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FENOMENOLOGIA DI RETE 4, IL BRACCIO POLITICO DI MEDIASET

Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile

L’OBIETTIVO DI PIER SILVIO E’ IL PRIMATO DEI TALK-SHOW

Come certe spese pazze del calciomercato, come quei bomber a lungo inseguiti, presentati ai tifosi promettendo scudetti e Champions League, poi piano piano inghiottiti dalla panchina, il passaggio a Mediaset di Bianca Berlinguer resta una mossa abbastanza inspiegabile. “Da giorni mi interrogo sul perché una rete dovrebbe fare i ponti d’oro a un talk modesto come ‘Cartabianca’”, ha scritto Aldo Grasso, parlando di “asta incomprensibile” intorno a BB. Pare infatti che a Viale Mazzini stiano ancora brindando nei corridoi. Pier Silvio Berlusconi è invece convinto di aver fatto un affarone, e non vede l’ora di conoscere Mauro Corona (“lui è l’uomo della montagna e io del mare”, potrebbero anche scambiarsi le vacanze: Corona a Portofino in stand-up-padel, Pier Silvio che fischietta nei boschi col Poiana e s’arrampica insieme a Erri De Luca a torso nudo sulle alpi). Lei, la diretta interessata, Bianca Berlinguer, ex zarina di Rai 3, neo retequattrista di punta, confessa che andando via ha avuto la sensazione di “aver risolto un problema alla Rai”. L’operazione Berlinguer è stata già benedetta alla presentazione dei palinsesti Rai a Napoli coi complimenti di De Luca alla dirigenza seduta in prima fila, “bravi… avete tirato questa sòla a Mediaset”, commento tecnico secco e risoluto (circolava la stessa battuta quando la Rai mollò a Sky la cerimonia dei “David”, ma la sòla tornò al mittente due anni dopo). Mediaset in ogni caso ci crede. Punta tutto sull’arrivo della carovana Berlinguer, con Corona, la Di Cesare, Orsini, la colonia del “Fatto Quotidiano”, il giornale più ospitato in trasmissione, Scanzi in testa. Bianca Berlinguer è già il Pino Insegno di Rete 4, anche per lei ci saranno non uno ma due programmi, tra cui “Stasera Italia”, dove si alternerà con Nicola Porro (non felicissimo), e poi contratto pluriennale fino alla pensione, sfondamento del tetto stipendi Rai e spostamento di Mario Giordano dal martedì al mercoledì per farle spazio. Messi tutti insieme i retequattristi fanno ora impressione, come un dream-team, i New York Cosmos o gli Avengers dei talk-show: Augusto Minzolini, Mario Giordano, Gianluigi Nuzzi, Paolo Del Debbio, Giuseppe Brindisi, Nicola Porro featuring Giuseppe Cruciani, forse prossima spalla a “Quarta Repubblica”, infine lei, la new entry, il colpo di mercato, Bianca Berlinguer. Ci si domanda però quale sia l’agenda, il fil rouge, la linea di condotta di questo Frankenstein dell’informazione assemblato con pezzi molto diversi, a parte il solito “gran casino da mettere su”, lievito madre di ogni talk-show che si rispetti, altrimenti, come ricorda sempre Fedele Confalonieri, “chi se li guarda?”.
C’è però casino e casino. Che quello di “Cartabianca” fosse già sintonizzato su temi, motivi, cifre stilistiche del retequattrismo era chiaro a tutti, specie dopo la creazione del freak geopolitico Alessandro Orsini. Ora però, con un palinsesto della rete che sembra costruito intorno a Bianca Berlinguer, bisognerà capire cosa succede. Pier Silvio Berlusconi la chiama “la fase 2”, come un’operazione paramilitare. Cambiare la rete, rivoltarla definitivamente, spostarla tutta sulle news, “con un pubblico sempre più trasversale e professionisti di peso come Bianca Berlinguer, il nostro ideale per fare un passo in avanti”. Passo in avanti nella caciara, però, coi No vax e pro Putin sempre invitati in nome del “pluralismo”. La vecchia Rete 4 sarà comunque un ricordo lontano. E come la fine dell’èra D’Urso su Canale 5 invita a bilanci complessivi sulle mutazioni del trash, l’alba dell’èra Berlinguer a Rete 4 apre un nuovo capitolo nella galassia dei talk-show in lotta contro il “pensiero unico”. Il fatto poi che Berlinguer entri al posto di Barbara Palombelli, unico volto rassicurante e moderato della nostra Fox, è in fondo una dichiarazione d’intenti bella e buona.
Quand’eravamo giovani Rete 4 era il canale delle nonne. C’erano gli omonimi “Bellissimi” in seconda serata, vetrina per sfoggiare le sconfinate library di film del Cav. e una sfavillante Emanuela Folliero, ma il clou della rete erano i lunghi pomeriggi con Patrizia Rossetti. Era lei il volto di Rete 4. Più o meno dopo l’ora di pranzo, tra una chiacchiera confidential e l’altra, si lanciavano soap a raffica: “General Hospital”, “Sentieri”, “Topazio” e “Manuela”, telenovela italo-argentina che andava anche in prime-time, tenendo tantissime nonne e zie incollate sui loro divani ancora incellofanati. Un cast pazzesco, con Fabio Testi, l’idolo sudamericano Grecia Colmenares e cameo enigmatici di Giorgio Mastrota, da poco eletto “uomo più bello d’Italia” (ma il concorso era pilotato, rivelerà poi anni dopo). Anche chi non l’ha mai vista ricorderà la sigla cantata da Julio Iglesias, riarrangiata per l’edizione italiana dal maestro Stelvio Cipriani, un refrain immortale come il “mareee profumo di mareee” di Little Tony sui titoli di “Love boat”.
I pochi tentativi di cronaca della nuova rete Fininvest, inaugurata nell’estate del 1982 come Italia 1, andavano male. “Linea continua”, costruito in tutta risposta a “Telefono giallo” di Augias, condotto da Rita Dalla Chiesa, nonostante un magnifico titolo da sinistra extra-parlamentare, aveva chiuso dopo una stagione. Il pubblico di Rete 4 non voleva saperne. Voleva storie di amori impossibili, tradimenti, corna, eredità improvvise, figli illegittimi e perfidi antagonisti, meglio se in salsa sudamericana. L’idea di una rete costruita intorno al pubblico femminile era stata di Enzo Tortora, primo direttore artistico di Rete 4. Una scelta che si rivelerà vincente proprio grazie al diluvio di telenovelas che arrivarono in massa alla fine degli anni Ottanta. Anche dopo la svolta giornalistica, la nascita del Tg4 di Emilio Fede, lo scoop della guerra in Kuwait, le dirette con Paolo Brosio impalato al Palazzo di Giustizia di Milano, Rete 4 restava intrappolata nell’immaginario delle soap e del varietà coi lustrini, come “W le donne” e “Grand Hotel”. Non era ancora la nostra Fox News. Poi però, dalla fine degli anni Novanta in su, Rete 4 inizia a traghettare pian piano il suo pubblico verso la politica, ben oltre lo spazio dei tg di Emilio Fede. Il taglio giornalistico, ma anche la divulgazione culturale un po’ fantasy-trash, tipo “La macchina del tempo”, iniziano a fare piazza pulita delle vecchie soap. E’ qui che si gettano le basi di una nuova rete. E’ la genesi del retequattrismo, progetto ideologico-televisivo che dai e dai trasforma la vecchia rete di Patrizia Rossetti e Grecia Colmenares nel braccio politico di Mediaset. La sua “brigata Wagner”. Un manipolo di spretati passati dentro attraverso l’arco parlamentare, con dentro qualsiasi cosa purché all’occorrenza pronto a unirsi a testuggine, quindi anche scheggia impazzita, armata incontrollabile, organismo geneticamente modificato capace di assumere varie sembianze politiche, certo non più la tv dei berluscones o di Forza Italia, come all’epoca di Emilio Fede (anzi, possiamo dire che Rete 4 ha progettato il suo futuro con largo anticipo rispetto allo stallo di Forza Italia nel dopo Cav.). Allo strampalato miscuglio di populismo paranoico-complottista e destra sovranista che in questi anni è stato la cifra dei talk di Rete 4 si aggiunge ora il brand “Berlinguer”, quindi il nome, il lignaggio, il prestigio di un radicamento nella storia nobile del paese. Il seme della rete però è sempre quello. Come se l’ombra del populismo piagnucolone, dei sentimenti feroci da telenovelas sudamericane coi loro colpi di scena improbabili, si fosse allungata sulle modalità del racconto della politica: Rete 4 come il Venezuela di Mediaset. Lo stesso pubblico di “Topazio” e “Manuela”, ma ora incazzato e rabbioso, spaventato dai migranti, dai rom che non pagano l’acqua, dai ladri in casa a ferragosto, dalla sostituzione etnica, dai viaggi organizzati dell’Inps, da Bibbiano, dai vitalizi, dalle banche, dalle pensioni d’oro, dai rumeni che ti prendono a bastonate sotto casa, dalle cavallette, dalla carne sintetica, dai grilli al curry (e viene da pensare che Mario Giordano urli così tanto contro la telecamera solo per essere certo di farsi sentire dal suo anziano pubblico, come Repubblica quando ingrandì i caratteri del quotidiano). In una puntata ormai celeberrima sulla difesa del cibo italiano, dal titolo “Cous Cous Klan”, Mario Giordano trasformava “Fuori dal coro” nella versione sovranista de “La prova del cuoco”, mettendo in scena il triste funerale del pomodoro pachino. “Stiamo perdendo le nostre ricette, stiamo perdendo la nostra pasta italiana, il nostro sugo bello denso” (Giordano con le labbra mimava il ribollire della salsa). In collegamento c’era una signora “che fa i cappelletti in casa come una volta”. Quindi tutto un mondo destinato a scomparire per colpa dei “programmi chimici delle multinazionali”, la variante alimentare della sostituzione etnica, forse ben più temuta dalle nostre parti. Tra qualche anno, spiegava Giordano, le nostre tavole saranno ricolme di “cavallette, insetti, grilli e locuste al vapore”. Nel finale, inseguiva il cesto di pachino che l’addetto alla regia portava via dallo studio urlando “noooo, il pomodoro noooo…”, correva, agitava le braccia per aria, le immagini sembravano velocizzate, come nelle vecchie comiche del muto (non a caso, Renato Franco ha definito Mario Giordano “l’unico vero stand-up comedian della tv italiana”). Sopravvissuto a tutte le rivoluzioni editoriali di Rete 4, Giordano coglie un punto cardine del retequattrismo; la continuità di gran parte del pubblico dei talk della rete con la tv del mattino, i cooking-show di mezzogiorno, le televendite continue di pentole, materassi e poltrone mobili (come diceva il maestro Funari, “te devi abbassa’ al gradino più basso, corteggiare senza pudore le casalinghe”). Il retequattrismo è poi un modello di business. Non solo puntare sui talk-show, secondo la lezione di Cairo, con l’unica spesa dei buoni-taxi per gli ospiti invitati in trasmissione, ma registrare tutto nello stesso studio. Per esempio può capitare che la regia di “Controcorrente” mostri a un certo punto Roberto Fico in attesa di essere intervistato da Veronica Gentili, però il movimento della telecamera è un po’ troppo ampio, il cameraman è distratto, e alle spalle di Fico spuntano le tribune di “Quarta Repubblica”, che per lo spettatore va in onda il giorno dopo ma che si gira quasi in contemporanea negli studi Palatino, a Roma (lo raccontava TvBlog in un pezzo dello scorso anno: la scenografia di Porro è in fondo a destra, quella di “Controcorrente” al centro, a sinistra la scrivania di Palombelli, ormai reliquia di un prossimo “museo di Rete 4”, che però poi si trasformava nel desk di Veronica Gentili formato week-end). E poi Rete 4 è martellante. Non va mai in vacanza. I conduttori si danno il cambio, fanno la staffetta, come a Telethon. Mentre tutti gli altri o quasi stanno al mare, Rete 4 dà ampio spazio alle minacce del rapper islamico “Baby gang” a Salvini e si cucina a fuoco lento “il caso La Russa”. Ecco “Zona Bianca” con Giuseppe Brindisi e gli audio su “tutti i misteri di quella notte”, le chat della ragazza lette da Alexa e telefonate a frequentatori dell’“Apophis”, la discoteca “extralusso dove per entrare servono cinquecento euro l’anno”, come a dire che comunque vada qui sono un po’ tutti dei degenerati.
I passaggi Rai-Mediaset, Mike Bongiorno a parte, hanno una lunga storia di flop alle spalle, dal “Moby Dick” di Santoro a “Festival”, il varietà con cui Pippo Baudo arrivò con gran clamore a Canale 5 per sbaragliare la Rai senza riuscirci, ritornando poi in ginocchio a Viale Mazzini poco tempo dopo. Ci riprovò una seconda volta. Anche allora lo stesso rituale di Berlinguer: le voci incontrollate, lo spettro della tv svizzera, la Discovery dell’epoca, per un perfetto ritiro alla Mina, poi la lettera di dimissione al presidente della Rai, Enzo Siciliano, e Baudo che specificava di “aver votato per l’Ulivo”, come Berlinguer oggi ricorda di essere “sempre stata di sinistra” (è una tappa obbligata del passaggio a Mediaset: spiegare sempre che si è stati o si è di sinistra e che non si è mai votato per il Cav., come se Maria De Filippi andandosene un giorno in Rai dovesse specificare, “però sia chiaro che non ho mai pagato il canone”). All’epoca però il Cav. fiutò il flop nell’aria. Quando Baudo, pentito per il trasferimento, andò ad Arcore per rescindere il contratto, Berlusconi gli rispose che non poteva fare una “così brutta figura davanti a tutti e che c’era una penale da pagare”. “Lui sapeva tutto di me, sapeva che non avevo tutti quei soldi”, racconta Baudo, “allora mi chiese di cedergli un palazzo di mia proprietà che gli stava molto a cuore”. Baudo era amareggiato, disse di sì, che andava bene, e che poi si sarebbero rivisti per firmare. Fece per andarsene ma il Cav. lo fermò: “Ma dove va, firmiamo subito!”. Si aprì una porta, entrò un notaio, c’era già l’atto pronto con le particelle catastali. “Berlusconi aveva previsto tutto, non potei neanche trattare sulla vendita”. Il palazzo era quello davanti la sede della Fao, a Roma, a due passi dal Circo Massimo. Diventerà poi la sede del Tg5. Mentana lo ribattezzò “Palazzo Baudo”. Pare che Berlusconi ci avesse messo gli occhi sopra da tempo. Chissà, forse dietro il passaggio a Canale 5 di Baudo con flop incorporato c’era solo questa spregiudicata operazione immobiliare. Certo il Cav. non c’è più, i tempi sono cambiati, però fossi in Berlinguer blinderei tutte le proprietà prima dell’avvio della stagione.
(da ilfoglio)

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DEBITI CON L’ERARIO, SOTTO LA SOGLIA DEI 30 MILA EURO 15 MILIONI DI ITALIANI

Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile

I CITTADINI DEVONO AL FISCO UNA CIFRA MOSTRUOSA CHE, ALLA FINE DEL 2022, ERA PARI A 1.153 MILIARDI DI EURO MA DI QUESTI SONO CONSIDERATI “ESIGIBILI” SOLO 114 MILIARDI

Sono circa quindici milioni gli italiani con un debito fiscale fino a 30 mila euro, i «tartassati» cui pensa il leader della Lega, Matteo Salvini, evocando un nuovo condono fiscale.
Sono una grande massa, circa il 97% dei contribuenti che hanno pendenze con l’erario, anche se la maggior parte dell’evasione accertata viene da quel 3% con i debiti più elevati. La platea è molto ampia, ma è difficile dire quanti possano trovare appetibile una nuova sanatoria. A quelle che si sono succedute fino all’anno scorso, in ogni caso, non ha creduto quasi nessuno.
La prima rottamazione, quella del 2016, era rivolta a 1,5 milioni di contribuenti e doveva portare in cassa 17,7 miliardi, ma ne sono entrati 8,2.
Da quella del 2017, che riguardava 800 mila cittadini, dovevano arrivare 8,5 miliardi, e ne sono stati incassati 3.
Quella del 2018, rivolta a 1,4 milioni di contribuenti, puntava a un incasso di 26,3 miliardi, ma ne sono arrivati 8,6.
La versione 2023 ha riscosso molto più interesse, anche se l’esito non è scontato. La rottamazione «quater» era più conveniente, permettendo di spalmare le rate del debito su un arco di tempo più lungo, e soprattutto consentiva la sanatoria delle sanatorie precedenti.
Chi aveva aderito alle prime rottamazioni e poi aveva smesso di pagare le rate è potuto rientrare nell’ultima sanatoria. Grazie a questo, alla scadenza del 30 giugno scorso, sono arrivate all’Agenzia delle Entrate quasi 4 milioni di richieste di adesione, il doppio di quelle attese. Resta da vedere, però, chi pagherà le rate. A ottobre e novembre scadono le prime due, ciascuna delle quali è pari al 10% dell’importo «definito».
L’annuncio di un condono, che oltre all’abbuono di sanzioni e interessi prevederebbe anche la cancellazione di una parte del debito, di sicuro non aiuta. La gran parte dei contribuenti infedeli, per giunta, è strutturalmente recidiva. Più di 7 milioni di italiani, tanto per avere un’idea, ogni anno, e da anni, ricevono almeno una cartella esattoriale per debiti pregressi non pagati.
Il sistema, del resto, finora ha sempre avuto un occhio molto indulgente sui furbetti del fisco. Ampliando, ad esempio, la possibilità di rateizzare gli importi dovuti (oggi si possono rateizzare a semplice richiesta debiti fino a 120 mila euro), oppure riammettendo ai piani i debitori inadempienti. Gli italiani devono al fisco una cifra mostruosa, che alla fine dell’anno scorso era pari a ben 1.153 miliardi di euro.
Ci sono 156 miliardi di debiti che fanno capo a società e ditte individuali fallite, per le quali si stimano possibilità di incasso minime, così come per i 168 miliardi di cartelle esattoriali a carico di soggetti deceduti e ditte cessate, da cui non si recupererà nulla. Stessa sorte per 136 miliardi di debito sulle spalle di soggetti che, a seguito delle verifiche, sono risultati «nullatenenti».
Ci sono poi ben 515 miliardi di somme dovute per le quali sono state avviate azioni cautelari oppure esecutive. Tra queste, 328 miliardi fanno capo ai cosiddetti «grandi debitori», quelli che hanno pendenze superiori a 500 mila euro. Anche per questi crediti, l’Agenzia ha prospettive di incasso pari a zero. […] Di tutti i debiti fiscali, alla fine, solo il 10%, 114 miliardi, vengono considerati realisticamente esigibili.
(da Il Corriere della Sera)

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LA PROPOSTA DI UNA NUOVA PACE FISCALE (CIOE’ IL SOLITO CONDONO) DA PARTE DI SALVINI FA INCAZZARE SIA FORZA ITALIA CHE FRATELLI D’ITALIA: “NON E’ UNA PROPOSTA CONCORDATA”

Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile

SONO CIRCA QUINDICI MILIONI GLI ITALIANI CON UN DEBITO FISCALE FINO A 30 MILA EURO

Per capire come è stata presa, all’interno del governo, la proposta di Matteo Salvini di «una grande e definitiva pace fiscale» per le cartelle sotto i 30mila euro, è forse sufficiente sapere che gli alleati di Fratelli d’Italia e di Forza Italia la definiscono «un condono».
Usano, insomma, lo stesso termine che le opposizioni
Difficile trovare modo più chiaro per far capire all’alleato leghista che la sua idea, «in questo momento, non è proprio nelle nostre corde».
Non c’è la volontà di aprire un nuovo fronte con Salvini il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: vuole prima valutare gli effetti della precedente pace fiscale, i cui termini scadranno il 30 settembre. I primi dati disponibili arriveranno a metà ottobre e quindi, se Salvini ne sarà ancora convinto, potrà riproporre la sua idea nella futura legge di bilancio. In ogni caso – assicurano fonti di FdI – la proposta di Salvini non entrerà nella riforma del Fisco, che è già stata approvata alla Camera ed è da oggi all’esame del Senato.
L’obiettivo è chiudere la partita prima della pausa estiva, per mettere in carreggiata i decreti attuativi a settembre e rendere le nuove misure operative a partire dal prossimo gennaio. Modificare adesso il testo per andare incontro alle richieste del leader della Lega costringerebbe invece la maggioranza a ripartire dal via
Anche dentro Forza Italia si vive con scarso entusiasmo la proposta del segretario del Carroccio: «Non è stata concordata. Si è lavorato un mese a questa riforma con il viceministro Leo e con i relatori, uno della Lega e uno nostro, di Forza Italia, e l’argomento “pace fiscale” non è mai uscito».
E ad ogni modo, per gli azzurri, «non si può intervenire come vuole Salvini, tagliando indiscriminatamente le cartelle sotto i 30 mila euro. Quando si fanno queste operazioni si deve stingere il cerchio il più possibile, altrimenti si lascia un buco enorme nei conti pubblici».
(da “la Stampa”)

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UN ANNO SENZA DRAGHI. E ABBIAMO GLI STESSI PROBLEMI: È RIUSCITO A SCONFIGGERE IL PUTINISMO DI GOVERNO MA NON HA SCALFITO IL CORPORATIVISMO

Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile

QUANDO HA PROVATO A TOCCARE I NERVI SCOPERTI DEL SISTEMA ITALIA, I PARTITI LO HANNO MESSO IN DIFFICOLTÀ, COME QUANDO IMPOSTO’ LA RIFORMA DEL CATASTO E DEL FISCO, TENTO’ (SENZA SUCCESSO) DI TAGLIARE I SUPERBONUS EDILIZI, DI DARE IL VIA LIBERA AL TERMOVALORIZZATORE DI ROMA, DI METTERE A GARA LE CONCESSIONI BALNEARI E SCRIVERE LA RIFORMA DELLA CONCORRENZA, A PARTIRE DALLA LIBERALIZZAZIONE DEI TAXI

Che le cose stiano per precipitare, Francesco Giavazzi lo intuisce in un pigro pomeriggio di luglio. È mercoledì 13 di un anno fa. Le strade attorno a Palazzo Chigi sono piene di tassisti inferociti. […] L’ordine della categoria è di manifestare in tutte le città contro il disegno di legge sulla concorrenza. Nelle intenzioni del consigliere numero uno di Mario Draghi, quello è l’atto che dovrebbe rendere il settore meno protetto.
Di lì a pochi giorni l’ex banchiere centrale sarà costretto a salire al Quirinale per rassegnare le dimissioni. Accade il 21 luglio. La miccia della crisi è un fatto apparentemente minore. Il 29 giugno, in un’intervista al Fatto, il sociologo Domenico De Masi rivela di aver saputo da Beppe Grillo della richiesta del premier di rimuovere Giuseppe Conte da leader dei Cinque Stelle. Draghi non si preoccupa di smentire la voce.
E d’altra parte è noto anche ai muri dei palazzi che i due – Draghi e Conte – non si amano. Il primo ha scarsa stima del secondo, il leader Cinque Stelle lo tratta come un usurpatore, colui che occupa la poltrona del suo mancato terzo mandato a Palazzo Chigi.
La fine del governo Conte bis e l’ascesa dell’ex banchiere centrale è in realtà prodotta da ben altro. Dalla calcolata volontà di Matteo Renzi e da Sergio Mattarella, che si è convinto della necessità di una larga coalizione per affrontare l’emergenza della pandemia. Il governo giallorosso entra in crisi quando la campagna contro il Covid è al palo.
La media delle vaccinazioni quotidiane è ferma a ottantamila. A quei ritmi, per superare l’emergenza sarebbero necessari un paio d’anni. La struttura commissariale di Domenico Arcuri arranca, inseguita dalle polemiche per gli inutili banchi a rotelle acquistati alle scuole e le voci di appalti opachi per le mascherine in Cina. Gli italiani attendono invano la costruzione di prefabbricati a forma di primula nelle piazze italiane. Il primo atto di Francesco Paolo Figliuolo, scelto da Draghi per superare l’emergenza, è smantellare quel progetto dal sapore propagandistico.
L’emergenza Covid è il primo dei tre grandi problemi che Mattarella chiede a Draghi di affrontare. Occorre rimettere mano al Recovery plan negoziato da Conte con l’Europa nei mesi precedenti, e c’è da far ripartire l’economia, devastata dalla crisi più grave dal Dopoguerra. Ogni volta che il mandato di Mattarella costringe il premier a toccare i nervi scoperti del sistema Italia, i partiti lo metteranno in difficoltà.
Accade quando Draghi sfida la ritrosia dei sindacati della scuola a riportare gli studenti in classe, invece di riaprire i ristoranti, come vorrebbe la destra. Avviene quando Draghi imposta la riforma del catasto e del fisco, accade quando tenta (senza successo) di tagliare i superbonus edilizi e quando, il governo decide di dare il via libera al termovalorizzatore di Roma, vuole mettere a gara le concessioni balneari e scrivere la riforma della concorrenza, a partire dalla liberalizzazione dei taxi.
Torniamo un momento all’immagine della rivolta di un anno fa, un fatto che […] spiega bene la parabola di Draghi. Nei corridoi di Palazzo Chigi, Giavazzi è l’uomo di fiducia di Draghi, l’amico di una vita che ha in mano i dossier più importanti. Quello della concorrenza è il più difficile da risolvere. Draghi ci prova fino all’ultimo, sotto la spinta di Mattarella che lo invita a governare al massimo dei suoi poteri dalle dimissioni fino alle elezioni.
Il 15 settembre, a dieci giorni dal voto, Draghi porta in Consiglio dei ministri il decreto legislativo sulla mappatura delle concessioni balneari, una faccenda per cui è in piedi una procedura di infrazione europea da dieci anni. Ebbene, pur avendo gli scatoloni pronti, per marcare la distanza l’allora ministro leghista Massimo Garavaglia minaccia il gesto poco più che simbolico delle dimissioni. […] In fondo la sorte del governo Draghi non è dissimile da quella toccata – dieci anni prima – a Mario Monti: non appena l’emergenza viene meno, i partiti si riprendono lo spazio politico consegnato pochi mesi prima al premier tecnico.
Entrambi vengono congedati nel tentativo di aumentare il livello di concorrenza nei mercati protetti. La differenza più rilevante è in due fatti politici che segnano i venti mesi vissuti pericolosamente da Draghi: l’elezione del successore di Mattarella e la guerra in Ucraina. «Sono un nonno al servizio delle istituzioni», si lascia scappare Draghi nella conferenza stampa del Natale 2021. Quale che sia l’intenzione della battuta, appare a tutti come un’autocandidatura. Da quel momento il rapporto con i partiti non è più lo stesso.
«Mario, qui nessuno mette in dubbio la tua malafede», è il lapsus di Antonio Tajani nell’ultimo incontro con Forza Italia e Lega il 19 luglio, due giorni prima delle dimissioni. Così come con Conte, nemmeno il rapporto fra Draghi e il coordinatore di Forza Italia è mai decollato. Ma la battuta è significativa: quello è il momento in cui la delega del partito di Berlusconi e della Lega viene meno.
A nemmeno un mese dall’intervista di De Masi, i problemi coi Cinque Stelle sono l’alibi perfetto per portare il Paese alle elezioni. Il paradosso della storia vuole che Giorgia Meloni assista impotente alla crisi: fosse dipeso da lei, Draghi avrebbe dovuto governare fino alla fine naturale della legislatura
«O noi, o i Cinque Stelle», è l’aut aut che la ditta Salvini-Tajani impone a Draghi. Ma si tratta di una finta alternativa: senza i Cinque Stelle al governo sarebbe venuto meno anche il sostegno del Partito democratico di Enrico Letta, che Draghi aveva incontrato poche ore prima. A un anno dalla fine di quel governo, oltre ad alcuni e indubbi successi, resta in piedi un’eredità raccolta da Meloni […]: il sostegno senza sfumature all’Ucraina e la fine della dipendenza italiana dal gas russo.
Lo testimoniano due fatti: la nave rigassificatrice oggi ormeggiata di fronte al porto di Piombino, contro la quale si era scagliato il sindaco di Fratelli d’Italia, e la fine delle uscite ambigue di Salvini a favore di Putin. Nei venti mesi vissuti pericolosamente a Palazzo Chigi, Draghi ha dovuto fare i conti anche con gli scossoni causati da un viaggio a Mosca programmato per il leader leghista dall’ambasciata a Roma. In venti mesi Draghi è riuscito a sconfiggere il putinismo di governo, non ha nemmeno scalfito il corporativismo.
(da Stampa)

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L’IMPERATIVO DEL CREMLINO: RUSSIFICARE O PURGARE: NELLE ZONE DELL’UCRAINA OCCUPATE DALL’ESERCITO DI MOSCA SONO FINITI IN MANETTE 10 MILA CIVILI, 4 MILA DEI QUALI SONO STATI DEPORTATI IN RUSSIA

Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile

PUTIN HA INTENSIFICATO LA REPRESSIONE IN VISTA DELLE PROSSIME ELEZIONI GENERALI PREVISTE PER IL 10 SETTEMBRE: BASTA ESSERE BECCATI A PARLARE UCRAINO O RIFIUTARSI DI ENTRARE NELL’ESERCITO OCCUPANTE PER ESSERE TORTURATI E FINIRE IN UNO DEI CENTRI DI DETENZIONE COSTRUITI IN UCRAINA

Non occorre compiere attività di resistenza partigiana o manifestare la propria fedeltà al governo Zelensky, nelle zone ucraine occupate dall’esercito russo si viene arrestati anche soltanto perché scoperti a parlare ucraino con i propri figli, o semplicemente per essere uomini giovani che rifiutano la leva nell’esercito invasore. Arbitrarietà e ingiustizia sono di casa: Mosca sta costruendo nuovi centri di detenzione, il numero dei desaparecidos è in aumento, ci sono testimonianze che raccontano di violenze diffuse e fucilazioni di persone che rifiutavano di scavare trincee per i nemici.
La repressione è destinata a crescere in vista del tentativo del regime di Putin di «normalizzare la russificazione delle zone occupate» in preparazione delle elezioni nazionali russe previste per il 10 settembre.
Sin dai primi giorni dell’invasione nel fine febbraio 2022 la questione degli abusi ai danni della popolazione si è presentato con drammatica evidenza. Noi stessi abbiamo raccolto decine di testimonianze di civili che raccontano di furti seriali, torture ed esecuzioni a sangue freddo compiute con sistematica brutalità. Il tema è poi passato in secondo piano sui media, non perché non sia più gravemente attuale, ma semplicemente per la sua ripetitività.
L’agenzia stampa ha potuto visionare un documento del governo di Mosca, che già lo scorso gennaio pianificava di costruire 25 nuove prigioni e 6 centri di detenzione nei territori occupati, tra cui Lugansk settentrionale, il Donbass, la regione meridionale a ridosso del Mare di Azov, incluse Mariupol, Berdiansk, Melitopol e la Crimea. A conti fatti, si tratta di quasi il 20 per cento dell’intera Ucraina così come venne fondata e riconosciuta dalla comunità internazionale nel 1991.§Per rafforzare il diritto dei suoi soldati di arrestare e deportare chiunque venga percepito come una minaccia nelle zone occupate (e annesse con il referendum farsa dello scorso settembre) dove vige la legge marziale, in maggio Putin ha firmato un decreto che permette il loro trasferimento forzato nelle carceri in Russia a tempo indefinito. Anche i militari ucraini che tornano a casa grazie agli scambi di prigionieri testimoniano di avere incontrato detenuti civili nelle celle russe.
Al momento il governo ucraino pare sia in grado di dettagliare un migliaio di casi di civili deportati. Ma le stime sono molto più alte. Secondo Oleksander Kononeko, che è uno degli ufficiali ucraini che si occupa degli scambi di prigionieri, i civili detenuti nei territori occupati toccano quota 10.000. A loro si aggiungerebbero oltre 4.000 deportati in Russia. Tra le prigioni più note c’è quella di Rostov, dove si trova uno dei centri logistici più importanti del corpo di spedizione russo che opera in Ucraina.
(da il Corriere della Sera)

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QUELLA VOLTA CHE DANIELA SANTANCHE’ NON DISSE DI CONOSCERE IL SUO COMPAGNO DIMITRI KUNZ ALL’ASSEMBLEA DI VISIBILIA

Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile

IL FIDANZATO ELETTO NEL CDA COME INDIPENDENTE, ANCHE SE STAVA CON LEI DA MESI

Nella storia di Visibilia c’è anche una curiosa situazione che coinvolge Daniela Santanchè e il suo compagno Dimitri Kunz d’Asburgo Lorena. Il quale è stato eletto nel consiglio di amministrazione della società quotata come indipendente. Anche se all’epoca era già il compagno della ministra del turismo. Santanchè e Kunz sono iscritti nel registro degli indagati per bancarotta e falso in bilancio nell’inchiesta dei pm di Milano Roberto Fontana e Maria Gravina dal 5 ottobre. Con loro anche la sorella Fiorella Garnero, Massimo Cipriani, Davide Mantegazza e l’ex sindaco (ovvero membro del collegio sindacale) Massimo Gabrielli. La vicenda dell’elezione di Kunz come consigliere indipendente risale al 2016. Ovvero proprio al periodo in cui la responsabile del governo Meloni ruppe con Alessandro Sallusti.
Mariti, mogli e consiglieri
La relazione tra Santanchè e Kunz la svela il 15 aprile 2016 Dagospia. Il 2 giugno scorso Sallusti ha sposato Patrizia Groppelli. Ovvero l’ex moglie di Kunz. Il nome dell’attuale direttore di Libero è già comparso nella vicenda. Era infatti usufruttuario della D1 Partecipazioni, a cui Visibilia concesse un finanziamento nonostante la situazione non florida dei conti del gruppo. Ora, scrive il Fatto Quotidiano, c’è un’altra storia in ballo. Che comincia il 10 febbraio 2016. All’epoca l’amica e socia Paola Ferrari De Benedetti, azionista di Visibilia con il 5,6%, lascia il CdA insieme a Giancarlo Sestini e Matteo Gavazzi Borrella. Santanchè, presidente del Cda, due giorni dopo fa entrare come consiglieri indipendenti proprio Kunz e Mantegazza. L’assemblea fissa la ratifica per il 29 aprile. E lì va tutto liscio. Nel senso che Kunz riceve effettivamente la nomina a consigliere indipendente.
I soci di minoranza
Ma sulla sua indipendenza era già arrivata un’obiezione dai soci di minoranza e dal sindaco Gian Franco Vitulo. E anche da Ferrari De Benedetti, la cui società Alevi aveva presentato un esposto ai sindaci della Visibilia Editore. La risposta arriva il 21 luglio: il collegio sindacale dice di non essere il destinatario della domanda. Durante l’assemblea del 29 aprile il socio MoDa Gioielli Srl domanda ai consiglieri Kunz e Mantegazza di rendere noti i loro rapporti (di natura personale e patrimoniale) con i soci di riferimento di Visibilia Concessionaria. Kunz risponde di non avere alcun tipo di rapporti. Santanchè non replica neppure. Il socio Alevi allora mette in dubbio la sussistenza dei requisiti di indipendenza di Kunz. Vitulo scrive che «da una semplicissima ricerca sui principali organi di stampa nazionali risulta che il consigliere Kunz frequenti assiduamente la socia di riferimento Santanchè e sia a essa legato da stretti rapporti di natura personale».
Il segreto di Pulcinella svelato
E ancora: «La circostanza risulta confermata da espresse dichiarazioni della Santanchè. L’impressione che se ne ricava è che in sede assembleare siano state fornite informazioni non veritiere quanto ai rapporti che intercorrono tra i menzionati soggetti, con le conseguenti ricadute sulla possibilità di valutare compiutamente la sussistenza del requisito di indipendenza in capo a Kunz».
(da agenzie)

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SFREGI AL COLOSSEO. LO SFOGO DELLA DIRETTRICE: “DAI TURISTI TANTA IGNORANZA, SONO INTERESSATI PIU’ AI SELFIE CHE AI MONUMENTI”

Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile

“MI PREOCCUPA L’IDEA DI APRIRE A TUTTI LE PIAZZE DEI FORI ANCHE DI NOTTE”

Gli imbrattamenti del Colosseo da parte di alcuni turisti sono frutto di ignoranza e mancanza di educazione. A dirlo è Alfonsina Russo, direttrice del parco archeologico dell’omonimo monumento, che include anche i Fori Imperiali. In un’intervista a Il Messaggero, Russo commenta gli ultimi episodi di vandalismo a uno dei monumenti più celebri della Capitale e punta il dito contro i turisti incivili. «Manca un’educazione civica al patrimonio. Manca la conoscenza a priori di quello che si visita. Vediamo i 25mila turisti che giornalmente visitano il Colosseo interessati prioritariamente a farsi selfie», si sfoga la dirigente. Nelle ultime settimane, l’antico monumento romano è stato oggetto di tre atti di vandalismo, tra chi ha deciso di staccare qualche frammento di laterizio e chi ha pensato bene di incidere il proprio nome sui muri. «Stiamo lavorando intensamente per rendere le visite sempre più consapevoli e cerchiamo di educare soprattutto i più giovani. Ma ripeto che non c’è consapevolezza diffusa di quello che si va vedere, perché ormai siamo troppo orientati su noi stessi», aggiunge Russo.
Nonostante gli episodi delle scorse settimane, la direttrice del Parco archeologico nega che ci sia un problema di sicurezza. «Il controllo interno è assolutamente all’altezza: oltre al personale di vigilanza del Parco affiancato da un numero consistente di personale a supporto, come la vigilanza armata, è attivo un sistema di video-sorveglianza», precisa Russo. La direttrice si scaglia poi contro il piano del Comune di Roma di rivoluzionare via dei Fori Imperiali, a partire dalla decisione di ridurre la carreggiata per le automobili e ampliare i marciapiedi. «Nel progetto di Roma Capitale – spiega Russo – emergono le gravi problematiche che rappresenta l’idea generale di aprire liberamente le Piazze dei Fori, con riferimento non solo alla tutela dei monumenti, ma anche alla sicurezza del pubblico, in particolare nelle ore notturne». Critico anche il giudizio sulla decisione di aprire nuovi scavi archeologici. Secondo Russo, andrebbe data la priorità a «un adeguato piano di restauro, manutenzione e miglioramento della fruizione sulle aree già portate alla luce negli anni scorsi».
(da agenzie)

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RUFFINI (AGENZIE DELLE ENTRATE) MASSACRA SALVINI: “LA LOTTA ALL’EVASIONE E’ GIUSTA, NON E’ PERSEGUITARE QUALCUNO”

Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile

“LA NOSTRA AGENZIA E’ AL SERVIZIO DELLA COLLETTIVITA’ E A FIANCO DI TUTTI COLORO CHE LE TASSE LE PAGANO E LE HANNO PAGATE”

“Questo deve essere chiaro: il contrasto all’evasione non è volontà di perseguitare qualcuno. L’Agenzia è una amministrazione dello Stato, non un’entità belligerante”. E’ difficile non leggere nelle parole del direttore dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, Ernesto Maria Ruffini, all’evento “Facciamo semplice l’Italia” una risposta indiretta alle ultime uscite del ministro dei Trasporti e vicepremier, il leghista Matteo Salvini, che lanciando l’idea di una “grande e definitiva pace fiscale” in favore di “milioni di italiani”, ha rimarcato che questi sarebbero “ostaggio da troppi anni dell’Agenzia delle Entrate”.
Parole arrivate per altro a qualche settimana di distanza dall’uscita della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che equiparava il recupero dall’evasione dei piccoli commercianti al “pizzo di Stato”.
Per Ruffini è invece “un fatto di giustizia nei confronti di tutti coloro che – e sono la stragrande maggioranza – le tasse, anno dopo anno, le pagano, e le hanno pagate, sempre fino all’ultimo centesimo, anche a costo di sacrifici e nonostante l’innegabile elevata pressione fiscale”, ha aggiunto.
Il discorso di Ruffini suona come la rivendicazione del ruolo di servitore dello Stato suo e dell’Ade. “Interpretiamo ogni giorno con profondo senso dello Stato il nostro ruolo al servizio della collettività”, dice e “siamo al fianco dei cittadini che vogliono continuare ad avere un corretto rapporto con il fisco e assicurare da parte di tutti il pieno e leale rispetto delle regole fiscali”.
E proprio nello stare al fianco di chi le tasse le paga, Ruffini parla di un “lavoro essenziale per il funzionamento di tutta la macchina pubblica, perché se vogliamo garantire i diritti fondamentali della persona indicati e tutelati nella nostra Costituzione – come la salute dei cittadini, l’istruzione dei nostri figli, la sicurezza di tutti noi –, servono risorse e noi siamo chiamati a raccoglierle a vantaggio di tutti. Anche di chi si sottrae al loro pagamento”.
E rimarca che l’azione dell’Agenzia non è da essa determinata, ma “nei modi e nei tempi che sono stabiliti sempre e soltanto dal legislatore”. Come a dire che se anche qualcuno dovesse lamentarsi di “oppressione”, non è tra i funzionari del Fisco che deve andare a cercare la causa.
Venti miliardi di evasione recuperata
Tra i temi sollevati, anche le difficoltà legate al personale disponibile. Un numero, su tutti: nel 2012 l’organico delle Entrate era a quota 41mila persone, per scendere con il blocco del turnover a “meno di 28mila unità al 31 dicembre 2022: stiamo parlando di 13mila risorse in meno in dieci anni, il 30 per cento”, ha rimarcato il direttore.
Negli ultimi anni molto è stato fatto sul lato dell’automazione. Ruffini ha rivendicato che “oggi il canale telematico è il principale mezzo” per i servizi fiscali, che sono aumentati i “controlli in un’ottica collaborativa e di compliance” e che grazie alle lettere sono stati recuperati 3,2 miliardi. E anche l’attività antifrode procede, con altri 9,5 miliardi recuperati. In definitiva, ha spiegato Ruffini, “i risultati ci stanno dando ragione, visto che nel 2022 abbiamo recuperato nel complesso la cifra record di oltre 20 miliardi di evasione. Il più importante risultato di sempre e ci tengo a sottolinearlo con orgoglio e con gratitudine per il lavoro svolto dai colleghi”.
Le assunzioni in arrivo: l’organico risalirà a 37mila
Un po’ di respiro si vede finalmente all’orizzonte. “Finalmente – ha detto ancora Ruffini – possiamo iniziare a guardare al futuro con la prospettiva di un organico rafforzato, grazie al piano straordinario autorizzato dalla legge di Bilancio che ci consentirà di contare, entro la fine del 2024, su circa 11mila nuove risorse”. Circa 2.300 persone sono entrate nel primo trimestre, “altri colleghi arriveranno”. Sono in corso le prove orale per 900 assistenti tecnici, poi le Entrate lanceranno concorsi per: 4.000 funzionari per attività tributaria, 500 funzionari per servizi di pubblicità immobiliare, 100 funzionari per attività di logistica e approvvigionamento, 50 funzionari informatici, 130 funzionari tecnici, 80 funzionari esperti in risorse umane.
Nell’autunno 2024 entreranno altri 3mila funzionari tributari e “il totale dei dipendenti salirà nel 2025 a circa 37mila unità, al netto dei pensionamenti. Insomma, inizieremo a “respirare” e questo ci consentirà di lavorare con meno affanno e migliorare ulteriormente la qualità dei servizi”.
(da agenzie)

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FILIPPO FACCI FUORI DALLA RAI, L’ANNUNCIO UFFICIALE: “CANCELLATO IL SUO PROGRAMMA”

Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile

LA DECISIONE DOPO LE POLEMICHE SUL CASO LA RUSSA JR

La Rai non manderà in onda la striscia quotidiana di cinque minuti ”I facci vostri”, inizialmente annunciata per settembre prima del Tg2 delle 13. Lo ha deciso l’amministratore delegato Roberto Sergio, informata la presidente Marinella Soldi, d’intesa con il direttore dell’Approfondimento Paolo Corsini e, per i profili di sua competenza, il direttore generale Giampaolo Rossi.
Lo spazio in palinsesto verrà coperto dal prolungamento del programma del mattino di Rai 2 ”I fatti vostri’. Mentre il programma che sostituirà Cartabianca sarà comunicato nel Cda del 25 luglio.
La decisione su Facci dopo le polemiche
La decisione è arrivata dopo le polemiche per l’articolo sulla vicenda di La Russa jr scritto da Filippo Facci. “Una ragazza di 22 anni era indubbiamente fatta di cocaina prima di essere fatta anche da Leonardo”, come l’editorialista ha raccontato su Libero, l’ex compagna di liceo che ha denunciato il figlio del presidente del Senato.
Il Cda della scorsa settimana
Una settimana fa, lo scorso 11 luglio, i vertici sovranisti della Rai avevano preso tempo. L’ad Sergio aveva infatti chiesto un supplemento di riflessione. “Non è mia abitudine decidere sulla base di campagne politiche strumentali e emozionali”, le parole del capo-azienda in Cda riferendosi alle opposizioni che avevano dato l’altolà. “Non mi faccio trascinare da nessuno, motivo per il quale comunicherò la decisione presa assumendone la piena responsabilità, e comunque in tempi brevi”, aveva spiegato. In cda la presidente Marinella Soldi aveva invitato Facci a dimostrare maggiore prudenza e i consiglieri Francesca Bria e Riccardo Laganà avevano chiesto espressamente all’azienda di non procedere con la contrattualizzazione del giornalista, perché la frase dell’articolo di Libero era stata ritenuta incompatibile con il servizio pubblico.
L’intervento di Meloni
Polemiche su polemiche. Sul caso La Russa jr è intervenuta anche la premier Giorgia Meloni che aveva detto di solidarizzare per natura con una ragazza che denuncia, e alla fine è arrivato lo stop alla collaborazione del giornalista in Rai.
Chi sostituirà Cartabianca?
Ora c’è un altro punto interrogativo sui palinsesti della prossima stagione della Rai. Il programma che sostituirà Cartabianca, dopo il passaggio della conduttrice Bianca Berlinguer a Mediaset, sarà comunicato – ha fatto sapere la Rai – nel Cda del 25 luglio.
Le reazioni
“Avevamo chiesto alla Rai di non contrattualizzare Filippo Facci dopo le sue esternazioni sessiste e razziste. I vertici di Viale Mazzini hanno deciso che l’editorialista di Libero non avrà la striscia informativa su Rai2. Abbiamo condotto questa battaglia dopo l’articolo nel quale Filippo Facci, sospeso in passato dall’Ordine dei Giornalisti per razzismo nei confronti dell’Islam, colpevolizzava la ragazza che ha denunciato di essere stata violentata da Leonardo Apache La Russa, figlio del presidente del Senato – commenta Sandro Ruotolo, responsabile Informazione per il Partito democratico – Bene hanno fatto perciò i vertici di Viale Mazzini ad ascoltare la nostra richiesta. La Rai è l’industria culturale e informativa più importante del nostro Paese. È un bene di tutti. Difenderemo sempre l’Articolo 21 della Costituzione e chiederemo ai vertici della Rai di garantire il pluralismo editoriale e delle prossime nomine, a completamento delle direzioni di genere e di testate. Il servizio pubblico è per i governati e non per i governanti”.
(da La Repubblica)

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