Agosto 29th, 2023 Riccardo Fucile
IL SUO DISCORSO SU COME SI DOVREBBERO COMPORTARE LE RAGAZZE “PER NON INCONTRARE IL LUPO” E’ L’ESEMPIO PERFETTO DELLA COLPEVOLIZZAZIONE DELLA VITTIMA
Andrea Giambruno giornalista e conduttore tv, compagno di Giorgia Meloni, ha spiegato a qualche milione di spettatori che – nella sostanza – se ti ubriachi rischi di incontrare uno stupratore. “E’ tuo diritto ubriacarti”, aveva premesso, continuando poi con “però”. Avete presente lo schema, vero? Però ho amici gay, però non sono razzista, questa volta è toccato a “però poi effettivamente il rischio è che il lupo ti trovi”.
E invece no: una persona ha diritto a essere sicura anche da ubriaca, anche se indossa una gonna. Anche se la gonna è corta o cortissima. Anche se è in mutande e con un bicchiere di vino in mano, pensa tu.
Partiamo dai fondamentali: ubriacarsi non è reato, approfittarsi di uno stato di alterazione di una persona sì.
Ad esempio se la vittima è ubriaca è un’aggravante perché la vittima è “in minorata difesa”, cioè lo stupratore agisce in circostanze tali da ostacolare la difesa della vittima.
Andiamo avanti: una persona ha diritto a dire “no” – o di renderlo manifesto – in qualsiasi momento: prima, poco prima o anche durante un rapporto, di qualsiasi tipo sia il rapporto.
Il fatto che lo stato di ubriachezza possa influire sulla decisione o meno di stuprare una persona è poi abbastanza fallace, o almeno non esistono studi specifici.
Le cuginette bambine di 10 e 12 anni violentate per mesi nel parco verde a Caivano da branchi di ragazzini e ragazzi, erano ubriache? Fortuna Loffredo di sei anni era ubriaca? Sharon Barni di un anno e mezzo? Franca Rame aveva bevuto? Roberta Siragusa? Anna Maria Scarfò?
Ricordo di aver visto una mostra: erano esposti gli indumenti delle persone nel momento in cui avevano subito lo stupro: c’erano pantaloni, gonne, scarpre antinfortunistica e scarpe con i tacchi o da ginnastica. Potremmo fare la stessa mostra con i bicchieri e scopriremmo bicchieri d’acqua o di vino, vuoti o pieni di aranciata, o di vodka, talvolta tazzine di caffè e talvolta anche qualche biberon pieno di latte.
Andrea Giambruno (forse) non voleva colpevolizzare la vittima, ma questo è un altro problema: con le sue dichiarazioni lo ha fatto
Tra l’altro chiamare gli stupratori “lupi” è un errore straordinario. Usare lo stesso linguaggio da branco degli stupratori (“eravamo cento cani sopra una gatta”), edulcora la storia e non ne dà corretta contezza.
Lo stupro non è infatti un tentativo di ripopolamento dei boschi di una specie protetta, il lupo, ma un’azione criminale di abuso sessuale da parte di stupratori che (in questo caso) hanno anche filmato l’azione e poi sono andati a festeggiare in rosticceria.
Diciamolo chiaramente: le colpe del compagno di Giorgia Meloni non possono ricadere su Giorgia Meloni, a meno che lei non lo appoggi e dica cose similari, come in effetti fa da sempre. Il problema e lo schema sono infatti i medesimi.
“Se non vuoi affogare fra le onde del mare, non provare a venire in Italia su un barchino”, non è sempre quello il ragionamento? Ricordate la premier ai familiari delle vittime di Cutro, quando sussurrò ai padri che avevano perso le figlie: “Ma tu non sapevi che era pericoloso partire?”
Lo schema continua oggi, in famiglia Meloni infatti si passano i concetti che è un piacere, ed ecco Andrea Giambruno: “Però se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche”. Insomma, la soluzione sarebbe “evitare di svenire” (ma esiste qualcuno che “sviene” consapevolemente?) per non incorrerere in “determinate problematiche”, che però questa frase più che a uno stupro fa pensare a una multa del controllore se non obliteri il biglietto.
Per la posizione in cui le ha pronunciate Andrea Giambruno, le sue sono dichiarazioni gravissime e non emendabili. Non si tratta infatti di consigli di un padre (o di una madre) preoccupati prima di un’uscita serale della figlia, del tipo: “Non bere perché esistono anche brutte persone”. In quel caso sarebbe un fatto privato, una frase comunque non perfetta ma condivisibile negli intenti e finanche nel messaggio, rivolto a una persona specifica, con l’obiettivo di salvaguardarla prima dell’eventualità di un fatto terribile; una frase non eretta a modello di comportamento, come dire: “Stai attenta a non metterti in una condizione di non lucidità”, che in fondo è una frase che può essere giusta, quando si tratta del consiglio personale di un amico o di un familiare. Se la stessa frase invece la pronunci dopo uno stupro di gruppo, in cui proprio il gruppo ha fatto bere quella che poi è diventata la vittima di quello stesso gruppo, e lo fai da maestro in diretta tv, allora abbiamo un problema grande come il cognato di Meloni quando ha detto “i poveri mangiano meglio dei ricchi”.
(da Fanpage)
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Agosto 29th, 2023 Riccardo Fucile
LA STORIA RIMBALZA IN ITALIA, UN PAPÀ SI ACCORGE CHE UNO DEGLI STRONZETTI È IL FIGLIO E PROVA A RIMEDIARE: PAGA IL CONTO E PROPONE AL PROPRIETARIO DEL RISTORANTE DI SPEDIRGLI IL FIGLIO A LAVORARE GRATIS LA PROSSIMA ESTATE
Ormai sembra quasi la norma. Clienti consumano il pasto al ristorante, poi alzano i tacchi e scappano senza pagare il conto. […] stavolta il gruppo di italiani a darsela a gambe era a Malta. Per la precisione, a Msida, lo scorso 25 agosto. Ma, questa volta, i “furbetti” non sono riusciti a farla franca.
Con la scusa di fumarsi una sigaretta, il gruppo di giovani si è alzato dal tavolo del «Pasta & Co.» ed è uscito fuori. Poi, la fuga. Il conto da 100 euro è rimasto in capo al locale, che ha denunciato i clienti alle autorità. Uno dei proprietari, italiano, ha riconosciuto l’accento siciliano dei clienti, così ha contattato i quotidiani locali per provare a trovare i colpevoli.
E la mossa ha dato i suoi frutti.
Una volta arrivata in Italia, la storia è balzata agli occhi di un uomo, che tra quei ragazzi (nonostante i volti coperti) ha riconosciuto suo figlio. «Mi ha telefonato chiedendo i miei dati per saldare il dovuto — racconta il proprietario del ristorante – Mi ha raccontato che il figlio si è pentito subito, piangeva a dirotto. Io gli ho detto che ho apprezzato moltissimo il suo gesto, che si vedeva fosse una persona onesta e un padre esemplare, ma che non ci fosse bisogno di saldare un conto da 100 euro.
Lui però ha continuato a insistere, così gli ho proposto di devolvere la somma ad Arka un’organizzazione dell’isola di Gozo che si prende cura di persone con disabilità. La mia idea lo ha colpito molto e, alla fine, mi ha richiamato annunciando di aver donato ben 250 euro. Noi, per conto nostro, a quel punto siamo tornati dalla polizia e abbiamo ritirato la denuncia», ha detto. Poi, l’idea del papà: «Vi mando mio figlio a lavorare gratis la prossima estate». L’offerta è stata declinata, ma i proprietari del ristorante hanno apprezzato il gesto.
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 29th, 2023 Riccardo Fucile
DOPO UNA SERIE DI USCITE IMBARAZZANTI GETTA LA SPUGNA
Marcello De Angelis getta la spugna. Il responsabile della comunicazione istituzionale della Regione Lazio, finito in un vortice di polemiche dopo le sue frasi di inizio agosto sulle responsabilità della strage di Bologna, ha rassegnato le dimissioni dal proprio incarico.
De Angelis ha comunicato la propria irrevocabile decisione al presidente della Regione Lazio Francesco Rocca – riferisce l’Ansa – con una lettera, dopo averla anticipata nel corso di un colloquio privato.
Il presidente Rocca, si apprende, ha accettato le dimissioni di De Angelis con effetto immediato. «Con la strage di Bologna non c’entrano nulla Fioravanti, Mambro e Ciavardini. Non è un’opinione: io lo so con assoluta certezza», aveva detto pochi giorno dopo l’anniversario della strage il responsabile della comunicazione della Pisana, già noto militante dell’ultradestra romana.
Nelle settimane seguenti era anche riemersa una sua canzone degli anni ’90 in cui De Angelis metteva in fila una serie di macabre frasi antisemite sulle vittime delle stragi del gruppo terroristico palestinese Settembre Nero. La mossa di De Angelis anticipa quello che sarebbe stata la sua possibile defenestrazione. Venerdì prossimo, 1°settembre, era infatti in programma un consiglio regionale straordinario sulla vicenda.
Mea culpa per l’antisemitismo, nessun passo indietro su Bologna
L’ormai ex dipendente della Pisana, nella lettera inviata a Rocca, tende a rimarcare che il suo unico errore riguarda la canzone antisemita, composta decenni fa: nessun ripensamento sulla difesa di Fioravanti, Mambro e Ciavardini, dunque.
(da agenzie)
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Agosto 29th, 2023 Riccardo Fucile
IL VIAGGIO DEI DISPERATI LUNGO OLTRE 1.500 CHILOMETRI, CON QUALSIASI MEZZO… I CENTRI DI ACCOGLIENZA DEL NORD-EST SMANTELLATI DA SALVINI SONO AL COLLASSO
Già nell’agosto dello scorso anno il Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) a Gradisca d’Isonzo (Udine) registrava un sovraffollamento di 600 persone rispetto alle 200 previste, in una struttura che ospita anche il Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr).
Dodici mesi dopo, come riportano anche le associazioni umanitarie […] si è ripresentato lo stesso scenario, ma con un’emergenza sbarchi sulle coste siciliane senza precedenti che ha, di riflesso, paralizzato il turn over al Cara. Niente ricambi, quindi, almeno per ora, soprattutto per l’intasamento dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) in tutta Italia dove vengono accompagnati in via prioritaria i profughi dal Mediterraneo.
Problemi che si ripetono, ma questa volta con molti più migranti accampati a Trieste e le reiterate proteste del sindaco Roberto Dipiazza. Profughi «diversi» L’attuale responsabile del Viminale Matteo Piantedosi, che già nei mesi scorsi aveva lanciato l’allarme sull’aumento di arrivi dai Balcani ordinando un potenziamento di controlli anche con le autorità slovene nelle province di Trieste e Gorizia e, oltre confine, di Koper e Nova Gorica (in base all’accordo del 2019) ha ordinato l’immediato trasferimento di 200 profughi proprio nei Cas.
Un provvedimento che potrebbe cominciare a mettere la rotta balcanica sullo stesso piano di quella mediterranea sul fronte dell’accoglienza. Anche perché il viaggio dei disperati (oltre 128 mila passaggi nel 2022) di oltre 1.500 chilometri, con qualsiasi mezzo, a rischio della vita fra violenze, malattie e hotspot finiti al centro di polemiche per maltrattamenti e precarie condizioni igienico-sanitarie, è un nuovo motivo di tensione.
D’altra parte dall’inizio del 2023, secondo il Viminale, sono già oltre 5.500 i migranti arrivati in Italia dopo essere passati per Turchia e Grecia, Albania, Montenegro, Kosovo, Serbia e Bosnia Erzegovina, anche se i numeri potrebbero essere più alti: i clandestini attraversano a piedi le montagne del Carso, seguendo passaggi come quello di Razgledišce Kroglje (Vedetta di Crogole), questa volta per arrivare a Trieste. Per individuare sia loro sia i trafficanti sono state piazzate anche telecamere nei boschi.
Insomma, così come sta avvenendo per la rotta mediterranea, che ieri ha superato quota 113 mila arrivi nel 2023 rispetto ai 105.127 di tutto il 2022, anche su quella dai Balcani si annuncia un trend in sensibile aumento, dato che l’anno scorso le persone identificate dopo il loro arrivo in Friuli-Venezia Giulia sono state 9.476 arrivi (nel 2021 furono 5.736).
Si tratta della quota più ampia di migranti rintracciati alle frontiere nazionali terrestri che al momento sono oltre 12 mila, con circa 4 mila uscite verso la Svizzera. Addirittura peggiore lo scenario sugli arrivi dei Balcani frutto del monitoraggio svolto da gennaio a luglio scorsi da alcune associazioni e mediatori culturali (Comunità san Martino al campo, Diaconia valdese, International rescue committee e altre): i migranti intervistati sono stati 7.890 rispetto ai 3.191 dell’anno scorso.
Quasi tutti uomini (92%), il 16% minorenni. Sette su dieci afghani, poi pachistani, bengalesi, nepalesi, curdi. Il 72% ha dichiarato di non voler rimanere in Italia, ma di essere solo di passaggio. Ma se fossero inseriti nelle quote dei flussi le loro intenzioni potrebbero cambiare.
(da Corriere della Sera)
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Agosto 29th, 2023 Riccardo Fucile
IL CONDUCENTE HA SPENNATO GLI INGENUI VACANZIERI CHE NON SAPEVANO DELL’ESISTENZA DI UNA TARIFFA FISSA, POCO MENO DI 20 EURO, PER LA TRATTA DI 7 CHILOMETRI… MA ANCHE QUESTA ENNESIMA TRUFFA FINIRÀ NEL NULLA: I TASSINARI SANNO DI POTER FARE IL LORO PORCO COMODO, E RIMANERE SEMPRE IMPUNITI
Una corsa notturna in taxi dall’aeroporto di Capodichino a via Galileo Ferraris, lungo un percorso di sette chilometri, è costata 100 euro a quattro turisti americani. Lo racconta, pubblicando la foto della ricevuta, il deputato di Alleanza Verdi Sinistra Francesco Emilio Borrelli, al quale il caso è stato segnalato dal dipendente dell’albergo presso cui hanno alloggiato i turisti.
A Napoli esiste una tariffa predeterminata per gli spostamenti dall’aeroporto verso la zona della stazione ferroviaria, che prevede il pagamento di 19,50 euro per un massimo di quattro persone.
“Si tratta di un episodio inaccettabile – ha commentato Borrelli – per il quale ho chiesto subito chiarimenti ai Consorzi dei tassisti sulla regolarità della tariffa applicata. Gli stessi hanno confermato che la tariffa di 19,50 euro è a tratta e non per ciascun passeggero e verificheranno se lo stesso collega abbia rilasciato nella fattura il corretto codice identificativo, in modo da procedere alle sanzioni.
(da agenzie)
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Agosto 29th, 2023 Riccardo Fucile
PIU’ DELLA META’ SONO AL SUD… E BEN 1,3 MILIONI DI FAMIGLIE SPENDONO OGNI MESE GRAN PARTE DEI LORO SOILDI PER CURARSI PRIVATAMENTE PERCHE’ LA SANITA’ PUBBLICA HA DEI TEMPI DI ATTESA LUNGHISSIMI
Un milione e 348mila famiglie in Italia devono spendere più di un quinto dei propri guadagni “non essenziali” (cioè escludendo quelli che vanno in alimentari) per le spese mediche. È il 5,17% di tutte le famiglie del Paese. Il dato è emerso da uno studio presentato da Antonello Maruotti, docente di Statistica all’università Lumsa di Roma, su Avvenire. La costante scarsità di fondi alla sanità pubblica, unito alla pandemia da Covid-19 che peggiorato molte situazioni preesistenti, fa sì che oggi moltissime famiglie debbano spendere una parte significativa dei propri soldi per accelerare i tempi ed evitare liste d’attesa lunghissime. Per qualcuno (378mila famiglie, di cui circa 210mila residenti al Sud) questo significa scendere sotto la soglia di povertà relativa.
Il numero preciso è di 1.348.473 famiglie in tutta Italia. Queste famiglie ogni mese, messi da parte i soldi per i consumi alimentari, devono spendere il 20% di quanto gli resta per fare fronte alle spese mediche. Questo può includere assistenza medica, visite specialistiche, farmaci e tutti gli altri tipi di beni e servizi medici. La loro alternativa sarebbe di rivolgersi al Servizio sanitario nazionale, che però è spesso sovraccarico e incapace di rispondere a tutti allo stesso modo. Come detto, ci sono anche 378.629 famiglie che se non dovessero affrontare queste spese ogni mese sarebbero al di sopra della soglia di povertà relativa, mentre invece si ritrovano al di sotto. Famiglie che a tutti gli effetti diventano povere per potersi curare.
Il motivo è che la spesa per le necessità mediche ricade sempre più spesso sulle famiglie. D’altra parte, lo stesso studio ha riportato che tre famiglie su quattro (il 74,8%) hanno un qualche tipo di spesa medica da affrontare mensilmente. E non è un problema che colpisce tutti ugualmente: a essere più penalizzate sono le famiglie fragili. Si parla di nuclei familiari con dei minorenni, oppure con un over 75 a carico. Ma anche di chi ha un reddito basso, come quando capofamiglia ha un titolo di studio basso e un lavoro modesto.
Le differenze, poi, spiccano anche a livello territoriale. Ad esempio, in Toscana solo il 3% delle famiglie si trova a spendere più del 20% dei propri guadagni “non essenziali” per le spese mediche. La cifra resta piuttosto bassa in tutto il Nord, con il Piemonte al 4,9%, l’Emilia-Romagna al 4%, il Veneto al 6%. La Regione Lombardia fa registrare il 5,6% (anche se bisogna tenere a mente che vista la popolazione lombarda si parla comunque di 252mila famiglie). Le cifre sono ben più alte, in media, al Sud. Il 6,7% in Sicilia, il 7,2% in Basilicata, l’apice è al 9,1% in Calabria, una Regione in cui la sanità è commissariata da 13 anni.
La stessa disuguaglianza si vede nei numeri delle famiglie che entrano in povertà per pagare le spese mediche. Nelle Regioni settentrionali per la maggior parte questo avviene a meno dell’1% dei nuclei familiari. Scendendo nella penisola la media cresce, e nel Centro Italia si trovano ad esempio il Lazio e l’Umbria con l’1,5%. La percentuale si alza decisamente nel Mezzogiorno: dal 2,8% della Campania al 3,9% della Basilicata, fino al 4,3% della Calabria.
(da Fanpage)
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Agosto 29th, 2023 Riccardo Fucile
A TUTTO QUESTO SI AGGIUNGE LA PROSSIMA CHIUSURA PER LAVORI DEL TRAFORO DEL MONTE BIANCO, PREVISTA PER METÀ SETTEMBRE
Italia a rischio isolamento da Est a Ovest, con il Frejus chiuso al traffico pesante dopo una maxi frana in Savoia avvenuta nel pomeriggio di domenica 27 agosto e con la linea ferroviaria del Brennero chiusa da ieri in Austria, nei pressi del confine di stato, sempre per colpa di una colata di terra e sassi.
Anche la ferrovia internazionale tra Italia e Francia è chiusa a seguito dello smottamento nella regione della Maurienne: tutto questo a meno di una settimana dalla chiusura del tunnel del Monte Bianco, per 15 settimane di fila, a partire dal 4 settembre prossimo.
Si aggrava così l’emergenza ai valichi alpini, dopo che a cavallo di Ferragosto sono andati in tilt i collegamenti ferroviari lungo il corridoio svizzero del Gottardo per il deragliamento di un treno merci diretto in Germania all’interno della galleria di base e mentre l’Austria, incurante delle proteste di Italia e Germania, ha già comunicato il calendario dei divieti di transito per i Tir lungo l’asse autostradale del Brennero relativi al primo semestre del 2024.
La frana che ha interessato l’autostrada A43 su territorio francese, appena al di là del confine italiano, e la tratta ferroviaria internazionale, si è staccata dal costone della montagna a Freney, riversando a valle 700 metri cubi di roccia e detriti. La A43 e la route dipartimentale 1006 sono chiuse tra Saint-Michel-de-Maurienne e Modane mentre la ferrovia è bloccata tra Modane e Chambery.
Il traffico è stato deviato su un’altra arteria stradale dove però non possono circolare i mezzi pesanti, a cui è dunque interdetto l’accesso al Tunnel del Frejus, dove possono circolare soltanto i veicoli sotto le 3,5 tonnellate di peso. Il consiglio delle Autorità è di raggiungere Milano e Torino attraverso il Monte Bianco che, tra le altre cose, chiuderà lunedì prossimo.
Sommando i mezzi pesanti che attraversano Frejus e Monte Bianco si supera il milione e 400mila unità. Il destino dei due valichi del Nord Ovest torna ad intrecciarsi come nel 2009, dopo l’incendio del tunnel del Monte Bianco e la chiusura, per due anni, del valico valdostano. Il raddoppio del tunnel autostradale del Frejus sarà operativo tra fine 2023 e inizio 2024 e dovrà assorbire la stragrande maggioranza dei traffici del Monte Bianco – circa 600mila tir all’anno, in media 50mila al mese – con un aggravio atteso dell’impatto di traffico ad esempio sulla tangenziale di Torino.
L’attraversamento dell’arco alpino è dunque cruciale per il benessere e la competitività dell’economia italiana, soprattutto delle nostre esportazioni, ed è un’emergenza ancora poco percepita dall’opinione pubblica. L’Italia è un Paese privo di materie prime. Le importa per trasformarle e produrre beni finali, che viaggiano verso i mercati esteri. Con l’esclusione dei prodotti petroliferi, di tutto l’import/export dell’Italia con il resto del mondo, pari a 266 milioni di tonnellate, il 60% (oltre 170 milioni di tonnellate) si svolge con i Paesi europei e deve passare per l’arco alpino.
Come accennato, a seconda del valico utilizzato, le merci possono raggiungere la Francia, la Svizzera o l’Austria e continuare poi il viaggio verso altre destinazioni in tutta Europa. Pensiamo alla Spagna, alla Gran Bretagna, al Benelux, alla Polonia, alla Germania. Oggi il 66% del volume complessivo d’import-export dell’Italia con i Paesi europei viaggia su strada, il 34% su ferrovia.
Il Brennero, con 49,4 milioni di tonnellate di merce l’anno in import- export (35,6 milioni su strada e 13,8 via treno), è in assoluto il principale tra i valichi alpini: precede Tarvisio con 27,8 milioni (19,6 su strada e 8,2 su ferrovia), Ventimiglia con 20,2 milioni (19,5 su strada) e il Frejus con 13,8 milioni (11,1 su strada e 2,7 su ferrovia). Dal Monte Bianco transitano invece 9,7 milioni di merci l’anno, tutte su strada.
Ciò che accade al valico del Brennero ormai da anni, con l’applicazione delle limitazioni al transito stradale dei mezzi pesanti imposte in modo unilaterale dal Tirolo (si veda altro articolo in pagina), testimonia proprio l’esigenza di un intervento risolutivo della Commissione europea per il ripristino della libera circolazione delle merci lungo il Corridoio Scan-Med ossia lungo un asse di trasporto strategico per l’economia della Ue. Intanto in Svizzera la galleria di base del Gottardo è stata parzialmente riaperta dopo l’incidente dello scorso 10 agosto.
(da il Sole 24 Ore)
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Agosto 29th, 2023 Riccardo Fucile
L’ACCORDO CON LA TUNISIA, MA È UNA “SÒLA” CLAMOROSA, GLI ARRIVI AUMENTATI DEL 500%…: KAIS SAIED CHIEDE LO SBLOCCO DI 1,9 MILIARDI DAL FMI, CHE NON VUOLE ASSECONDARE IL DITTATORE DI TUNISI. IL QUALE SI VENDICA
Gli accordi sbandierati con la Tunisia sono un flop certificato dai numeri: oltre 70mila arrivi dal piccolo Paese arabo rispetto ai circa 13.500 dello scorso anno, più del 500%.
E nonostante ciò i ministri continuano a parlare di “trend positivo” e di “apprezzamento per gli sforzi” di Tunisi, che aveva promesso di limitare le partenze verso il nostro Paese.
Così la premier Giorgia Meloni, che su quell’accordo ha messo la faccia, ieri ha deciso di commissariare – di fatto – il dossier migranti, sfilandolo dalle dirette competenze dei due ministri principali, il titolare dell’Interno, Matteo Piantedosi, e quello degli Esteri, Antonio Tajani e mandando un segnale politico chiaro a Matteo Salvini, che sull’immigrazione ha costruito una carriera.
Ora se ne occuperà il Cisr, il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, presieduto dal sottosegretario Alfredo Mantovano, che è anche il punto di riferimento delle intelligence: la prima riunione si è tenuta ieri a Palazzo Chigi dopo il Consiglio dei Ministri.
La Tunisia al momento è però un colabrodo. Dalle sue coste da gennaio sono partiti il doppio dei migranti salpati da Libia, Turchia e Algeria messe insieme. E tutto ciò nonostante il blitz di Meloni del 16 luglio a Tunisi insieme alla presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen.
In quell’occasione la premier aveva annunciato 100 milioni al governo del presidente Kais Saied per le operazioni “Search and Rescue”, che sarebbe il blocco delle partenze verso il nostro Paese.
Il problema è che Tunisi si aspetta anche lo sblocco degli 1,9 miliardi promessi dal Fondo monetario internazionale e garantiti da Meloni e Von der Leyen, su cui il Fmi – riferiscono fonti informali della Farnesina – ha però più di una riserva perché non vede di buon occhio il regime di Saied. E visto che i soldi del Fmi ancora non arrivano, Tunisi sta per tornare a battere cassa all’Italia e all’Ue. Pagare (più) moneta, vedere cammello, recitava un vecchio adagio.
L’accordo con Tunisi più che da Tajani – che avrebbe preferito soluzioni più “soft” – è stato voluto proprio da Meloni. Anche se ieri la premier ha scelto di scaricare, di fatto, la responsabilità sui ministri, accusandoli di non comunicare tra loro: “È essenziale – ha detto – che ciascun ministro sia al corrente sul lavoro che svolge il suo collega per evitare duplicazioni, dispersione di risorse, ma anche che il nostro interlocutore di turno (la Tunisia? ndr) si rivolga a più d’uno di noi, sollecitando i medesimi interventi, senza poi dare conto dell’utilizzo degli aiuti che riceve”.
Tradotto: basta litigare, qui comando io. Non è un caso che in conferenza stampa Mantovano abbia preceduto Piantedosi nel difendere a spada tratta l’accordo con Tunisi. “È un dato innegabile l’incremento degli arrivi – ha detto il sottosegretario – ma i numeri, oggettivamente preoccupanti, vanno letti e sottolineano che il lavoro comincia a ottenere i primi risultati”.
La lettura di Mantovano si basa sul picco degli arrivi di maggio, +1008% , ma ignora il nuovo record di sbarchi nelle 24 ore registrato sabato a Lampedusa, con oltre 3mila approdi.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Agosto 29th, 2023 Riccardo Fucile
ESTROMESSO ANCHE DAGLI AFFARI IN SIRIA E AFRICA, L’EX “CUOCO” ERA VOLATO IN MALI PER CERCARE SOSTEGNO, POI LA “TRAPPOLA” DELLA CONVOCAZIONE IN RUSSIA, PER DISCUTERE CON “ALTI FUNZIONARI”, E IL MISTERO DELL’AEREO ABBATTUTO
Due mesi esatti corrono dalla fallita rivolta di Wagner fino alla morte, adesso ufficiale, di Evgenij Prigozhin nello schianto del suo aereo privato. Due mesi all’apparenza di pressoché totale e insolito silenzio per un uomo che lanciava quotidiane invettive sui social, ma in realtà di intrecci e trame segrete.
Un lungo colloquio col dittatore bielorusso Aleksandr Lukashenko; non uno, ma due incontri al Cremlino con il presidente russo Vladimir Putin; voli San Pietroburgo- Minsk del jet Embraer poi precipitato, ma anche missioni del ministero della Difesa russo deciso a rimpiazzare Wagner non solo in Ucraina, ma anche all’estero.
Il 23 giugno Prigozhin, ubriaco del successo a Bakhmut e deciso a non firmare il contratto che dovrebbe assoggettare Wagner alla Difesa, lancia l’estrema sfida. Muove i suoi mercenari contro la capitale in una folle marcia per la “giustizia”. Il giorno dopo, ordina la ritirata. C’è un accordo mediato da Lukashenko che garantisce al “traditore”, come lo ha chiamato Putin, e agli altri ribelli l’immunità in cambio dell’esilio in Bielorussia. Ma in molti non hanno dubbi: il destino dell’ex “cuoco” è segnato.
Sul ribelle di colpo cala il silenzio. Neppure l’audio di 11 minuti diffuso il 26 giugno in cui prova a giustificare la sua insurrezione fornisce indizi su dove si trovi. La mattina seguente, il suo aereo vola da Rostov-sul-Don a Machulishchi in Bielorussia.
Lukashenko conferma l’arrivo del capo di Wagner. Quel che non dice è che quel giorno, il 27 giugno, lo riceve per ben cinque ore in una residenza sul cosiddetto “mare di Minsk” prima che Prigozhin riparta per San Pietroburgo.
La società mediatica Patriot, paravento anche della “fabbrica di troll”, chiude e Wagner annuncia lo stop a nuovi reclutamenti. Prigozhin perde le sue fonti economiche.
Il 29 giugno il portavoce di Putin Dmitrij Peskov nega per l’ennesima volta di sapere dove si trovi Prigozhin. Il mercenario ribelle, invece, è proprio al Cremlino
Dopo la successiva ammissione di Peskov, è lo stesso Putin a raccontarlo. Dice di aver discusso per tre ore «possibili soluzioni » affinché Wagner continui a combattere, ma sotto il comando di Andrej Troshev. «Molti hanno annuito quando l’ho detto», ricorda Putin. «Ma Prigozhin, che era seduto davanti, non l’ha visto e dopo aver ascoltato ha detto: “No, i ragazzi non sono d’accordo”».
Durante quell’incontro Putin urla contro Prigozhin per tutto il tempo, si viene a sapere giorni fa, ma poi lo lascia andare. È a quel punto che Prigozhin si sarebbe convinto di averla fatta franca. «Zhenja (Prigozhin, ndr) ha creduto che Putin si fosse sfogato. “Non ci ha uccisi subito, quindi non ci ucciderà”, ha pensato. Si credeva indistruttibile, si è convinto di essere immortale», ha raccontato una fonte di Wagner a Meduza.
Avviene poi un secondo incontro con Putin, rimasto finora segreto. Stando al giornalista investigativo russo Andrej Zakharov, il leader del Cremlino gli concede di poter continuare a trattare con i “Paesi lontani”, a patto di restare fuori dall’Ucraina e dagli affari interni.
Prigozhin resta defilato tanto da lasciar pensare che il suo basso profilo pubblico faccia parte del suo accordo col Cremlino. Fa la spola tra San Pietroburgo e la Bielorussia dove si sono trasferiti i mercenari sfollati dall’Est Ucraina.
Stando al tracciato del suo aereo Embraer Legacy 600, vola a Minsk almeno 4 volte, 6 se si includono i voli di un altro suo jet. L’11 luglio trapela una sua foto in mutande dall’accampamento di Tsel dove trascorre la notte e il 18 luglio un video sfocato mostra la sagoma di un uomo che gli somiglia che dice a uomini in mimetica: «Benvenuti in terra bielorussa! Prepariamoci a un nuovo viaggio in Africa».
A dispetto delle promesse di Putin, però, il ministero della Difesa sta tagliando fuori Wagner anche dalle operazioni all’estero. Il viceministro Junus-Bek Evkurov va in Siria dove Wagner opera dal 2015. Una volta partito, Damasco dà a Prigozhin un ultimatum: lasciare la Siria entro la fine di settembre. Alla vigilia del fatale schianto aereo, Evkurov incontra Khalifa Haftar in Libia. «Vuole allontanare Prigozhin », scrive il nazionalista Igor Semenov.
Intanto il numero due dell’intelligence militare Gru, Andrej Averjanov, elabora un piano per sostituire Wagner in Africa con un corpo di oltre 20mila soldati regolari. Prigozhin vola in Mali proprio per cercare di arginarlo. Stando al Wall Street Journal, il 18 agosto incontra il presidente della Repubblica Centrafricana. Il 21 agosto un video su Telegram lo mostra armato di fucile sullo sfondo di una pianura polverosa mentre proclama che Wagner «sta rendendo la Russia ancora più grande in tutti i continenti e l’Africa ancora più libera».
Il 23 agosto, al suo ritorno a Mosca, incontra un membro del Consiglio di sicurezza, sostiene Zakharov. Chi? Il segretario Nikolaj Patrushev, il suo vice Dmitrij Medvedev? Non si sa. Ma lo stesso Putin, nel porgere le sue condoglianze, allude a un colloquio con «funzionari». Una trappola, probabilmente.
Al termine dell’incontro, Prigozhin si rimette a bordo del suo jet alla volta di San Pietroburgo. L’ultimo fatale volo su cui si moltiplicano le ipotesi: una bomba nel vano carrello, in una cassa di vino o nel condizionatore o un missile terra- aria. Evkurov, intanto, sta continuando il suo tour. È tornato in Siria e presto andrà nuovamente in Africa. L’obiettivo è chiaro. L’uscita di scena di Prigozhin non basta. «Wagner delenda est». Wagner dev’essere distrutta.
(da La Repubblica)
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