Marzo 31st, 2023 Riccardo Fucile
ANTONIO NOTO: “SPESSO SI CREANO DIVISIONI ANCHE NELLO STESSO PARTITO. LA PRATICA DELLA MATERNITÀ SURROGATA DIVIDE A METÀ LA POPOLAZIONE FRA FAVOREVOLI E CONTRARI. SI REGISTRANO PERCENTUALI FINO AL 40% A FAVORE ANCHE IN PARTITI DI CENTRODESTRA COME LEGA E FORZA ITALIA COSÌ COME RISULTA CONTRARIO IL 38% DEI VOTANTI PD”
Nelle scelte che appartengono alla sfera dei temi etici, l’opinione pubblica segue solo parzialmente i riferimenti politici. A pesare sono più gli stili di vita che l’ideologia ed è per questo che il posizionamento sulle tematiche sociali è particolarmente insidioso per i leader politici. Spesso si creano divisioni anche nello stesso partito. È quanto emerge dalle risposte degli italiani sulle questioni legate alla famiglia che hanno animato il dibattito degli ultimi giorni.
Infatti la pratica della maternità surrogata, con o senza pagamento in danaro, divide esattamente a metà la popolazione fra favorevoli e contrari. Ma la polarizzazione non ricalca fedelmente gli schieramenti politici. Si registrano, infatti, percentuali fino al 40% a favore anche in partiti di centrodestra come Lega e Forza Italia così come risulta contrario il 38% dei votanti Pd.
Ciò si manifesta ancor di più sulla proposta di rendere la maternità surrogata reato universale. Solo 1/3 è favorevole. Tra questi la quota maggiore è costituita dagli elettori di FdI (51%)
Altro tema è lo stop ai sindaci che avevano scelto di iscrivere all’anagrafe i bambini nati all’estero da coppie omogenitoriali. Anche in questo caso l’opinione degli italiani va controcorrente: il 75% si dice favorevole in quanto la priorità è difendere i diritti dei bambini e questa possibilità è condivisa anche dagli elettori del centrodestra con punta del 83% tra i votanti FI.
In generale, non è un tabù pensare che le famiglie arcobaleno abbiano figli. Per la maggioranza (56%) la diversità di sesso dei genitori non è un peso sulla crescita dei bambini e non determina danni psicologici o discriminazioni (52%). Anche in questo caso l’elettorato di FI sembra avere posizioni un po’ diverse rispetto ai partiti della coalizione.
Nella formazione dell’opinione riguardo alla tematica bambini- coppie omogenitoriali, gli italiani pensano più ai benefici del minore che agli aspetti legali e amministrativi.
È così che il 59% è favorevole a che il partner adotti il figlio naturale dell’altro, e il 60% concorda sull’eventualità che una coppia omosessuale possa ricorrere all’adozione.
(da La Repubblica)
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Marzo 31st, 2023 Riccardo Fucile
CALA ANCHE FDI, ORA IL PD E’ A 8 PUNTI
I sondaggi di Euromedia Research raccontati oggi da Alessandra Ghisleri su La Stampa dicono che la premier Giorgia Meloni perde quasi il 3% dei consensi rispetto alla precedente rilevazione.
Anche Fratelli d’Italia è in calo, mentre regge Partito Democratico di Elly Schlein.
Mentre per gli italiani il carovita conta più dell’immigrazione: l’inflazione e l’aumento dei prezzi vengono citati come primo problema dal 48,6% del campione. Gli sbarchi solo dal 26,2%.
Seguiti a breve distanza dalle tasse che strozzano aziende e famiglie.
Nel dettaglio, la fiducia in Meloni scende al 37,9%: le hanno voltato le spalle il 2,6% degli elettori. In calo anche il consenso del governo: -2,2% al 35,5%.
Nelle intenzioni di voto Fratelli d’Italia perde mezzo punto percentuale, così come Lega e Forza Italia. Il Pd invece cresce dello 0,2%, mentre cala dell’1,3% il Movimento 5 Stelle.
In positivo anche Azione/Italia Viva e l’Alleanza Verdi-Sinistra. Secondo Ghisleri un cittadino su due (48,8%) a oggi vede delle forti tensioni e malumori all’interno dell’esecutivo e anche dentro la compagine di governo come tra le file di Forza Italia (36,2%).
Qualcosa sta cambiando. Alla fine del primo trimestre di quest’anno l’attualità ha modificato l’ordine delle priorità degli italiani.
Sollecitati a fornire più di una risposta per indicare liberamente quale sia oggi la vera emergenza dell’Italia, 1 cittadino su 2 (48,6%) ha puntato il dito su inflazione e aumento dei prezzi e 1 su 4 (24,8%) sulle tasse che strozzano le aziende e le famiglie italiane. In queste risposte non troviamo la vera novità, del resto i dati Inps e Istat 2021 hanno indicato che l’80,2% ha un Isee inferiore ai 20.000 euro e il 57,5% inferiore ai 10.000 tra i 10,1 milioni di famiglie che lo compilano.
I dati del Mef 2022 non si discostano dai precedenti facendo emergere che, sui 40,5 milioni di contribuenti, il 56% di coloro che compilano la dichiarazione dei redditi percepisce meno di 1.300 euro al mese e solo il 3,9% ha un reddito lordo superiore a 60.000 euro.
La salute e tutti i temi legati alla tutela delle persona sono sempre in pole position (21,7%) e anche la guerra senza una via di uscita (20,6%) rimane alta nel ranking.
A seguire gli intervistati denunciano l’evasione fiscale (16,5%), la mancanza di una visione per le nuove generazioni (15.8%), la crisi delle aziende che delocalizzano chiudendo le fabbriche e i loro uffici sul nostro territorio lasciando «a casa» molti lavoratori (15%) e la gestione del Pnrr che, con il suo 13,7% sta scalando la graduatoria. Al decimo posto è tornato il tema della sicurezza (10,4%)
Le difficoltà del nostro governo nel farsi ascoltare dall’Europa (9,4%) e nel tutelare gli interessi nazionali si riservano un altro posto di prestigio nella classifica. La gestione del controllo sul reddito di cittadinanza (8,5%) riscuote un buon successo tra le file del centro destra e sicuramente meno attenzione dalle opposizioni. A questo punto dalla tredicesima posizione in poi si trovano la precarietà delle infrastrutture e dei palazzi -strade, scuole, edifici, condomini…- (8,1%), la crisi delle banche (6,9%), la crisi generale della politica nazionale e dei partiti (5,7%), le mancate soluzioni per il bonus 110% (5,4%) e le code e la ricca burocrazia per portare a casa un passaporto (4,0%). Chiudono la classifica i rapporti Usa-Cina con il 3,7%.
Tra gli argomenti elencati in maniera spontanea dai nostri intervistati non è emersa alcuna voce che richiami i diritti civili, tuttavia intervistati in maniera diretta su alcuni di questi argomenti i cittadini si sono schierati in maggioranza tra i favorevoli all’adozione per le coppie omosessuali (48,4% favorevoli, 43,0% contrari) e tra i contrari per la pratica dell’utero in affitto (28,1% favorevoli e 57,7% contrari).
Osservando le divisioni per elettorato delle tabelle si capisce come le espressioni siano più libere che identitarie. Non si registrano infatti in nessuna fazione politica delle posizioni nette come lo erano in passato. In tutto questo, come un mese fa, il 39% legge ancora una maggioranza di governo unita e coesa nell’affrontare il futuro nonostante le polemiche e i confronti serrati al suo interno. Tuttavia un cittadino su due (48,8%) a oggi vede delle forti tensioni e malumori all’interno dell’esecutivo anche dentro la compagine di governo come tra le file di Forza Italia (36,2%).
Se i controlli sul reddito di cittadinanza esaltano e uniscono il popolo di centrodestra su tutto il resto i giudizi sono molto più severi.
L’indice di fiducia della premier e del suo governo scendono al di sotto del 40,0% rispettivamente al 37,9% e al 35,5%, perdendo tra i 2 e i 3 punti percentuali nell’arco di 15 giorni. Anche Fratelli d’Italia nello stesso periodo, rimanendo sempre il primo partito dopo quello dell’astensione e degli indecisi (35%), smarrisce mezzo punto percentuale.
(da La Stampa)
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Marzo 31st, 2023 Riccardo Fucile
HA DISERTATO IL DICASTERO DELLE INFRASTRUTTURE 53 VOLTE IN TRE MESI, PREFERENDO COMIZI E INAUGURAZIONI
Il senatore? È fuori stanza. Preso da impegni elettorali, incombenze da leader di partito e necessità di fare propaganda, il ministro per le Infrastrutture (e vicepremier) Matteo Salvini non ha frequentato molto gli uffici del ministero. Anzi.
Negli ultimi novanta giorni, quelli trascorsi dall’inizio dell’anno, il capo del Carroccio è stato 53 volte lontano da Porta Pia per appuntamenti di varia natura: soprattutto conferenze (non se ne perde una) e sopralluoghi sui cantieri.
Non solo di grandi opere, ma anche di anonime bretelle in Val Camonica o rotonde di periferia. Attività che gli hanno fatto guadagnare il titolo di “capo cantiere” del governo Meloni, sempre pronto a indossare il caschetto giallo.
E non è una novità: nel 2018, appena insediatosi al Viminale, trascorse due terzi dell’estate fra comizi e feste elettorali. Ma allora preparava lo strappo del Papeete. Quest’anno ci sono le Regionali (prima in Lombardia e Lazio, adesso in Friuli Venezia Giulia) a sottrargli tempo. Proprio nella fase calda del Pnrr, che vede il ministero di cui è alla guida agli ultimi posti nella classifica della spesa.
Ma lui guarda avanti ed è come sempre una trottola. Le incursioni lontane dalla sua sede istituzionale le fa soprattutto in Lombardia, dove ha trascorso quasi un terzo delle sue giornate da ministro. Il periodo a ridosso della corsa per il rinnovo del Pirellone è stato il più intenso: convinto del ritorno elettorale dei grandi (e piccoli) lavori pubblici, il segretario in rapida sequenza è stato a Travagliato, in provincia di Brescia, ha voluto accertarsi dello stato d’avanzamento del raccordo Ospitaletto-Montichiari, ha fatto visita ai cantieri dei ponti di Ostiglia e San Benedetto Po nel Piacentino, ha ribadito a Vigevano l’intenzione di portare avanti la superstrada per Malpensa e a Bergamo ha fatto un sopralluogo alla rotatoria all’uscita dell’autostrada. Ma non sono mancate puntatine, sempre a favore di fotocamera, al cantiere della variante di Casalpusterlengo nel Lodigiano, o alla variante Tremezzina sul lago di Como.
E come non essere presente alla fondamentale inaugurazione della sopraelevata sull’autostrada A4 a Cinisello Balsamo? Non proprio cantieri a misura di ministro delle Infrastrutture. A febbraio poi, tra imminenza del voto in Lombardia e anche nel Lazio, Salvini non è stato fermo un attimo e alcune giornate sono state davvero intense. Il primo del mese, in mattinata, era a Milano al Politecnico per fare il punto sul progetto Bovisa-Goccia, poi è volato a Velletri per un evento elettorale della Lega e la giornata si è conclusa a Roma al Tempio di Adriano per un altro incontro in vista del voto. Che stress fare il ministro e, allo stesso tempo, il segretario della Lega.
Dal 3 al 10 febbraio è stato sempre a Milano a parte una puntata a Roma per partecipare al lancio della candidatura a governatore di Francesco Rocca. Il mese si è concluso con un suo video sul Ponte di Öresund, “la grande infrastruttura che unisce Svezia e Danimarca”, per dire che lui farà adesso il Ponte sullo Stretto. Poi ha incontrato a Stoccolma i ministri dei Trasporti europei.
Anche marzo è stato un mese ricco di impegni ma fuori dal ministero, tra incontri alla Fondazione Luigi Einaudi di Roma, un salto a Casalecchio di Reno per la presentazione del progetto Anas del nodo ferroviario e stradale e una tappa alla Fiera di Verona. Dal 23 al 31 marzo non si è mai fermato. E anche le udienze del processo Open Arms, che lo vede imputato a Palermo, sono occasione per incontri politici: il 23 marzo, il giorno prima del dibattimento, è stato a Taormina. Quindi di nuovo a Milano alla scuola di formazione politica della Lega. Mercoledì scorso è nella Capitale: prima al convegno della Confapi, poi al forum per l’intermodalità sostenibile e quindi al convegno Federcasa
E finisce che nel suo ufficio, al ministero, Salvini sta quando dovrebbe essere altrove: il 21 marzo al Senato sono in programma le comunicazioni della premier Meloni sul Consiglio europeo. Ma lui, l’ex Capitano, è impegnato nei locali del suo dicastero a Porta Pia per un tavolo sulla sicurezza stradale. La normalità tuttavia è quella del tour: ieri, per rassicurare i suoi elettori, era di nuovo al Nord per l’inaugurazione della Galleria di Base del Brennero.
Oggi, invece, in agenda ha il comizio con gli altri leader del centrodestra a Udine. Ma prima un aperitivo (alle 15!) a San Daniele del Friuli e la tappa in un ristorante di Spilimbergo (alle 16). “Fatiche” fuori orario, per il ministro globetrotter.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Marzo 31st, 2023 Riccardo Fucile
“NUOVA OPPORTUNTA’ DI OFFENSIVA PER KIEV IN ESTATE”… “PER I RUSSI LE COSE VANNO MALE, PERDITE DI UOMINI E SCARSO ADDESTRAMENTO DEI MOBILITATI”
“Le armi e i carri armati che i Paesi occidentali stanno inviando in Ucraina, se arriveranno in tempo utile, consentirebbero credibilmente non solo di resistere meglio ai russi ma anche di esercitare sforzi offensivi tendenti a riconquistare alcuni dei territori persi a inizio conflitto. Si aprirebbe una opportunità di offensiva a partire dall’estate. Bakhmut? È una battaglia di posizione: è l’ultima roccaforte prima di quel perno di manovra rappresentato da Kramatorsk e Slovjansk che ritengo possa essere utilizzato dagli ucraini quale base di partenza per future azioni offensive”.
Così ha commentato a Fanpage.it gli ultimi sviluppi della guerra in Ucraina il Generale di Corpo d’armata dei lagunari Luigi Chiapperini, ex allievo della Nunziatella, già pianificatore nel comando Kosovo Force della NATO, comandante dei contingenti nazionali NATO in Kosovo nel 2001 e ONU in Libano nel 2006 e del contingente multinazionale NATO su base Brigata Garibaldi in Afghanistan tra il 2012 e il 2013, attualmente membro del Centro Studi dell’Esercito e autore del libro “Il Conflitto in Ucraina”.
Mentre continuano gli scontri a Bakhmut, fronte più caldo del conflitto, cresce il numero di Paesi occidentali pronti a inviare a Kiev carri armati e armi pesanti. L’ultima è stata la Spagna che ha annunciato l’invio di 6 Leopard 2 dopo Pasqua.
Generale Chiapperini, nei giorni scorsi Leopard dalla Germania sono arrivati in Ucraina. Anche la Spagna ha annunciato che ne invierà 6 dopo Pasqua. Come l’invio di queste nuove armi può cambiare la guerra in Ucraina?
“Mi faccia fare una breve premessa. In questa primavera 2023 i russi stanno vedendo man mano chiudersi la finestra di opportunità aperta nell’autunno 2022 con la mobilitazione parziale dei 300mila riservisti. L’obiettivo russo era quello di conquistare possibilmente tutti i territori dei quattro oblast annessi alla federazione con il referendum farsa del 2022 (Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson). Ora più verosimilmente il loro scopo è raggiungere quanto meno posizioni forti idonee a consolidarsi sulle posizioni raggiunte, bloccare eventuali controffensive ucraine per poi riprendere con decisione l’iniziativa reclutando eventualmente altre centinaia di migliaia di soldati. Ma ci vuole tempo.
Per le forze armate ucraine, che soffrono in questo momento di carenza di carri armati e aerei, si potrebbe invece aprire un’altra opportunità a partire dall’estate con l’arrivo dei mezzi corazzati promessi da alcune nazioni occidentali. Quest’anno, tra l’altro, è cambiata la prospettiva con la quale si vedeva il potenziamento delle forze corazzate ucraine: se nel 2022 si riteneva non ci fosse tempo per addestrare i loro equipaggi su carri armati occidentali, a inizio 2023, a seguito anche al prolungarsi del conflitto e alle difficoltà incontrate sul terreno, si è ritenuto opportuno e necessario dotare gli ucraini di una componente pesante anche occidentale. Ciò potrebbe consentire all’Ucraina di difendersi meglio o eventualmente di passare alla seconda controffensiva dopo quella di successo del 2022. Ma i pochi carri armati che stanno giungendo in questo periodo in Ucraina non possono avere un impatto decisivo sul conflitto.
Ecco perché, tornando alla sua domanda, sembra che alcuni paesi occidentali si siano impegnati a cedere nel più breve tempo possibile, oltre ad un numero abbastanza elevato di mezzi da combattimento per la fanteria, a munizioni per l’artiglieria e a sistemi missilistici per la difesa aerea, una quantità un po’ più consistente di carri di seconda e terza generazione, quelli cioè prodotti intorno alla fine della Guerra Fredda e man mano migliorati sino ai giorni nostri. I numeri sono da confermare ma si tratterebbe di una trentina di Abrams-M1A1 da parte degli USA, altrettanti Challenger-2 britannici e una novantina di Leopard-2 ceduti verosimilmente da Germania, Canada, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia e Norvegia.
Con detti mezzi, una volta addestrati gli equipaggi e allestita la necessaria catena logistica, gli ucraini potrebbero equipaggiare quattro o cinque brigate meccanizzate con elevate capacità operative. Inoltre, altre nazioni hanno promesso anche centinaia di carri di ancor più vecchia generazione, ancorché migliorati, tipo Leopard-1 e T-72. Con questi ulteriori mezzi l’Ucraina potrebbe equipaggiare almeno un’ulteriore dozzina di brigate meccanizzate con più basse capacità ma pur sempre temibili almeno contro unità russe equipaggiate con mezzi similari. Se le promesse saranno mantenute e i carri armati, ma anche altri mezzi da combattimento e di supporto al combattimento, dovessero arrivare in Ucraina in tempo utile, i nuovi reparti cosiddetti pesanti sarebbero in grado credibilmente non solo di resistere meglio ai russi ma anche, come detto, di esercitare sforzi offensivi tendenti a riconquistare alcuni dei territori persi a inizio conflitto. Tutto però dipenderà dai numeri e dai tempi di consegna, che sono da confermare, e dalle residue capacità russe che non vanno mai sottovalutate.
Il fronte più caldo della guerra resta Bakhmut, dove i russi avanzano ma gli ucraini resistono. Quando potrebbe arrivare una eventuale svolta, secondo lei, considerando che a lungo si è parlato di una offensiva di primavera che però ancora non si è vista?
“Forse parlare di offensiva di primavera è ottimistico. Al momento ci sono cosiddette battaglie di posizione non solo a Bakhmut, dove effettivamente si combatte in maniera accanita e con grandi perdite da parte di entrambi i contendenti, ma anche sull’allineamento Kreminna-Slovjansk, nei pressi del capoluogo Donetsk a Avdviivka, Marinka e Vuhledar e a nel sud nella regione di Zaporizhzhia a Orichiv. I russi localmente, come appunto a Bakhmut, stanno ottenendo qualche successo ma non sembrano in grado di sfondare in maniera decisiva, almeno per ora. Come dicevo, hanno una finestra di opportunità fino all’estate quando potrebbe aprirsene una per gli ucraini se dovessero arrivare tutti i mezzi promessi dall’occidente”.
Tra i motivi dell’insuccesso russo sul campo, come ha più volta ribadito anche il fondatore del gruppo Wagner impegnato a Bakhmut, è la perdita di uomini. Secondo lei si tratta solo di questo o c’è dell’altro?
“I motivi potrebbero essere tantissimi e variano a seconda delle fasi dell’operazione. Ritengo che quelle principali a inizio operazione possano essere ascritte all’utilizzo di troppe direttrici di attacco (Kiev, Donbas, Mariupol, Kherson) con forze terrestri sufficienti solo ad esercitare una breve offensiva. Lo scopo, non raggiunto, era quello di far cadere dopo pochi giorni il governo Zelensky e far arrendere le forze armate ucraine. Era un azzardo e tutto ciò non è avvenuto. Successivamente, con il ritiro da Kiev e la concentrazione dello sforzo in Donbass, si pensava potesse andare meglio ma i russi, che probabilmente soffrivano anche di morale basso tra le truppe, si sono fatti prendere in contropiede dalla prima controffensiva ucraina dell’estate-autunno 2022.
Pur avendo mobilitato 300mila riservisti, le cose continuano a non andare come sperato, nel senso che non tutti i territori delle regioni del Sud annesse con i referendum del 2022 sono sotto il controllo di Mosca. Anche qui i motivi possono essere tantissimi e ne citerei solo alcuni: non solo le grosse perdite in termini di uomini e materiali, come più volte denunciato dal capo della Wagner Prigožin, ma anche scarso addestramento dei mobilitati, inadeguata efficacia dell’aeronautica e della marina (componenti che in questa guerra non si sono dimostrate decisive e che hanno palesato tutte le loro vulnerabilità), vetustà di alcuni dei sistemi d’arma in campo, contrasti e invidie tra i protagonisti (in primis tra lo stesso Prigožin e i vertici delle forze armate)”
Secondo alcuni analisti la vittoria a Bakhmut ha una importanza più simbolica che strategica. È d’accordo?
“Combattere a oltranza, per mesi e mesi, e morire per un piccolo villaggio come Bakhmut potrebbe risultare all’occhio dei più un sacrificio inspiegabile ed inutile. Che ci sia secondo altri anche una componente simbolica ci sta. Ma non è solo questione di testardaggine dei pianificatori o di onore e prestigio da preservare. In realtà, a circa trenta chilometri da quella cittadina ci sono Kramatorsk e Slovjansk che messi in sistema costituiscono una posizione chiave per entrambi i contendenti.
È presumibilmente questo il motivo degli attacchi reiterati dei russi della Wagner e la contestuale difesa ad oltranza da parte degli ucraini a Bakhmut. Difendere la piccola cittadina significa mantenere le armi russe a debita distanza da zone considerate chiave come Kramatorsk e Sloviansk. Bakhmut rappresenta l’ultima roccaforte prima di quel perno di manovra che ritengo possa essere utilizzato dagli ucraini quale base di partenza per future azioni offensive. Una seconda controffensiva ucraina che, se mai ci sarà, potrebbe essere quella decisiva”.
(daFanpage)
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Marzo 31st, 2023 Riccardo Fucile
“GLI IMPRENDITORI ONESTI SFAVORITI, VINCERANNO QUELLI AGGANCIATI CON IL POTERE”
“Hanno legalizzato Tangentopoli”. Così il nuovo codice degli appalti viene sintetizzato da Roberto Scarpinato, ex magistrato in Sicilia e ora senatore del Movimento 5 stelle.
“Questo codice ha abolito tutte le regole che servivano a evitare abusi e ha fatto saltare tutti i controlli amministrativi. Sono già stati criticati l’affidamento diretto fino a 150 mila euro, procedure negoziate senza bando fino a 5 milioni di euro, piccoli Comuni che possono fare affidamenti diretti fino a 500 mila euro nonostante non abbiamo le competenze amministrative necessarie, subappalti a cascata, liberalizzazione dell’appalto integrato. Ma la gravità della situazione si percepisce se si allarga lo sguardo.
E che cosa si vede?
Si vede che non soltanto hanno fatto saltare tutti i controlli amministrativi, ma anche i controlli penali e quelli contabili. Dobbiamo ricordare che dal 2020 è stato abolito il controllo di legalità della magistratura penale su tutti gli atti amministrativi aventi carattere discrezionale.
Eppure i politici di governo, con il ministro Carlo Nordio in prima fila, continuano a parlare di amministratori con la “paura della firma”.
Non si capisce che paura possano avere, visto che la loro attività discrezionale non è più sottoposta al controllo penale. Ma non c’è solo questo. Hanno eliminato anche la responsabilità contabile degli amministratori. Lo ha stabilito il decreto Conte-2 durante la stagione della pandemia, per accelerare le procedure di spesa. Ma allora si era previsto che fosse una misura a tempo. Invece Mario Draghi l’ha prorogato fino al giugno 2024 ed ecco che ora c’è un emendamento del centrodestra, che riguarda il decreto del Pnrr ma che dovrebbe estendersi a tutte le procedure d’appalto, che vuole portare questo scudo erariale fino al 2025. L’associazione dei magistrati della Corte dei conti con una lettera del 4 marzo ha segnalato che così si crea di fatto una abrogazione dell’articolo 103 nella Costituzione che attribuisce alla Corte dei conti il controllo dei legittimità sul modo in cui gli amministratori esercitano i loro poteri. Ma non basta. Questo centrodestra non vuole fare una seria legge sul conflitto di interessi, non abbiamo una legge sulle lobby e, dopo avere lobotomizzato l’abuso d’ufficio, vogliono anche lobotomizzare il reato di traffico di influenze illecite, nonostante ci sia stato imposto dall’Europa. E nonostante questo sia il reato per cui l’anno scorso in Francia è stato condannato Sarkozy e quest’anno in Italia è stato condannato Alemanno. Insomma, diamo via libera all’azione occulta delle lobby per influire nei procedimenti di affidamento di appalti. Ecco: ci sono tutti i presupposti per una sorta di legalizzazione di Tangentopoli e per la creazione di un sistema criminogeno che accende il semaforo verde affinché il denaro pubblico finisca nel buco nero della corruzione e anche del sistema clientelare.
Si torna alla Prima Repubblica?
Sì, ci sono tutti i presupposti per un ritorno alla politica della Prima Repubblica, cioè il finanziamento pubblico per finanziare enormi catene clientelari e innescare il voto di scambio. Un pubblico amministratore, non essendo più sottoposto al controllo penale, al controllo amministrativo, al controllo contabile, può utilizzare il suo potere non solo per la corruzione, ma anche per alimentare il consenso alla propria parte politica favorendo non solo se stesso, ma anche una clientela politica, che potrà essere agevolata nell’affidamento di appalti pubblici.
La “semplificazione delle procedure” viene giustificata con la necessità di ridurre la burocrazia.
Quando sento questa giustificazione, mi viene in mente la metafora del tubo e dell’acqua. È come pompare un’enorme quantità d’acqua in una conduttura, ma senza preoccuparsi di controllare se poi qualcuno non la toglie con allacciamenti abusivi, con il risultato che l’acqua che arriva sia alla fine del tubo solo una piccola parte di quella pompata. Così, più che alimentare la crescita del Paese, si alimenteranno i portafogli dei comitati d’affari e delle mafie.
E gli imprenditori onesti?
Saranno danneggiati, perché favoriti saranno i più spregiudicati, che sanno come utilizzare gli agganci con il potere.
E alla fine è previsto anche un condono per chi non paga le tasse.
È un invito all’evasione fiscale: intanto non pago, al massimo pago dopo che mi hai scoperto. È anche un attacco allo Stato sociale, perché priva di risorse il welfare. Nel complesso, siamo di fronte a una legislazione che mira a ottenere il consenso del proprio elettorato. Ai danni dello Stato.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Marzo 31st, 2023 Riccardo Fucile
CONTINUI ASSIST E FAVORI A EVASORI E INDAGATI, SALTA ANCHE IL CONTROLLO PREVENTIVO ANTIMAFIA
Condoni penali, ritorno alla vecchia prescrizione, scudo erariale, bavaglio alle intercettazioni. Piccoli pezzi di restaurazione che, messi insieme, si traducono come un diffuso “liberi tutti” che agevola gli evasori e ostacola il lavoro della magistratura. È la destra del far west che vuole tutti impuniti.
E a quanto già realizzato in questi primi mesi di governo Meloni si aggiungono novità di continuo: l’ultima è in un emendamento presentato dal ministero dell’Interno al decreto Pnrr in discussione in Senato che consentirebbe di allentare i controlli antimafia negli appalti fino al 2026.
Cosche Meno controlli
Su spinta del Viminale, il governo vorrebbe prorogare per tre anni una norma varata a suo tempo dal governo Conte-2 per velocizzare gli appalti nei mesi della ripartenza dalla quarantena per il Covid e da allora già rinnovata dall’esecutivo di Mario Draghi. L’emendamento al decreto Pnrr stabilisce la possibilità di concedere un appalto a imprese non censite nella Banca dati nazionale antimafia, rilasciando loro una “informativa liberatoria provvisoria” a cui dovrebbe poi seguire un controllo ex post.
La ratio è la solita: i controlli antimafia richiedono tempo e di tempo ce n’è poco. Il problema è che le imprese non censite potrebbero stipulare i contratti e confidare poi nei (probabilissimi) ritardi dei successivi controlli, da effettuare entro 60 giorni. A quel punto, via libera. La norma preoccupa non poco l’Anac (l’Autorità nazionale anti-corruzione) che già in passato aveva espresso i propri dubbi sulla sospensione di pochi mesi delle consuete procedure antimafia. Adesso lo stop è addirittura di tre anni.
Gare Affidamenti diretti e subappalto selvaggio
Criticato duramente da Anac, il nuovo Codice degli appalti voluto da Matteo Salvini si distingue per favorire la procedura negoziata senza bando rispetto alle aste: basteranno cinque inviti per gli appalti fino a 1 milione di euro e 10 inviti per gli appalti tra 1 e 5,4 milioni.
A questo si aggiunge l’affidamento diretto obbligatorio per appalti sotto i 150 mila euro e la possibilità di estendere l’affidamento diretto fino ai 500 mila euro per i piccoli Comuni. Totale: si stima un 98 per cento di appalti senza gara. Altro problema enorme è il subappalto a cascata: tolte le limitazioni, nulla vieterà di subappaltare quanto già subappaltato, frammentando i cicli produttivi in infiniti rivoli che potranno finire per essere gestiti da cooperative o società sempre più piccole e meno trasparenti. Contro il codice, Cgil e Uil saranno in piazza domani. Alla mobilitazione ha aderito ieri anche l’Efbww, la Federazione europea dei sindacati dei lavoratori edili: “Le nuove regole vanno contro quello che abbiamo sempre difeso, favorendo lo sfruttamento dei lavoratori, soprattutto quelli più fragili”.
Condono Il blitz in Cdm: regalo a chi ha evaso
Infilato all’ultimo minuto nel decreto Bollette dell’altro giorno, prevede la depenalizzazione dei reati di omesso versamento di ritenute per importi superiori a 150 mila euro, di omesso versamento di Iva sopra i 250 mila euro e di indebita compensazione dei crediti. Un condono, per chiamarlo col suo nome: chi ha debiti con lo Stato ma accetta di restituire le somme dovute, non incorrerà in sanzioni penali. In passato Fratelli d’Italia aveva provato anche a “sanare” i reati di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione, rinunciando poi anche a causa dello scontro dentro alla maggioranza.
Prescrizione Dietrofront: la “Cartabia” non basta
La riforma Cartabia ha già scardinato buona parte della Spazzacorrotti di Alfonso Bonafede sulla prescrizione, limitando ai reati più gravi tempi più lunghi e sancendo l’improcedibilità dopo due anni dalla sentenza di primo grado e dopo un anno da quella d’Appello. Il Guardasigilli Carlo Nordio però vorrebbe tornare dall’improcedibilità alla prescrizione e Fratelli d’Italia studia come fare. Ciro Maschio, presidente della Commissione Giustizia alla Camera, ha presentato un progetto di legge che ricalca la riforma Orlando, con uno stop di un anno e mezzo rispetto allo scorrere dei tempi di prescrizione sia in primo grado che in Appello. Sui dettagli, però, si tratterà nei prossimi mesi.
Scudo Amministratori protetti dalle inchieste
Fratelli d’Italia ha già provato il blitz più volte. Finora l’operazione non è riuscita, anche a causa dei timori di rilievi dal Colle, ma è certo che il centrodestra ci riproverà: la volontà è quella di estendere la non punibilità erariale per amministratori e dipendenti pubblici fino a tutto il 2025. In altre parole: uno scudo da indagini erariali per tutto il periodo delle opere finanziate dal Pnrr. La norma non piace per nulla alla Corte dei Conti, che ne uscirebbe con le mani legate. In passato i giudici erariali avevano già criticato lo “scudo”, previsto dal decreto Semplificazioni del 2020 nell’ambito delle norme post-lockdown. Da allora la norma è stata più volte prorogata e ora diventerebbe un salvacondotto su opere dal valore totale di miliardi di euro.
Intercettazioni Nordio prepara il bavaglio
Nordio lo ha detto in tutti in modi, il più esplicito dei quali è stato invocare un Parlamento “che non sia supino ai magistrati”. A giugno arriverà il testo di riforma delle intercettazioni, con una stretta sia sulla registrazione sia sulla pubblicazione da parte dei media. Nordio aveva accarezzato anche l’idea di limitare quelle per mafia, prima di dover annunciare un mezzo passo indietro complice – proprio in quei giorni – l’arresto di Matteo Messina Denaro per merito anche delle intercettazioni. La maggioranza finora si è divisa sulla corruzione: rientra o no tra i reati esclusi dalla stretta, al pari appunto di mafia e terrorismo? Nordio tentenna.
Mani libere Reati aboliti per la paura della firma
In estate arriverà la riforma dei reati di abuso d’ufficio e traffico di influenze. Nordio vorrebbe eliminarli tout court: il primo in nome della “paura della firma” che attanaglierebbe gli amministratori; il secondo perché ritenuto “troppo vago”. Varie riunioni tecniche hanno portato Nordio ad accettare una possibile mediazione che potrebbe tenere in piedi per alcuni casi limite il reato di abuso d’ufficio, ma in maggioranza non ci sono obiezioni: si proceda col colpo di spugna.
Pace fiscale 12 sanatorie approvate in manovra
Già approvato in manovra, l’insieme dei condoni fiscali è stato appena prorogato. Chi non ha versato il dovuto può sanare le violazioni di natura formale commesse fino al 31 ottobre 2022, mentre viene riaperto il pagamento per il ravvedimento speciale sulle dichiarazioni per quelle presentate entro il 31 dicembre 2021. In tutto sono dodici le sanatorie previste dal governo in legge di Bilancio e si arriva anche alla mancata dichiarazione delle criptovalute e alla rottamazione delle cartelle fino a 1.000 euro.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Marzo 31st, 2023 Riccardo Fucile
“L’ABUSO DEI DECRETI ANNULLA IL PARLAMENTO”
“Il governo può far ricorso all’adozione dei decreti-legge soltanto in casi straordinari di necessità ed urgenza”. È questo il requisito costituzionale dimenticato dal governo Meloni che ha inserito di fatto uno scudo fiscale nel decreto bollette. “Si tratta di una prassi cui ahimè siamo abituati, in assoluta continuità con un modo disinvolto e degenerato di utilizzazione della decretazione d’urgenza” spiega Gaetano Azzariti, professore di Diritto Costituzionale alla Sapienza.
“Di abuso di questo strumento se ne parla dagli anni ’80, sebbene il governo Meloni abbia ora conquistato un record. Guardando i dati di Open polis fino all’8 marzo l’attuale esecutivo ha superato tutti i precedenti governi nella media di decreti legge. In appena quattro mesi ha approvato 18 decreti legge, il che vuole dire 4,5 decreti legge al mese, più di un decreto legge a settimana: questo è un dato costituzionalmente insopportabile. Pensare che ogni settimana si debba intervenire d’urgenza vuol dire arrendersi all’emergenza perpetua, rappresenta una contraddizione di termini, la fine dell’ordinario andamento delle cose. Questo governo ha superato persino la media dei decreti legge dei governi Draghi e Conte, periodi in cui almeno poteva dirsi che un’emergenza permanente era reale ed evidente: c’era la pandemia. Si dimostra così, per tabulas, come la decretazione d’urgenza sia diventato il modo assolutamente ordinario di governare, e questo è un rischio ormai avvertito da tutti”.
Il costituzionalista ricorda, in proposito, quanto avvenuto a febbraio quando il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha sì promulgato la legge di conversione del decreto Milleproroghe, ma lo ha accompagnato con un lettera di severo monito di denuncia di una prassi degenerata.
“La stessa premier, tra gli altri, ha tradito le sue buone intenzioni, che l’avevano mossa a denunciare l’abuso di questo strumento quando era all’opposizione e, una volta assunta la carica di presidente del Consiglio, a prendere un’iniziativa in dialogo con i presidenti delle Camere – apprezzata proprio dal Presidente Mattarella – per cercare di ridurre il numero delle decretazioni d’urgenza. A queste buone intenzioni, però, sono seguiti pessimi fatti. C’è stata una assoluta continuità, anzi accelerazione nell’uso incontrollato di questo strumento”.
Ma da cosa dipende questo abuso?
Dalla diffidenza nei confronti dell’attività del Parlamento? Dalla sfiducia nella solidità della maggioranza? Dalla comodità di uno strumento che impone senza mediazioni le decisioni del governo? Dalla difficoltà o incapacità di governare con gli strumenti ordinari?
Questa maggioranza ha vinto le elezioni e lo slogan della leader di Fratelli d’Italia era “Siamo pronti”. Tutta questa preparazione non mi sembra ci sia. Non parlo dell’indirizzo politico che un governo di destra vuole realizzare, rilevo solo che dal punto di vista delle regole costituzionali, che è ciò che a me compete valutare, non vedo alcuna prontezza, anzi avverto un elevato tasso di approssimazione. Non solo il profluvio di decreti legge lo dimostra, ma anche il loro contenuto privo dei requisiti costituzionalmente richiesti. Sin dal primo: quello che, tra le altre cose, interveniva sui rave, senza, anche in quel caso, nessun presupposto d’urgenza. L’unico rave allora previsto a Ravenna era stato disdetto, l’estrema urgenza era francamente inesistente. Se si voleva definire una normativa più rigorosa nei confronti di alcune manifestazioni si poteva predisporre un disegno di legge per poi farlo approvare dal Parlamento.
Siamo di fronte a un Parlamento depotenziato?
Annullato, direi. In questo momento c’è estrema necessità di ridare autorevolezza all’organo legislativo. È questa una crisi del sistema costituzionale che risale nel tempo. Leopoldo Elia, già nel 2000 denunciava la “fuga dal Parlamento”. Una fuga che non si è mai interrotta e rischia ormai di privare di senso le Camere. Si poteva pensare che alcune modifiche costituzionali avvenute nelle scorse legislature, a iniziare dalla riduzione del numero dei parlamentari, potessero segnare una svolta, potessero ridare importanza e un ruolo più incisivo al Parlamento. Per ora non sembra sia così. Una maggioranza in grado di credere nella propria forza e capacità di governo, consapevole delle degenerazioni del passato e della necessità di un riequilibrio dei poteri, dovrebbe in primo luogo proporsi di riattivare i canali parlamentari. Se non lo fa significa che ha paura, nonostante voglia mostrare forza in realtà è debole, non si fida di se stessa. E allora usa i decreti per mettere in riga la propria disordinata maggioranza, rifiutando il confronto con l’opposizione, affermare le proprie decisioni senza essere in grado però di rispettare la dialettica parlamentare.
C’è un disordine nei ruoli, quindi?
Esattamente. Il nostro ultimo decreto lo dimostra. La giurisprudenza costituzionale, ma anche il capo dello Stato – ciascuno nell’ambito delle proprie responsabilità – hanno evidenziato che i decreti legge non possono essere utilizzati per porre in essere riforme di carattere strutturale, ma solo per affrontare questioni urgenti e con misure direttamente applicabili. Se si vuole fare una riforma tributaria (riforma strutturale e non legata all’immediato) non c’è una sola ragione per non farla con un disegno di legge. Voglio anche ricordare come la Corte costituzionale e lo stesso presidente della Repubblica hanno più volte richiesto che si rispettasse il criterio dell’omogeneità sia in sede di emanazione del decreto che successivamente in sede di conversione in legge. Non può dirsi omogeneo un decreto che riguarda le bollette ed “infila” anche misure tributarie. Potrebbe sempre dirsi che il governo Meloni non si inventa nulla di nuovo, si limita ad aggravare, trasformando l’eccezione in una regola assoluta.
I dati dicono che è così?
Sempre i dati Open polis ci dicono che tra le leggi di iniziativa governativa più del 90% è costituito da conversioni di decreti legge. Una distorsione insopportabile denunciata non solo dai costituzionalisti, ma anche dai garanti della Costituzione. Mattarella nella lettera al presidente del Consiglio è stato assai esplicito. Sarebbe assai opportuno che l’attuale governo seguisse le sollecitazioni del capo dello Stato.
Il presidente Mattarella può non firmare?
Il presidente sta manifestando le sue preoccupazioni nei modi suoi propri, non contrapponendosi al governo. Entro questo limite ha però manifestato chiari elementi di allarme. L’ipotesi di rifiuto di emanazione di un decreto legge è fatto più unico che raro. Il rifiuto ha poco spazio nella storia costituzionale italiana, il caso più noto è quello “Englaro”, ma non fa “precedente”: il Capo dello stato opera con strumenti di intermediazione più che con strumenti di veto. Bisognerebbe ascoltarlo maggiormente: sta suonando campanelli d’allarme da quando è nato questo governo. In modo discreto, ma non per questo meno preoccupante. Basta leggere con attenzione la lettera di dissenso sul Milleproroghe, ovvero ascoltare le dichiarazioni sui fatti di Cutro. Certo non è escluso che il presidente possa giungere a rifiutarsi di promulgare la conversione di quest’ultimo decreto una volta approvato dal Parlamento, rinviandolo alle Camere. Si potrebbe dunque giungere a una situazione in cui il presidente si trovi costretto ad attivare i suoi poteri più incisivi. Proprio questo dovrebbe indurre il governo a prestare ascolto ai ripetuti richiami presidenziali. Sarebbe il caso che si evitasse di forzare troppo la mano e si ritrovasse la via ordinaria segnata della Costituzione.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Marzo 31st, 2023 Riccardo Fucile
NATO AD HARLEM 49 ANNI FA E LAUREATO AD HAVARD, UNA LUNGA CARRIERA ALLE SPALLE
Il primo procuratore afroamericano di Manhattan Alvin Bragg è anche il primo a incriminare un ex presidente negli Stati Uniti, Donald Trump. Nato ad Harlem, New York, 49 anni fa, e laureato ad Harvard, Bragg ha una lunga carriera alle spalle.
Nel 2014 ha rappresentato contro il New York Police Department, la madre di Eric Garner, ucciso dalla polizia mentre ripeteva «I can’t breath», non riesco a respirare.
Ma si è anche occupato delle accuse di abusi e molestie contro Harvey Weinstein, l’ex potentissimo produttore cinematografico travolto dallo scandalo sessuale.
Durante la campagna elettorale che lo ha portato a diventare procuratore di New York, prendendo il posto di Cyrus Vance, ha più volte espresso la necessità di rendere le forze di polizia più responsabili delle loro azioni, per contrastare le violenze soprattutto contro la comunità afroamericana. E lo ha fatto da vittima, lui stesso, di quei comportamenti discriminatori: a 15 anni infatti, come ha raccontato, un agente gli puntò una pistola alla testa.
Da procuratore di Manhattan ha creato quindi la Special Victims Division dedicata ai reati sessuali e alla violenza domestica, rafforzando anche la Hate Crimes Unit nel tentativo di riportare fiducia nelle forze dell’ordine.
(da Open)
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Marzo 31st, 2023 Riccardo Fucile
IL TENTATIVO DI VENDERE LA STORIA AI TABLOID E L’INTERVENTO DELL’AVVOCATO DI TRUMP: L’ASSEGNO DI 130.000 DOLLARI PER PAGARE IL SUO SILENZIO
Stormy Daniels è il nome d’arte di Stephanie Clifford. È nata a Baton Rouge in Lousiana il 17 marzo del 1979. Soprannominata da Trump “faccia da cavallo”, Daniels è cresciuta in una casa di campagna in quella che lei stessa ha definito nel suo libro “Full Disclosure” un’infanzia di povertà e abusi.
È diventata spogliarellista mentre frequentava il liceo, dopo un cameo con un’amica: visto il grande successo dell’esibizione il proprietario del locale decise di scritturarla anche se minorenne.
Nell’industria del porno che ha scalato fino al vetta ricevendo premi come regista e scrittrice oltre che attrice. Proprio nel suo ruolo di pornostar Clifford ha incontrato nel 2006 Donald Trump, che allora era da poco sposato con Melania ed era da poco divenuto papà di Barron.
L’incontro
Quando lei lo incontra Trump è un tycoon dell’immobiliare e una star del piccolo schermo grazie al reality show The Apprentice. Secondo la versione della donna Trump la invita prima a cena e poi in camera sua. Così comincia una relazione che li vede incontrarsi diverse volte. E persino le telefonate da un numero privato in cui l’ex presidente la chiama “Honeybunch” e le promette apparizioni nel suo show. Dopo mesi la relazione si chiude. Per volontà di lei.
E dopo la candidatura del 2016 Stormy Daniels cerca di vendere la storia della sua relazione ai media e ai tabloid. Inizialmente senza successo. Poi arriva la pubblicazione dei fuori onda di “Access Hollywood”, in cui un Trump senza limiti descrive la sua visione del sesso e delle donne. E allora Daniels torna di moda.
A quel punto l’ex avvocato di Trump Michael Cohen propone all’attrice 130 mila dollari in cambio del silenzio. Lei accetta, firmando l’accordo sul set del suo ultimo film da pornostar. Un pagamento sul quale ora Trump è stato incriminato dal Gran Giurì di New York.
La storia
L’avvocato Cohen viene coinvolto nella vicenda quando la donna contatta nell’ottobre 2016 con il suo agente il direttore di un magazine, Enquirer, offrendogli la storia in cambio di soldi. Cohen anticipa di tasca propria i soldi per evitare che la storia emerga. Trump poi vince le elezioni e, una volta entrato alla Casa Bianca, versa i soldi sul conto dell’avvocato. Il tycoon ha sempre detto che si trattava del pagamento di un onorario e non per il caso della donna.
Stormy Daniels è di fede repubblicana. Cohen, finito sotto processo, è stato condannato a tre anni di carcere per il pagamento in nero alla donna e per aver mentito al Congresso. La formalizzazione dell’accusa avverrà probabilmente la prossima settimana: lo ha reso noto uno dei difensori dell’ex presidente.
Il comunicato di Cohen
Oggi dopo l’incriminazione con un comunicato si è fatto sentire lo stesso Cohen: «Non sono felice di rilasciare questa dichiarazione e desidero anche ricordare a tutti la presunzione di innocenza. Tuttavia mi consola pensare che nessuno è al di sopra della legge, nemmeno un ex presidente. L’accusa di oggi non è la fine di questo capitolo ma l’inizio. Assumersi la responsabilità è importante e rivendico la mia testimonianza e le prove che ho fornito alla procura di New York».
(da Open)
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