Agosto 14th, 2023 Riccardo Fucile
UN PERONISMO MEDIATICO TRA IL RIDICOLO E IL GROTTESCO: SENZA IL MINIMO SINDACALE DI UN CONTRADDITTORIO… SOTTO DETTATURA DELLA CAPATAZ IN GONNELLA DI PALAZZO CHIGI, LA FREGNACCIA PIÙ DIVERTENTE RIGUARDA LA FAMIGERATA TASSA AGLI EXTRAPROFITTI DELLE BANCHE
E la Sora Giorgia scodellò la “casalinata”. Ovvero, la negazione del giornalismo, l’umiliazione dell’informazione, confermando il sarcasmo di Karl Kraus sulla stampa: “Non basta non saper pensare: bisogna anche saper esprimere l’assenza del pensiero”.
Tre giornali e un’intervista fotocopia per Repubblica, Corriere della Sera e La Stampa. Un peronismo mediatico tra il ridicolo e il grottesco: senza il minimo sindacale di un contraddittorio, senza uno straccio di foto, in compenso stesse domande e risposte per tutti e tre. Risultato: la super-velina dell’estate. Così parlò la Ducetta. Eia Eia alalà!
Vi ricordate? Quando l’allora premier (per mancanza di prove) Giuseppe Conte incappava, soprattutto all’estero, in qualche battuta d’arresto, ecco che interveniva il suo solerte portavoce Rocco Casilino pronto ad apparecchiare una bella ‘’intervista collettiva” con i giornaloni d’Italia al fine di evitare una narrazione di sconfitta per il suo Peppiniello Appulo.
Alle proteste dei giornalisti (“Ma che stamo a fa’, l’Agenzia Stefani? Domande identiche e risposte uguali, e col divieto di fare contro-domande? Conte mica è il Papa in viaggio!’’), lo scaltro “Tarocco” arricciava il labbro liposuzionato e sibilava: “Vabbe’, vuol dire che l’intervista a Conte uscirà solo sul “Corriere’’…”. A quel punto “Repubblica” e “Stampa”, invece di mandarlo a quel paese, squadernavano i taccuini agli ordini di Casalino per evitare di prendere un ‘’buco’’ (ma quale “buco”, Conte non diceva un cazzo!).
E’ quello che è successo, con beneficio di inventario, ai tre giornalisti davanti ai cancelli della Masseria Beneficio, tra gli ulivi di Ceglie Messapica, provincia di Brindisi, dove svacanzano Meloni e i suoi cari. I tre giornaloni si guardano bene dal dirci come e dove è stata fatta l’intervista, né tantomeno come hanno deciso di dividersi le domande da fare, magari i bravi cronisti si sono messi d’accordo prima tra di loro oppure ha fatto tutto Giorgia con l’onnipotente Patrizia Scurti, onnipresente anche in masseria (il marito è capo scorta della premier) per la gioia di Sister Arianna.
Di più: essendo stata fatta ieri l’’’intervista collettiva’’ alla Sora Giorgia c’è pure l’aggravante per Repubblica, Corriere della Sera e La Stampa di non avere in prima pagina la vera notizia del giorno, che stamattina è stata battuta da tutti i siti: il Ferragosto della Meloni Family in Albania.
Essì: in barba al fuoco di Puglia del cognato Lollo contro il premier albanese Edy Rama (“La qualità si paga”), il melonismo senza limitismo se ne frega del turismo mezzo azzoppato dal caro-vita della ‘’Nazione’’ (come la chiamano i fratellini d’Italia) e, armati di secchiello e manganello, si trasferiscono sulle spiagge low cost di Tirana, le Maldive del “vorrei ma non posso”.
Sotto dettatura della capataz in gonnella di Palazzo Chigi, la fregnaccia più divertente riportata dai tre giornaloni riguarda la famigerata tassa agli extraprofitti delle banche, che ha costretto il presidente di Forza Italia, detto il “cameriere di Giorgia’’, tale Tajani Antonio, a ritrovare un filo di coraggio per smarcarsi dalla “padrona”. Te credo: la tassa va anche a svuotare una parte dei dividendi che i Berluscones intascano da Mediolanum, di cui hanno il 30%.
“Sulle banche ho deciso io”, digrigna la meloniana mascella. In realtà, il semaforo verde si è acceso durante la cena Salvini-Meloni a Bolgheri, esattamente il giorno prima dell’extra-blitz forsennatamente suggerito e spinto da Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla presidenza di Palazzo Chigi, un tipino che ama pistole e poligono ed è sempre rimasto fedele ai principi contrari al “potere delle banche”, a partire dalla Banca d’Italia di Ignazio Visco.
“Il patto della fiorentina” scodellato a Bolgheri tra Matteo e Giorgia viene imposto al ministro dell’Economia di Giancarlo Giorgetti, talmente contrario che, pur avendo una spina dorsale di pasta frolla, farà in modo di non presentarsi in conferenza stampa per illustrare l’intervento. Fatto gravissimo, mai successo nella folkloristica storia della Repubblica italica per una misura così importante, per di più finita in decreto legge omnibus, una “salsiccia” comprensiva di una pletora di provvedimenti tra i più svariati, compresi i granchi blu.
Se Fazzolari gongola (“Questo è l’unico governo che ha la forza di tassare le banche perché non ha rapporti privilegiati col sistema bancario”), Tajani s’incazza: pur ricoprendo la carica di vice presidente del Consiglio, nessuno l’aveva messo al corrente dell’operazione sbancabanche. Il povero erede di Silvio Berlusconi si ritrova a leggerlo sulle agenzie al pari dei vertici di Bankitalia ed istituti di credito.
“Mi auguro che in consiglio dei ministri una cosa come quella avvenuta con la norma sugli extraprofitti delle banche non accada più”, ha pigolato Tajani. Ovviamente il duplex Meloni-Salvini sapeva benissimo che un intervento “degenere” sarebbe stato considerato un mero “esproprio” da parte dell’alleato di governo, e per evitare che nel consiglio dei ministri Forza Italia si mettesse di traverso, i novelli eroi del populismo/statalismo hanno approfittato del clima ferragostano per fargliela sotto il naso.
Nell’intervista collettiva, la messa in soffitta di Tajani viene confermata dalla stessa Meloni: “Ho coinvolto in minor misura la maggioranza perché la questione, diciamo così, non doveva girare troppo. Questa è una materia molto particolare e delicata su cui mi sono assunta la responsabilità di intervenire”. E salutame Arcore!
La tassa sugli extraprofitti alle banche, che è stata bastonata come ‘’capitalismo parrocchiale” da Carlo Alberto Carnevale Maffè, professore di Strategia e Imprenditorialità alla Sda Bocconi, è soprattutto una mossa populistica acchiappa-consensi (nove italiani su dieci sono favorevoli alla tassa).
Ma nello stesso tempo anche un segno di massima debolezza della Regina di Colle Oppio. Che sa bene che il momento della verità arriverà a settembre quando dovrà mettere mano alla finanziaria. E in cassa mancano più di venti miliardi. Altro che taglio del cuneo, qui si rischia il culo a fette.
(da Dagoreport)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 14th, 2023 Riccardo Fucile
GIORGIA MELONI LI HA RINVIATI TUTTI ALL’AUTUNNO, MA PRIMA O POI DOVRÀ PRENDERE UNA DECISIONE. A PARTIRE DAL MES: FDI È CONTRARIA, MA FORZA ITALIA CHIEDE DI UTILIZZARLO. LA LEGA INVECE PRESTO CHIEDERÀ IL CONTO SULLA CARISSIMA AUTONOMIA
Il ritorno dalle vacanze per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si annuncia in salita da subito. Sul tavolo si troverà dossier che intrecciano politica ed economia e dovrà dare risposte dopo aver creato molte attese su alcuni argomenti popolari anche per il suo elettorato: come il salario minimo, il taglio al cuneo fiscale, la sanità. Temi che richiedono anche soldi, e tanti.
Sulla sanità la situazione è molto delicata. Il ministro Orazio Schillaci stima in almeno 4 miliardi il fabbisogno aggiuntivo per tenere in piedi un comparto che sta franando. E l’argomento si porta dietro un’altra scelta rinviata all’autunno da questo governo: la ratifica del Mes
FdI è da sempre contraria. Pezzi della maggioranza, a partire da Forza Italia, chiedono non solo di approvarlo ma anche di utilizzarlo proprio per aiutare gli investimenti nella sanità. Un tema che sarà cavalcato dall’opposizione al pari del salario minimo a 9 euro.
Quello dei salari bassi è un altro dossier che Meloni non potrà accantonare: anche perché accogliendo le richieste di confronto dell’opposizione, comunque il governo dovrà portare qualche proposta in Parlamento. La premier ha affidato per ora la pratica al presidente del Cnel Renato Brunetta, ma qualsiasi proposta richiederà una copertura economica. E quindi soldi da trovare in un bilancio con pochi spazi di manovra: al momento, come anticipato ieri da Repubblica, solo per confermare le spese dello scorso anno mancano 20 miliardi di euro.
Altro dossier chiave è quello della riforma fiscale: cavallo di battaglia elettorale di FdI, Lega e Forza Italia. Di risorse ne servono tante per mantenere le promesse: 8-10 miliardi solo per la riduzione del cuneo fiscale, altri 4 miliardi di euro per la rimodulazione dell’Irpef. A queste cifre vanno aggiunte alcune voci di spesa per coprire promesse fatte dal governo: come quella di confermare quota 100 per andare in pensione prima dell’età prevista dalla riforma Fornero.
Ogni dossier, prevede una spesa. E un’altra promessa fatta dal governo e che in autunno richiederà pure una copertura è quella dell’investimento del ministero dell’Economia con il fondo americano Kkr nella rete unica Tim. Si parla di una cifra che lo Stato dovrebbe investire in questo asset pari a 2,5 miliardi. E qui i soldi vanno trovati, per evitare di aprire un fronte diplomatico con gli Usa.
In realtà delle risorse potrebbero arrivare da altre due azioni avviate dal governo. La tassa sugli extra profitti delle banche e la riduzione della platea di beneficiari del Reddito di cittadinanza. Ma il primo argomento rischia di spaccare la maggioranza, il secondo invece di creare un’ondata d’impopolarità per Palazzo Chigi.
Sul fronte banche la tassa sugli extraprofitti non piace a FI e Tajani chiede di cambiare il provvedimento. Non è un mistero che la tassa colpisce uno degli introiti principali della famiglia Berlusconi: i dividendi che ha garantito in questi anni banca Mediolanum.
Un’altra grana è l’autonomia, argomento caro invece alla Lega. Per andare avanti occorre approvare i Lep, livelli essenziali delle prestazioni: e qui di soldi ne servono davvero tanti. Basti pensare che solo per il tempo pieno nelle scuole il governo Draghi aveva stimato in 4 miliardi di euro l’investimento aggiuntivo dello Stato.Insomma, le promesse sono tante. I soldi meno. E l’autunno non è lontano.
(da Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 14th, 2023 Riccardo Fucile
NON SAREBBE NEPPURE IMMAGINABILE IN UN’ALTRA DEMOCRAZIA OCCIDENTALE, PERCHÉ LO VIETEREBBE ANCHE LA PIÙ SCADENTE DELLE LEGGI CONTRO I CONFLITTI D’INTERESSE
Per misurare lo stato della politica e dell’informazione, che in Italia si peggiorano a vicenda, basta leggere le cronache su quel che resta di Forza Italia dopo la dipartita di B.. La primogenita Marina lancia moniti al governo e i giornali si preoccupano dei rapporti fra la premier Meloni e la presidente Fininvest e Mondadori, mai eletta neppure amministratore di condominio.
Il secondogenito Pier Silvio, del quale pure si ignorano le idee [viene dato dai sondaggisti come il leader ideale di FI in quanto più popolare di Tajani (bella forza)
Del resto, si osserva, la famiglia B. continua a essere di fatto la proprietaria di FI, che finanzia garantendone i debiti con mega-fidejussioni. Tant’è che, alle suppletive per il seggio senatoriale di Monza liberato da B., il centrodestra candida Adriano Galliani, già socio di B., ultimamente nominato presidente delle società immobiliari Fininvest, presidente di Mediaset Premium, consigliere d’amministrazione di Fininvest, ad e vicepresidente vicario del Monza.
Il tutto – garantisce Tajani – previa intesa con la famiglia B.: come se uno spicchio di Senato fosse stato privatizzato e facesse parte dell’eredità, per usucapione. Nel discutere di questo bel quadretto, nessuno fa notare che non sarebbe neppure immaginabile in un’altra democrazia occidentale, perché lo vieterebbe anche la più scadente delle leggi contro i conflitti d’interesse. Ecco perché la cara salma è stata santificata sia da amici e alleati, sia da quasi tutti i sedicenti oppositori: perché il suo monumentale conflitto d’interessi, una volta sdoganato, legittima tutti quelli degli altri
Marco Travaglio
(da il “Fatto quotidiano”)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 14th, 2023 Riccardo Fucile
VIETATO PORTARSI IL CIBO DA CASA IN MOLTI STABILIMENTI IN MODO DA IMPORRE I LORO PREZZI GONFIATI… LA SOLUZIONE, SE CI FOSSE UN GOVERNO NORMALE E’ SEMPLICE: SIGILLI ALLO STABILIMENTO PER UN ANNO
Il cliché della parmigiana in spiaggia nei litorali meridionali potrebbe presto diventare un lontano ricordo: questo almeno è il quadro che emerge dalle cronache pugliesi, dove gli spazi liberi cedono sempre di più il posto ai lidi con pretese lussuose. Molti stabilimenti, scrive Repubblica, proibiscono categoricamente di entrare armati di vettovaglie. Una severità giustificata dalla speranza di indurre così gli avventori ad acquistare i pasti da loro preparati, a prezzi non proprio economici. Così come non sono economici gli altri servizi messi a disposizione dai lidi: le tariffe oscillano da un minimo di 30 euro nel Mar Village di Giovinazzo ai 100 euro in prima fila a Lido Santo Stefano a Monopoli, dai 418 euro di abbonamento quindicinale a Lido Calarena a Mola ai 180 euro mensili di Lido Nettuno a Molfetta.
«Alla fine, però – spiega Dario Durso, avvocato e attivista del Codacons a Bari – una semplice domenica al mare per una famiglia barese costa intorno ai 250-300 euro. E questo perché non si sono posti limiti ai privati, che ti fanno pagare fino a 25 euro un’insalata e lasciano sempre meno spazio alle spiagge libere, nonostante paghino canoni concessori esigui. Se poi si mettono anche a vietare di portare da mangiare ai bagnanti, davvero si supera ogni limite».
Durso è furioso anche contro i limiti al cibo in spiaggia: «Semplicemente non lo possono fare. Non ne hanno l’autorità.E se per questa stagione ormai è tardi, perché i tempi della burocrazia non ci consentirebbero di intervenire in tempo utile, dall’anno prossimo diffideremo chiunque si azzardi a proibire ai bagnanti di accedere al demanio con il proprio cibo».
La versione dei lidi
Ma c’è chi prova a difendersi: «I frigoriferi rigidi non li consentiamo per le riunioni di gruppo – spiega Michele Colella, direttore del Lido Calarena – se capita qualcuno che ce l’ha, lo preghiamo di lasciarlo in direzione. Picnic e tavolate non sono possibili, qui da noi. Però se uno si porta il cibo porzionato, la piccola borsa frigo o la bibita chiudiamo un occhio».
Fa eco Resi Tassiello, dal raffinato Maredentro di Bari: «Vetro e lattine da noi non entrano, e nemmeno le teglie. Ma questo mi sembra scontato e non stiamo neanche a sottolinearlo o tanto meno facciamo i controlli. Contiamo sul pubblico educato che frequenta la nostra struttura».
Ma c’è chi è più rigido, come il Lido Ottagono di Savelletri, dove è «severamente vietato introdurre cibi e bevande dall’esterno». Così come al Lido Spiaggia Verde di Barletta (dove un ombrellone con quattro lettini e parcheggio incluso costa 70 euro), che spiega a chiare lettere che «all’interno dello stabilimento non è consentito introdurre cibi, bevande e borse frigo di alcun genere».
Torna utile, a questo proposito, ricordare dunque quanto precisato dall’assessorato al Demanio della Regione Puglia nell’ordinanza balneare 2023: «è sempre consentito, sulle spiagge e sulle aree demaniali, introdurre alimenti specifici e/o dispositivi medici di emergenza negli opportuni contenitori (es. borse termiche) nonché consumare alimenti/bevande, anche se non acquistati in loco».
Ad essere vietato, invece, è «accendere fuochi o fare uso di fornelli ed allestire pic-nic con tavolini e sedie in aree non allo scopo riservate».
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 14th, 2023 Riccardo Fucile
LE OPPOSIZIONI: “NON CE L’ASPETTAVAMO”… LA PIATTAFORMA E’ ANDATA PURE IN TILT PER I TROPPI ACCESSI
Oltre 100mila firme in 24 ore, sito in tilt per i troppi accessi e un risultato che supera le aspettative.
È iniziata ieri la petizione online delle opposizioni per ottenere dagli elettori una spinta alla loro proposta sul salario minimo. Dopo l’incontro di venerdì a Palazzo Chigi con la premier Meloni, i partiti di minoranza hanno espresso il loro disappunto sulle risposte del governo. La presidente del Consiglio ha affidato il dossier al Cnel, che entro i prossimi 60 giorni dovrà avanzare una proposta su salario minimo e lavoro povero. Ma per le opposizioni non è abbastanza, e così hanno lanciato la raccolta firme.
Per ore, ieri, nel primo giorno di attività, il sito salariominimosubito.it è risultato irraggiungibile per i troppi accessi. E oggi Pd, 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra possono festeggiare il risultato parziale delle prime 24 ore. «Non ci aspettavamo questi numeri», trapela dal Nazareno come riferisce la Repubblica.
«Mentre Meloni fa propaganda, noi proseguiamo la nostra mobilitazione delle opposizioni con quasi 100mila firme già arrivate in poche ore», dice il co-portavoce di Avs, Angelo Bonelli, criticando Meloni sugli extraprofitti alle imprese energetiche e alle banche, «la premier sembra dimenticare che con i mancati introiti degli extraprofitti energetici ha consentito il salasso delle famiglie italiane, e c’è il fondato rischio che accada anche con quella sulle banche, considerato come la norma è scritta».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 14th, 2023 Riccardo Fucile
LE DRAMMATICHE TESTIMONIANZE DELLE DETENUTE NELLE CARCERI ITALIANE NEL LIBRO “TUTTE LE COSE CHE HO PERSO” DI KATYA MAUGERI: “CI LAVIAMO LA FACCIA DOVE PULIAMO I PIATTI E NON ABBIAMO IL BIDET, NONOSTANTE SIA PREVISTO PER LEGGE”… IL 64% SI RIFUGIA NEGLI PSICOFARMACI PER “ANESTETIZZARSI”
«Noi stavamo in quattro — racconta la giovane donna appena uscita dalla cella numero 8 di Rebibbia — ci muovevamo fra due letti a castello di colore celeste sbiadito, un tavolo, gli sgabelli, i pensili, un water e un lavandino che utilizzavamo sia per lavare i piatti che il viso». Una sua amica, che di celle ne ha vissute tante durante la detenzione, si è sempre battuta per avere il bidet: «Il 60 per cento delle detenute italiane non lo ha, nonostante sia previsto dalla legge », spiega. «E non è certo un lusso, vorrei ricordare, le donne sono più a rischio degli uomini di sviluppare un’infezione urinaria, soprattutto nel periodo delle mestruazioni hanno una maggiore necessità di igiene intima».
Ma nelle quattro carceri italiane che ospitano esclusivamente donne (599) il bidet continua ad essere un lusso. Così come nelle 44 sezioni femminili dei penitenziari dove si trovano le altre 1779. […]
È un grido disperato quello raccolto dalla giornalista catanese Katya Maugeri, che ha incontrato alcune detenute uscite dal carcere romano di Rebibbia per un progetto di ricerca sulla vita delle donne dietro le sbarre. Ne è nato un libro (“Tutte le cose che ho perso”, appena pubblicato da Villaggio Maori edizioni) che è un atto d’accusa contro il sistema carcerario italiano.
«Del carcere femminile se ne parla poco e male — dice una di loro — i piccoli numeri che siamo non fanno testo e nessuno fa niente. Se sei forte ce la fai, altrimenti entri a testa bassa, da vittima, ed è lì che inizia davvero la tua prigione». Quando si intravede il fondo, le detenute scoprono “la soluzione”. «Meglio anestetizzarti per sospendere il pensiero, perché se pensi impazzisci — è drammatico questo racconto — In carcere lo chiamavamo il carrello della felicità: tre volte al giorno, a volte quattro, passano gli infermieri per la distribuzione dei farmaci».
L’ultima indagine dell’associazione Antigone rivela che quasi il 64 per cento delle donne detenute fa uso di farmaci per il trattamento di disturbi psichiatrici o neurologici.
«Insieme alla tossicodipendenza, il disagio psichico è la seconda causa di suicidio femminile dietro le sbarre», spiegano i volontari.
Le donne a Rebibbia chiedevano più visite della ginecologa: «Per fare esami di routine come il Pap test, la mammografia, lo screening globale. Esami che non possono diventare un lusso».
Nel carcere italiano maschiocentrico nell’anima, è difficile pure far partecipare le donne ad attività e progetti: «In alcune sezioni mancano anche le attività scolastiche, perché non ci sono i numeri minimi necessari per comporre una classe», denuncia la ricerca di Katya Maugeri.
E allora le detenute devono accontentarsi di fare lavori a maglia o all’uncinetto per riempire in qualche modo il tempo sospeso del carcere: «Attività figlie di una visione stereotipata e patriarcale secondo cui le donne possono e devono svolgere solo questo genere di mansioni», protesta un’ex detenuta. Sulle donne dietro le sbarre c’è insomma una grande approssimazione: rappresentano solo il 4,2 per cento della popolazione carceraria, ma non possono essere certo trascurate.
«tante di noi hanno raddoppiato la terapia di psicofarmaci per non pensare. Ma le pillole non possono essere la soluzione per vivere qui dentro».
(da Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 14th, 2023 Riccardo Fucile
“ANCHE AL PROCESSO DI NORIMBERGA DUE IMPUTATI SI SONO SUICIDATI”… I COLPI DI SOLE FANNO BRUTTI EFFETTI
Il ministro della Giustizia Nordio negli scorsi giorni si è recato in visita al carcere di Torino, dopo due casi che hanno attirato l’attenzione pubblica: due donne si sono tolte la vita nel giro di poche ore. Una, Azzura Campari, aveva 28 anni e si è impiccata. L’altra, Susan John, aveva 43 anni e si è lasciata morire rifiutando di prendere cibo e acqua per settimane.
Dopo la sua visita, Nordio ha reso conto alla stampa delle informazioni note fino a quel momento. Nel farlo, però, si è lanciato in un paragone con la morte di due gerarchi del regime nazista: Robert Ley e Hermann Göring, entrambi suicidatisi durante il processo di Norimberga.
Il ministro prima di tutto ha parlato del caso di John, specificando che nel suo rifiuto non c’era una “opposizione al governo”.
Il riferimento, anche se Nordio non l’ha esplicitato, era al caso di Alfredo Cospito, anarchico che ha sostenuto uno sciopero della fame per diversi mesi per protestare contro le condizioni detentive del regime di 41 bis. Ma non era questo il caso con la 43enne nigeriana, ha sottolineato il ministro: “Da quanto ho saputo, seppure in via preliminare, non si trattava né di sciopero della fame né di qualsiasi altra forma di opposizione al governo o alla politica, come accaduto in altre circostanze che magari ben sapete”.
Secondo quanto ricostruito, la donna era stata condannata per il suo coinvolgimento in un giro di sfruttamento della prostituzione. Sarebbe rimasta in carcere fino al 2030. Lo sciopero della fame e della sete, sempre secondo le informazioni che sono state rese note, sarebbe iniziato per chiedere di poter rivedere suo figlio, di soli tre anni. Ma l’incontro non è avvenuto in tempo.
Il ministro Nordio, dopo aver assicurato che non c’era un intento politico nello sciopero della fame della detenuta, ha aggiunto che la responsabilità per le due morti non va attribuita alle persone incaricate di sorvegliare le donne in carcere: “Erano tutte sotto strettissima sorveglianza. Purtroppo in questi casi non c’è sorveglianza che tenga”.
Qui, Nordio ha lanciato un parallelismo storico discutibile: “Persino al processo di Norimberga due imputati eccellenti, Ley e Göring, si sono suicidati, uno impiccandosi, l’altro con una pillola di cianuro, nonostante avessero lo spioncino aperto 24 ore su 24″. Il paragone diretto ha quindi accostato due donne arrivate alla disperazione nel carcere di Torino con due gerarchi del regime nazista. Il primo, Robert Ley, si impiccò prima di essere giudicato. Il secondo, Hermann Göring, che era stato il numero due di Adolf Hitler, assunse una pillola di cianuro il giorno prima della sua esecuzione dopo la condanna a morte.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 14th, 2023 Riccardo Fucile
ELENA BONETTI E ETTORE ROSATO, CHE HANNO UN PIEDE FUORI DAL PARTITO, SI SMARCANO DALLA DECISIONE DI MATTEONZO DI DISERTARE IL CONFRONTO GOVERNO-OPPOSIZIONI SUL SALARIO MINIMO
Nessuno dei due metterà la firma sotto alla petizione pro-salario minimo. Non firmeranno online né si faranno vedere ai banchetti che Pd e M5S stanno approntando per macinare adesioni lungo lo Stivale.
Però qualcosa, dentro Italia viva, si muove. Nel partito di Matteo Renzi, che un tempo era una falange dove nessuno deviava dal solco del leader, la discussione sulla paga base a 9 euro l’ora smuove un po’ gli animi.
E così mentre l’ex premier a tutto social rivendica la mossa di non essersi presentato al tavolo di Palazzo Chigi tra Meloni e le altre minoranze, ecco che in due si smarcano. Dicendo l’opposto. Della serie: era meglio andarci. Non due qualunque: l’ex ministra Elena Bonetti ed Ettore Rosato, ex capogruppo alla Camera del Pd renziano e fino al dicembre scorso presidente di Iv.
Dice Rosato: «Giorgia Meloni ha fatto bene a convocare le opposizioni», perché «è chiaro che in questo Paese esiste un problema gigantesco che sono i salari bassi e mettere tutti intorno ad un tavolo per provare a trovare una soluzione è stata una scelta intelligente». Insomma, dice Rosato, «chi ha a cuore la necessità di trovare soluzioni sul lavoro, a quel tavolo deve starci con spirito costruttivo e senza ideologia»
Bonetti è molto chiara: per Italia Viva, sostiene, non essere al vertice è «un’occasione persa». Un errore di Renzi? «O la politica fa uno sforzo ed esce dal solo tatticismo o morrà di tatticismo», risponde l’ex ministra ribadisce di essere contraria alla separazione dei gruppi Iv-Azione, ormai quasi cosa fatta, manca solo la firma, annunciando che «valuterà» da che parte stare.
La doppia uscita rafforza i rumors di Palazzo su fuoriuscite fra le truppe dell’ex premier. Bonetti è data da tempo in avvicinamento a Calenda, per Rosato si è vociferato di un ingresso nella Lega o in Forza Italia. Ma entrambi smentiscono
(da La Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 14th, 2023 Riccardo Fucile
PER MANTENERE I CONTI PUBBLICI IN ORDINE, SERVIRÀ UNA MANOVRA DA 30-50 MILIARDI… IL FABBISOGNO DI CASSA CHE SALE, LE ENTRATE CHE CALANO, I DUBBI SUL PNRR E LA CRESCITA DEL PIL SOTTO LE ASPETTATIVE
Per mantenere i conti pubblici in ordine, l’Italia dovrebbe varare una legge di Bilancio da almeno 50 miliardi di euro. Trenta miliardi è il minimo, di cui 9 per il taglio strutturale al cuneo fiscale, 4 per l’Irpef, altrettanti per la previdenza e la sanità, così come per l’adeguamento degli stipendi del pubblico settore. A cui vanno aggiunti circa 2 miliardi, stando larghi, per il ponte sullo Stretto di Messina.
Oltre a ciò, tuttavia, bisogna calcolare l’incertezza sui tempi di pagamento della terza rata del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che vale 18,5 miliardi. E gli interessi passivi sul debito pubblico italiano, quantificabili in almeno 83 miliardi l’anno per il 2022, ma che potrebbero salire e superare quota 100 miliardi per l’anno in corso per via del rialzi dei tassi della Banca centrale europea.
È un percorso in salita quello che porta alla prossima Nadef italiana. La nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Def), attesa fra un mese, rischia di essere un boccone indigesto per l’esecutivo trainato da Giorgia Meloni.
Non sarebbe un fulmine a ciel sereno. Nel programma di emissione del debito pubblico del Tesoro pubblicato a fine giugno, i tecnici di Via XX Settembre hanno sottolineato che il 2023 non è lo scorso anno. Ci sono, testuale, «alcune discontinuità». Ne deriva che, secondo i dati provvisori relativi ai primi cinque mesi dell’anno, «il fabbisogno di cassa del settore statale sia salito a circa 81,8 miliardi, contro i 35,7 miliardi del corrispondente periodo del 2022, con un incremento di poco meno di 46 miliardi».
Nel confronto, spiega il Mef, «occorre considerare che sul risultato dello scorso anno aveva inciso in maniera favorevole l’erogazione nel mese di aprile della seconda rata da 10 miliardi di sovvenzioni Pnrr». Motivo per cui sarà complicato raggiungere l’obiettivo Ue di una spesa primaria pari all’1,3% del Pil.
Il problema è legato alla congiuntura, da un lato, e alle nuove esigenze di finanziamento dettate da rincari più arcigni da ridurre, dall’altro. «L’idea di base era quella di stimare un rapporto deficit/Pil intorno al 2,5%, sull’onda di una crescita vivace, ma probabilmente sarà rivisto di almeno un punto in più», spiegano persone vicine al dossier.
Voci parlano di un deficit a quota 3,7% già a inizio 2024 (invece del 3,7% a fine del prossimo anno), anche in virtù di una crescita economica minore, che quindi deteriora l’effetto denominatore sui conti pubblici domestici. A peggiorare la situazione […] ci sono le minori entrate fiscali. Una riduzione del gettito che dovrebbe attestarsi a quota meno 20 miliardi di euro, mentre il surplus di spesa intorno ai 30 miliardi per il 2023.
Il risultato di partenza sono 30 miliardi di euro di legge di Bilancio. Circa 4,7 miliardi sono contenuti nell’ultimo Def. Gli altri devono essere trovati. Le voci più insistenti in ambito governativo parlano di una spending review da 1,5 miliardi, ma anche un riordino delle agevolazioni fiscali. Sul quale sta lavorando il viceministro del Tesoro Maurizio Leo.
Incerto, tuttavia, è l’esito effettivo delle ipotesi in campo. Specie perché, nel caso non arrivassero entro la fine del trimestre in corso le risorse della terza rata del Pnrr, si dovranno trovare soluzioni alternative. Il ricorso a nuove, e straordinarie, emissioni di debito pubblico sarebbe scontato. Per almeno 20 miliardi aggiuntivi. A questi 50 miliardi, le cui risorse devono essere trovate, vanno però aggiunti i costi vivi dell’incremento dei tassi d’interesse da parte di Francoforte.
(da la Stampa)
argomento: Politica | Commenta »