il peggio in cui Minniti è l’anticamera di Salvini), e quelle culturali.
Quei corpi inermi, di cui ora la destra finge di avere compassione, sono i corpi di chi da anni è stato dipinto come nemico mortale della nostra nazione, bianca e “cristiana”.
Prendiamo il ministro della Guardia costiera – quel Matteo Salvini di cui l’attuale ministro dell’Interno Matteo Piantedosi fu capo di Gabinetto al tempo dei Decreti sicurezza.
Ecco qualcuna delle sue uscite degli ultimi: “La sinistra, a livello mondiale, ha pianificato un’invasione, una sostituzione di popoli. Io non mi arrendo, io non ci sto”. “Lo ius soli in Italia non lo accetto, è una sostituzione di popoli, una immigrazione programmata”. “82.000 italiani l’anno scorso sono scappati all’estero per lavorare, un record. Intanto quest’anno sono sbarcati quasi 150.000 immigrati, senza lavoro. È in corso un tentativo di sostituzione di popoli, ma io non mi rassegno”. “È in corso un tentativo di genocidio delle popolazioni che abitano l’Italia da qualche secolo e che qualcuno vorrebbe soppiantare con decine di migliaia di persone che arrivano da altre parti del mondo”. “Con il flusso incontrollato di migranti è in corso un tentativo di sostituzione di popoli”.
È la teoria – insieme demenziale e criminale – della “sostituzione del popolo”: per cui l’etnia europea bianca e cristiana sarebbe minacciata da un complotto giudaico-massonico che la vuole sostituire con neri musulmani, spediti con i barconi sulle nostre coste.
Una teoria espressa in termini quasi identici nel Mein Kampf di Hitler, nelle rivendicazioni di Brenton Tarrant (lo stragista delle moschee neozelandesi) e, appunto, nelle parole di Salvini e dei suoi. L’attuale presidente della Camera Lorenzo Fontana denuncia “un annacquamento devastante dell’identità del paese che accoglie [i migranti]”; mentre l’altro Fontana, presidente della Lombardia, ha detto che “non possiamo accettare tutti gli immigrati che arrivano: dobbiamo decidere se la nostra etnia, la nostra razza bianca, la nostra società devono continuare a esistere o devono essere cancellate”.
E la presidente del Consiglio (quella che per Enrico Letta e Stefano Bonaccini sarebbe capace) non è da meno.
Tra tantissime uscite, eccone una del 2016: “Prove generali di sostituzione etnica in Italia. Nel 2015 più di 100 mila italiani hanno lasciato la nostra Nazione per cercare fortuna all’estero. Di questi oltre il 30% sono giovani tra i 18 e 34 anni. In compenso, sempre nel 2015 sono sbarcati in Italia 153 mila immigrati, nella stragrande maggioranza uomini africani”.
La donna, madre, cristiana e bianca denuncia l’invasione degli uomini neri, e si è più volte detta sicura che in Italia ci sia “un disegno di sostituzione etnica”.
Come può essere credibile oggi la sua commozione su quei corpi neri? Come può esserlo la Meloni che difende il suo amico Orbán a spada tratta? Quell’Orbán che ha detto: “Dobbiamo affermare che non vogliamo che nella nostra società ci siano la diversità, la mescolanza. Non vogliamo che il nostro colore, le nostre tradizioni e la nostra cultura nazionale si mescolino con quelle degli altri. Non lo vogliamo. Non lo vogliamo affatto. Non vogliamo essere un paese dove ci sia diversità. Vogliamo essere quello che eravamo mille e cento anni fa”.
Hanno costruito la loro conquista del potere sull’odio per i corpi neri, sull’imprenditoria della paura. E ora che al potere ci sono arrivati, provano a costruire una società a loro immagine e somiglianza.
Un minuscolo indizio. è stato ripubblicato dal governo Meloni identico a quello precedente. Salvo che per l’obiettivo della costruzione “dialogo interculturale, attraverso iniziative che favoriscano un processo di scambio di vedute aperto e rispettoso fra persone e gruppi di origini e tradizioni etniche, culturali, religiose e linguistiche diverse, in uno spirito di comprensione e di rispetto reciproci”. Obiettivo sostituito con la “promozione e diffusione degli aspetti più qualificanti della cultura italiana, nella sua dimensione artistica, letteraria e storica, per rafforzare tra i giovani il senso di appartenenza alla Nazione e il ruolo da questa svolto nello sviluppo culturale mondiale”. Questo è il futuro che hanno in mente i fascisti del terzo millennio: che almeno non fingano di piangere sui corpi di quei temibili portatori di multiculturalismo, colpevoli di attentato all’identità italiana.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Marzo 13th, 2023 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DI MILENA GABBANELLI PER IL CORRIERE
L’immigrazione è un fatto strutturale, e l’Italia non può sfuggire al
proprio destino geografico perché è il Paese di primo approdo. Per gestire il fenomeno e fermare i trafficanti di esseri umani – si va ripetendo da tempo – la strada è una sola: canali di ingresso regolari.
Un messaggio che la premier Giorgia Meloni ribadisce con enfasi giovedì 9 marzo a Cutro.
Ma cosa vuol dire canali di ingresso regolari? Lo spiega al Senato il 16 novembre 2022 lo stesso ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che dice esattamente questo: «L’idea è di creare percorsi di ingresso legale in favore di quei Paesi terzi che garantiscano concretamente la loro collaborazione e la prevenzione delle partenze e soprattutto nell’attuazione dei rimpatri. Si tratta di rivedere gli attuali meccanismi per i cosiddetti decreti flussi, inserendo uno strumento premiale per i Paesi più impegnati nella lotta all’immigrazione illegale, con l’obiettivo di contrastare il traffico dei migranti e, al contempo, rafforzare i canali di ingresso legale». Lo annuncia, ma non lo fa, e ancora oggi è lettera morta. Vediamo perché.
Cos’è il decreto flussi
Le quote massime di stranieri extra Ue da ammettere regolarmente in Italia vengono stabilite annualmente con un provvedimento del Presidente del Consiglio conosciuto come «decreto flussi». Lo prevede il Testo unico dell’immigrazione del 1998 (art. 3, comma 4), poi modificato dalla legge Bossi-Fini del 2002. Di fatto ogni anno viene quantificata la manodopera che serve e gli immigrati che vogliono arrivare regolarmente in Italia devono già avere un contratto di lavoro in tasca.
L’ultimo «decreto flussi» viene approvato lo scorso 29 dicembre ed entrerà in vigore il 27 marzo. La quota per il 2023 è di 82.705 immigrati. I numeri sono ripartiti tra 44 mila stagionali e 38.705 non stagionali. È il numero più alto degli ultimi 10 anni, ma 24.105 devono arrivare da una lista di 33 Paesi, 14 dei quali con gli arrivi dai barconi non c’entrano nulla: Albania, Bosnia, Corea del Sud, El Salvador, Georgia, Giappone, Guatemala, Kosovo, Mauritius, Montenegro, Perù, Macedonia, Serbia e Ucraina. Solo 6.000 gli ingressi previsti per i lavoratori subordinati non stagionali per i Paesi «con i quali nel corso dell’anno 2023 entrino in vigore accordi di cooperazione in materia migratoria». Con un passaggio in più. Ecco come funziona il meccanismo
Come funziona
Il datore di lavoro che vuole assumere un immigrato deve prima di tutto verificare presso un Centro per l’impiego che non vi sia un lavoratore già disponibile in Italia, una formalità che il governo Meloni ha trasformato in un obbligo.
Se dopo 15 giorni non c’è risposta, o se il lavoratore segnalato non va bene, occorre depositare domanda con i dati anagrafici dell’immigrato da assumere allo Sportello unico per l’immigrazione. La Prefettura si prende fino a 30 giorni per il rilascio del nulla osta, dopo avere controllato che la richiesta sia dentro le quote.
A questo punto viene attivata la Rappresentanza diplomatica italiana nel Paese di origine dell’immigrato per il rilascio del visto.
La procedura, che richiede almeno altri 20 giorni, prevede che il lavoratore sia nel suo Paese di origine.
Ora, quale datore di lavoro assume una persona che non ha mai visto e senza nemmeno sapere quando potrà arrivare? È evidente che si tratta di un irregolare già in Italia: e il «decreto flussi» così concepito è solo una regolarizzazione mascherata.
L’immigrato deve tornare al suo Paese per ritirare il visto e poi ripresentarsi, con una perdita di tempo di almeno due mesi. In sostanza è sempre la stessa finzione che va avanti da 20 anni, con l’aggiunta di una burocrazia ancor più complessa, oltre ad essere inefficace poiché non incide minimamente sulle partenze. Occorre quindi fare quello che viene annunciato da anni: coinvolgere i Paesi di origine affinché abbiano interesse a combattere l’illegalità.
Ruoli e norme sbagliati
Torniamo al ministro Piantedosi: perché annuncia un decreto e poi di fatto rinnova sempre lo stesso senza modificare una virgola?
La risposta è nella sua posizione debole, cioè quella di ministro tecnico in un governo politico, in un ruolo che è politico per eccellenza, e di solito espressione del partito di maggioranza.
In sostanza per andare in Parlamento a dire «cambiamo la Bossi-Fini» ci vuole quel peso politico che Piantedosi non ha. Il tema è spinoso, e la tragedia di Cutro costringe la Presidente del Consiglio Meloni ad assumerne la guida.
Il decreto varato nel paese calabro prevede pene severissime per gli scafisti. Per punirli però bisogna prenderli, e all’orizzonte non c’è un’equivalente della missione Sophia che fino al 2019 faceva anche questo. Si parla ancora di permessi legali, si invitano i Paesi di partenza a fermare i criminali del mare, ma la bozza non cambia la sostanza della «Bossi-Fini».
Come dovrebbe essere
Un vero «decreto flussi» deve cambiare impostazione. Nel 2022 su 105.140 sbarchi, più della metà dei migranti arriva da tre Paesi: 20.542 dall’Egitto, 18.148 dalla Tunisia e 14.982 dal Bangladesh. Gli accordi vanno fatti proprio con quei Paesi dove c’è il maggior numero di partenze.
Ma cosa si intende per accordi? Prendiamo i Paesi del nord Africa, dove c’è una forte crisi economica: per quale ragione i governi dovrebbero impedire ai loro giovani che non hanno lavoro di partire? Solo in cambio di una contropartita.
Concedendo per esempio alla Tunisia 20.000 ingressi legali con la condizione che si riprenda automaticamente l’emigrante illegale in più, a prescindere dal luogo da dove è partito.
E le liste di chi avrà un visto le deve fare il governo tunisino presso i nostri consolati e ambasciate, in base alle esigenze richieste dal nostro mercato del lavoro, e dopo avere fatto un corso di lingua e un po’ di formazione. Passaggi cruciali per predisporre all’integrazione.
Su questi presupposti i Paesi hanno tutto l’interesse a collaborare, perché si troveranno meno disoccupati in casa e potranno poi contare sulle rimesse dei loro giovani che lavoreranno con contratti regolari, e non sottopagati e in nero.
Banca Mondiale rende noto quanto ha incassato l’India dai suoi migranti nel 2022: 100 miliardi di dollari. Sono i soldi spediti a migliaia di famiglie delle zone più povere del Paese, e che consentono di mandare i figli a scuola e avere una migliore assistenza sanitaria.
Questo avviene proprio perché negli ultimi anni l’India ha fatto accordi con quei Paesi dove gli stipendi sono più alti: Singapore, Stati Uniti, Gran Bretagna. Infatti, verso i Paesi del Golfo, che pure attrae manovalanza, ma pagano peggio, i flussi dall’India sono in calo.
I lavoratori che mancano
Intervenire in questa direzione è urgente per due ragioni. Primo: 9.470 sbarchi nel mese di febbraio non li abbiamo avuti nemmeno nel 2016, l’anno più terribile con 181.436 arrivi. Secondo: siamo il Paese europeo con il maggior calo demografico e non riusciamo a rimpiazzare nemmeno chi va in pensione.
Dal rapporto annuale della fondazione Moressa l’Italia ha bisogno di 534 mila lavoratori subordinati non stagionali, e di questi almeno 80 mila stranieri per coprire quei lavori che gli italiani non svolgono più. L’ultimo decreto flussi ne copre meno della metà: le quote messe a disposizione per i lavoratori subordinati sono 30.105 sui 38.705 non stagionali, gli altri 1.600 sono autonomi e 7.000 permessi convertiti. Nella promessa della Meloni c’è l’intenzione di aumentare i numeri, ma attraverso il solito meccanismo che di fatto regolarizza chi è già sul territorio italiano, dopo averlo rimandato al suo Paese a prendere il visto. I settori con il maggiore fabbisogno sono il commercio e turismo (54,3%), mentre a livello territoriale le necessità riguardano soprattutto al Nord-Ovest (34,0%) e Nord-Est (26,4%).
Cosa serve allora? Una nuova una legge quadro, fatta di accordi bilaterali con i Paesi di provenienza, e dentro a un piano europeo di aiuti economici per la gestione dei flussi.
Bruxelles si è già espressa a favore. Val la pena di ricordare che perfino l’Ungheria (che non ne vuol sapere di prendersi migranti) nel 2017 mise 30 milioni per fermare gli arrivi nel sud della Libia. E la Libia è anche il Paese dove prospera, a un passo dalle nostre coste, la più fitta, estesa e organizzata rete di tratta dei migranti.
Attenzione: cambiando la Bossi Fini in Libia non verrebbe rimpatriato nessuno perché dalla Tripolitania, e Cirenaica non partono cittadini libici, ma migranti tunisini, egiziani, eritrei ecc. È quindi compito degli Stati stroncare con una gestione legale quella criminale.
((Domenico Affinito e Milena Gabanelli – corriere.it)
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Marzo 13th, 2023 Riccardo Fucile
CON GIORGIA SI VOLA: IL VIAGGIO IN COMITIVA E’ UN CLASSICO DI TUTTI I GOVERNI, MA LA MELONI HA RADDOPPIATO
Con Giorgia si vola, la Meloni Airways augura dunque buon viaggio a una pletora di accompagnatori attraverso cui si capisce che se in altri ambiti è finita la pacchia, in quello del trasbordo aeroportuale e della densità delle comitive è iniziata la cuccagna.
Perché sì, certo, i giornalisti sono scocciatori spesso surreali e maligni, specie quelli radical chic con il ditino alzato e moralizzatore, però diamine, vorrà pure dire qualcosa che l’attuale premier in pochi mesi ha polverizzato tutti i precedenti record di viaggi “in branco”, staff, collaboratori, assistenti, parenti di qua e di là per il mondo, ora una missione di Stato, e va bene, ora per degnamente onorare l’arresto del superlatitante, ora trascinandosi appresso un intero Consiglio dei ministri; e s’immagina l’energia, il tempo e i quattrini spesi per quella tarda passerella pseudo-espiatoria, ma poi tocca aggiungere il blitz per raggiungere in tempo il compleanno a sorpresa del vicepresidente del Consiglio; e una volta lì, tra emulsione di prezzemolo e palloncini ectoplasmici, marito, figlia e Angelucci, aderire al più istituzionale dei karaoke.
Tutto questo mai da sola o col minimo dello staff, no, c’è sempre qualcuno che si ‘accolla’, dicono a Roma, auto blindate, sirene, stridio di pneumatici, il classico vistoso codazzo caciarone declinante verso la caricatura: un po’ per indiscutibili esigenze di sicurezza, beninteso, un po’ magari per ritrovarsi attorno facce amiche e sentirsi umanamente sostenuta – anche se poi fra qualche mese ci scapperà l’intervista intimista o la video-confessione sulla solitudine del potere.
Intanto: volare oh oh, in affollata carovana. Sono più di trent’anni che nelle orecchie degli italiani risuona questa melodia, un’intera generazione di giornalisti ha scritto e riscritto lo stesso pezzo con giuliva e sgomenta rassegnazione aggiornandolo ai potenti di turno: Craxi in Cina “con i suoi cari”, come dixit Andreotti (al ritorno il volo fu esteso a Macao e quindi in India per un saluto al fratello santone del premier); De Mita con sparring-partner di tresette in Usa e casse di vino avellinese in Urss; De Michelis che a un certo punto gli era presa con i capodanni esotici e in gruppo se la filava ad Hanoi, a Pechino…
Perché Meloni, modello di underdog planata in classe exclusive-plus, lo sa benissimo che aerei ed elicotteri sono inconfondibili segni di status, ascese al cielo conseguite senza fare la fila, senza aprire le valigie, senza doversi levare scarpe e cinture, senza ritardi, misteri, angherie. Dice: lascia perdere il passato, ma nulla più del passato spiega che ci cascano tutti, vecchi e giovani governanti, maschi e femmine, virtuosi del privilegio ed esuli in patria. L’aeroplanuccio comodo che li porta subito dove è necessario ha il potere di unificare, livellare e omologare la classe politica nei suoi peccati veniali: la fiera degli arrosticini di Remo Gaspari, il Gran Premio di Formula 1 per Mastella e Rutelli, la Sardegna d’estate di Casellati.
Se governare è una faticaccia, e per una mamma ancora di più, beh, che almeno sia garantita una rapida e affollata mobilità, se del caso “a gratise”.
Renzi, che su queste faccende ha la delicatezza di un rinoceronte, insieme al “Renzicottero” fece addirittura comprare allo Stato un maxi Boeing, Pontassieve Air Force, peraltro utilizzato una sola volta o due. Con Berlusconi, che nelle missioni in Canada e Sudameria pretese di imbarcare una signorina poi identificata, nomen omen, come “la Dama Bianca”, ecco, con tale effervescente pretesa si chiuderebbe il provvisorio repertorio dei viaggetti meritevoli di ricordo a futura memoria.
Per aggiungere tuttavia, tornando a Meloni e alle eloquenti cifre riportate ieri su Repubblica da Antonio Fraschilla, che l’alto quoziente di addetti e le relative spese per biglietti, vitto e alloggio mostrano anche qualcosina di regressivo che ha a che fare con la tribalizzazione del potere, il suo accentuato rinserrarsi in compagnie chiuse come autentici clan – si chiamino cerchi, gigli, raggi o tortelli magici. In qualche modo è l’Italia di sempre che ritorna o non se n’è mai andata: consiglieri, confidenti, sorelle, cognati, creature, bambinaie. Saperlo non cambia molto, però in fondo sì.
(da La Repubblica)
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Marzo 13th, 2023 Riccardo Fucile
GIRAVA CON UN BANDIERA RUSSA A SOSTEGNO DI PUTIN
L’ex consigliere comunale di Trieste di Lega e Forza nuova Fabio
Tuiach è stato condannato in primo grado a due anni di carcere per aver preso a pugni un settantenne che lo criticava per il suo sostegno a Putin nella guerra contro l’Ucraina.
L’aggressione al 70enne risale al febbraio 2022, subito dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.
Nei primi giorni dell’offensiva russa contro Kiev, l’ex consigliere comunale ed ex pugile si aggirava nel centro di Trieste sventolando la bandiera russa. Il 70enne, dopo essersi avvicinato a Tuiach per protestare, sarebbe stato colpito da un pugno alle spalle che lo ha fatto cadere a terra, causandogli una frattura del gomito e trenta giorni di prognosi, come confermato dal referto clinico.
Tuiach era balzato ai “clamori” delle cronache per le sue posizioni No vax e No Green pass durante la pandemia di Covid, perdendo il posto di lavoratore portuale perché era stato sorpreso a una manifestazione No vax quando invece risultava in malattia.
Nel settembre 2022 era invece stato condannato a due anni per diffamazione e omofobia.
Il pubblico ministero aveva chiesto 10 mesi, dunque la pena è stata più che raddoppiata.
(da agenzie)
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Marzo 13th, 2023 Riccardo Fucile
L’EX ATTACCANTE DELL’INGHILTERRA, OGGI COMMENTATORE PRINCIPE DELL’EMITTENTE PUBBLICA, ERA STATO SOSPESO DOPO LA PUBBLICAZIONE DI UN TWEET IN CUI PARAGONAVA LA STRETTA SULL’IMMIGRAZIONE DEL GOVERNO CONSERVATORE SUNAK ALLA RETORICA USATA DALLA GERMANIA NAZISTA NEGLI ANNI TRENTA
Gary Lineker è stato reintegrato alla conduzione dalla Bbc dopo che l’emittente pubblica britannica lo aveva sospeso per aver violato gli standard interni di imparzialità per un suo criticatissimo tweet in cui paragonava la stretta sull’immigrazione del governo conservatore di Rishi Sunak alla retorica usata dalla Germania nazista negli anni Trenta. Lo ha comunicato la stessa Bbc.
“Gary è una parte importante della Bbc e so quanto la Bbc significhi per lui, e non vedo l’ora che presenti il nostro programma il prossimo fine settimana”, ha dichiarato il direttore generale dell’emittente britannica, Tim Davie, in un comunicato stampa.
Tra tanti perdenti di questa storia, l’unico vincitore è proprio Lineker, che reitera: “Giorni surreali, ma nulla in confronto alla sofferenza dei migranti”
(da agenzie)
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Marzo 13th, 2023 Riccardo Fucile
IL 19 SETTEMBRE 2020 UN CASO SIMILE, LA GUARDIA COSTIERA INTERVENNE E POSE IN SALVO I NAUFRAGHI
A due settimane dal naufragio di Cutro, il cui bilancio continua ad
aggravarsi, non è ancora chiaro perché quel barcone a pochi metri dalle coste calabresi non sia stato soccorso dalla Guardia costiera e siano invece uscite in mare delle motovedette della Guardia di Finanza in un’operazione di polizia.
È inoltre emerso un precedente del 2020 a dimostrazione che contesti di questo tipo andrebbero sempre trattati come eventi Sar, cioè di ricerca soccorso, per cui va si deve attivare la Guardia costiera.
A quanto apprende Fanpage.it da fonti legali, i parenti delle vittime vogliono citare proprio quell’episodio di alcuni anni fa nella memoria difensiva che stanno depositando in Procura
Nella notte del 19 settembre 2020 una barca a vela, partita presumibilmente dalla Turchia, naviga al largo di Isola di Capo Rizzuto. Il mare è agitato, forza 5. Le operazioni di soccorso sono complesse: escono in mare sia le unità navali della Guardia di Finanza, che quelle della Capitaneria di porto. La Guardia costiera, appunto.
La barca a vela è in balia delle onde e viene scortata fino al porto più vicino, dove ad attenderla ci sono i medici del 118 e della Croce rossa italiana.
Insomma, un’operazione Sar a tutti gli effetti. Come dovrebbe essere d’altronde: si tratta di una barca sovraffollata, con decine e decine di migranti a bordo, che viaggia con mare forza 5. Una potenza che rende il pericolo di naufragio concreto e che fa scattare le operazioni di soccorso.
La domanda quindi è: perché le cose non sono andate così anche nella notte tra il 25 e il 26 febbraio?
Il nodo è sempre quello che rimanda a un documento riservato del ministero dell’Interno, di cui Fanpage.it ha già scritto, che detta alcune indicazioni rispetto agli episodi di immigrazione irregolare via mare. Si tratta di un accordo tecnico-operativo di cui i destinatari sono tanto la Guardia costiera, quanto la Marina, la Finanza, la Polizia e i Carabinieri: l’evento Sar, si legge, deve scattare esclusivamente quando “le condizioni meteomarine pongono in serio e immediato pericolo di vita gli occupanti del natante”.
Insomma le operazioni di soccorso possono partire solo quando c’è un pericolo immediato di perdita di vita in mare. In altre parole, quando la barca è a un passo dal naufragio.
Un documento, però, in netto contrasto con il Piano Sar a cui fa riferimento la Guardia costiera, aggiornato nel 2020.
Questo stabilisce chiaramente che per situazione di pericolo si intende “una situazione in cui si può ritenere, con valutazione reale ed obbiettiva, che una persona sia minacciata da un grave ed imminente pericolo di perdita della vita”.
Secondo il Piano del 2020, quindi, basta che ci sia una valutazione di pericolo da parte delle autorità per far scattare l’evento Sar. Nell’episodio del 19 settembre di quell’anno sarebbero state seguite proprio queste indicazioni, mentre non sono sarebbero tenute in considerazione due settimane fa a Cutro.
Secondo quanto fanno sapere fonti legali a Fanpage.it, gli avvocati dei familiari delle vittime starebbero inserendo proprio questo episodio nella memoria difensiva da depositare in Procura. A dimostrazione di come sarebbero dovute andare le cose anche nella notte tra il 25 e il 26 febbraio.
(da Fanpage)
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