Agosto 2nd, 2023 Riccardo Fucile
GIÀ RESPONSABILE DEL TESSERAMENTO, È ENTRATA NEL BOARD DELLA FONDAZIONE “ALLEANZA NAZIONALE”, LO “SCRIGNO” DEL PARTITO E ORA GIRA VOCE CHE GIORGIA VOGLIA CANDIDARLA ALLE EUROPEE COME CAPOLISTA NELLA CIRCOSCRIZIONE CENTRO ITALIA…LE BATTUTE AL VELENO DEI DEPUTATI DI FDI: “STIAMO VIRANDO VERSO UN PARTITO DI STAMPO MONARCHICO”
«Diciamo che stiamo virando verso un partito di stampo monarchico», scherza un deputato di Fratelli d’Italia. Da un collega che siede all’Europarlamento a Bruxelles ha appena ricevuto una telefonata con l’indiscrezione, che gira ormai in casa FdI da giorni, che per le prossime elezioni Europee non solo potrebbe essere capolista al Nord e nelle Isole la stessa presidente del Consiglio per trainare la lista, ma che Giorgia Meloni stia pensando di candidare anche la sorella Arianna nella circoscrizione Centro Italia.
A coronamento di un percorso di Arianna in grande ascesa nel partito, dopo essere stata nominata nell’arco di poche settimane prima responsabile del tesseramento e poi componente in quota FdI del consiglio di amministrazione della ricca Fondazione Alleanza nazionale: un ente che ha in pancia depositi bancari per una trentina di milioni e beni immobili che valgono sul mercato circa 200 milioni.
Una al governo, l’altra alla guida del partito che veleggia sondaggi alla mano intorno al 30 per cento e dà la direzione di marcia alla maggioranza in Parlamento. Una sempre sotto i riflettori, ragazza leader di Azione giovani, giovanissima ministra del governo Berlusconi e fondatrice e guida di Fratelli d’Italia. L’altra, la sorella maggiore, sempre nelle retrovie a lavorare dietro le quinte, meno appariscente anche del marito, il cognato d’Italia e ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida.
Ma adesso qualcosa in casa Meloni sta cambiando e Giorgia vorrebbe dare un ruolo istituzionale e politico (e ben remunerato) anche alla sorella: magari, appunto, facendola eleggere all’Europarlamento e togliendole il velo di Cenerentola della famiglia, che ama ripetere sempre di «essere la precaria più longeva nei gruppi consiliari della Regione Lazio», per rimarcare il suo essere una che «non cerca raccomandazioni».
Arianna adesso sta prendendosi già un pezzo di palcoscenico come vuole anche la sorella. Lo fa a prescindere dal marito-cognato Lollobrigida, pure lui possibile candidato alle Europee insieme a una piccola squadra di ministri FdI perché Meloni (Giorgia) vuole l’impegno massimo di tutti per fare il “botto” alle prossime elezioni Europee.
Ma per Arianna il discorso è diverso: una sua candidatura sarebbe un premio e il rafforzamento anche di un messaggio già inviato a tutta Fratelli d’Italia su chi comanda davvero nel partito e controllerà da adesso in poi tutto, fino a ogni spiffero in arrivo dai territori, dove si cerca maggior radicamento.
La nomina di Arianna alla guida del tesseramento è stata letta da molti dentro FdI come un modo per controllare quello che accade anche nell’estrema periferia del partito: avere in mano le tessere significa sapere cosa s i muove nelle sezioni più lontane da Roma e verificare in diretta chi nei Comuni vuole fare strada e tentare magari dei blitz.
Altri hanno visto in questa scelta anche una sorta di commissariamento di Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione del partito
Meglio Arianna, quindi, nominata nei giorni scorsi anche nel consiglio di amministrazione della Fondazione Alleanza Nazionale. Una poltrona che conta, perché la Fondazione ha in pancia tra liquidità e patrimonio immobiliare quasi 230 milioni di euro e finanzia iniziative di propaganda e comunicazione a vantaggio della “destra” che non possono andare certo in conflitto oggi con le posizioni della presidente del Consiglio.
Un evento non del tutto impossibile, quest’ultimo, considerando che nel cda siedono anche il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, Italo Bocchino, Gianni Alemanno e Giuseppe Valentino. Giorgia Meloni vuole che sia la sorella a controllare quello che accade in questo istituto dorato con tante teste calde e poco governabili, diciamo.
(da Repubblica)
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Agosto 2nd, 2023 Riccardo Fucile
IL DELIRIO DI SALVINI: “SE STUDI UN PO’ DI STORIA, VEDI CHE SONO CICLI”… “FOSSE STATO MIO ALLIEVO, SI SAREBBE BECCATO UN BEL TRE”
«Se il ministro Salvini fosse stato mio allievo, per quell’affermazione sui “cicli” dei ghiacciai si sarebbe beccato un bel 3». Vanda Bonardo, presidente Cipra (Commissione internazionale protezione Alpi), coordinatrice della “Carovana dei Ghiacciai” (campagna di Legambiente e del CGI – Comitato Glaciologico Italiano) ed ex professoressa, esprime «sconcerto» per «l’ignoranza scientifica espressa dal ministro».
Il riferimento è alla frase di Matteo Salvini: «Se studi un po’ di storia, vedi che sono cicli. Non è che Capezzone sgasa in auto e il ghiacciaio dell’Adamello arretra». Secondo Bonardo, le affermazioni del ministro sono un espediente per non dover riconoscere il problema «e quindi non affrontarlo, perché si tratta di qualcosa di molto serio e complesso la cui soluzione non è affatto facile».
Il nuovo allarme sulla situazione dei ghiacciai, già tornato d’attualità con il disastro della Marmolada dell’estate scorsa, arriva da uno studio che – in particolare – stima una completa sparizione di quello dell’Adamello (Bs) entro la fine del secolo. E non è l’unico a rischio, in Italia. Qualcuno ha una “data di scadenza” ancora più ravvicinata. «Attualmente – spiega Bonardo – ce ne sono circa 900 nel nostro Paese. La maggior parte concentrata nelle Alpi settentrionali. Quelli delle Alpi meridionali sono quasi del tutto spariti o ridotti a fazzoletti di ghiaccio».
Il rapporto stilato dal CGI fotografa una situazione drammatica: entro il 2050, cioè in poco più di 25 anni, i ghiacciai sotto i 3.500 metri di altitudine spariranno del tutto. «La Marmolada, che rientra tra questi, potrebbe scomparire entro 15 anni o anche meno», spiega ancora Bonardo. Quanto a quelli sopra i 3. 500 metri – come il Monte Bianco o l’Adamello per esempio – il destino da qui al 2100 dipenderà dal comportamento dell’uomo: «Ci sono possibilità che se ne salvi il 30%, ma questo vorrebbe dire trovare soluzioni rapidamente. Ma siccome siamo molto lontani da ciò, il rischio è che entro la fine del secolo spariscano quasi del tutto. Questo vuol dire la catastrofe. Ecco perché le recenti previsioni sull’Adamello sono credibili»
«Dal Novecento – periodo dell’ultima piccola glaciazione – a oggi, abbiamo perso circa 200 ghiacciai. E questo perché il modello industriale novecentesco provoca una immissione enorme di Co2 nell’aria», spiega ancora la presidente del Cipra. «Se l’uomo non ci fosse, certe oscillazioni naturali sarebbero più lente»
Più roccia esposta vuol dire meno effetto Albedo: quando c’è neve o ghiaccio, la luce del sole viene riflessa. La roccia esposta, invece, assorbe il calore e riscalda anche il ghiacciaio provocando una fusione più rapida.
(da La Stampa)
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Agosto 2nd, 2023 Riccardo Fucile
L’EX SINDACO DI TORINO SI DIMENTICA DI DIRE CHE OGNI PARLAMENTARE INCASSA OGNI MESE ANCHE UNA DIARIA PER IL SOGGIORNO A ROMA DI 3.500 EURO, UN RIMBORSO DELLE SPESE PER L’ESERCIZIO DEL MANDATO DI 3.690 EURO E AGEVOLAZIONI SU TRASPORTI E BOLLETTE
«L’indennità che ciascun deputato percepisce ogni mese dalla Camera è di 4.718 euro al mese. Si tratta certamente di una buona indennità, ma non è certamente uno stipendio d’oro». Dichiarazione che ha subito scatenato polemiche, soprattutto in giorni in cui al centro dell’attenzione degli italiani c’è il tema del reddito di cittadinanza per migliaia di persone.
Piero Fassino si è presentato in Aula sventolando il “cedolino” dello stipendio da parlamentare poco prima di votare il Bilancio interno della Camera.
«Un luogo comune è che i parlamentari godano di stipendi d’oro, qui ho il cedolino di luglio 2023, è uguale per tutti – ha spiegato Fassino-. Risulta che l’indennità lorda è di 10.435 euro, da cui giustamente vengono defalcati l’Irpef, l’assistenza sanitaria, la previdenza dei deputati che è di 1000 euro, le addizionali regionali e comunali».
Fassino ha aggiunto: «Fatti questi giusti prelievi, l’indennità netta dei deputati è di 4718 euro al mese. Va bene? Sì. L’unica cosa che chiedo è che quando sento dire che i deputati godono di stipendi doro dico non è vero, perché 4718 euro al mese sono una buona indennità ma non sono uno stipendio d’oro».
Fassino ha parlato dell’indennità, ma i parlamentari ricevono anche altre somme a vario titolo che li aiutano a rendere più agevole il loro impegno istituzionale. A loro viene infatti riconosciuta una diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma. L’importo della diaria è attualmente pari a 3.503,11 euro mensili. A tale importo sono applicate ritenute in caso di assenza dai lavori parlamentari.
A ciascun deputato, inoltre, è riconosciuto il rimborso delle spese per l’esercizio del mandato. Tale rimborso ammonta a 3.690 euro mensili ed è corrisposto per metà in via forfetaria e per la restante parte a fronte di specifiche categorie di spese che devono essere attestate con dichiarazione quadrimestrale.
E poi ci sono agevolazioni per i trasporti e per le bollette telefoniche.
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 2nd, 2023 Riccardo Fucile
LE STORIE DI CHI HA GIA’ PERSO IL REDDITO DI CITTADINANZA
Luciana stenta ancora a crederci. Legge e rilegge ilmessaggio con cui, lo scorso 27 luglio, con poche (e confuse) parole, l‘Inps le ha comunicato che a partire da agosto non potrà più beneficiare del Reddito di cittadinanza.
“Siamo una famiglia monogenitoriale, ho un figlio in affidamento esclusivo che ancora studia all’Università, un affitto da 600 euro da pagare, le spese. Il reddito mi aveva salvata, ora non so come farò”.
Per dieci anni aveva lavorato per una società di call center che operava per Trenitalia, con un contratto a tempo indeterminato: “Il primo e unico serio mai firmato”, racconta. Poi, nel 2012, l’inizio del calvario, lasciata a casa, quando nell’appalto subentrò Almaviva. “Alla mia età, a 56 anni, ho capito che ricollocarmi è quasi impossibile, almeno con un certo inquadramento contrattuale”.
Lo stesso destino di Ida, ex psicologa e mediatrice culturale che parla cinque lingue, oggi 59enne, rimasta anche lei senza lavoro. Dopo aver perso il figlio si è ammalata per diversi anni, ha perso la casa dove viveva da oltre 30 ed è stata sfrattata. “Piano piano mi sono ripresa. Mi era però rimasto soltanto il reddito, ora me lo tolgono. Con la spesa mi hanno aiutata i volontari di Nonna Roma, ma con le medicine? Grazie al reddito le potevo acquistare, mi ero anche comprata gli occhiali da vista. Come farò a curarmi ancora?”.
Un destino, quello di Ida e Luciana, comune per circa 169mila nuclei familiari, 12mila nella provincia di Roma, la seconda (dopo Napoli, con 21mila) per numero di sussidi sospesi. Perché dopo lo smantellamento e la stretta voluta dal governo Meloni, la volontà di interrompere l’erogazione del Reddito per i cosiddetti “occupabili” a sette mesi si è già trasformata in realtà.
Il reddito sarà ancora percepito soltanto dalle famiglie con minori, persone con disabilità o in carico ai servizi socio-sanitari, o persone di età pari o superiore ai 60 anni, come prevede la nuova normativa che dichiara appunto “occupabili” tutti gli altri poveri.
Escludendoli dall’Assegno di inclusione al via dal prossimo primo gennaio. Così chi ad agosto perderà il reddito, da settembre potrà al massimo chiedere il Supporto per formazione e lavoro da 350 euro al mese per 12 mesi, non rinnovabili, per seguire corsi di formazione.
Ma accedervi non sarà semplice, dato che l’Isee non dovrà superare i 6mila euro. Tradotto, servirà essere ancora più poveri dei poveri ai quali verrà concesso l’Assegno di inclusione (che prevede una soglia di 9360 euro), grazie ai componenti fragili del nucleo familiare. Con il rischio che in migliaia di famiglie restino alla fine senza alcun sostegno da parte dello Stato. E che l’unica speranza sia trovare qualche lavoro, quasi una chimera.
Intanto c’è già chi ha detto addio al reddito, a meno di non venir poi presi in carico dai servizi sociali del proprio Comune, dopo la valutazione degli stessi. Se dovessero ritenere la persona “non attivabile al lavoro“, inseriranno i dati nella piattaforma GePI, cioè quella per la gestione dei Patti per l’inclusione sociale (lo strumento per l’attuazione delle attività di competenza dei Comuni rivolte ai beneficiari del reddito di cittadinanza). Eppure, “la presa in carico da parte dei servizi sociali non è prevista per quei nuclei che presentano solo bisogni di tipo lavorativo, i cui componenti in età attiva sono stati indirizzati ai Centri per l’impiego”, si avverte già nelle faq del ministero.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Agosto 2nd, 2023 Riccardo Fucile
IL RAGIONAMENTO PARTE DAI DATI NEGATIVI DEL PIL
Giorgia Meloni sotto pressione per l’andamento dell’economia e la decisione sul reddito di cittadinanze: questo il titolo di un articolo pubblicato sul Financial Times online dedicato agli ultimi sviluppi in Italia sul fronte economico e le conseguenze per il governo. L’articolo parte della notizia ‘shock’ arrivata lunedì scorso con l’inatteso dato negativo sull’andamento del Pil.
“La brutta notizia – si legge nell’articolo – ha messo in evidenza le sfide con cui si sta confrontando il governo Meloni” alle prese con l’impatto dell’aumento dei prezzi mentre cerca di assicurare la crescita e di rendere più sostenibile il pesante debito dell’Italia.
Nell’articolo – che raccoglie i pareri di diversi analisti su quanto sta avvenendo in Italia – si ricordano poi le tensioni politiche innescate dall’avvio della revisione del reddito di cittadinanza e l’impatto sulla crescita della decisione di porre un freno anche al Superbonus, strumento che comunque ha determinato nei mesi scorsi un boom nell’attività del settore edilizio.
Ne emerge un quadro fatto di luci e ombre che, secondo gli analisti, potrebbe comunque ancora consentire all’Italia di raggiungere l’obiettivo di una crescita dell’un per cento nel 2023 fissato dal ministero delle Finanze. E questo grazie anche agli stimoli ancora attivi nonchè al sostegno derivante dal Pnrr e da una possibile ripresa della spesa da parte dei consumatori se ci sarà una riduzione dell’inflazione.
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2023 Riccardo Fucile
IL PIL CALA DI BRUTTO, SIAMO GLI ULTIMI IN EUROPA, ANCHE LA MELONI ATTRAVERSA IL GLOBO TERRACQUEO PER RACCONTARE IL “MIRACOLO ECONOMICO ITALIANO”
Riassumiamo per i non udenti, i non vedenti, gli ignari, i patrioti e quelli che guardano il Tg1: il Pil cala di brutto, siamo gli ultimi in Europa, anche se la sora Meloni attraversa il globo terracqueo per dire che c’è “un piccolo miracolo economico italiano” (sic). L’inflazione è la più alta d’Europa, 6 per cento, ma se andate a fare la spesa la trovate al 10 e passa. La benzina sfiora i 2 euro al litro, aumentano le rate dei mutui, nel caso vi venisse la balzana idea di andare in vacanza troverete alberghi più cari e voli carissimi. Centosessantanovemila famiglie in bilico tra povertà e disastro hanno ricevuto un sms con scritto “cazzi vostri”, altre ottantamila lo riceveranno a breve, sono quelli che la retorica congiunta di destra, di centro, di finta sinistra e di tutti i giornali hanno additato per anni come “fannulloni sul divano” e che ora – uh, che spavento! – si alzeranno forse dal divano e faranno un casino del diavolo, cioè, si spera. Per quelli che lavorano, invece, gli stipendi sono fermi, il salario minimo non è bello – turba l’ordine sacro del mercato e dello sfruttamento – e alla Caritas c’è gente che si mette in fila quando stacca dal lavoro sottopagato.
Nel frattempo, abbondano i regali per i ceti alti, gli evasori avranno nuovi sconti e agevolazioni, i parlamentari si riprendono i loro vitalizi con gli arretrati. Certo, anche i ricchi hanno i loro problemi: non potranno comprare una Lamborghini perché fino alla fine del 2024 gli ordini sono al completo, ed è un problema trovare un tavolo al Twiga: l’ultimo l’hanno occupato quelli di Italia Viva per il loro sushi party garantista dove si festeggiava una che non pagava dipendenti e fornitori e che fa il ministro del Turismo.
Potrei continuare, e anzi ognuno lo faccia per quel che lo riguarda, ma un dato è certo: mai come ora, estate 2023, la distanza tra due Italie è parsa così siderale e incolmabile, la società così vergognosamente scollata tra chi ce la fa agevolmente e chi arranca. Anche le politiche economiche dissennate, tutte foriere di diseguaglianze, degli ultimi trent’anni mostrano il loro fallimento: si pensava che fosse tutto ceto medio, qui, con una piccola parte fisiologica di molto poveri. E invece i molto poveri sono aumentati e il ceto medio teme – ha il terrore – di scivolare là sotto pure lui. Ciò crea una piccola borghesia spaventata, ben addestrata a indicare come nemico chi sta peggio e a non vedere – anzi a invidiare – i privilegi vergognosi di chi sta troppo meglio. Il tutto mentre una classe dirigente messa su in fretta e furia, ripescata dalle sedi del Msi, raschiata via dal fondo culturale del barile, si affanna nella sua unica riforma riuscita: chiamare Nazione un Paese sfibrato.
Questo è lo stato dell’arte, che evidenzia clamorosamente gli errori di quella che si è un po’ arditamente definita “sinistra” negli ultimi trent’anni, dal pacchetto Treu che apriva il vaso di Pandora del lavoro precario (1997) alla mitologica agenda Draghi (2022), con in mezzo incalcolabili nefandezze a punizione dei ceti più deboli. Lo stesso identico meccanismo per cui ci mancano i Canadair ma compriamo carri armati; o per cui pur dopo una pandemia e con budget illimitato, si continua a tagliare la sanità pubblica a vantaggio delle spese militari. Urge, se non per giustizia almeno per calcolo politico, qualcuno che ricominci a parlare di lotta di classe, che non è scomparsa, anzi è più viva che mai, e al momento la sta vincendo, a man bassa, la signora Santanchè.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Agosto 2nd, 2023 Riccardo Fucile
I DATI DEL SINDACATO DEI MEDICI OSPEDALIERI: DAI 400 EURO PER UN CONTROLLO CARDIOLOGICO AI 4.000 EURO PER UN INTERVENTO
Tutto nasce da una raffica di domande. Vogliamo ancora un sistema sanitario pubblico e universalistico finanziato dalla fiscalità generale? Che ruolo deve avere la sanità pubblica nella scala di priorità delle politiche nazionali? Riteniamo che il Servizio sanitario nazionale sia un bene comune da difendere? O vogliamo optare per un sistema universalistico selettivo? Quanta parte della ricchezza nazionale prodotta ogni anno (Pil) siamo disposti a destinare alla salute delle persone?
Da queste domande nasce un report di Anaao Assomed, l’associazione dei medici dirigenti, che fa “i conti in tasca” ai pazienti che decidono di curarsi privatamente. Si va dai 400 euro per un semplice check up cardiologico, ai 4.000 per un intervento di colecistectomia. Ecco, nel dettaglio, le singole voci di spesa, e i relativi costi.
Ricovero
Partiamo dal ricovero. Quanto costa al paziente un ricovero nel privato? Da 422 a 1.278 euro al giorno. Per un ricovero che richiede da una bassa a un’alta complessità assistenziale.
Costi ulteriori
Quali altri costi sono a carico del paziente in caso di ricovero nel privato? Andiamo da 1.200 euro/ora per la sala operatoria, 600 euro/giorno per la degenza in un reparto chirurgico, 400 euro/giorno per la degenza in un reparto di medicina, 165 euro/giorno per ricovero ordinario post acuzie
Interventi chirurgici
Quanto costa al paziente un intervento di colecistectomia nel privato? Risposta: 3.300 euro per Colecistectomia laparoscopica semplice, 4.000 euro per Colecistectomia laparoscopica complessa, da 3.000 a 10.000 euro la parcella del chirurgo.
Controllo del cuore
Infine, lì’ultima domanda: quanto costa un check up cardiologico al paziente nel privato? Risposta: 775 euro (con mammografia) per una donna con oltre 40 anni, 694 euro (con mammografia) per una donna con meno di 40 anni, 345 euro per un uomo di meno di 40 anni, 395 euro per un uomo di oltre 40 anni.
(da Il Sole24ore)
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Agosto 2nd, 2023 Riccardo Fucile
“SE LA VOCE DEGLI ALTRI NON RACCONTA LA MIA REALTA’, ALLORA QUELLA VOCE SARO’ IO”
«Non saranno gli altri a togliermi la voce e a fermarmi dal dire ciò che penso. Ma se la voce degli altri non racconta la mia realtà, allora quella voce sarò io». Il rapper Ghali, in un’intervista sul New York Times, torna alle origini e ripercorre la sua carriera a ritroso, a ritrovare il senso che lo ha portato a essere quel che è oggi.
Un rapper amatissimo in Italia, e che ha sfidato, più di una volta, il preconcetti nei suoi confronti. A partire dalle sue origini tunisine: un aspetto che mediaticamente – quando Ghali era bambino – veniva sempre associato a qualcosa di negativo sui media italiani: «Ero arrivato al punto di vergognarmi del mio nome».
E però, grazie al rap, la questione è cambiata: «Amavo il mondo del rap italiano, ma non mi sono sentito rappresentato, non stavano parlando di me, ma sapevo che in Italia cominciavano a esistere i figli degli immigrati, ma nessuno avrebbe raccontato la loro storia».
E così, decise che sarebbe stato lui a farsi portavoce di un’intera galassia di giovani immigrati che non avevano nulla da spartire con i connotati negativi che venivano enfatizzati dai media italiani.
Una rappresentazione che generava in lui rabbia, ma nel tempo sono diventate spinta propulsiva: «Ero già penalizzato per essere arabo, dovevo piacere. Non volevo essere accettato solo dai “ragazzi che frequentano la strada”, volevo essere accettato dalle famiglie italiane, volevo essere riconosciuto come artista nazionale».
E insieme a lui, da sempre, la mamma, citata anche nel testo di Flashback: «Mio padre non c’è, se n’è andato via, ha pensato a sé, non è colpa mia, mia madre con me nella guerrilla». E pian piano il successo, con fatica e tanta tenacia, è arrivato.
L’integrazione attraverso il linguaggio
Ma anche nel mezzo del successo, molte volte Ghali dice di non essere stato propriamente capito, anzi. Come nel caso di Cara Italia, che ha ricevuto plausi da più parti, perché da molti è stata considerata una lettera d’amore per il Paese, quando invece conteneva durissime critiche. E Ghali ricorda: «Alcuni dicevano: “Che bravo ragazzo”, “Che bravo straniero!”, “Straniero, ma è bravo”. Ma io non sono né bravo, né straniero». E come spiegato dal giornalista musicale Andrea Bertolucci, Ghali, con la sua musica, nel tempo «ha dato finalmente voce a una comunità che non ha mai avuto una rappresentanza politica, sociale, religiosa e nemmeno linguistica», grazie anche ai «riferimenti culturali comuni a molti giovani di seconda generazione, l’innovativa miscelazione – o addirittura “contaminazione” – della lingua italiana con l’arabo, il francese, lo spagnolo e l’inglese, creando un territorio di rivendicazione linguistica per coloro che , come lui, si sentiva escluso dai diritti di cittadinanza e di integrazione».
La questione migratoria e il diritto al sogno
Il Mar Mediterraneo ha sempre rappresentato un punto fermo, un elemento che separa le fortuna a seconda del lato da cui ci si trova. C’è dunque la questione dei fenomeni migratori, con la disperazione di chi è consapevole che il costo delle traversate potrebbe anche essere quello di rimetterci la vita propria e dei propri figli, parenti o amici. Traversate sempre accompagnate sì dalla disperazione, ma anche dalla speranza e dalla fede di riuscire ad arrivare salvi dall’altra parte del Mediterraneo.
E dopo anni, «a soffocare le mie origini, tradizioni, credenze, per integrarmi in una società che non ti accetta per quello che sei», Ghali ora ha deciso di lasciarsi il tutto alle spalle e tornare nuovamente a esprimersi.
E Ghali, con la sua musica non solo non è più «lo straniero», ma si è fatto “ponte” tra Tunisia e Italia: «Malgrado tutte le cattive notizie che arrivano, nonostante i pericoli, le persone continuano a voler lasciare la Tunisia e mi chiedono aiuto».
Ma c’è un punto su cui Ghali non ci sta, quello di sentire continuamente che i migranti non stanno fuggendo dalla guerra e i nordafricani non hanno alcun motivo legittimo per andarsene dai loro paesi d’origine. E concludendo Ghali spiega: «In Tunisia impari fin da piccolo che non puoi sognare. Ti privano subito del diritto di sognare. Cosa fa una persona che qui si rassegna a non avere più sogni, che magari smette anche di sognare? Se in Italia si può sognare, allora per un giovane tunisino che vuole fare qualcosa nella vita se ne va, almeno per sognare, per avere il diritto di sognare».
(da Open)
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Agosto 2nd, 2023 Riccardo Fucile
BASTEREBBE INFORMARE GLI ESCUSIONISTI COME CI SI DEVE COMPORTARE E NESSUNO LI INSEGUIREBBE
Le analisi genetiche eseguite dai laboratori della Fondazione Edmund Mach hanno consentito di stabilire l’identità dell’orsa accompagnata da un piccolo che, all’alba di domenica, ha inseguito due escursionisti nei boschi di Roncone. Si tratta di F36, esemplare di 6 anni il cui codice identificativo compare nei monitoraggi del Corpo forestale trentino. Lo comunica la Provincia di Trento.
Finora l’esemplare non aveva assunto comportamenti classificabili come problematici. Alla luce della reazione assunta dall’animale in occasione dell’incontro ravvicinato, configurabile come un attacco, il presidente della Provincia Maurizio Fugatti – precisa la nota – ha stabilito la cattura per il radiocollaraggio. In base a ulteriori accertamenti previsti, potranno seguire i provvedimenti conseguenti, tra i quali anche quello di abbattimento.
«Con un cosiddetto ‘falso attacco’ l’orsa ha fatto il suo “dovere di madre” dettatole dalla natura e, come si è visto, non ha voluto attaccare per uccidere – commenta l’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) che ha già disposto un accesso agli atti tramite il suo Ufficio legale per conoscere i dettagli del procedimento che riguarda il plantigrado”.
“Continuano a essere sconcertanti le dichiarazioni di questi giorni del presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, che ha ventilato da subito l’abbattimento della povera madre», osserva il presidente dell’Oipa, Massimo Comparotto. «Ormai il Trentino è famoso in tutt’Italia e all’estero per i provvedimenti adottati nei confronti della fauna selvatica. La Provincia pensi a prevenire episodi del genere anche informando la cittadinanza e gli escursionisti su come ci si comporta in montagna, invece di continuare a evocare come sempre catture e abbattimenti anche come “strumento elettorale”. Fugatti annuncia il radiocollaraggio: si fermi lì».
L’associazione invita la Provincia, invece “di lavorare per la morte, ad avviare iniziative per una serena convivenza tra uomo e animali selvatici attraverso una maggiore ed efficace informazione a residenti, turisti ed escursionisti, sistemi di dissuasione che allontanino la fauna dall’abitato, corridoi ecologici per evitare incidenti – si legge ancora nella nota -. L’Oipa ricorda che a metà maggio ha inviato al Ministero dell’Ambiente un documento articolato con una serie d’indicazioni su come gestire gli orsi nella Provincia di Trento. Su questa base sarebbe opportuno, invece di lasciare “carta bianca” al presidente Fugatti e alla sua Giunta, avviare un tavolo tecnico con amministratori, esperti e associazioni protezionistiche per decidere insieme il modo migliore di gestire la specie, per la loro tutela e quella di residenti ed escursionisti”.
(da agenzie)
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