Agosto 9th, 2023 Riccardo Fucile
“E IL GENITORE? FA IL PUSHER E DÀ CENTO EURO AL FIGLIO SAPENDO CHE VANNO IN SPRITZ E PRETENDE CHE PAGHIAMO LA SUA INCAPACITÀ EDUCATIVA”
“Un Governo serio non può proporre taxi gratis per chi beve in discoteca. Ho chiesto lumi anche al Governatore del Veneto, Luca Zaia che stimo seriamente ma non mi ha risposto: è forse imbarazzato per l’iniziativa del suo leader Matteo Salvini?”.
A parlare è Paolo Crepet, sociologo, psichiatra, scrittore che è su tutte le furie per l’esperimento voluto dal ministro leghista dei Trasporti e delle Infrastrutture
“L’idea di per sé è quasi offensiva per la signora che deve fare la chemio e deve pagarsi il taxi. Tutto il resto è roba da osteria. Il messaggio è chiaro”, dice Crepet ironicamente a FQMagazine: “Ubriaconi di tutto il mondo unitevi, per fare la parodia di Marx. Vorrei capire la ratio, siamo noi a dover pagare questi taxi”.
Lo psichiatra non risparmia nulla al Governo: “Si fanno tagli sulla salute, alle scuole, poi a qualcuno viene l’ideona di pagare il taxi a una famiglia che ha la Porsche sotto il sedere“.
Se la prende persino con i propri lettori: “Tutti i genitori sono d’accordo? Io che riempio le piazze, mi chiedo fuori dall’ironia: cosa ci vengono a fare ad ascoltarmi se questo è il risultato? Se leggessero davvero i miei libri, riderebbero. Mi interessa parlare non solo del proponente ma del silenzio compromettente del genitore che fa il pusher nel dare cento euro al figlio sapendo che vanno in Spritz e quant’altro e pretende che paghiamo la sua incapacità educativa”.
(da il Fatto Quotidiano)
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Agosto 9th, 2023 Riccardo Fucile
E I POVERI STRONZI CHE HANNO PAGATO DI PIU’ PER ANNI CON IL TASSO FISSO, SO’ FESSI?
Il governo ha deciso di tassare gli utili delle banche. Nello specifico, gli istituti di credito dovranno versare il quaranta per cento degli extra profitti dell’anno in corso e di quello passato.
L’idea di tassare i profitti “extra” (ma, poi, come si definisce la quota extra?) non è certamente nuova. Ci aveva provato il governo Draghi tassando quelli delle imprese energetiche. La decisione non si è rivelata molto fortunata. Diverse aziende hanno fatto ricorso e non hanno versato all’erario l’importo dovuto.
Questa volta, però, la misura adottata lascia ancora più perplessi. Per quattro ordini di motivi. Il primo motivo riguarda la giustificazione. Il vicepremier, Antonio Tajani, ha spiegato che il governo deve «riparare agli errori della Banca centrale europea». Secondo Tajani la Bce «sbaglia ad alzare i tassi di interesse» perché ciò si ripercuote sui mutui delle famiglie, che diventano più cari.
Il rialzo dei tassi è lo strumento che usano tutte le banche centrali per combattere l’inflazione. L’inflazione è una tassa. Della peggior specie perché colpisce maggiormente le persone meno abbienti. Pertanto, reagire è necessario. L’intervento dell’Istituto di Francoforte crea – certamente – un rallentamento dell’economia. Ma, è temporaneo.
La strategia alternativa, quella di non far niente o far poco, è ben più rischiosa perché può generare un innalzamento permanente del caro vita. A quel punto, la stretta monetaria dovrà essere ancor più restrittiva. Chi, come Tajani, si ostina a dire che la Bce sbaglia sta raccontato una storia a metà. Dove, come al solito, viene fatto passare il messaggio che non ci sono costi da pagare. Purtroppo, ci sono. Il rallentamento dell’economia è inevitabile. Ma, come si è detto, non è duraturo.
Il secondo elemento di perplessità riguarda l’obiettivo. «La tassa sugli extra è un provvedimento» per usare sempre le parole di Tajani – «a protezione delle famiglie che si sono trovate in difficoltà per il pagamento dei mutui». Il ministro si riferisce, ovviamente, alle famiglie che hanno un mutuo a tasso variabile. E che ora, con il rialzo dei tassi, devono pagare rate molto salate.
È importante ricordare che queste famiglie hanno scelto un mutuo a tasso variabile in maniera libera e consapevole. Peraltro, quella scelta si è rivelata a lungo vincente. Per oltre dieci anni i tassi che hanno pagato sono stati di gran lunga inferiori a quelli di chi, invece, li aveva fissi.
Con il nuovo contesto, però, le parti si sono invertite. Chi ha sottoscritto un prestito a tassi variabili deve sostenere costi maggiori. Il mercato funziona così. Si chiama rischio. Dovrebbe essere gestito di chi ha deciso di prenderselo. E, invece, il governo ha deciso di spalmarlo anche su altri.
A cominciare dagli azionisti delle banche che, in queste ore, hanno visto scendere il valore del loro investimento. Tra questi ci sono anche semplici risparmiatori. Ossia famiglie che – magari – hanno proprio un mutuo a tasso fisso. Si crea, così la paradossale situazione in cui chi ha rischiato viene sovvenzionato da chi non lo ha fatto. Un premio all’azzardo morale.
Il terzo punto è l’impatto. A fronte di questa tassa, le banche tenderanno a ridurre la quota di utili destinata ad aumentare il capitale necessario per erogare nuovi prestiti. Ciò significa meno prestiti a famiglie e imprese. L’esatto opposto del risultato atteso.
Il quarto e ultimo elemento di criticità è associato all’utilizzo delle risorse derivanti da questa extra tassa. Il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha spiegato che verranno impiegate per il taglio del cuneo fiscale. La legge di bilancio 2023 ha già finanziato una parte di questo taglio con il ricorso all’indebitamento. Come è noto, per ridurre le tasse in maniera strutturale (e, quindi, credibile) servono coperture permanenti. Quelle derivanti dalla tassa sugli extra profitti, lo ha spiegato lo stesso Salvini, sono “provvisorie”.
L’analisi economica suggerisce che quando i tagli delle tasse non sono percepiti come permanenti, verranno utilizzati principalmente per aumentare i risparmi, non i consumi. L’effetto sulla crescita sarà, di conseguenza, limitato. Se davvero si vuole abbassare la pressione fiscale, l’unica strada è quella della riduzione delle spese. Di cui, però, non si parla.
(da La Stampa)
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Agosto 9th, 2023 Riccardo Fucile
CONTINUA A SOSTENERE IL FALSO SENZA CONTRADDITTORIO NEI SUOI MESSAGGI SOCIAL, L’INCONTRO SERVE SOLO A FARE PASSERELLA PER CONTENERE I SUOI ELETTORI CHE SONO FAVOREVOLI AL SALARIO MINIMO… LEI RISPONDE AGLI ELETTORI O AI POTERI FORTI?
Le opposizioni sono state invitate a Palazzo Chigi per un confronto con Giorgia Meloni e altri membri dell’esecutivo. La convocazione è arrivata ieri, martedì 8 agosto: l’appuntamento è fissato per il prossimo venerdì e, all’ordine del giorno, c’è il salario minimo. Tutti i partiti di centrosinistra, chi con scettecismo chi con entusiasmo, hanno risposto “sì” all’appello. Tutti tranne Italia Viva che, essendo l’unico soggetto dell’opposizione a non aver siglato la proposta di legge sul salario minimo, si è tirata fuori. Tuttavia, non è passato nemmeno un giorno dalla chiamata a Palazzo Chigi che quell’incontro rischia già di saltare. Meloni non avrebbe alcuna intenzione di discutere della loro proposta, ma di affrontare il tema in maniera più estensiva. Come l’hanno saputo le opposizioni? È stata lei stessa a dichiararlo, sui canali social, nella sua abituale rubrica Gli appunti di Giorgia. «Perché non abbiamo accolto la proposta sul salario minimo così come viene presentata? Se stabilissi per legge una cifra minima oraria di retribuzione per tutti, allora il salario minimo potrebbe rischiare di essere più basso del minimo contrattuale previsto. Il paradosso è che rischierebbe di diventare un parametro sostitutivo e non aggiuntivo peggiorando molto di più i salari rispetto a chi li migliora. Il titolo è accattivante, ma il risultato rischia di essere controproducente», ha sentenziato la presidente del Consiglio.
Magi, Bonelli e Fratoianni protestano
Il segretario di +Europa, Riccardo Magi, è il primo a domandarsi «che senso abbia l’incontro di venerdì con le opposizioni a Palazzo Chigi», constatata la «rigidità delle posizioni di Meloni sul salario minimo». E ha chiarito: «Se c’è la volontà di aprire alla nostra proposta bene, altrimenti non regaleremo a questo governo una passerella per poter dire “guarda quanto siamo bravi”. Se c’è una reale volontà di dialogo, ben venga l’incontro di venerdì. Altrimenti se dovesse esserci solo un muro contro muro, meglio rivedersi in Parlamento e vedere chi vuole il salario minimo e chi no». A stretto giro, anche i leader di Alleanza verdi sinistra, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, hanno pubblicato una replica alla presidente di Fratelli d’Italia: «Il video di Meloni sembra una provocazione. Continuare a sostenere che il salario minimo porterà verso il basso anche gli altri contratti di lavoro significa dire il falso. Oppure dimostra che la presidente del Consiglio non ha letto la nostra proposta, che invece sostiene e rafforza la contrattazione collettiva». I due, a questo punto, hanno riproposto la stessa domanda di Magi: «Se Meloni ha convocato in pompa magna le opposizioni per ribadire il suo “no” alla legge sul salario minimo allora la domanda sorge spontanea. Cosa ci ha convocato a fare? Se lo scopo della convocazione è solo quello di organizzare una passerella del governo in difficoltà su questo tema, ce lo facciano sapere. Perché di perdere tempo non ha voglia nessuno. E il Parlamento è la sede in cui confrontarsi e decidere».
(da agenzie)
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Agosto 9th, 2023 Riccardo Fucile
ORA ROMPONO LE PALLE PER IL 20% DI LICENZE IN PIÙ NELLE GRANDI CITTÀ, CHE CHIEDONO SIANO RILASCIATE A TITOLO ONEROSO
Quanto costa una licenza taxi? In media, considerando le grandi città, oscilla intorno ai 100-120 mila euro. Attenzione, però, la forbice è molto grande. Tra i diversi Comuni il prezzo varia di molto: il valore dipende dal numero di auto bianche in circolazione, se è una città turistica oppure d’affari e pure le decisioni sulla viabilità fatte dalle amministrazioni incidono.
Una Ztl chiusa al traffico per molte ore al giorno, ad esempio, o aree pedonali vaste senza parcheggi obbligano ad un uso maggiore dei taxi. Sono tutti elementi che contribuiscono a definire il prezzo.
Non mancano gli studi, come quelli fatti dalle direzioni regionali delle Agenzie delle entrate a Roma e Milano. Secondo l’Agenzia si parte da un minimo di 125 mila euro a Roma, mentre la direzione della Lombardia ha stimato per Milano 115 mila. In entrambi i casi è necessaria però una rivalutazione che porta le cifre intorno a 140-150 mila euro. E se si vanno a guardare gli annunci di messa in vendita sui forum di settore si arriva a richieste che sfiorano i 180 mila euro.
Non mancano i casi limite, come a Firenze, si può arrivare anche a superare i 250 mila euro. A Bologna si arriva anche ai 200 mila euro. Possono sembrare cifre da capogiro, ma proprio nei casi di Firenze, dove i taxi sono 754, e Bologna, 722 auto bianche, sono i Comuni ad aver fissato un tetto minimo al di sotto del quale è difficile andare. Nel capoluogo della Toscana sono state messe a bando 70 autorizzazioni, altre 36 per la “capitale” dell’Emilia Romagna. Valore per ciascuna licenza? 175 mila euro.
È la ragione per cui la categoria insiste con il governo Meloni, considerato amico delle auto bianche, sulla necessità che il 20% di licenze in più concesse nelle grandi città debba essere rilasciato a titolo oneroso. «Così salviamo il valore della nostra liquidazione, questo per noi è la licenza », dicono i più vecchi. E aggiungono: «Si tratta di transazioni su cui noi paghiamo regolarmente le imposte e le tasse sulle plusvalenze. Il 23%. Ecco perché l’Agenzia delle Entrate è attenta alle compravendite e ai valori». Vero. Però i soldi che i Comuni prenderanno dalle nuove licenze non andranno tutti nelle casse dell’amministrazione, ma una parte verrà girata agli autisti e alla categoria.
Il tassista può cedere quando va in pensione o se sono passati cinque anni dall’inizio dell’attività. È un mercato, però, molto ristretto. In un anno, nelle grandi città, i passaggi di proprietà sono pochi, nell’ordine di qualche decina.
Oltre a Firenze e Bologna, al centro della questione ci sono soprattutto Milano e Roma. Le foto delle code nelle stazioni ferroviarie di Termini e Centrale hanno fatto il giro del mondo.
Uno dei punti deboli è il trasporto pubblico, taxi compresi. Il numero delle licenze è di 7.900 a Roma e 4.855 a Milano. A Milano il sindaco Giuseppe Sala ha già deciso di lanciare una gara per mille nuove licenze. Alla fine, considerando il tetto del 20%, saranno un po’ meno. Quale sarà il prezzo? Non è ancora stato deciso e il Comune non si sbilancia. A Napoli le auto bianche sono 2400 e il valore delle autorizzazioni in circolazione è di poco sopra i 100 mila, mentre a Torino le macchine bianche sono poco più di 1.400. Un numero che copre il fabbisogno. Valore? Sotto i 100 mila euro. Difficile che vengano emesse nuove autorizzazioni.
(da agenzie)
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Agosto 9th, 2023 Riccardo Fucile
PER UN LITRO D’ACQUA CHIEDONO CINQUE EURO, IL PESCATO DEL GIORNO È A 130 EURO AL CHILO, LE OSTRICHE A 8 EURO L’UNA, PER UNA LINGUINA ALL’ASTICE BISOGNA SGANCIARE 38 EURO…AI TEMPI IN CUI C’ERANO I RUSSI, ARRIVANO A SPENDERE 8 MILA EURO PER UNA SERATA
Mattina presto, cioè per il fuso locale le dieci. Una ventina di manifestanti invadono la sabbia già rovente. Attraversano le nove file di tende deserte, arrivano al mare. «Più spiagge libere! Meno concessioni!». Sono quelli del Coordinamento nazionale per il mare libero, e manifestano ogni luglio in vari litorali italiani. È ovvio che per la Versilia scelgano sempre il Twiga: i bagni fondati da Flavio Briatore e Daniela Santanché pagano ogni anno 17 mila euro per la concessione, e la Twiga srl ne fattura 8,4 milioni, con un utile di 636 mila (bilancio 2022). Lo stesso Briatore ripete a ogni intervista: «Dovremmo pagare di più»
Al bar del Twiga Forte dei Marmi, a Marina di Pietrasanta, un litro ne costa cinque. Il primo è regalato, noblesse oblige, a chi prenota per cinquecento euro al giorno una «tenda araba»: una delle quarantacinque che compongono i bagni Twiga, dove non ci sono ombrelloni. Il sabato e la domenica è tutto pieno per tutta l’estate.
Prendiamo possesso di una tenda in quinta fila, quattro metri per quattro: due lettini con teli e materassi Magniflex, un divano, una poltroncina, accesso «all’esclusiva piscina». Il mare ha bandiera rossa, cioè vietato nuotare; all’ombra della tenda araba fanno trentotto gradi; per un po’ di fresco cerchiamo l’«esclusiva piscina» dal fondale decorato a macchie di giraffa (Twiga in swahili vuol dire giraffa). È chiusa da qualche giorno. Protestiamo che il biglietto di ingresso al Twiga Beach Club costa lo stesso 500 euro.
Dalle 10, quando il Twiga apre, alle 19.30 quando lo staff del servizio serale ci caccia, stare qui ci costa un euro al minuto: come una vacanza in taxi.
Eppure, giurano i nostri vicini di tenda, «ne vale la pena». Un ex calciatore della Juventus ha prenotato per tutta l’estate, da maggio a settembre. «Spendo 15», dichiara, cioè 15 mila euro: di più, ma non sideralmente di più, di una stagione ai più borghesi stabilimenti del resto del lungomare
Verso mezzogiorno una tenda su tre è occupata. La Presidenziale, così lo staff chiama con reverenza la pagoda di 40 metri quadri di fronte al mare, si riempie con trenta italoamericani in formazione Succession – nonni, figli, nipoti, fidanzati e fidanzate – e con un look da Soprano’s. Il prezzo «è su richiesta». Ma è «a disposizione della proprietà», precisa la manager dei bagni Teresa Iasiello. È qui che «la dottoressa», cioè Daniela Santanché, passa il sabato e la domenica fumando e giocando a carte. Anche oggi che, ministra, ha venduto le sue quote del Twiga. Le ha vendute però al compagno e a Flavio Briatore.
Un’inchiesta del quotidiano Domani dimostra che il suo debito con il fisco, 1,9 milioni, sarà pagato proprio con il fatturato del Twiga tramite una società. Qualcuno parla russo. […] Non c’è più “La Russa”, che qui non è un politico, ma una leggendaria moscovita che forse è sotto sanzioni, e ai tempi d’oro pagava al Twiga ogni sera «conti da 80mila euro».
Pranzo al ristorante. Dal menu brillano il pescato del giorno a 130 euro al chilo; le ostriche a 8 euro l’una; le linguine all’astice (38); ordino, solo per scriverne, gli spaghetti Flavio (20), aglio e olio al dente con datterini. I gelati in carta sono Bindi, come in pizzeria. Vini, il meno caro è un Vermentino di Luni, 50 euro.
Tiene banco – sono le 14.30, il dj pompa come alle due di notte – un tavolo di tutte donne, tutte bionde, atletiche; festeggiano il compleanno della capotavola, una tributarista di fama in caftano Pucci.
All’aperitivo compare lei: la padrona di casa. Daniela Santanchè, in raso smeraldo, al seguito un cagnetto e il compagno Dimitri Kunz che del Twiga presiede il cda. Mi avvicino per salutarla, perfetta ignota, e risponde con un sorriso. Scambiamo due chiacchiere, mi presento. Sono una giornalista. Indagata per falso in bilancio, assediata dai media da quando Report ha svelato in un’inchiesta i dissesti patrimoniali della sua società Visibilia, la ministra del Turismo per un istante sembra pensare: persino qui? Ma poi: cosa fa questa sera, mi chiede. E’ qui con noi? Non ho trovato posto. «Mi lasci il suo nome». Se vorrò, sono sua ospite.
Accetto volentieri l’invito ma pagherò il conto. Torno ore dopo, in piena «cena danzante»: i parcheggiatori sono in effetti avvertiti del mio cognome, e la mia 500 bianca entra senza imbarazzo in una fila di Ferrari e Bugatti.
Sui tavoli gusci di ostriche, ciotole di ciliegie, decine di vuoti di Dom Perignon; i camerieri-animatori entrano a portarne altro vestiti da Ghostbusters, poi da pirati, la musica è quella di un qualsiasi Capodanno di over 40, gli Abba, Ymca, Love Generation, tormentoni degli ultimi decenni: e infatti proprio tutti stanno ballando.
Studenti della Bocconi o della Cattolica con shampoo cioè champagne da mille o duemila euro; i loro genitori; coppie di sessantenni molto eleganti, uomini coi capelli grigi ravviati all’indietro, ragazze che si fotografano, l’ex parlamentare Italo Bocchino, Michelle Hunziker in tutina senape. Tutti sono qui per fare quello che si fa in un qualunque circolo, e certo ovunque a Forte dei Marmi, casa al mare dell’imprenditoria italiana: stringere relazioni utili.
Solo che i cancelli di molti altri circoli sono spesso blindati: qui la sensazione è che la selezione all’ingresso si basi su attributi più venali e attingibili dell’imperscrutabile, fumoso «prestigio».
Tra i tavoli passa l’anfitriona Santanché in pantaloni di strass, tacchi 14, una parola cara per tutti. Mi avvicino e mi chiede se mi sto divertendo e non aspetta la risposta: «Questo», dice, «è un posto senza pari». Poi si gira: è arrivata la consueta pattuglia della polizia locale, con le uniformi, e c’è da accoglierli e offrir loro da bere.
Lo fa personalmente.
(da agenzie)
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Agosto 9th, 2023 Riccardo Fucile
ORA CI GIOCHIAMO PURE I VOLI LOW COAST…“ALGORITMO? MIO DIO! NON CI SONO ALGORITMI. NON SAPPIAMO CHI COMPRA I NOSTRI BIGLIETTI A 20, 30, 40 EURO” … URSO CERCA DI TAMPONARE:”APERTO AL DIALOGO”
«Ridicola e illegale». Così l’amministratore delegato della compagnia Ryanair, Eddie Wilson, ha definito la parte sul caro voli inserita nel decreto Asset e Investimenti del governo Meloni, approvata all’ultimo Consiglio dei Ministri (prima della pausa estiva) di lunedì 7 agosto.
A suo avviso, deve essere assolutamente «cancellata perché è in netto contrasto con il regolamento 1008 dell’Unione europea che lascia le compagnie libere di fissare i prezzi».
In caso contrario – spiega in un’intervista all’Ansa – «avrà un impatto sull’operatività di Ryanair in Italia».
Un autogol
Secondo le previsioni del Ceo, rischia di rivelarsi tutto un autogol perché porterebbe all’apertura di nuove rotte lontane dall’Italia. Infine, ci tiene a replicare al presidente della Regione Sicilia, Renato Schifani, che ha accusato l’azienda di aver fatto cartello sui voli per Sicilia e Sardegna: «Non mi lascio insultare. Ryanair ha raggiunto oltre 185 milioni di passeggeri perché abbiamo abbassato i prezzi e diamo valore, non abbiamo bisogno di parlare con compagnie incompetenti. Non ho mai parlato con nessuno, mai parlato con qualcuno in Ita. Dice spazzatura».
“Algoritmo? Mio Dio! Non ci sono algoritmi. Non sappiamo chi compra i nostri biglietti a 20, 30, 40 euro. Non facciamo profilli dei nostri clienti. Come potremmo? Penso che queste persone che dicono queste cosa hanno guardato troppo Netflix, non vivono nel mondo reale. Noi iniziamo offrendo i prezzi più bassi e poi andiamo su progressivamente”. Così l’amministratore delegato della compagnia Ryanair, Eddie Wilson, spiegando che “non possiamo convincere la gente a volare con noi se non vogliono, solo il prezzo li può convincere ed è per questo che abbiamo tanto successo. Da anni offriamo i prezzi più bassi”.
“Non siamo parte di un cartello, non mi lascio insultare. Ryanair ha raggiunto oltre 185 milioni di passeggeri perché abbiamo abbassato i prezzi e diamo valore, non abbiamo bisogno di parlare con compagnie incompetenti. Non ho mai parlato con nessuno, mai parlato con qualcuno in Ita”. Lo ha detto l’amministratore delegato della compagnia Ryanair, Eddie Wilson, in una intervista all’ANSA, sottolineando che chi dice che Ryanair abbia fatto cartello sui voli per Sicilia e Sardegna, come per esempio il presidente della Regione siciliana Renato Schifani, “dice spazzatura, nient’altro che spazzatura”.
Cosa prevede il decreto
La compagnia punta così il dito contro la parte di testo che introduce il divieto di ricorrere alla fissazione dinamiche delle tariffe aeree quando si verificano le seguenti condizioni: ricoprono rotte nazionali di collegamento con le isole, avvengono o durante un periodo di picco di domanda legata alla stagionalità o in concomitanza di uno stato di emergenza nazionale, il prezzo aumenta del 200% rispetto alla tariffa media del volo. Inoltre, il governo definisce come «pratica commerciale scorretta» il metodo di determinare i prezzi secondo logiche di profilazione degli utenti e del dispositivo usato dagli stessi.
Ma per Wilson – spiega a Repubblica – si tratta di «una teoria complottista basata sulla fantasia di persone che non hanno abbastanza lavoro da fare».
Urso aperto al dialogo con le compagnie aree
Nel frattempo, il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, in una conferenza stampa in merito al decreto Asset ha fatto sapere di aver avuto un incontro proprio con il Ceo di Ryanair che gli ha spiegato i piani di sviluppo significativi nel Paese che ha portato la sua compagnia e le problematiche che si trova ad affrontare. «Sono disponibile a incontrare anche le altre compagnie per capire se il provvedimento può essere migliorato in conversione parlamentare», ha dichiarato.
(da agenzie)
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Agosto 9th, 2023 Riccardo Fucile
ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA, SUL “CORRIERE” NON HA DUBBI: “ALTRO LIVELLO CULTURALE, PREPARAZIONE E DIGNITA’ DEL PROPRIO RUOLO”
Nel suo editoriale del 4 agosto sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia scrive che non c’è paragone tra la Prima e la Seconda Repubblica. Il confronto, secondo della Loggia, va tutto a favore della Prima “per livello culturale, per preparazione, per carattere, per capacità di discussione e di direzione, e vorrei aggiungere per la consapevolezza del significato e quindi della dignità del proprio ruolo”.
Per una volta sono d’accordo con Monsignore. Del resto, anno più, anno meno, siamo della stessa generazione, possiamo avere, e abbiamo, posizioni diversissime su tutto, ma abbiamo vissuto gli stessi tempi e i fondamentali restano comuni. È la stessa sensazione che provo con altri intellettuali con cui ho spesso battagliato che hanno più o meno la mia età, Paolo Mieli per fare un esempio tra i tanti. La Prima Repubblica l’abbiamo vissuta in presa diretta, la Seconda, con l’età che avanzava, ci siamo più spesso limitati a osservarla.
A quello che scrive Ernesto aggiungerei che i protagonisti della Prima Repubblica avevano il senso e il rispetto delle Istituzioni.
Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani si sono sempre difesi nel processo e non hanno mai affermato di essere vittime di una “magistratura politicizzata”. Oggi anche una qualsiasi Daniela Santanchè si dichiara vittima.
Tanti anni di berlusconismo non sono passati senza colpo ferire, hanno tolto agli italiani, a tutti gli italiani non solo ai politici, quel poco di senso della legalità che gli era rimasto.
C’era corruzione nella Prima Repubblica? Sì, ma limitata a fatti ben delineati. E fu Giacomo Mancini il primo a violare quello che era un dogma, il dogma dell’onestà, per i borghesi se non altro perché l’onestà dava credito (adesso in quel mondo l’onestà è diventata un disvalore perché una minaccia agli interessi del capitale), per il mondo contadino dove violare la stretta di mano significava essere messi al margine della comunità, per il mondo proletario che aveva una sua etica seppur opposta a quella dei borghesi.
Non a caso Mancini fu prodromo di Bettino Craxi, che pure si diceva vittima della “magistratura politicizzata” invece che dei crimini che aveva commesso, e Craxi fu prodromo di Berlusconi.
È incredibile, e doloroso, il patrimonio che il Partito socialista ha scialacquato nel giro di pochi decenni. E, a mio avviso, quella socialista rimane l’idea più bella perché cerca di coniugare una ragionevole uguaglianza sociale con i diritti civili, mentre il comunismo anche nei rari casi in cui ottiene un’uguaglianza sociale lo fa a scapito dei diritti civili.
Oggi viviamo in un immenso “mondo di mezzo” dove non si riesce mai a capire se la persona che ti sta davanti è una persona onesta o un mascalzone. Non voglio dire con ciò che tutti i politici di oggi siano corrotti o corruttibili,
Ma anche la simpatica Meloni, oggi un po’ meno simpatica perché sembra che il potere le abbia dato alla testa perché o si fa quello che dice lei o nisba, sconta un gap culturale che si è venuto allargando nel corso degli anni.
Lasciando perdere i mitici Einaudi e De Gasperi, i rappresentanti della Prima Repubblica erano uomini di cultura. Lo era Andreotti, lo era Fanfani, che fu docente di Storia economica durante il fascismo alla Cattolica di Milano e nel dopoguerra alla Sapienza di Roma, lo era Aldo Moro di un’intelligenza sottile, forse troppo sottile (“le convergenze parallele”) che rovinò la sua figura con le imbarazzanti, chiamiamole così per carità di patria, lettere dal carcere delle Br, lo era il bifido Togliatti, lo era Giorgio Almirante che aveva anche il vantaggio di provenire da una famiglia di teatranti (la compagnia Almirante-Rissone, che sfornò, tra gli altri, il giovanissimo Vittorio De Sica).
Noi, intendo della Loggia, me stesso e tutti gli intellettuali nati a cavallo fra la fine della Seconda guerra mondiale e gli anni successivi, non siamo stati capaci – o per meglio dire: non eravamo in grado – di fermare questa deriva anche perché la cultura italiana è stata soggiogata, in tutto, anche nella musica e nel cinema, da quella americana, dalle serie, dai podcast. Non che in Italia non ci siano ottimi registi, ma sono sommersi da un eccesso di offerta per cui si fa fatica a individuarli.
E così noi, stanchi, stanchissimi, nel novembre della nostra vita, guardiamo immalinconiti, disillusi e sempre più impotenti un’Italia ridotta in pezzi.
Massimo Fini
(da il Fatto Quotidiano)
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Agosto 9th, 2023 Riccardo Fucile
IL PREMIER BRITANNICO SUNAK, FIGLIO E NIPOTE DI IMMIGRATI, DEGNO DEI PEGGIORI SCHIAVISTI
Dio salvi gli ultimi dai penultimi. L’estrema durezza del premier britannico Rishi Sunak nei confronti degli immigrati, soprattutto quelli africani, conferma una volta di più una costante delle migrazioni.
Dicono infatti le cronache che il capo del governo inglese, per scoraggiare il costante arrivo di disperati che riescono a sbarcare in Inghilterra a dispetto delle crescenti rigidità nei controlli dopo la Brexit spacciata dai demagoghi come il magico ritorno ai tempi antichi con le frontiere blindate, butta lì ogni giorno un’idea diversa.
Prima quella di deportarne il più possibile in Ruanda. Poi di depositarne una parte sulla vulcanica Ascension Island, a metà oceano tra l’Angola e il Brasile. Quindi di ammassare gli indesiderati su dormitorio galleggiante attraccato nel porto di Portland.
Tutte scelte impraticabili già un secolo e mezzo fa (ci provò l’allora capo del governo italiano Federico Menabrea a liberarsi di tanti meridionali invisi chiedendo di accoglierne un po’ prima all’Argentina poi al Borneo: richieste respinte) ma a maggior ragione sorprendentemente dure perché lo stesso Sunak è figlio e nipote di emigrati. I nonni cercarono una vita migliore partendo dall’India verso la costa orientale africana (come moltissimi indiani, si pensi a Gandhi nel Sudafrica britannico), il padre e madre dal Kenya e dalla Tanzania in Inghilterra. E provarono tutti sulla loro pelle, per citare l’esule Dante Alighieri, «sì come sa di sale lo pane altrui».
Nessuno stupore, però. La storia millenaria delle migrazioni insegna che chi si insedia in un nuovo Paese e fa di questo la sua nuova patria («La patria è là dove si prospera», scrisse Aristofane) tende sempre o quasi sempre a proteggere il proprio insediamento da chi arriva dopo di lui e aspira a insediarsi (esattamente quanto lui stesso aspirava un tempo) mettendo a rischio le «sue» conquiste. Gli italiani, che emigrarono in almeno 27 milioni, lo sanno bene. Sanno quanto fu dura inserirsi fra i vignaioli poveri della Riverina in Australia, tra i contadini della pampa in Argentina o i boscaioli nel Mato Grosso in Brasile, tra i miserabili costretti a lavorare nelle saline in Francia. Dicono tutto certe tragiche rivolte contro i nostri nonni che «rubavano il lavoro». Su tutte quella del 14 marzo 1891 a New Orleans dove undici italiani accusati ingiustamente d’aver ucciso un poliziotto furono linciati nonostante fossero stati assolti. I più feroci nell’assalto, scriveranno i giornali, furono migliaia di neri già schiavi nelle piantagioni di cotone. Uccidere i nostri nonni era un modo di dire: non siamo più noi gli ultimi, adesso siete voi.
(da agenzie)
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Agosto 9th, 2023 Riccardo Fucile
10-12 ORE DI LAVORO A 40° GRADI PER 4-5 EURO L’ORA… UN GOVERNO CHE NON FA NULLA PER FAR RISPETTARE LA LEGGE E’ COMPLICE
C’erano tutti a Viterbo per ricordare Naceur Messaoudi, il bracciante 57enne tunisino morto mentre raccoglieva angurie nel giorno più caldo dell’anno. C’erano i braccianti Sikh dell’Agropontino, c’erano i tunisini delle campagne del viterbese e gli indiani che lavorano nelle serre del litorale romano. Tutti gli ultimi, gli invisibili che portano la frutta e la verdura sulle nostre tavole, spesso sfruttati e con condizioni di lavoro estreme. Uniti per ricordare un collega morto, alla manifestazione di ieri organizzata da Cgil, Cisl e Uil, ma anche per protestare, raccontano, contro un sistema che fa dello sfruttamento una prassi.
“Questa mattina mi sono svegliato alle 6 per lavorare, ma sono ugualmente qui, perché anche se non conoscevo Naceur, lui era un fratello, uno sfruttato, proprio come noi che siamo qui”, urla dal palco Giorgio (nome che si è dato in Italia), Sikh che lavora nelle serre di Ladispoli, dove la temperatura supera i 40 gradi e i turni di lavoro sono massacranti. “È dura, troppo dura lavorare così. Ieri ho lavorato 15 ore e ho guadagnato 60€”. E a Giorgio è andata bene perché ha tutti i documenti in regola, chi non ha questo privilegio si ritrova a guadagnare tra i 2€ e i 3€ l’ora, quando viene pagato. “Siamo spesso senza acqua, sotto il sole e quando ci viene data dell’acqua è spesso calda” continua Giorgio. Sono un gruppo di una decina di braccianti, non tutti parlano italiano, ma sempre un ottimo inglese. Si riconoscono dal turbante tipico. Sono coloro che si incontrano in bici lungo le strade che costeggiano il mare, che sia la provincia di Latina, quella di Roma o di Viterbo.
Ed è proprio la provincia di Viterbo ad essere salita agli onori della cronaca in seguito alla morte di Naceur, morto di caldo mentre lavorava a nero per un caporale. Qui, nella sola provincia di Viterbo secondo FLAI-CGIL lavorano 9.000 braccianti, che si occupano della raccolta delle angurie d’estate e degli asparagi in inverno, spesso in nero e sfruttati. “Quando lavori nei campi non sai mai quante ore fai e lavori sempre sotto il sole, la campagna è così”, afferma Abilrahmen Iasoued, da quarant’anni in Italia, da quarant’anni nei campi. Il volto scolpito dal sole, le mani grandi nonostante la corporatura minuta. Era un caro amico di Naceur e porta ancora con sé tutto il dolore della perdita di un compagno.
“Ci sono molti che fanno 10-12 ore al giorno con paghe misere. I caporali con la partita IVA prendono le commesse e poi portano le persone a lavorare per 4-5€ l’ora, mentre loro vengono pagati per 10€ a lavoratore. C’è molto sfruttamento in questa zona. Indiani, pachistani, tunisini, marocchini, tutti”, continua Abilrahmen mentre si chiede se il sistema dei controlli funzioni.
E sui controlli insiste anche Stefano Morea, segretario FLAI-CGIL per Roma e Lazio. “Noi chiediamo che vengano fatti più controlli e che non vengano controllate sempre le solite aziende che sono in regola”. Secondo Morea, il caso di Naceur è riuscito a portare alla luce un fenomeno che, almeno nella provincia di Viterbo, non era molto conosciuto. Lo sfruttamento, che viene denunciato ormai da anni dal sindacato confederale, è così diffuso che “è complicatissimo oggi attestare che un prodotto sui banchi del supermercato non sia macchiato da uno dei fenomeni di illegalità che invadono l’agricoltura”, continua Morea.
Ultimo a salire sul palco Jlassi Lamine, anche lui bracciante, cugino di Naceur. Tra le bandiere di Cgil, Cisl e Uil ricorda Naceur, venuto in Italia per mantenere la propria famiglia in Tunisia. Una moglie, 2 figlie, 2 sorelle, di cui una invalida, che sono rimaste senza un marito, un padre, un fratello e senza nessuna forma di sostentamento. Gli ultimi, uniti, si sono ritrovati nella speranza che la prossima volta non sia per ricordare un fratello scomparso e per ricordare che spesso dietro alla frutta, che è sulle nostre tavole, ci sono i loro volti: quello di Naceur, di Giorgio, di Abilhrahmen e degli altri 9.000 che lavorano nella sola provincia di Viterbo.
(da Fanpage)
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