Luglio 31st, 2023 Riccardo Fucile
“NELLA MIA CITTÀ LO STOP È ARRIVATO PER CIRCA 1.500 PERSONE SU UN TOTALE DI 5 MILA PERCETTORI. NELL’SMS DELL’INPS GLI VENIVA DETTO DI “ISCRIVERSI” AI SERVIZI SOCIALI DEL COMUNE. MA CHE VUOL DIRE? QUESTE PERSONE SI AGGIUNGERANNO AGLI OLTRE 3 MILA SOGGETTI FRAGILI GIÀ IN CARICO”… “SI TROVANO A VEDERSI TOGLIERE QUEL POCO CHE LO STATO GLI DAVA, MENTRE SONO IN CONDIZIONE DI ASSOLUTO BISOGNO”
Mentre 169 mila beneficiari del reddito di cittadinanza venivano liquidati dall’Inps con un sms, a Cosenza, per precauzione, hanno rafforzato le misure di sicurezza intorno agli uffici del Comune: «Abbiamo mandato la polizia municipale», racconta Franz Caruso, sindaco della città calabrese
Qual è la situazione a Cosenza?
«Nella mia città lo stop è arrivato per circa 1.500 persone su un totale di 5 mila percettori. Nell’sms dell’Inps gli veniva detto di “iscriversi” ai servizi sociali del comune. Ma che vuol dire? Queste persone si aggiungeranno agli oltre 3 mila soggetti fragili già in carico a quegli uffici. E noi già non abbiamo nemmeno il personale per svolgere la normale attività quotidiana».
In che modo il Comune dovrà occuparsi di chi verrà escluso dal reddito da agosto?
«Gli uffici dei servizi sociali dovranno verificare se siano davvero occupabili oppure siano soggetti fragili. Andrà fatto entro ottobre. Il problema è che per tre mesi questi poveri cittadini non ricevono niente e non riceveranno nemmeno il pregresso dovuto».
Ma qualcuno vi aveva preparato? Sapevate che l’sms avrebbe detto ai beneficiari di rivolgersi al comune?
«Assolutamente no, non ne avevamo alcun sentore. Come sindaco non ho ricevuto nessuna comunicazione».
«Questa gente è esasperata. Si trovano a vedersi togliere quel poco che lo Stato gli dava, mentre sono in condizione di assoluto bisogno. Peraltro gli è stato comunicato con un messaggio burocratico e freddo». « Non siamo la Francia, ma di fronte alla disperazione non è improbabile che la gente scenda in piazza».
(da la Stampa)
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Luglio 31st, 2023 Riccardo Fucile
I COMUNI DEVONO GESTIRE LA RABBIA CAUSATA DAL GOVERNO
È bastato un sms per scatenare una dura reazione delle
opposizioni contro il governo nella calda domenica di ieri. Il messaggio in questione è quello che l’Inps ha inviato a oltre 169mila percettori del reddito di cittadinanza per annunciare la sua sospensione.
Poche righe che hanno diffuso il panico in alcuni uffici comunali con persone intente a chiedere spiegazioni per quello che è stato visto come un’annuncio improvviso.
Con le nuove modifiche introdotte dal governo Meloni, infatti, chi non ha a suo carico nel nucleo familiare minori, disabili o over 65 non riceverà più – a partire già dal mese di agosto – il sussidio.
Una misura che ha scatenato un forte malcontento sociale, soprattutto a Napoli e provincia dove ad ricevuto l’sms sono stati circa 21mila nuclei famigliari. Il direttore dell’area dell’Inps, Roberto Bafundi, è dovuto intervenire nel week end per sedare gli animi dei cittadini e ha detto che «nessuno sarà lasciato indietro».
La rabbia rischia di trasformarsi in manifestazioni di piazza dopo che già sui social è diventato virale in poche ore l’hashtag #ilgovernodellavergogna. Potere al Popolo ha annunciato un presidio in piazza a Napoli per la giornata di oggi.
«Il governo Meloni fa la guerra ai poveri, ma intanto propone la pace fiscale per gli evasori e per le grandi imprese, che macinano profitti su profitti. È un Robin Hood al contrario: toglie ai poveri e dà ai ricchi», ha detto Giuliano Granato, portavoce nazionale di Potere al Popolo e membro del coordinamento nazionale di Unione Popolare.
A fare le spese del malcontento sociale sono i sindaci dei comuni più piccoli lasciati soli dal governo. Il Viminale è in allerta in attesa di eventuali disordini nei prossimi giorni.
La Cgil ha lanciato l’allarme sui centri per l’impiego che rischiano di esplodere in un momento in cui il personale è ridotto per via delle ferie estive e ha anche per questo ha chiesto la proroga della sospensione. Per il momento, però, il governo non intende fare dietrofront anche perché l’eliminazione del reddito di cittadinanza è stata uno dei punti principali della campagna elettorale di Giorgia Meloni.
Se il salvataggio della ministra del Turismo Daniela Santanchè dalla mozione di sfiducia presentata dal Movimento Cinque stelle ha compattato la maggioranza, la sospensione del reddito di cittadinanza e i condoni fiscali per gli evasori rischia di generare lo stesso effetto nelle opposizioni.
«Hanno trattato 169mila persone come se fossero una rubrica telefonica. Non capiscono che dietro ci sono famiglie, problemi, ansie, preoccupazioni, pericoli perla tenuta sociale. Hanno tirato una linea… Si comportano come le multinazionali che senza umanità licenziano via Whatsapp», ha detto Francesco Boccia, capogruppo Pd al Senato in un’intervista al Corriere della Sera. La stessa reazione di indignazione è arrivata da esponenti di Sinistra Italiana e del Movimento.
Anche Beppe Grillo è intervenuto sul caso con un tweet: «Ormai è chiaro: il focus di questo governo è la lotta ai poveri e l’annientamento della dignità dei lavoratori. Il salario minimo si potrebbe già approvare ad agosto ma le vacanze estive non possono attendere».
Si prospetta un’estate calda per il governo.
(da agenzie)
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Luglio 31st, 2023 Riccardo Fucile
“FINORA AI CITTADINI SOLO I 3.000 EURO DALLA REGIONE”
Il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini all’attacco del governo Meloni.
In un’intervista a La Stampa il governatore critica l’esecutivo sui fondi per l’alluvione. E dice che quelli stanziati per la ricostruzione pubblica sono insufficienti. Mentre quelli per i privati, semplicemente, non sono mai arrivati.
«Ad oggi, dopo quasi tre mesi, i cittadini hanno ricevuto solo i primi 3 mila euro che come Regione, insieme alla Protezione civile nazionale, abbiamo stanziato con procedure spedite. Ma è un contributo di primo sostegno. Alle imprese nulla, e non sanno ancora come verificare e periziare i danni. Comuni, Province, Consorzi di Bonifica e Agenzia regionale di protezione civile non vedono un euro da settimane. Il governo ha sottovalutato un punto che pure avevamo evidenziato in modo ossessivo fin dal primo giorno: il fattore decisivo è il tempo, perché i lavori per mettere in sicurezza fiumi e frane e ripristinare le strade vanno fatti in estate. E perché famiglie e imprese hanno bisogno di certezze per ripartire».
Il governo e la Regione
Nel colloquio Bonaccini aggiunge che con il governo «non c’è il raccordo che auspicavamo. Lo dico con rammarico, perché non era mai accaduto che il governo procedesse senza alcun coordinamento con le Regioni interessate da un provvedimento. Se fosse accaduto lo stesso con il sisma del 2012 sarebbe stato un disastro. E invece abbiamo sempre avuto piena collaborazione con i sei governi che si sono succeduti nel tempo. Anche in Parlamento la maggioranza ha detto no alle proposte avanzate da Comuni, associazioni di categoria, sindacati, atteggiamento che ci appare incomprensibile. Al contrario, il raccordo con la struttura del Commissario Figliuolo è pressoché quotidiano. Ma con poche risorse e procedure non definite o sbagliate anche il Commissario non può fare miracoli. Di recente ho incontrato la presidente Meloni e auspico che le cose possano cambiare il prima possibile».
Il Pnrr
Anche sul Pnrr, secondo Bonaccini, «a oggi, il governo non ha attivato alcun confronto con le Regioni. Abbiamo saputo tutto dai giornali, la stessa denuncia l’ha fatta il presidente della Conferenza delle Regioni, Fedriga. Registro poi che nel momento in cui l’intero Paese è devastato da eventi estremi e la mia terra è sconvolta dal dissesto, il governo taglia proprio sugli investimenti per la difesa del suolo e la gestione delle alluvioni. E si taglia anche sulla sanità del territorio, come se la pandemia non ci avesse insegnato nulla. A me pare non solo sbagliato, ma anche incomprensibile».
(da agenzie)
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Luglio 31st, 2023 Riccardo Fucile
PROCURARSI IL FARMACO NON E’ REATO… “MI HANNO TRATTATA COME UNA CRIMINALE”
Ordina una pillola abortiva online, ma il medico la denuncia.
Joanna Parnieska, giovane donna polacca, racconta a la Repubblica gli orrendi soprusi che ha subìto dalla polizia di Cracovia per aver interrotto la gravidanza nel solo modo ancora legale nel Paese: con la pillola abortiva ordinata, appunto, online.
Tutto inizia lo scorso aprile quando, in un momento di fragilità, Parnieska chiama il medico e gli confida quanto avvenuto. Da quel momento «comincia un incubo», racconta al quotidiano. Il dottore la denuncia alla polizia, contravvenendo di fatto alla riservatezza. Quindi, l’irruzione degli agenti polacchi nel suo appartamento: «Mi hanno trattato come una criminale», dice la giovane donna.
L’interrogatorio e la perquisizione
Procurarsi la pillola abortiva autonomamente, come ha fatto Parnieska, non è reato in Polonia. Al contrario, aiutare qualcuno ad abortire, comporta il rischio di finire in galera per 3 anni. Quando è scoppiato il caso, condannato da Donald Tusk (capo dell’opposizione), gli agenti hanno cercato di estorcerle informazioni, convinti fosse stata aiutata ad abortire.
«L’intera azione – spiega Parnieska – era tesa a spaventare me e tutte le donne». La procura, guidata dal ministro dell’Interno, ha persino aperto un’inchieste per individuare gli eventuali complici. Quel giorno di aprile, gli agenti l’hanno trascinata in ospedale, poi interrogata e infine perquisita. Trasferita, poi, al reparto di ginecologia, la polizia – oltre ad averle chiesto di consegnare il cellulare e il computer – l’ha intimata di spogliarsi nuda e di fare dei piegamenti, come si fa di solito con i trafficanti di droga.
Pensieri suicidi
«Io non volevo togliermi le mutande, indossavo un assorbente», dice. Quando i poliziotti l’hanno interrogata, Joanna ha specificato subito che si era procurata la pillola da sola. Mentre la polizia si è giustificata dicendo che il colloquio aveva «fatto emergere il fatto che avesse ricevuto trattamenti psichiatrici per anni e che quel giorno avesse pensieri suicidi».
(da agenzie)
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Luglio 31st, 2023 Riccardo Fucile
NEL WEEK END “C’ERANO BOSCHI, BONIFAZI E NOBILI”
Durante lo scorso week end i vertici di Italia Viva si sono ritrovati al Twiga. Nel locale di Flavio Briatore hanno cenato con Daniela Santanchè. A parlare della circostanza è oggi il Corriere della Sera, che racconta come la cena sia stata a base di sushi e schiacciatine.
Santanchè ha ceduto di recente le sue quote del Twiga proprio a Briatore e al compagno Dimitri Kunz. Per dribblare le accuse di conflitto d’interesse con la sua carica di ministro del Turismo nel governo Meloni. Alla tavolata con la “Santa” erano presenti Maria Elena Boschi, il deputato Francesco Bonifazi e il consigliere regionale Luciano Nobili. Oltre all’ex parlamentare di Forza Italia Andrea Ruggieri, oggi direttore del renzianissimo Riformista. Ruggieri venerdì sera è stato il collante dei due tavoli.
I due tavoli
In partenza infatti a un tavolo c’erano Boschi e Bonifazi insieme all’avvocato tributarista Roberto Simoni. A un altro sedevano la ministra e alcuni suoi amici. Tra cui l’ex compagno Canio Mazzaro, indagato a Bergamo per truffa ai danni dello Stato proprio per una società che condivideva con Santanchè. E naturalmente Kunz.
In tutto alla tavolata hanno partecipato una ventina di persone. Alla fine tutti hanno assistito allo spettacolo del performer Alessandro Ristori. Bonifazi, ex tesoriere del Pd, è un habitué del Twiga. Non c’era invece Briatore.
(da agenzie)
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Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile
A MEDIASET STA CRESCENDO IL MALCONTENTO VERSO COLUI CHE VIENE SOPRANNOMINATO “IL MELONCINO”
A Mediaset, di un programma in prima serata per Andrea
Giambruno non parla più nessuno. Sparito dai radar. La promessa di un talk nel prime time di Rete 4 per il giornalista compagno di vita di Giorgia Meloni non trova conferme. E viene il sospetto che ai piani alti del Biscione, dopo gli ultimi incidenti di percorso dell’anchorman sul cambiamento climatico e sul ministro tedesco “nella Foresta Nera”, ci abbiano ripensato.
Intendiamoci, di ufficiale non c’era nulla: alla presentazione dei palinsesti lo scorso 5 luglio a Cologno non s’era fatto cenno all’ipotesi. Il direttore dell’informazione, Mauro Crippa, si era limitato a sottolineare l’importanza di valorizzare un prodotto come Diario del giorno, il programma quotidiano che Giambruno conduce nel pomeriggio di Rete 4. E in quel “valorizzare” alcuni hanno inteso un cambio di orario, in una fascia con maggiore ascolto.
Ora però, se gli incidenti dovessero continuare, potrebbe essere a rischio anche Diario del giorno. “Se ne combina una ogni volta che va in onda, qualcuno dovrà porsi il problema”, è il ragionamento che si fa nelle redazioni tra Cologno e il Palatino a Roma. Ma che dentro Mediaset stia crescendo il malcontento verso colui che viene soprannominato “il Meloncino” lo si è visto anche sui social, dopo la polemica sul clima, quando il conduttore ha minimizzato sul caldo oltre i 40 gradi.
“È luglio, fa caldo, non mi sembra una gran notizia”, le parole di Giambruno, che poi con poca eleganza ha tolto la parola alla sua inviata che cercava di dimostrare il contrario. “No, ma tutto bene, a luglio il tempo è questo”, ha twittato Lella Confalonieri (vicedirettrice di Videonews e nipote di Fedele, presidente Mediaset: non proprio l’ultima arrivata), dopo il nubifragio che ha colpito Milano. Aggiungendo un sarcastico “lo dice anche il signor Meloni…”.
È intervenuta pure Laura Cannavò, giornalista politica del Tg5: “Eh sì, aspetta, chi l’aveva detto? L’ho sentito in quel programma di Rete 4. Diario del giorno?”. “La mia frase sul caldo non era correlata alla grandine che poi s’è abbattuta su Milano, quella sì che era una notizia”, ha spiegato Giambruno ieri al Corriere. Insomma, piccole-grandi perfidie tra colleghi, anche perché si sa, specie in tv, quando si assegna un programma a qualcuno, scattano invidie e gelosie. Ma comunque un segnale d’insofferenza dalla pancia di Mediaset verso Mr Meloni.
Al momento, però, il giornalista gode ancora dei benefici del patto Marina-Giorgia, con la sponda di Pier Silvio, che ha fatto cessare il controcanto forzista dei primi mesi di governo.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile
PARLANO QUELLI CHE DA 50 ANNI HANNO ACCETTATO TUTTO PER UNA POLTRONA: TRA TUTTI E DUE NON SI SA CHI FA PIU’ PENA
C’è un pezzo di Fratelli d’Italia che non è soddisfatta del viaggio di Giorgia Meloni negli Stati Uniti. La sua svolta istituzionale, governista, filo-americana, filo-Ucraina, pienamente inserita nei giochi di Bruxelles (e non più anti-Sistema) non è andata giù agli ex missini che ricordano la Fiamma collocata altrove.
Già la presenza al governo di una “esterna” come Daniela Santanché è un cazzotto nello stomaco per gli ortodossi di Colle Oppio. I guai giudiziari della Pitonessa e il conseguente attaccamento alla poltrona sono kryptonite per chi si è sempre riconosciuto in una Destra legalitaria e un po’ manettara. Senza contare le accuse di stupro al figlio di Ignazio La Russa e gli scivoloni, uno dopo l’altro, del presidente del Senato (dai nazisti uccisi a via Rasella “banda di semi-pensionati” fino alla difesa d’ufficio di Lorenzo Apache, “mio figlio non ha compiuto atti penalmente rilevanti”).
C’è un 25% di Fratelli d’Italia che soffre, alla faccia del partito monolite: una fronda insorgente non si riconosce nella rapida trasformazione della Ducetta. A palazzo Chigi, obnubilata dal potere, “io so’ Giorgia” ha iniziato a coltivare il sogno di diventare la “Merkel del Mediterraneo” tra un “piano Mattei” e l’ambizione di essere la zarina dei Conservatori al Parlamento europeo. Del passato, chissenefrega! In poco tempo, da trumpiana è diventata amica di Biden davanti al quale si è pure convertita all’ecologismo, riconoscendo l’emergenza del “climate change”.
L’intervista de “la Stampa” a Gianni Alemanno, ex colonnello di Alleanza nazionale è un segnale al mondo mal-destro inquieto per il nuovo corso della Meloni. L’ex sindaco di Roma attacca il filo-atlantismo senza limitismo della premier, il suo ruolo subalterno a Washington.
Ha parole durissime anche sull’errore di non riconoscere le emergenze economiche del Paese con la necessita’ di introdurre il salario minimo.
Finisce sulla graticola anche il taglio al reddito di cittadinanza “senza creare un’alternativa, non è la strada giusta”. E’ il grido di dolore, o di rancore, di un mondo ex missino che è insofferente per il liberismo filo-confindustriale che la premier ha deciso di abbracciare.
Il “fuoco amico” di un ex compagno di partito dei tempi di An è una spia di instabilità che inizia a montare anche all’interno della coalizione di Destra-centro, dove i tre partiti (Fdi, Lega e Forza Italia) sono in disaccordo su molti e temi e ciascuno ha, al suo interno, spinte centrifughe in grado di destabilizzare il governo (altro che maggioranza coesa, come amano ripetere i ministri e i menestrelli di Giorgia).
Sull’Autonomia regionale la Lega spinge, incalza e, soprattutto, minaccia. Da Zaia a Calderoli, non sono mancati “pizzini” al governo: la riforma s’ha da fare, pena la fine dell’alleanza e tanti saluti al governo. I leghisti riescono a litigare con i Fratelli d’Italia perfino sulle vicende marginali, come la decisione del Consiglio regionale del Veneto di invitare il filo-Putin Alessandro Orsini a tenere una “lectio magistralis”. I meloniani hanno disertato l’incontro in polemica con una scelta considerata inopportuna. Reciprosco scambio di accuse e via svelenando.
In Forza Italia l’apparente stabilità, con Tajani in versione Re Travicello, è solo un effetto ottico. Non solo perché la minoranza di Ronzulli, Mule’ e Cattaneo spinge per ribalatare i rapporti di forza, ma perché dopo il Congresso di aprile 2024 e le europee di giugno, i figli del Cav dovranno capire cosa farsene di un partito costoso, indebitato e non funzionale agli interessi della Real Casa.
Se Forza Italia deflagra, con conseguente diaspora di deputati e senatori, il governo puo’ andare in affanno. Persino finire gambe all’aria: al Senato la maggioranza non un vantaggio così rassicurante…
E poi ci sono le tensioni internazionali con la Francia, la sconfitta in Spagna di Vox, le polemiche interne per le esternazioni fuori luogo del “first boyfriend” Andrea Giambruno, le tensioni con i magistrati per la riforma della Giustizia, l’insofferenza di Pechino per la decisione di smollare “la Via della Seta” (con elevato rischio di contraccolpi economici per l’Italia).
Il Quirinale è indispettito per alcune scelte del governo, dalla Giustizia alle concessioni balneari fino ai rapporti internazionali (il Colle non vuole problemi con l’amico Macron). Se aggiungiamo i continui botta e risposta con l’Europa per i ritardi sul Pnrr, le tensioni di piazza per il taglio al reddito di cittadinanza e il movimentismo di Matteo Salvini, che un cantiere e l’altro vuole riprendersi la scena, si inizia ad annusare un autunno caldo per donna Giorgia. E sono passati solo pochi mesi dall’inizio del suo governo. Auguri!
(da Dagoreport)
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Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile
IN PRIMO LUOGO “L’INTESA NON E’ VINCOLANTE”. LA TUNISIA SI E’ IMPEGNATA A RIMPATRIARE CON CALMA SOLO I SUOI CITTADINI… LE MODALITA’ DI EROGAZIONE DEI FONDI EUROPEI RESTANO VAGHE
Mentre si registrano periodicamente le evidenze nefaste del
memorandum firmato con la Libia sette anni fa, l’Unione europea sigilla un nuovo patto disumano, questa volta con la Tunisia.
Dopo settimane di trattative l’accordo che prevede il sostegno finanziario da Bruxelles in cambio dell’attuazione di riforme economiche e (soprattutto) del controllo delle frontiere è stato firmato a Tunisi dal presidente tunisino Kaïs Saïed, dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal premier dimissionario olandese Mark Rutte.
Sulla carta, il memorandum d’intesa è una dichiarazione d’intenti politica tra Unione europea e Tunisia per migliorare le relazioni bilaterali e affrontare le sfide comuni in modo «strategico e globale».
Il testo non è vincolante di per sé, ma presenta una serie di piani d’azione da trasformare in strumenti giuridici approvati dagli Stati membri prima di essere attuati. Gli ambiti di cooperazione sono cinque: stabilità macro-economica, commercio, transizione energetica, scambi e contatti fra le popolazioni, e migrazione.
Condizioni vaghe
Per ognuno ci sono progetti di investimento e cooperazione, molti dei quali comportano l’erogazione diretta di fondi dal bilancio dell’Ue: in tutto più di 700 milioni, a cui potrebbero aggiungersene presto altri 900 vincolati alle riforme prescritte alla Tunisia dal Fondo monetario internazionale.
Nel dettaglio, ci sono 150 milioni di euro come sostegno al bilancio del governo tunisino dato che il Paese è considerato sull’orlo della bancarotta, 307,6 milioni di euro per lo sviluppo di Eelmed, un cavo sottomarino per lo scambio di energia elettrica e altri 150 milioni (in questo caso comprensivi di prestiti della Banca europea per gli investimenti) per la costruzione di Medusa, un altro cavo sottomarino che utilizzerà la tecnologia della fibra ottica per consentire ai tunisini la connessione a Internet.
Per la gestione specifica dei flussi migratori sono previsti 105 milioni, da utilizzare per combattere il traffico di esseri umani, rafforzare la gestione delle frontiere e rimpatriare nei Paesi d’origine le persone arrivate in Tunisia irregolarmente.
Il denaro sarà fornito alle autorità tunisine sotto forma di motovedette per la ricerca e il salvataggio, jeep, radar, droni e altri tipi di attrezzature per il pattugliamento, ma anche alle organizzazioni internazionali che lavorano sul campo, come l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) e l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr).
La Tunisia si impegna a sostenere la riammissione dei propri cittadini che si trovano irregolarmente nell’Ue – attenzione, non quelli di altri Paesi – ma l’erogazione dei fondi non sarà legata ad alcun obiettivo numerico di riammissioni annuali o di riduzione degli arrivi, né conterrà disposizioni aggiuntive sui diritti umani, oltre alle tradizionali clausole che l’Unione europea attribuisce ai suoi programmi di cooperazione con Paesi terzi. E su questo punto, ossia sulle modalità delle appropriazioni di fondi, il testo dell’accordo è molto vago. Così come le eventuali condizionalità che i leader europei legittimamente imporrebbero alla Tunisia.
Veri propositi
Un aspetto di non minore importanza, che sembra “sfuggire” ai leader europei, è che lo scioglimento del Parlamento tunisino, l’arresto degli oppositori, i processi ai giornalisti, fanno del presidente tunisino Kaïs Saïed un interlocutore difficile da annoverare tra gli esempi di quei valori che a Bruxelles si sbandierano. Il presidente ha acquisito un potere quasi assoluto dopo la sospensione del parlamento del Paese nel 2021. Le autorità hanno messo sotto indagine e, in alcuni casi, arrestato almeno 72 esponenti dell’opposizione e altre persone critiche nei confronti del capo dello Stato, accusandoli di vari reati.
Ma l’Ue si genuflette a queste logiche e in nome della real politik, anche questa volta, preferisce chiudere gli occhi. Perché? Perché ha bisogno dell’energia tunisina (gas, ma pure interconnessioni agli impianti di energia da fonti rinnovabili) e di progressi sull’immigrazione, dossier che continua dividere gli Stati dell’Unione.
Al momento la cosiddetta «dimensione esterna» della questione migratoria, vale a dire accordi con Paesi di origine e transito per bloccare le partenze, resta l’unico vero collante tra i Ventisette. Per questo attuare il protocollo Ue-Tunisia per Von der Leyen, Meloni e Rutte è così importante.
Pare chiaro che dietro la volontà di combattere i trafficanti di esseri umani evidenziata nel memorandum, ancora una volta l’Unione europea intenda velatamente offuscare i propri reali obiettivi, ovvero fermare i migranti.
Inoltre, nonostante gli annosi tentativi di focalizzare le politiche sull’eliminazione dei trafficanti, i migranti continuano a utilizzare le rotte Mediterranee per raggiungere l’Europa. A conferma del fatto che invece di piegarsi ad accordi di breve periodo e di dubbio rispetto dei diritti umani, sarebbe più utile e lungimirante lavorare sulle cause delle migrazioni, tra cui il cambiamento climatico, le erosioni dei diritti civili, e le persecuzioni di oppositori politici nei Paesi di provenienza, e ancor più i conflitti e la crisi alimentare.
Senza garanzie
Nonostante gli obiettivi di stabilità e sviluppo, questo accordo pare più che altro rafforzare il potere assoluto del presidente tunisino. Un leader che dopo aver eliminato gran parte dei suoi rivali politici e imposto una costituzione che rimuove ogni controllo sulla sua autorità, non pare però avere le capacità di risolvere i problemi economici del Paese. Ma i governanti europei paiono puntare su di lui, sacrificando l’imposizione di qualsiasi condizionalità sull’altare del controllo dei migranti. Inoltre, nello specifico non pare esserci alcuna garanzia che i fondi dell’Unione europea finanzino adeguatamente le forze di sicurezza e la guardia costiera.
È sconcertante registrare che nello stesso periodo in cui la Tunisia e l’Unione europea si apprestavano a firmare questo accordo, le autorità della nazione nordafricana abbiano lasciato centinaia di persone, bambini compresi, intrappolate alle frontiere desertiche del Paese, inizialmente prive di acqua, cibo o riparo.
Se dal punto di vista politico i recenti sviluppi costituiscono dunque dei passi avanti, il contenuto del memorandum suscita invece più di un dubbio, a partire dalla mancanza di forme concrete di salvaguardia contro le violazioni dei diritti umani perpetrate dalle autorità tunisine contro i migranti.
Anzi, la legittimazione politica che il presidente Saïed trae dalla firma di un accordo di questo genere potrebbe anche rassicurarlo sulla possibilità di proseguire con questa condotta. Rafforzando i poteri del presidente tunisino Kaïs Saïed e indebolendo lo stato di diritto nel Paese, un tale accordo pone le basi per rafforzare i trafficanti e incentivare la migrazione illegale piuttosto che frenarla.
Inoltre, con il rafforzarsi di un’ulteriore dittatura in Nord Africa, l’Italia e l’Europa tacitamente ne avallano la deriva sempre più autocratica, allontanando la regione dallo stato di diritto e costruendo partenariati con leader fragili, inaffidabili e non sottoposti ad alcun controllo democratico. Non occorre certo ricordare quanto accaduto – e ancora accade – in Libia, un Paese senza stabilità e insicuro per migranti e cittadini per comprendere gli effetti di un tale approccio politico.
Tutti scontenti
La firma dell’accordo ha scatenato le reazioni di più parti politiche in Italia. Il segretario di +Europa Riccardo Magi definisce «un errore» quello di «pagare un regime, come quello della Tunisia, che non dà alcuna garanzia del rispetto dei diritti umani. Il risultato – spiega Magi – sarà che noi copriremo di soldi Tunisi, che per tenersi i migranti i primi mesi commetterà le peggiori violazioni dei diritti e della dignità delle persone, per poi tra qualche mese ritrovarci al punto di partenza, con gli sbarchi che non si fermeranno, i centri di accoglienza pieni e centinaia di persone che oltre a fuggire dal loro paese d’origine saranno costretti a scappare anche dalle carceri tunisine».
Dello stesso tenore è anche la riflessione di Emergency che sottolinea come l’accordo sia stato «stipulato sulla pelle delle persone»: «Il copione applicato in Libia – spiega la ong – è destinato a ripetersi: anziché gestire la migrazione in modo strutturale e umano, l’Europa sceglie ancora di appaltare la gestione dei flussi migratori a un Paese insicuro e instabile». I parlamentari del Movimento 5 Stelle delle Commissioni Politiche Ue di Camera e Senato sottolineano come l’accordo rischi «di essere inutile» e di «alimentare reati, visti i gravi crimini contro i migranti sub-sahariani commessi dalle forze dell’ordine tunisine e la repressione di ogni dissenso politico e civile nel Paese».
Come ricorda l‘associazione Baobab Experience, «il memorandum è arrivato nonostante tutto, con una Tunisia in piena campagna razzista e xenofoba ad opera dello stesso presidente Saïed. Nel mirino, i migranti subsahariani residenti in Tunisia o in transito verso l’Europa». Del resto, Saïed nega tutto: «Gestione dei migranti violenta? Fake News dalle ong». «Questo accordo mal ponderato, firmato nonostante le evidenti prove di gravi violazioni dei diritti umani da parte delle autorità tunisine, comporterà una pericolosa proliferazione di politiche migratorie già fallimentari e segnalerà l’accettazione da parte dell’Unione europea di un comportamento sempre più repressivo da parte del presidente e del governo di Tunisi», ricorda anche Eve Geddie, direttrice dell’ufficio di Amnesty International presso le istituzioni europee.
Trasformare la Tunisia nella nuova Libia non è la soluzione alla questione migratoria, ciò rende l’Unione europea complice delle sofferenze che inevitabilmente ne deriveranno.
(da TPI)
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Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DELL’ENPA: “ERANO ESCURSIONISTI O ERANO ARMATI? CHE CI FACEVANO ALLE SEI DEL MATTINO SU QUEL SENTIERO DIRETTO A UNA POSTAZIONE DI CACCIA?”
L’incontro con l’orsa, le grida, l’inseguimento, la fuga lungo il sentiero, l’arrampicata su un albero nel tentativo di salvarsi e la caduta su una pietra con una contusione al costato. Paura per due giovani cacciatori in Trentino. Ed è già polemica.
Tutto è accaduto questa mattina, 30 luglio, intorno alle 6 di mattina. Quando due giovani cacciatori, entrambi ventenni e residenti a Roncone, sono saliti in montagna per un’escursione.
A un certo punto però hanno incontrato un’orsa accompagnata da un cucciolo che dormiva sul sentiero Mandrel, che porta a malga Avalina (1.970 metri), a monte dell’abitato di Roncone, in una zona lontana dal paese. Avvertita la loro presenza, l’orsa si è spaventata ed ha inseguito le i due uomini, che hanno gridato e sono fuggiti.
Uno dei due si è precipitato lungo il sentiero di ritorno, mentre l’amico si è arrampicato su una pianta, dove l’orsa lo ha inseguito, con una zampa gli ha agganciato lo scarpone facendolo rovinare al suolo. Poi i due orsi si sono allontanati. Il giovane, caduto su una pietra, si è rialzato e ha continuato a correre ma ha rimediato una contusione al costato ed è ora in osservazione all’ospedale di Tione.
Sul posto è intervenuta l’unità cinofila del Corpo forestale, che ha compiuto i necessari sopralluoghi per ricostruire l’esatta dinamica dell’episodio ed ha recuperato l’attrezzatura degli escursionisti. Successivamente saranno raccolti eventuali campioni genetici per stabilire l’identità dell’orso protagonista del falso attacco.
Proprio a Roncone, qualche giorno fa, è stato avvistato un orso mentre girava per le strade del paese, immortalato in un video postato sui social.
Secondo La voce del Trentino, uno dei due cacciatori feriti avrebbe dichiarato al pronto soccorso: “Eravamo appena scesi dalla macchina. Ormai non so più cosa dire, dobbiamo rimanere reclusi in casa per paura di morire, siamo ormai alla follia”.
L’Enpa invece, Ente nazionale di protezione degli animali, chiede verifiche: “Cosa ci facevano alle sei del mattino due cacciatori su un sentiero diretto ad una postazione di caccia a 1.700 metri di quota in periodo di silenzio venatorio? Erano armati? Volevano soltanto “osservare” gli animali selvatici o avevano qualche altro scopo?”.
E diffida Maurizio Fugatti, appena riconfermato dalla maggioranza come candidato in vista delle elezioni in Trentino, “dall’utilizzare questa situazione come pretesto per ulteriori campagne persecutorie e discriminatorie ai danni dei plantigradi”.
L’associazione rileva anche come la provincia autonoma di Trento non abbia ancora provveduto a limitare o vietare l’accesso alle aree frequentate dalle femmine di orso con i loro cuccioli, come sarebbe quella sopra Roncone.
(da agenzie)
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