Agosto 22nd, 2023 Riccardo Fucile
SETTE INFAMI CHE CONTINUANO A DIFFAMARE LA VITTIMA, QUALCUNO HA PURE IL CORAGGIO DI DIRE CHE E’ STATA LEI A CONDURLI NEL LUOGO DELLA VIOLENZA E A SOSTENERE CHE “NON PENSAVAMO CHE SI TRATTASSE DI VIOLENZA”
È stata una strategia difensiva orchestrata fin dal weekend dell’arresto, per arrivare a una confessione con tanto di giustificazione di fronte al magistrato? Christian Maronia è uno dei sette ragazzi palermitani arrestati per lo stupro di gruppo al Foro italico del capoluogo siciliano, a luglio. Dopo il suo arresto su un profilo TikTok intestato a lui compaiono post particolari: video in cui si vede un ragazzo che canta, o che balla, che non parla del caso, accompagnato però da scritte che fanno riferimento alla vicenda dello stupro di gruppo.
Da quanto risulta i nuovi post sono stati pubblicati dai familiari
Per esempio: «Quando tutta Italia ti incolpa per una cosa privata ma nessuno sa che sei stato trascinato dai tuoi amici». Oppure: «Con che coraggio la gente insulta gli innocenti». «Per colpa di certe persone non potrò vivere».
Concetti, quelli dei video, che a quanto pare sono emersi anche durante l’interrogatorio di garanzia sulla custodia cautelare, questa mattina (22 agosto) in carcere. Maronia avrebbe ammesso di essere stato presente allo stupro di gruppo, specificando però che, in base a quanto gli aveva detto uno degli amici, la ragazza sarebbe stata consenziente. Uno dei conoscenti, appunto, l’avrebbe tratto in inganno.
Pronunciando certe parole e ricostruendo la vicenda Christian Maronia è esploso in lacrime di fronte ai magistrati: «Mi sono rovinato la vita». «Sono addolorato per ciò che è successo — ha aggiunto — chiedo scusa alla ragazza e alla sua famiglia. Sono tornato per aiutarla. Ma mi era stato detto che lei era consenziente».
È spuntato per esempio un profilo che farebbe riferimento ad alcuni video del minorenne coinvolto, rilasciato dal carcere su decisione del giudice. Con la scritta incollata sopra un video: «Qualche ragazza vuole uscire con noi stasera?». Sarebbe, nel caso di un profilo vero, una gravissima provocazione.
Dopo Maronia, hanno risposto al gip anche Samuele La Grassa ed Elio Arnao, gli altri due ragazzi indagati per lo stupro della 19enne palermitana. La Grassa ha raccontato di non aver avuto rapporti sessuali con la vittima. «Mi sono fatto trascinare dagli altri, li ho seguiti e non ho nemmeno capito cosa stava accadendo. Ma io non l’ho toccata», ha detto, confessando, però, di aver ripreso col cellulare la violenza.
«Non dovevo andare e non dovevo lasciarla lì, avrei dovuto aiutarla», ha aggiunto, ammettendo di non essere intervenuto in soccorso della giovane, abbandonata per strada dopo gli abusi. Oltre a la Grassa a riprendere lo stupro era stato anche un altro dei sette indagati, Angelo Flores, l’amico della vittima che l’aveva adescata su Instagram e invitata a passare la sera con lui e i suoi amici. Sulla stessa linea di La Grassa, Arnao. «Ho fatto una cazzata», ha detto al gip.
«Nessuno di noi pensava si trattasse di una violenza – ha spiegato – sapevamo che la ragazza in passato avesse fatto queste cose. È stata lei a indicare il percorso, da dove prendere per non farsi vedere dal suo fidanzato. Ci ha portato lei al Foro Italico. Lei stessa ha indicato i due con cui iniziare. Ma noi abbiamo sbagliato. E’ stato un errore, un grave errore”.
Dichiarazioni incredibili che contrastano con i video a disposizione degli inquirenti e con altre testimonianze raccolte
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 22nd, 2023 Riccardo Fucile
IL “CAPITONE”, CON IL SOTTOSEGRETARIO MORELLI, INTONÒ LA CANZONE “AMICI GAY” – IL SENATORE DI FDI MALAN HA DEFINITO L’OMOSESSUALITÀ “UN ABOMINIO” – IL CONSIGLIERE VENETO JOE FORMAGGIO PROPOSE “UNA TASSA SUI GAY PERCHÉ NON SI RIPRODUCONO” – E POI LA RUSSA, GASPARRI, CENTINAIO: CATALOGO DEI MIGLIORI (O PEGGIORI) SCIVOLONI OMOFOBI
Il nuovo fronte della destra omofoba è aperto e Matteo Salvini si intesta il ruolo di frontman. La mossa del capo leghista — che abbraccia il generale Vannacci per mettere in contropiede la silente Giorgia Meloni – è il sigillo in ceralacca su un “libro” nero – giustappunto. Un libro alla cui scrittura contribuiscono, da anni, prime, seconde e terze file di FdI e Lega. Ma anche Fi.
E non è un caso che dagli archivi emerga l’iperattivismo – sul tema gay, unioni civili, gender – proprio del ministro delle Infrastrutture. «No ai matrimoni gay», Pontida 2015. «Il matrimonio si fa fra l’uomo e la donna e i bimbi vengono adottati dalla mamma e dal papà».
È lo stesso Capitano che, a una festa della Lega, insieme all’attuale sottosegretario all’Economia Alessandro Morelli, tra bevute e crasse risate intona la canzone Amici gay, battute intonate. In seguito verrà la crociata per l’appello per cognome nelle scuole. «Elsa di Frozen non deve diventare lesbica».
«Non votare con il culo». È uno spot elettorale di FdI in Veneto per le elezioni regionali 2013. «Domenica e lunedì vota con la testa e con il cuore… non votare con il culo» (il video-parodia omofobo diffuso su YouTube da due candidati padovani riprendeva l’esibizione a Sanremo della coppia omosessuale Stefano e Federico). Meloni si scusò a nome del partito.
Il caso Vannacci, adesso, fa riaffiorare scorie depositate sui fondali: dichiarazioni, gaffe più o meno volute, offese agli Lgbtq. «L’omosessualità è contro natura», dice in aula, il 14 settembre 2020, il consigliere e vicesindaco di Potenza, Michele Napoli […] Richiamato? Punito? Macché. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso lo ha nominato consigliere del ministero per lo sviluppo del Mezzogiorno.
Un altro ultrà: Carlo Ciccioli, capogruppo meloniano in Regione Marche. Nel 2016 pubblica un articolo sul Secolo d’Italia, house organ di FdI. Titolo: “Il suicidio dell’Europa di oggi è come quello dell’Impero romano”. Scrive che il crollo dell’impero romano è dovuto anche ai “maschi effemminati” e alla “pansessualità”. Musica per le orecchie di Joe Formaggio, consigliere regionale veneto di FdI.
Dopo avere avanzato l’idea di una tassa sui gay “perché non si riproducono”, Formaggio interviene in aula mentre si discute una mozione delle opposizioni sull’adesione della Regione alla rete Ready e ai Pride. “Io non ho nulla contro gay, lgbt, però non dobbiamo portarli al circo. Perché tra poco c’è Carnevale”.
E ancora: “Vestiamo gli assessori di Zaia da drag queen e li mettiamo sopra il carro”.
Tra i “patrioti” che oggi si dividono sul libro-shock di Vannacci, le derive omofobe sono diffuse. Il senatore Lucio Malan l’anno scorso definì l’omosessualità “un abominio… lo dice anche la Bibbia”. Bignami (quello che si travestì da nazista), Donzelli, Montaruli (croci celtiche e saluti romani): i pro-Vannacci – all’estrema destra ci sono poi gli Alemanno, gli Storace, i Fiore – si muovono su un terreno bene arato.
Ignazio La Russa in un’intervista del 2013: «Genitori gay? Anche il bambino crescerebbe gay». Due mesi fa a Lissone (Monza-Brianza) la consigliera comunale Felicia Grazia Scaffidi ha argomentato: «I gay li tratto come qualsiasi altra persona normodotata…ho più amici gay che amici normali».
Nell’album omofobico — come detto — un posto di assoluto rilievo lo occupa la Lega. A partire dal suo segretario federale neo tifoso di Vannacci. Un messaggio a Meloni, certo. E la linea da dare ai suoi. Che pure sono già rodati. Gianmarco Centinaio, vicepresidente del Senato: «Le unioni civili? Di questo passo sposeremo il cane». «Dire a qualcuno frocio non è offensivo»: Andrea Ostellari, sottosegretario alla Giustizia.
Da menzionare infine le uscite dei forzisti. Al netto del Berlusconi del «meglio guardare una bella ragazza che essere omosessuali», Licia Ronzulli si scagliò contro il Pride: «Non voglio vedere Cristo in tacchi a spillo». Più in là si spinse Maurizio Gasparri, che etichettò così le coppie omogenitoriali: «Trafficanti di bambini».
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 22nd, 2023 Riccardo Fucile
L’ASSIST DEL GOVERNO ASOCIALE ALLE LOBBY DEGLI SFRUTTATORI … VOGLIAMO LA STESSA PAGA APPLICATA ANCHE A CHI CI GOVERNA: 3 EURO L’ORA
Il salario minimo, attualmente oggetto di discussione politica in Italia imporrebbe una retribuzione di almeno 9 euro all’ora. A Napoli dopo l’abolizione del reddito di cittadinanza si rivedono gli annunci di lavoro vergognosi, quelli illegali poiché in nero, senza contratto né previdenza sociale né assicurazione ma soprattutto con una proposta economica ridicola, inaccettabile: 3 euro all’ora, ovvero un terzo del salario minimo.
Dal lunedì al venerdì dalle 7.30 del mattino alle 19, il sabato dalle 7 del mattino alle 19 di sera, per 1.000 euro al mese. Non si parla di contratto e non potrebbe essere altrimenti, visto che l’orario è illegale.
L’annuncio di lavoro, raccolto e rilanciato dal deputato napoletano Francesco Emilio Borrelli, tra i più “social” d’Italia, su Instagram genera l’immancabile discussione. Da una parte c’è un mondo di persone convinte del fatto che sia necessaria una «gavetta» non si sa bene di quanto tempo e a che titolo, prima di poter aspirare ad un posto di lavoro regolare e ad uno stipendio non fuorilegge.
Altri invece attaccano:
Il problema è che la trovano comunque la persona da schiavizzare, quindi il problema è sempre di chi rifiuta e non riesce a trovare di meglio.
Purtroppo ormai trovare una busta paga ottima e un orario di lavoro giusto (8 ore per 5 giorni lavorativi) è quasi impossibile, io ho cambiato tre aziende prima di arrivare a questi “privilegi”.
Il tutto arricchito da altre testimonianze:
Io ne prendevo 4 di euro e dopo 7 mesi l’ho mandato a quel paese. Era tutto a nero, perché per questi pseudo imprenditori è tutto normale.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 22nd, 2023 Riccardo Fucile
COSA ACCADE OGNI GIORNO ALLA MENSA SAN VINCENZO DE PAOLI… DITE AI FIGHETTI SOVRANISTI CHE GOVERNANO DI USCIRE DAI RESORT DI LUSSO E VENIRE A VEDERE I RISULTATI DELLA LORO DESTRA ASOCIALE
Decine di persone in attesa questa mattina per mangiare alla mensa sociale San Vincenzo De Paoli in via Santa Sofia, al centro storico di Napoli. In tanti hanno atteso pazientemente il turno dell’apertura dei cancelli per poter consumare un pasto gratuito. La mensa è aperta ogni giorno, dal lunedì al venerdì, a chi non ha la possibilità di poter mettere un piatto a tavola. A disposizione ci sono 40 posti a sedere a pranzo e si cercano volontari per dare una mano a servire le pietanze.
Questa mattina, 21 agosto 2023, l’associazione Comitato Pescatori del Molo San Vincenzo ha donato diverse decine di chili di pesce pescato alla mensa. “Stamattina – racconta Carmine Meloro, del Comitato pescatori – la nostra associazione di pescatori ha donato diversi chilogrammi di pescato che potranno essere serviti a chi non ne ha la possibilità. Considerato il costo del pesce e che non tutti possono permetterselo, abbiamo pensato di darlo in offerta a chi non può comprarlo. È giusto che ognuno faccia la sua parte”.
“Il richiamo della nostra coscienza – conclude Meloro – ci ribadisce la strada maestra: aiutare gli altri. Ne abbiamo la possibilità e lo facciamo con piacere nel nostro piccolo. Il pescato è stato volontariamente offerto dal Comitato portuale molo San Vincenzo all’associazione del centro storico che aiuta a sfamare circa 50 persone socialmente fragili al giorno. Ringraziamo gli amici per aver chiesto il permesso di entrare nella casa di Dio, la casa di tutti”.
La mensa sociale San Vincenzo De Paoli è aperta dal lunedì al venerdì. La prenotazione del pranzo e del caffè avviene dalle 9 alle 10 del mattino. Il pranzo viene servito ai tavoli alle 11,50. Non sono distribuiti cestini.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 22nd, 2023 Riccardo Fucile
LA RABBIA DI MIGLIAIA DI PERSONE PER IL VALORE ESIGUO DELLA CARTA: 380 EURO L’ANNO, POCO PIU’ DI UN EURO AL GIORNO
Il primo giorno di fila è stato un vero e proprio caos, ma nella seconda giornata va un po’ meglio. Negli uffici della direzione welfare in via Salvatore Tommasi, anche oggi migliaia di persone si sono messe in attesa per avere notizie sulla loro “Carta acquisti” la misura di sostegno al reddito voluta dal governo Meloni che è di circa 380 euro una tantum.
Un bonus che sostituisce, nei piani del governo, il reddito di cittadinanza, misura molto più corposa e strutturata.
A Napoli, come ha dichiarato l’assessore comunale al welfare Luca Trapanese, su 72 mila aventi diritto sono arrivate solo 31 mila carte acquisti, una circostanza che ha gettato nel caos gli utenti, risultati idonei per calcolo ISEE e condizioni sociali, ma che rischiano di rimanere fuori dalla misura. In moltissimi sono ex percettori di reddito di cittadinanza che ora provano a beneficiare della nuova misura ben più esigua.
“E’ 1,50 € al giorno, ed il resto dell’anno come campiamo?”
Nella seconda giornata di lunghe file agli uffici comunali sembrano essersi organizzati meglio. La media di attesa varia tra 1 ora e mezza e le 2 ore. Si prende il numero scritto con un pennarello su un pezzettino di carta e si attende. Un impiegato comunale chiama i numeri gridando all’esterno, le persone titolari del “numero vincente” si avvicinano e iniziano la seconda fila, quella all’interno che porta alla postazione degli impiegati comunali, posizionati nell’androne del palazzo su due grosse scrivanie bianche. Non ci sono sedie, si sta in piedi. Ma le operazioni sono veloci, se sei nel database ti stampano il codice.
Ma non è finita qui, perché con quel codice dovrai fare un’altra fila, stavolta agli uffici postali, per avere la “carta acquisti”. A guardarla da fuori sembra una scena della Napoli degli anni ’80 raccontata dal maestro Luciano De Crescenzo in “Così parlò bella vista”.
Al tempo dello SPID, al tempo in cui dallo smartphone possiamo fare tutti i certificati anagrafici, qui si prendono i numeretti scritti a penna e si attendono ore per capire se si è presenti su un elenco, per poi andare a fare un’altra fila.
“È organizzato tutto con i piedi – ci dice un ex percettore di reddito di cittadinanza, anche lui in fila – tra l’altro qua ci prendono per fame. Questa carta da poco più di 380 euro, che sono circa 1,50 euro al giorno, ma il resto dei 365 giorni come devono campare le persone?”.
Alla disperazione per la fila si aggiunge la consapevolezza che la “Carta acquisti” è del tutto insufficiente rispetto alle reali esigenze delle persone povere. Un altro signore accanto, sente le dichiarazioni davanti alla telecamera ed aggiunge: “Togliere il reddito di cittadinanza è stata una cattiveria sociale. Io so che sono arrivate meno carte rispetto agli aventi diritto, evidentemente non avevano nemmeno le coperture per questa misura, e con questo caos la gente è portata a desistere e rinunciare. Va tutto a favore del governo così”.
E’ proprio il valore della “Carta acquisti” che rende scettici e arrabbiati gli utenti in fila per ore. La signora Grazia, nome di fantasia, ci offre un punto di vista che potremmo considerare tecnico: “Io lavoro al supermercato, i prezzi sono aumentati tantissimi, dal latte al pane, noi cambiamo i prezzi tutti i giorni. Questa carta da un bonus di poco più di 380 euro all’anno, ci arrivi a fare una spesa per un mese per una famiglia di quattro persone, niente di più”.
Ed effettivamente alla già modesta cifra della “Carta acquisti” bisogna aggiungere l’inflazione galoppante e l’aumento sia dei beni primari che di quelli di consumo. Dalla benzina ai prodotti alimentari sta aumentando tutto, togliendo potere di acquisto alla misura che nelle intenzioni del governo è nata proprio per sostenere i più poveri.
Inoltre c’è la consapevolezza che non tutti riusciranno ad averla, visto che nemmeno la metà delle carte è arrivata al Comune di Napoli. I prossimi mesi ci racconteranno il vero impatto sociale della cancellazione del reddito di cittadinanza ed la reale funzione di calmiere sociale della “Carta acquisti”.
“Le famiglie che non ce la fanno che devono fare ?” ci dice una signora che ha appena preso il suo numeretto e sembra rassegnata alla lunga fila. “Io ho paura che aumenterà la delinquenza, chi ha famiglia cosa potrà fare? Il rischio è che aumenta la malavita, un piccolo sussidio era veramente necessario”. E’ questa una paura che serpeggia anche in città. Intanto la fila prosegue, più o meno spedita, e risulta essere un’immagine profetica il piccolo altorilievo sacro posto proprio di fronte agli uffici di via Salvatore Tommasi. Una Madonnina, con la scritta “Prendete e mangiate…”.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 22nd, 2023 Riccardo Fucile
COSÌ MELONI POTRÀ GIOCARE, ALMENO FINCHÉ L’INCANTO DURA, LE DUE PARTI IN COMMEDIA, LA PREMIER RESPONSABILE E LA CAPA DEL PARTITO IRRIDUCIBILE, E PROVARE A GOVERNARE RASSICURANDO BRUXELLES MA AL TEMPO STESSO PERSEGUENDO LA STRATEGIA DEL PAS D’ENNEMIS À DROITE. COPRIRSI A DESTRA, MENTRE SI PROVA A GUARDARE AL CENTRO”
Sono addetti a dettare la linea. Il che, spesso, significa rimettere gli altri in linea. Specie se “gli altri siamo noi”, cioè sono loro, insomma i Fratelli che sbagliano. Perché va bene, certo, questa idea di mostrarsi moderati, di darsi un tono da gente che governa. Però neppure bisogna esagerare, ché significherebbe tradire.
Dunque ecco che se Guido Crosetto prova a gestire con un certo raziocinio la patetica ricerca del quarto d’ora di celebrità del balilla fuori corso Vannacci, arriva Giovanni Donzelli, e con lui Galeazzo Bignami, a dire che no, suvvia, non si può eccedere con questo moralismo progressista da politically correct.
Così Crosetto, sabato, dirama una nota per stigmatizzare la proliferazione di “commenti a ruota libera a destra e a sinistra”, e di lì a poche ore Bignami, che ha guadagnato medaglie al valore patrio sul campo riprendendo i citofoni degli stranieri a Bologna, segnala il suo sdegno su Facebook; e l’indomani, tanto per ribadire il concetto, Donzelli si fa intervistare per far sapere che qualsiasi condanna a Vannacci sarebbe un cedimento al wokismo in salsa Pd.
Perché è Meloni a segnare il solco, ma è Donzelli che lo difende. E con lui Bignami, s’intende. Così come Andrea Delmastro. Così come Marcello Gemmato. Picchiatori quando serve, picchiatelli quanto basta, messi da Donna Giorgia a presidiare i ministri “moderati”, anche quando moderazione è soltanto rifiuto del complottismo sovranista, rifiuto dell’assurdo. E d’altronde, insistono i difensori della fede, i tutori della mistica di Colle Oppio, “non era assurda per i tiepidi e per i pavidi la conquista di Palazzo Chigi”? Non è a questi assurdi che Meloni ha imbevuto tutti, da anni?
E forse si era ingenui a pensare che almeno Crosetto fosse risparmiato dalla furia dei Fratelli pasdaran. E invece niente. Certo, ha taciuto Isabella Rauti, che è sua vice a Palazzo Baracchini, e che pure non nasconde, in privato, un’insofferenza che la pone in sintonia con Donzelli e Bignami. Ma c’hanno pensato i due guardiani della rivoluzione patriottica. E non a caso, viene da dire. Ché così Meloni potrà giocare, ancora per un po’, almeno finché l’incanto dura, le due parti in commedia, la premier responsabile e la capa del partito irriducibile, e insomma provare a governare rassicurando Bruxelles ma al tempo stesso perseguendo la strategia del pas d’ennemis à droite. Coprirsi a destra, insomma, mentre si prova a guardare al centro.
Un’ansia che ieri ha preso appunto consistenza nell’omaggio che a Vannacci ha reso Matteo Salvini, con tanto di video su Facebook e telefonata privata. E’ lui, il vicepremier, che tiene il fiato sul collo di Meloni. E’ lui che ribadisce la necessità della separazione delle carriere mentre Nordio tentenna; è lui che si esalta per la tassa alle banche mentre a Palazzo Chigi iniziano a mostrare qualche ripensamento. Ed è lui, ovviamente, a mostrare il petto gonfio di chi rifiuta i veti del mainstream sulle improvvide alleanze europee con esagitati di varia risma. Finché c’è lui a difendere l’ortodossia dell’assurdo sovranista, come potrà Meloni fare a meno dei suoi randellatori?
(da il Foglio)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 22nd, 2023 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA NON HA MAI VERSATO LA SUA QUOTA AL PARTITO
Da quanto è stato eletto come deputato, il ministro della Giustizia Carlo Nordio non avrebbe mai versato un euro al suo partito Fratelli d’Italia, nonostante l’obbligo per tutti i parlamentari di versare la propria quota. Come riporta il Fatto Quotidiano, l’ex magistrato avrebbe dovuto cedere dal suo stipendio 10mila euro una tantum e 1.000 euro al mese da quando è iniziata la legislatura.
Finora però non c’è stato neanche bonifico, facendogli accumulare un debito di ben 20mila euro a quasi un anno dalle Politiche.
Da parte sua il ministro dice: «Non ne sapevo niente e nessuno me lo ha mai chiesto, pensavo me li togliessero direttamente dagli emolumenti parlamentari».
Per legge Nordio non deve nulla al suo partito, dopo che nel 2013 è stato abolito il finanziamento pubblico ai partiti. Ma ogni forza politica si è data regole interne, così come ha fatto quella di Giorgia Meloni, che per i neoeletti aveva previsto anche uno sconto. Mentre i parlamentari confermati avrebbero dovuto versare da subito 30mila euro una tantum, per gli esordienti la donazione è stata prevista solo di un terzo.
Nordio sarebbe l’unico tra i ministri di FdI, eletto da parlamentare, a non aver versato la sua quota.
È escluso per esempio Guido Crosetto, che è entrato nel governo senza passare per le urne. In regola invece con i pagamenti sarebbero i ministri Raffaele Fitto, Adolfo Urso e anche Daniela Santanché.
Lo stesso vale per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, il presidente del Senato Ignazio La Russa e la stessa Meloni, che ogni 20 del mese ha versato regolarmente i 1.000 nelle casse del partito.
Che cosa succederà ora a Nordio? Secondo le fonti sentite dal Fatto quotidiano la linea è di non sollecitare i pagamenti al ministro. Non essendo Nordio iscritto al partito, così come il senatore Marcello Pera, per lui resta una sorta di invito all’obolo, che di certo non dispiaceranno alle casse di FdI.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 22nd, 2023 Riccardo Fucile
NEGOZI E RISTORANTI A MILANO: “PRENDEVO 5 EURO L’ORA, POI SI DOMANDANO PERCHE’ NON TROVANO PERSONALE”
Non si trovano camerieri, cuochi, baristi, ma nemmeno commessi disposti a sacrificare weekend e festività: sono anni che sui quotidiani leggiamo le dichiarazioni di imprenditori disperati che raccontano di non riuscire a trovare personale.
I settori che paiono più toccati da questa penuria di lavoratori sono principalmente due: ristorazione e commercio, incidentalmente i due settori che presentano la maggior incidenza di irregolarità secondo l’ultimo rapporto dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
Le ragioni della mancanza di personale nel commercio sono piuttosto note e hanno a che fare con le condizioni proposte.
La parola chiave è “precarietà”: le maggiori catene di negozi e supermercati assumono per lo più con contratti part-time a tempo determinato che prevedono le cosiddette clausole elastiche e flessibili. Cosa sono? Il lavoratore viene assunto, per dire, per 24 ore settimanali ma finisce per lavorarne oltre 40. In certi casi gli straordinari vengono retribuiti, in molti altri casi finiscono in “banca ore”, cioè vengono accumulati per poter essere poi utilizzati per chiedere dei permessi.
Marta (nome di fantasia, ndr) ha lavorato in un negozio di cosmetica in pieno centro a Milano: “Sono stata assunta al volo: ero in giro a fare una passeggiata con mia madre e mi sono fermata a lasciare il cv. Nemmeno il tempo di girare l’angolo che mi avevano chiamata per il colloquio. Ho iniziato a dicembre, assunta con un contratto di un mese da 30 ore settimanali per 1.000 euro circa, per poi passare a un full time a 1.300 euro. La formazione è durata pochissimi giorni e già durante la prima settimana sono finita a fare cassa, senza però l’indennità prevista dal contratto. Col passare del tempo sono arrivata a ricoprire il ruolo di responsabile del piano: gestivo lo staff del negozio, organizzavo i turni e sostituivo la store manager quando non c’era, il tutto senza alcun aumento di stipendio. Sono arrivata a lavorare molte più ore rispetto a quelle contrattuali ma questi straordinari non mi sono mai stati retribuiti, finiva tutto in banca ore”.
Non è solo la precarietà a rendere così poco attraente il lavoro nel commercio. Ogni negozio retail impone quotidianamente ai propri dipendenti dei target da raggiungere.
Fallire l’obiettivo espone a conseguenze, come il mancato rinnovo: “Ogni mattina c’era un briefing durante il quale ci venivano comunicati gli obiettivi: la media scontrino doveva essere di almeno 15 euro e il numero di pezzi per scontrino mai sotto il 3. Il tasso di conversione richiesto era almeno del 30/35%, un livello molto alto da raggiungere considerando che molte persone entrano in questi negozi solo per passare il tempo o per evitare di prendere caldo o freddo a seconda della stagione”, racconta Marta.
Condizioni simili anche per Ilaria (nome di fantasia, ndr), che ha lavorato come addetta alle vendite in un importante negozio di costumi nel centro di Milano: “Cercavo un impiego part-time per guadagnare qualcosa durante l’università. Non sapevo, però, che quel ‘lavoretto’ avrebbe finito per diventare esasperante: da 24 ore settimanali che avrei dovuto fare sono arrivata a lavorarne anche 45. Non era prevista alcuna turnazione per domeniche e festivi – anche perché eravamo perennemente ‘sottostaffati’ – ed essendo l’ultima arrivata finivo per dovermi sobbarcare i turni più scomodi. Ho resistito quattro mesi e poi ho dovuto lasciare il lavoro per non compromettere gli studi. Lo stipendio? Circa 1.200 euro per 40 ore settimanali. E mi reputo fortunata: c’erano ragazze in stage che lavoravano per 500 euro”.
Se nel commercio la situazione è brutta, nella ristorazione è peggio: nel settore l’incidenza media nazionale del lavoro irregolare è al 76%.
“Ho lavorato per anni come cameriere e a 30 anni posso dire che non ho mai avuto un contratto davvero regolare: sono sempre stato pagato metà in busta paga e metà in nero, se non totalmente in nero – racconta Gabriele –. Ho lavorato in un famoso pub in una zona centrale di Milano, dalle 17 alle 2 del mattino, sei giorni a settimana. O almeno questo era l’orario formale, perché mi sono trovato a dover rimanere anche oltre le 3 perché gli amici del proprietario si fermavano a bere. Quell’ora in più non me l’ha mai pagata nessuno, era pretesa. Il tutto per 40 euro a sera. Non è andata meglio quando ho cominciato a lavorare come cameriere in un ristorante in zona San Siro: contratto da 10 ore settimanali come lavapiatti, ne lavoravo 11 al giorno tra pranzo e cena per 1.100 euro”.
La testimonianza di Gabriele è molto simile ai racconti di decine e decine di suoi colleghi, eppure molti continuano a sostenere che la mancanza di lavoratori nel settore sia causata dal defunto Reddito di cittadinanza o dalla scarsa propensione dei giovani al sacrificio.
Giovani è una parola chiave: questi imprenditori cercano nella maggior parte dei casi personale under 30, per pagarlo di meno ovviamente. In Italia è diffusa l’idea malsana che un giovane debba accettare qualsiasi condizione proposta, una sorta di distorsione in cui la gavetta finisce per somigliare a un moderno schiavismo.
Non a caso, dopo lo stop pandemico, molti lavoratori hanno deciso di abbandonare la ristorazione o emigrare. È il caso di Isabella: “Ho lavorato nel campo della ristorazione per 12 anni e solo quando ho deciso di trasferirmi in Svizzera ho avuto l’onore di sottoscrivere un contratto di lavoro in regola. Il mio ultimo lavoro in Italia prevedeva l’orario spezzato, sei giorni a settimana, per 1.400 euro al mese, peccato che il mio contratto fosse di 20 ore a settimana. Facendo i conti, lavoravo praticamente per 5 euro all’ora. Ovviamente gli straordinari non erano retribuiti, in questo settore va molto di moda offrire un forfait: io ti pago una cifra fissa e tu lavori quanto voglio io. Poi si domandano perché le persone girano al largo dalla ristorazione. L’unico consiglio che mi sento di dare a chi vuole emigrare è di non andare a lavorare per gli italiani all’estero: la solfa non cambia”.
(da Il Fatto Quotidiano)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 22nd, 2023 Riccardo Fucile
LA “SOSTITUZIONE ETNICA” E’ DEFINITA “PREGIUDIZIO ANTISEMITA”
Ci si divide sui contenuti del libro Il Mondo al contrario del generale Vannacci, ma sta facendo discutere anche un’altra opera a firma di Giorgia Meloni e Alessandro Meluzzi che si intitola Mafia nigeriana. Origini, rituali, crimini, pubblicato nel 2019, dove si sostiene la teoria della “sostituzione etnica”. Ma ha qualche fondamento? A quanto pare no e forse il premier dovrebbe consultare proprio il sito della Presidenza del consiglio dei ministri dove si segnala tra i “pregiudizi antisemiti” il “Piano Kalergi” alla base di quella teoria…
Bene, dunque adesso chi la destituisce Giorgia Meloni che nel 2019, nel libro “La Mafia Nigeriana”, scritto con Alessandro Meluzzi, parlava di “sostituzione etnica” sostenendo che “il migrazionismo è finanziato oggi da qualcuno che vuole cambiare l’etnia europea per creare un’Euroafrica o un’Eurasia”? Sono opinioni personali, ci mancherebbe, però chi è al capo del nostro governo pensa che ci sia qualcuno (che poi, nella maggioranza delle ipotesi ha anche un nome, Soros, che sta lì con la calcolatrice e mezza matita in bocca, gli occhiali calati sul naso, che si fa i conti parlando all’interfono: “Quanto mi viene fare entrare in Europa un po’ di persone di etnia africana per annacquare l’etnia europea?”. Mentre, dall’altro lato del mondo (sto per scrivere un periodo non woke) c’è un asiatico che sta lì con il supercomputer quantistico e mezza calcolatrice in bocca che dice all’interfono (ha anche lui l’interfono, ma è più moderno): “Quanti asiatici entlale dentlo containel bello bello?”.
Giorgia Meloni e il libro delle polemiche
La teoria della sostituzione etnica è una teoria complottistica che suppone l’esistenza di un piano segreto, chiamato “Piano Kalergi”. Tale teoria, copio da Wikipedia, “trova credito soprattutto in ambienti di estrema destra (nazionalisti, sovranisti, neonazisti e suprematisti bianchi). Ora, a parte il fatto che se penso a una supremazia bianca italiana mi vacilla la mente perché molti italiani sono (attenzione, periodo non woke) bassi, scuri e pelosi, il “Piano Kalergi” fu teorizzato dal tipino fino e negazionista austriaco Gerd Honsik (detto anche “quel gran pezzo di gerd”) condannato due volte per avere negato l’olocausto e che stravolse le teorie del conte Kalergi (che non è che fosse una cima pure lui) che si limitava a sostenere che le popolazioni rurali, in quanto geneticamente endogamico (facevano tutto in famiglia) era forte di volontà ma intellettualmente meno riuscito, mentre le popolazioni urbane, frutto della mescolanza, erano un po’ più rammollite ma intellettualmente migliori (e infatti sono sbocciati gli influencer). Kalergi si augurava un’Europa unita, con grandi scambi culturali e anche organici, cioè l’Europa che abbiamo oggi e non ha mai parlato di fare arrivare navi dall’Africa per miscelare meglio i neonati europei (questo se l’era inventato Hosik).
Tanto meno si capisce a quale sostituzione etnica si possa essere riferita Giogia Meloni parlando e scrivendo con Alessandro Meluzzi. Suppongo Ella si riferisse all’etnia etrusca romana de Roma che attualmente viene supposta (in alcuni casi addirittura suppostona) autoctona di Lazio, Umbria e Toscana, e dunque l’Italia dovrebbe fermarsi lì, distiguendosi dall’etnia lumbàrd, detta salviniana (pelle e capelli scuri, leggero prognatismo, salivazione cospicua), e da quella del Sud Italia, di provenienza greca, normanna, vikinga, con influenze mediorientali e quindi fondamentalmente ariani. Lasciando da parte queste considerazioni, si pone ora un problema: datasi la sua credenza nel Piano Kalergi, adesso, la Meloni, che fa? Se la rimangia? Viene destituita? Da chi? E soprattutto, perché nel sito del governo c’è ancora una pagina intitolata: “Pregiudizi Antisemiti: Piano Kalergi. Falsa idea di un complotto di sostituzione dei popoli europei”?
(da mowmag.com)
argomento: Politica | Commenta »