Marzo 22nd, 2023 Riccardo Fucile
“SI E’ TRATTATO DI UN ERRORE TECNICO”… MA PER DUE SETTIMANE NESSUNO L’HA CORRETTO
«È una cosa gravissima, un errore inaccettabile»: con queste parole la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, a margine del forum economico-scientifico italoserbo a Belgrado, commenta la notizia data ieri da Open in merito al bando per la selezione di 15 esperti a titolo gratuito al Mur.
«Ho avviato un’indagine interna proprio oggi per accertare le responsabilità e chi ha sbagliato pagherà», ha promesso Bernini.
Al momento, la ministra precisa però che non ci sono ancora novità perché non ha ancora individuato cosa sia potuto andare storto nell’ideazione dell’offerta di lavoro.
A seguito delle polemiche scoppiate ieri, 21 marzo, il ministero dell’Università in serata aveva ritirato l’avviso pubblico, spiegando che si era trattato solo «di un errore tecnico nella sua stesura». E aveva sottolineato che «il contenuto e i termini dell’avviso non rispecchiano la volontà e il modo di procedere del Ministero».
L’annuncio di lavoro
L’offerta era finalizzata a selezionare 15 figure ad alto potenziale e professionalità da inserire nel Nucleo di Coordinamento delle attività di analisi, di studio e di ricerca del MUR. Figure che una volta assunte – stando a quanto si leggeva nel documento – avrebbero preso un impegno a tempo pieno, e per una durata di 18 mesi, anche prorogabili su eventuale richiesta del Miur. Ma c’era un problema di fondo: tutte le quindici posizioni non prevedevano alcuna retribuzione. La scadenza per inviare la propria domanda di ammissione era fissata per la mezzanotte del 6 aprile.
Poi il Mur è intervenuto e ha fatto ritirare tutto, e candidature e scadenza sono state annullate. Nel giro di poche ore, la notizia ha provocato scalpore soprattutto perché dovrebbe essere proprio il ministero dell’Università e della Ricerca a evitare la fuga di cervelli dovuta alla ricerca, spesso esasperata, di condizioni lavorative dignitose.
(da Open)
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Marzo 22nd, 2023 Riccardo Fucile
“LA RIFORMA DELLE PENSIONI SERVE PER GARANTIRE UN FUTURO AI GIOVANI”
Dopo una settimana di fuoco, il presidente francese Emmanuel
Macron prende la parola per commentare la riforma delle pensioni che sta infiammando il Paese. E che a suo dire «proseguirà il suo cammino democratico»: lo afferma ai microfoni di France 2 e TF1, in quello che rappresenta primo intervento diretto ai francesi dall’inizio della crisi sulla riforma.
La misura, che vuole aumentare da 62 a 64 anni l’età minima per lasciare il lavoro, è stata descritta dal leader di Parigi non come «un lusso», ma come «una necessità» per riportare il sistema previdenziale in equilibrio. Si dichiara pronto ad «addossarsi l’impopolarità» della riforma. Anche considerando l’impossibilità di venire rieletto per una terza volta all’Eliseo. E dunque, ribadisce, «dobbiamo andare avanti: è nell’interesse superiore della nazione». La mozione di sfiducia contro il governo è «fallita», aggiunge, e dunque adesso «bisogna aspettare il pronunciamento del consiglio costituzionale».
Macron ha anche commentato il clima di alta tensione che si registra nel Paese, teatro da giorni di accese manifestazioni: «Quando i sindacati manifestano, hanno la loro legittimità, quando organizzano cortei, che lo facciano, sono contrari a questa riforma, io li rispetto».
A condizione, però, di «non accettare la violenza quando si è scontenti»: «Non è accettabile che dei gruppi utilizzino un’estrema violenza per aggredire come in questi giorni, dei sindaci, degli esponenti della Repubblica che sono per la riforma. Non è accettabile che utilizzino una violenza senza regole perché sono scontenti di qualcosa».
Nel frattempo Macron guarda anche alle imprese dai «profitti eccezionali», annunciando che chiederà al governo di poter lavorare a un «contributo eccezionale» in modo tale che anche i lavoratori di tali imprese possano trarre vantaggio dai superprofitti.
Macron ha confermato inoltre la sua fiducia nella premier Elisabeth Borne, la quale avrebbe dato prova di «responsabilità» decidendo di ricorrere all’articolo 49.3 della costituzione per far passare la contestata riforma previdenziale: «Non abbiamo diritto allo stop o all’immobilismo», commenta. Tuttavia, il presidente ha riconosciuto che le proposte dell’esecutivo sul tema dei lavori usuranti «non sono abbastanza forti e tangibili»: per questo ha promesso nuove discussioni con i sindacati affinché l’argomento venga affrontato in maniera più appropriata.
«Bisogna che si trovi una strada e che ci si rimetta attorno al tavolo – ha riconosciuto Macron -. Riprenderemo le discussioni con i partner sociali, lo faremo nelle prossime settimane». Nel frattempo, le proteste proseguono: dopo il discorso di Macron, sono già state fissate manifestazioni in tutta la Francia. Sono attesi per la grande manifestazione di domani fra 600.000 e 800.000 partecipanti, a fronte di 12mila poliziotti che verranno schierati: una cifra record dall’inizio delle proteste. A Parigi, il corteo taglierà in due la città, dalla Bastiglia all’Opéra.
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2023 Riccardo Fucile
DEBACLE SALVINI, E’ SOLO DECIMO, ULTIMI POSTI ANCHE PER VALDITARA E ROCCELLA… IL PRIMO E’ TAJANI PERCHE’ ALMENO STA ZITTO
Il più apprezzato componente del governo Meloni, a parte la stessa Giorgia Meloni, è il ministro degli Esteri e vice presidente del Consiglio Antonio Tajani, di Forza Italia. Per l’altro vice presidente, Matteo Salvini, il dato è piuttosto deludente: nonostante sia il ministro più conosciuto, è solo al decimo posto per gradimento.
I risultati emergono da un sondaggio politico dell’istituto Tecnè, incentrato su quanto sono conosciuti e apprezzati i ministri e le ministre che compongono l’esecutivo in carica.
Per quanto riguarda la notorietà dei componenti del governo Meloni, al primo posto c’è nettamente Matteo Salvini. Il ministro dei Trasporti e segretario della Lega è uno dei politici più conosciuti in Italia: è noto al 92% di chi ha risposto. Al secondo posto c’è Antonio Tajani, con l’88%.
Il terzo ministro più conosciuto secondo il sondaggio è Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, che arriva all’84%. Seguono la ministra delle Riforme istituzionali Elisabetta Casellati (con l’82%, è la prima donna della classifica). Casellati è stata presidente del Senato nella scorsa legislatura. Ci sono poi il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (79%) e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti (78%).
Al contrario, la meno conosciuta è la ministra per la Disabilità, Alessandra Locatelli, con il 32%. Al penultimo posto Paolo Zangrillo, ministro della Pubblica amministrazione (37%), superato dalla ministra per la Famiglia Eugenia Roccella (41%) e dal ministro per il Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani (50%).
Guardando alla percentuale di apprezzamento, al primo posto c’è Antonio Tajani con il 57%. Questo numero riguarda solo le persone che hanno detto di conoscere Tajani: in questo modo non c’è uno squilibrio per i ministri meno noti.
Mentre nella classifica precedente Matteo Salvini era al primo posto, per quanto riguarda il gradimento il leader leghista scivola decisamente in basso: è solo il decimo più apprezzato. Il 39% delle persone che lo conoscono gli dà un giudizio positivo.
Al secondo posto, alle spalle di Tajani, c’è invece il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, con il 55% di gradimento. Segue Guido Crosetto, ministro della Difesa (51%), poi il ministro dell’Economia Giorgetti (50%) e il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto (47%).
Si piazzano al di sopra di Salvini anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio (45%), il ministro delle Imprese Adolfo Urso (44%), il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano (44%) e il ministro dello Sport Andrea Abodi (43%).
Al fondo della classifica, i ministri meno apprezzati in assoluto con un gradimento al di sotto del trenta per cento sono tre in tutto.
La ministra della Famiglia Eugenia Roccella e il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara sono entrambi al 29%. Chiude la classifica il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che nelle ultime settimane è stato al centro di polemiche per le sue frasi sulla strage di migranti a Cutro, in Calabria.
(da Fanpage)
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Marzo 22nd, 2023 Riccardo Fucile
LA CONFERENZA STAMPA DOPO IL CONSIGLIO DEI MINISTRI RESTERÀ AGLI ANNALI “COME UNA ROBA MAI VISTA”, DICONO VECCHI FUNZIONARI DEL GOVERNO. E POI NON SI È MAI CAPITO, E NESSUNO SA SPIEGARLO, PERCHÉ LA PREMIER NON È ANDATA AD OMAGGIARE LE SALME A CROTONE E PERCHÉ NON SI È PRESENTATA SULLA SPIAGGIA DEL DISASTRO
E’ il giorno delle comunicazioni di Giorgia Meloni al Senato in vista del
Consiglio europeo di domani e venerdì (oggi si replica alla Camera).
La vicenda di Cutro rimane una scatola nera: la ricostruzione della catena di comando nei salvataggi viene tutti i giorni messa in discussione. La conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri resterà agli annali “come una roba mai vista”, dicono vecchi funzionari del governo. E poi altro mistero gaudioso: non si è mai capito, e nessuno sa spiegarlo, perché la premier non è andata ad omaggiare le salme a Crotone e perché non si è presentata sulla spiaggia del disastro. Sono tutti punti interrogativi che lasciano aperta la vicenda. Sulla quale però Meloni non transige. E ne fa un punto d’onore personale, come donna e madre, prima che come presidente del Consiglio.
Sicché il dibattito si accenderà durante la giornata sempre su Cutro, il fantasma che non va via. Durante il dibattito Meloni si segna queste parole di Tatjana Rojc del Pd: “Perché quelle persone sono morte quando potevano essere salvate? Cosa non ha funzionato quella notte davanti alla spiaggia di Cutro? Dove è mancata la catena di comando? Ancora nulla sappiamo, ma, come dice Pasolini, tutti sappiamo, ma non abbiamo ancora le prove. Comunque la verità verrà a galla”.
Meloni scrive, sbuffa, prende appunti. Bisogna attendere il momento della replica della premier. Fissarla negli occhi color brace. Urla, si vede che è scossa. Non ci sta. Fissa Rojc: “La mia coscienza è perfettamente a posto”.
“Io sono una madre, collega, per cui vi prego, cerchiamo di contenere i toni del dibattito. Quando ci presentiamo al cospetto dell’Europa con mezzo Parlamento che dice che l’Italia non ha voluto salvare quelle persone, quando l’Italia viene lasciata da sola ad affrontare un problema che da sola non può affrontare, sfuggirà sempre qualcosa, ci sarà sempre qualcosa che andrà storto”.
Sono ombre che non si allontanano. E si capisce anche quando sempre durante il dibattito Meloni si sfoga con il ministro Raffaele Fitto: “Mi danno dell’assassina, ti rendi conto?”.
(da Il Foglio)
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Marzo 22nd, 2023 Riccardo Fucile
IL VERO PROBLEMA DI FRATELLI D’ITALIA E’ NELLA CLASSE DIRIGENTE, O MEGLIO “DIGERENTE”, A VIA DELLA SCROFA NON SANNO PIÙ CHI MANDARE IN TELEVISIONE A PARLARE DI GOVERNO NEI TALK
“Così non va bene”. L’altro giorno Giorgia Meloni ha perso la pazienza. Si è sfogata in privato. E ha fatto sapere all’esterno di essere contrariata. La misura per la premier era davvero colma.
Prima c’è stato il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli che sabato sera a “In Onda” su La7 ha parlato di coppie gay che non possono “spacciare” bambini per propri figli. Apriti cielo. Poi lunedì è stata la volta dell’accoppiata Mollicone-Malan. Con il primo, presidente della commissione Cultura della Camera, che sempre in tv ha sostenuto che la maternità surrogata è un reato grave, “più grave della pedofilia”.
E il secondo, capogruppo in Senato, che su Twitter ha affermato che “le coppie omogenitoriali non esistono”. Con tanto di foto di due papà con in braccio un bebè. Tre esponenti di Fratelli d’Italia al centro di polemiche feroci. Che sono cadute, alla fine, addosso a lei: la premier e presidente del partito. Sicché Meloni ha preso il cellulare e ha scritto d’imperio: “Così non va bene”.
Lo ha voluto mettere a verbale in una chat interna dove da ore rimbalzavano i link di queste sparate, con annesse le reazioni dell’opposizione (la “capa” continua a essere presente in tantissimi gruppi dove legge tutto e quando capisce che la situazione inizia a essere insostenibile scrive e sbotta, come in questo caso).
Attenzione: in questa presa di distanza dai suoi parlamentari non c’è una repentina svolta di Meloni su questi temi. Non è diventata, e non vuole esserlo, Giorgia Schlein né farsi chiamare Elly Meloni. E’ pur sempre la leader del tormentone di quando era all’opposizione, “genitore 1, genitore 2”. Tuttavia in particolare le hanno dato fastidio il tono e le espressioni usate dai suoi.
L’uso delle parole vanno scelte con estrema cura, si è sfogata, soprattutto adesso che il partito con la fiamma, il suo, governa il paese. Sulla maternità surrogata, è il ragionamento di Meloni, la linea non cambia. Anzi, c’è un progetto di legge incardinato in Parlamento a firma di Fratelli d’Italia, solo che sull’argomento d’ora in poi l’unica deputata a parlarne sarà Eugenia Roccella, ministro della Famiglia, come è d’altronde accaduto sempre domenica in tv da Lucia Annunziata. Gli altri è meglio che si occupino d’altro.
La faccenda però è molto più complessa: agita le viscere dell’aspirante partito della nazione e in un certo senso, di rimbalzo, anche l’inquilina di Palazzo Chigi.
In Via della Scrofa, sede di Fratelli d’Italia, da settimane si trovano davanti a un problema: non sanno più chi mandare in televisione a parlare di governo nei talk. Francesco Lollobrigida corre di qua e di là, ma seppur ministro di peso e della real casa, è difficile che riesca a sdoppiarsi.
Gli altri grandi polemisti e animali da telecamera – Giovanni Donzelli, Andrea Delmastro e Augusta Montaruli – sono fuorigioco da un po’ per vicende varie (la rivelazione dei documenti sul caso dell’anarchico al 41 bis Alfredo Cospito per i primi due e le dimissioni da sottosegretario all’Istruzione per la deputata dopo la sentenza della Cassazione).
(da Foglio)
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Marzo 22nd, 2023 Riccardo Fucile
L’ITALIA HA PERSO IL CONTROLLO, IL MAGREB E’ UN BUCO NERO
Da anni l’Italia ha ormai completamente perso il controllo della Libia. Agli occhi
di Roma, il Paese dal quale salpano migliaia e migliaia di migranti diretti verso le coste italiane è una sorta di buco nero. Nel territorio libico, al contrario, è sempre più forte l’influenza di altri Paesi, tra cui Russia e Turchia.
I flussi migratori dalla Libia nel 2023 non stanno rappresentando la minaccia più diretta alle coste dell’Italia. Al contrario, per la prima volta dopo tanti anni è dalla Tunisia che si sta registrando il più alto numero di partenze. Secondo i dati del Viminale, alla vigilia del completamento del primo trimestre del nuovo anno, dalle coste tunisine sono partite 12.083
persone, mentre da quelle libiche 7.057.
La scusa Wagner mentre l’Italia ha perso Libia e Tunisia
Questo non esclude però che sussista ancora oggi un problema con la Libia. Anche perché il dato precedente risulta in aumento dell’80% rispetto allo stesso periodo del 2022. La rotta riguardante il Paese un tempo dominato da Gheddafi è quindi ancora molto trafficata. Anzi, da alcuni mesi a questa parte è possibile parlare di due e non più una rotta libica. A fianco di quella “tradizionale”, che ha storicamente avuto base lungo le coste della Tripolitania, si è sviluppata adesso quella della Cirenaica. Del territorio cioè controllato dal generale Haftar.
Forse è proprio questo che ha portato nei giorni scorsi membri del governo italiano a parlare di una possibile influenza dell’agenzia russa Wagner nell’aumento degli sbarchi. Haftar da anni è appoggiato dai contractors inviati da Mosca, essendo il generale uno degli uomini di fiducia del Cremlino nella regione. Tuttavia, fonti diplomatiche e fonti libiche tendono ad attribuire l’apertura di una nuova rotta migratoria unicamente alle velleità dei trafficanti locali di fare affari al pari dei gruppi criminali stanziati in Tripolitania.
Del resto, nell’est della Libia l’economia è ferma, di soldi ne girano sempre meno e sono in molti ad aver deciso di gettare in mare i propri pescherecci per fare affari con il macabro traffico di esseri umani. Per di più dal vicino Egitto, lì dove la penuria di grano sta affossando la società e sta mandando sul lastrico migliaia di famiglie, da mesi arrivano sempre più migranti in fuga. Un mix quindi letale per le speranze di porre fine nell’immediato all’aumento di sbarchi.
E non sono pochi poi coloro che credono in una strategia politica di Haftar per farsi accreditare agli occhi dell’Italia e dell’Europa. Il generale vorrebbe cogliere la palla al balzo per fare ciò che hanno già fatto altri Paesi della regione: sfruttare l’emergenza immigrazione per chiedere favori e soldi dai governi dirimpettai.
Gli errori dell’Italia e quei milioni al vento
Ridurre il tema immigrazione alla semplice (e presunta) influenza russa nel Maghreb è riduttivo. Anche perché il vero tema da affrontare è un altro: qual è il reale peso dell’Italia in Libia e in Tunisia? La risposta è semplice: ridotto, se non nullo, rispetto al recente passato. Quando, nel caso libico, invece Roma poteva esercitare pressione, o quanto meno una certa influenza, sul governo locale.
Negli ultimi anni, invece, l’azione dell’Italia in Libia è coincisa con decine di milioni buttati al vento. Milioni messi sul tavolo, di fatto, per rafforzare la Guardia costiera libica. Che però, al netto di ogni giudizio morale, anziché pattugliare le coste per contrastare i flussi dìimmigrazione irregolare sembrerebbe essersi dedicata a tutt’altro.
Calcolatrice alla mano, l’Italia ha investito sulla Guardia costiera libica una somma considerevole che non ha portato a nessun allentamento della pressione migratoria. Tra il 2017 e il 2022, i vari governi italiani hanno stanziato 44,44 milioni di euro, 11 dei quali soltanto nel 2022. Senza dimenticare i molteplici decreti e accordi precedenti.
Il primo risale al 2007, con Giuliano Amato ministro dell’Interno. Roma si impegnò a cedere tre guardacoste classe Bigliani e altrettante vedette classe V5000 alle autorità libiche. Il decreto legge del 31 gennaio del 2008 stanziò inoltre 6,2 milioni di euro per consentire alla guardia di Finanza di partecipare alla missione in Libia.
A seguire, dai rubinetti italiani, sgorgheranno tanti altri milioni. Quasi 5 con un decreto nel dicembre 2009, poco più di 1,2 con un altro decreto nel novembre 2009. Nel 2019 ancora 8 milioni, seguiti da 4,6 milioni stanziati nel dicembre 2012. L’anno successivo ecco 2 milioni e 895 mila euro. E così via, di milione in milione.
Tornando al presente, uno dei primi viaggi all’estero effettuato da Giorgia Meloni è stato a Tripoli. Qui il premier spiegava di aver firmato un memorandum d’intesa con il governo libico per la consegna di cinque vedette finanziate dall’Ue.
Chi controlla la Libia
In una cornice del genere la storia dei migranti rischia perennemente di essere ridotta ad un mero spot elettorale. Non esiste – o almeno non se ne vede traccia – una politica estera dell’Italia capace di creare le condizioni per interrompere il flusso migratorio libico. E questo, come detto, perché l’influenza italiana in Libia è flebile.
Al contrario, sul territorio libico è solida l’influenza di altri Paesi, Russia e Turchia in primis. Eppure, anziché affrontare questo nodo rilevante, c’è chi punta il dito contro una presunta regia del gruppo Wagner, accusato di incrementare intenzionalmente i flussi migratori per punire i governi pro Kiev.
Negli anni Roma si è concentrata in un derby tutto europeo con la Francia per contendersi le zone di influenza nel territorio libico. Con il risultato che sia l’Italia che l’Eliseo hanno lasciato avanzare altri attori internazionali. Ankara, nonostante non poche difficoltà attuali legate al terremoto del 6 febbraio, è la prima alleata del governo di Tripoli. Mosca dal canto suo ha in Haftar il proprio principale riferimento. Più defilate, ma comunque sempre molto importanti, le petromonarchie. Con il Qatar storicamente più vicino a Tripoli e gli Emirati invece più allineati con le autorità dell’est della Libia.
Un mosaico diplomatico quindi in cui il nostro Paese è chiamato adesso al doppio degli sforzi per tornare a difendere i propri interessi. I recenti accordi commerciali ed energetici siglati da Giorgia Meloni a Tripoli, possono rappresentare unicamente il primo passo ma non certo l’unico. E non è detto che tale passo possa portare a benefici immediati.
(da true-news.it)
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Marzo 22nd, 2023 Riccardo Fucile
CASI DI STUPRO ARCHIVIATI, AGENTI CHE MOSTRANO I GENITALI ALLE COLLEGHE, RITUALI DI INIZIAZIONE COME QUELLO DI URINARE SULLE NUOVE RECLUTE… SOTTO ACCUSA LA LEADERSHIP DI SCOTLAND YARD
L’inchiesta indipendente della baronessa Louise Casey inchioda la gloriosa polizia della capitale: un «club machista», un covo di «razzismo, misoginia e omofobia».
Le indagini indipendenti sono durate un anno, dopo lo stupro e brutale omicidio di Sarah Everard, la 33enne londinese nel 2021 rapita e assassinata da un poliziotto, Wayne Cousens. Da allora c’è stato un altro caso clamoroso, quello dell’agente David Carrick, 48 anni, che nelle scorse settimane ha ammesso almeno 24 capi di accusa tra cui decine per stupro, molestie e maltrattamenti. Ma, a quanto si legge nel report di 363 pagine, le gravissime deficienze della polizia londinese sarebbero sistemiche e il corpo «istituzionalmente razzista, misogino, sessista e omofobo».
Il rapporto cita episodi inquietanti. Vari casi di stupro, per esempio, sarebbero stati archiviati a causa di un frigo rotto, dove sono andate distrutte le prove. Discriminazione costante verso le poliziotte, buste di urina contro le loro auto, agenti maschi che mostravano i genitali, sex toys nelle tazze del caffè, squallidi rituali di iniziazione, come quello di urinare sulle nuove reclute.
Per questo, Casey ha esortato Scotland Yard a intraprendere una radicale pulizia interna, per restaurare l’onore del corpo di polizia, «chiedere scusa per gli errori del passato e ricostruire la fiducia dei cittadini». Altrimenti, la “Met” «dovrebbe essere sciolta e riformata radicalmente ». Sic transit gloria mundi.
(da Repubblica)
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Marzo 22nd, 2023 Riccardo Fucile
PER GHIONE E LA TROUPE DI “STRISCIA” MINACCE E BOTTE
Curioso ma vero: al bar dell’Agenzia delle Entrate non fanno gli scontrini. La
troupe di Striscia la Notizia, guidata da Jimmy Ghione, va a controllare il bar all’interno dell’Agenzia delle Entrate di Eur 6 di Roma, in zona Torrino e finisce male.
Le anticipazioni confluiscono nella puntata in onda questa sera, su Canale 5 a partire dalle 20.35, dove tutto sarà mostrato in maniera integrale. Questo bar era stato già segnalato, tant’è che Jimmy Ghione era stato già nel 2018 per chiedere spiegazioni. Questa volta, però, è andata diversamente.
Nella puntata in onda questa sera di Striscia la notizia sarà chiarito tutto. Ci sono state botte e spintoni a Jimmy Ghione, autore del servizio, e a uno dei cameraman che era con lui. Le segnalazioni li hanno portati al bar dell’Agenzia delle Entrate, i cui gestori avrebbero l’abitudine di non emettere scontrini. Una circostanza quantomeno curiosa, trattandosi proprio del bar dell’Agenzia delle Entrate. Gli stessi gestori del bar avrebbero aggredito Jimmy Ghione.
Jimmy Ghione, l’inviato di Striscia la Notizia, avrebbe chiesto spiegazioni ai gestori del bar sulle mancate emissioni degli scontrini. Il programma, infatti, avrebbe ricevuto tantissime segnalazioni.
Quando Jimmy Ghione si è presentato sul posto, si è ritrovato a dover fronteggiare la reazione spropositata del barista che ha colto di sorpresa la troupe. Jimmy Ghione si è ritrovato senza microfono e poi è stato colpito al volto. Il cameraman, invece, ha avuto la peggio: ha battuto la testa cadendo dopo essere stato spinto.
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2023 Riccardo Fucile
L’INDAGINE DELLA PROCURA DI AVELLINO, 21 INDAGATI… E POI IL PROBLEMA ERA IL REDDITO DI CITTADINANZA?
La Guardia di Finanza di Avellino e Napoli, nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Procura di Avellino, ha sequestrato crediti d’imposta fittizi per circa 1.7 miliardi di euro: si tratta del sequestro di crediti d’imposta più alto di sempre.
La maxi truffa ruotava attorno ai bonus per l’edilizia, principalmente “Ecobonus” e “Bonus Facciate”. A insospettire la Procura, sono state alcune anomalie emerse dai controlli dell’Agenzia delle Entrate: per esempio alcune comunicazioni di cessione risultavano intestate a persone senza fissa dimora, decedute, oppure con precedenti penali.
Ma in certi casi, una cosa non escludeva l’altra. Sono state, in altri casi, inoltrate istanze anche per immobili inesistenti, con fatture assenti oppure riportanti importi «incoerenti».
In ben duemila casi, i lavori sarebbero dovuti essere realizzati in comuni inesistenti. Gli indagati sono 21: dovranno rispondere del reato di associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata ai danni dello Stato. Nei loro confronti, sono in corso perquisizioni nelle province di Napoli, Avellino, Salerno, Milano, Lodi, Torino, Pisa, Modena e Ferrara. I sequestri eseguiti oggi – uno preventivo emesso dal gip e un altro d’urgenza della Procura di Avellino – hanno di fatto impedito che i crediti, per 1.7 miliardi, potessero essere utilizzati in compensazione, o monetizzati presso gli intermediari finanziari.
I lavori dichiarati per i quali sono stati inoltrare richieste di bonus, quotidianamente e anche dopo l’introduzione delle norme tese a contrastare le frodi, avrebbero avuto un costo di circa 2,8 miliardi di euro.
(da agenzie)
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