Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile
IL TENTATIVO SI È INFRANTO SUL RIFIUTO DEL LEADER POPOLARE FEIJÓO, CHE È BEN CONSAPEVOLE QUANTO VOX SIA DETESTATO DAL PPE DI MANFRED WEBER. COME DEL RESTO L’ALTRO ALLEATO DELLA DUCETTA, IL POLACCO MORAWIECKI
Giorgia Meloni è così ossessionata dall’ambizione di diventare la “nuova Merkel” europea che avrebbe digitato il numero del leader dell’estrema destra a capo di Vox, Santiago Abascal, e sarebbero bastate un paio di telefonate per convincere il neofranchista a dare i suoi voti al Partito Popolare “senza chiedere nulla in cambio”, senza cioè pretendere di entrare nel governo.
Entrambi gli schieramenti hanno 171 voti sicuri per quella maggioranza semplice che dalla seconda votazione è necessaria per ottenere la fiducia. L’appoggio ’’senza condizioni’’ di Santiago Abascal al PP è innescato dalle trattative di Pedro Sanchez per formare un governo con i socialisti alleati ai 7 deputati indipendentisti catalani di Puidgemont.
L’estremo tentativo di Giorgia di portare Vox a sostenere senza contropartite un governo a guida PP si è infranto sul rifiuto del leader popolare Feijóo, che è ben consapevole quanto il partito neo-fascio spagnolo sia detestato dal Partito Popolare Europeo guidato da Manfred Weber.
Il PP fa parte infatti del Partito Popolare Europeo e un esecutivo con Vox aprirebbe le porte a un’alleanza con i Conservatori guidati dalla Ducetta. Senza dimenticare che il prossimo 15 ottobre l’altro alleato della Meloni nei Conservatori, l’attuale premier polacco Mateusz Morawiecki, riesca a sconfiggere lo sfidante Donald Tusk, che il PPE sta appoggiando in maniera forsennata.
(da Dagoreport)
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Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile
CHI PUO’ EMIGRA, CHI E’ COSTRETTO A RESTARE SI RIFA’ IL LOOK … GLI OLIGARCHI CRITICANO LA GUERRA DI PUTIN IN PRIVATO MA IN PUBBLICO TACCIONO
Cancellare ogni riferimento alla Russia. Ripulire le biografie. Riscoprirsi kazaki, armeni, turchi, europei. O israeliani, per via di una qualche ascendenza ebraica. Emigrare, se si hanno doppi e tripli passaporti. I miliardari più legati al potere putiniano cercano, talora maldestramente, di rifarsi un’immagine. Non hanno il coraggio di parlare contro Putin, ma di far sparire la Russia dalla loro vita sì.
Roman Abramovich aveva aperto la strada, aveva cominciato anni fa ad attivarsi per non apparire più così russo, o non più soltanto russo. Dal 2018 ha acquisito anche la cittadinanza israeliana, in seguito quella portoghese. Ma Abramovich non è il solo a cercare di diluire la propria appartenenza alla Russia. Arkady Volozh è il caso più lampante ma solo l’ultimo in ordine di tempo, non è affatto il solo.
L’ex capo di Yandex l’altro giorno ha definito – alla buon’ora: dopo diciotto mesi – la guerra della Russia «barbarica». È uno dei due “coraggiosi” che l’hanno fatto, tra i miliardari russi (l’altro è Oleg Tinkov). Ma Volozh si è preparato la strada da tempo in questo modo: «Ha iniziato a trasportare il team Yandex all’estero molto prima della guerra», ha dichiarato uno dei dipendenti.
I dipendenti di Yandex.Food lavorano in Israele dalla pandemia. In Israele Volozh possiede diverse proprietà immobiliari. I gruppi di lavoro Yandex.Lavki e Yandex.Taxi sono basati in buona parte in Israele. Soprattutto, Volozh ha rimosso dal suo sito web quasi tutti i riferimenti ai legami con la Russia e l’Urss.
Molti oligarchi sono critici di Putin e della guerra in privato, ma in pubblico restano prudenti, temono ritorsioni, e sanno che sono in gioco miliardi di dollari di beni in Russia, che appartengono a loro nominalmente ma restano comunque esigibili (o nei casi estremi espropriabili) da Putin. In qualunque momento.
Catherine Belton, l’autrice di un grande libro sulla cerchia di Putin, ha scritto che Volozh ha fatto sorridere tanti osservatori quando la scorsa settimana, per prendere le distanze dalla guerra in Russia, ha pubblicato sul suo sito web una nuova biografia in cui si descrive come «imprenditore tecnologico israeliano nato in Kazakistan». Non russo. Non un russo che fino a qualche anno fa incontrava Putin al Cremlino.
Non è il solo che cerca di distanziarsi dalla Russia e dalle sue origini russe. Il comproprietario e presidente del consiglio di sorveglianza del consorzio Alfa Group, Mikhail Fridman, caduto sotto le sanzioni occidentali, si definisce da tempo «un uomo d’affari russo-israeliano nato in Ucraina». Eppure le sue critiche sono sempre solo sussurrate. L’appartenenza russa impaccia. Imbarazza. Agentsmedia ricorda il caso del banchiere d’affari Ruben Vardanyan, ex capo della “Troika Dialog”, che adesso si presenta come un finanziere di «origine armena». Nel settembre 2022 ha rinunciato alla cittadinanza russa e si è trasferito in Nagorno-Karabakh. Un altro importante uomo d’affari, Viktor Vekselberg (nella lista delle sanzioni Usa dal 2018, Vekselberg ha avuto proficue relazioni trasversali con la politica in Italia) sottolinea ormai di essere nato in Ucraina e di essere cittadino di Cipro.
(da La Stampa)
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Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile
INCAPACE DI FAR FRONTE AI NUOVI ARRIVI, POI SPECULERA’ SU CHI SI LAMENTERA’ DEI SENZATETTO PER STRADA
Sfrattati dai centri di accoglienza straordinari. In mezzo alla strada o “depositati” come pacchi umani davanti ai municipi. La crudeltà si fa governo.
Il 7 agosto – annota il Post in un dettagliato report – il ministero dell’Interno ha inviato una circolare ai prefetti in cui chiede di mandare via da alcuni centri di accoglienza i migranti che hanno ottenuto una protezione internazionale, cioè quelli a cui è stata riconosciuta la possibilità di rimanere in Italia per via delle condizioni di grave difficoltà da cui provengono.
I centri in questione sono i CAS, i centri di accoglienza straordinaria, che in teoria servono alla prima accoglienza dei richiedenti asilo ma che in pratica finiscono per ospitarli molto più a lungo, a volte anche per anni. Nella circolare il ministero spiega che nei CAS serve spazio per accogliere i migranti arrivati nell’ultimo periodo, dato che quasi ovunque i posti sono esauriti da settimane.
Per legge però l’Italia dovrebbe garantire alle persone che hanno ottenuto una forma di protezione internazionale – per semplicità li si possono definire “rifugiati” – il soggiorno nelle proprie strutture di accoglienza, almeno finché non ricevono fisicamente il permesso di soggiorno. Quest’ultima è una pratica per cui i tempi d’attesa possono essere anche lunghi. In seguito i rifugiati vengono trasferiti in centri di quella che viene chiamata “seconda accoglienza”, dove in teoria è previsto un percorso di inserimento sociale e orientamento lavorativo.
Con la nuova circolare del ministero chi ha ottenuto una protezione internazionale sarà così costretto a uscire dalle strutture di accoglienza in modo improvviso, verosimilmente senza sapere dove andare.
«Migliaia di persone, pur avendo diritto all’accoglienza, dalla mattina alla sera si ritroveranno per strada», ha detto Filippo Miraglia, responsabile immigrazione della rete di circoli Arci. Le strutture di seconda accoglienza – che fanno parte del sistema di accoglienza integrata (SAI) – spesso infatti non hanno posto e non sono in grado di accogliere grandi numeri di persone in così poco tempo.
Non sempre le persone che hanno ottenuto una forma di protezione internazionale sono pienamente inserite e integrate. Molte di loro non hanno ancora fisicamente ricevuto il permesso di soggiorno: di conseguenza non possono ottenere legalmente un lavoro o affittare un posto per dormire, ammesso che abbiano i soldi per farlo.
Nella maggior parte dei casi si tratta di persone che non conoscono bene l’italiano, anche perché le misure sulla gestione dell’accoglienza introdotte dal governo negli ultimi mesi hanno fortemente ridotto o del tutto eliminato alcuni servizi che prima venivano offerti alle persone nei centri d’accoglienza: come appunto i corsi di lingua italiana, o i servizi di assistenza psicologica e di orientamento legale.
Secondo Repubblica nella circolare il ministero ha motivato la decisione spiegando che è necessario liberare una parte dei posti nei centri d’accoglienza per assicurarli alle persone migranti arrivate più recentemente.
Dall’inizio dell’estate gli arrivi di migranti via mare sono molto aumentati, soprattutto dalla Tunisia, ed è noto ormai da diverse settimane che non ci sono più posti disponibili nei CAS, che a dispetto della straordinarietà a cui fa riferimento il nome attualmente sono la principale forma di accoglienza in Italia.
Secondo i dati più recenti del ministero dell’Interno, dal primo gennaio al 10 di agosto del 2023 sono arrivati in Italia circa 95mila migranti: più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2022 e circa il triplo del 2021.
Non è ancora chiaro se le espulsioni dai centri d’accoglienza siano già iniziate, né quante persone coinvolgeranno complessivamente. Verosimilmente però si parla di migliaia di persone. Nel 2022 in Italia sono stati riconosciuti diversi tipi di protezione internazionale a quasi 20mila persone: non è detto che siano tutte nei CAS, ma è un numero utile per avere la dimensione del fenomeno. A giugno i posti complessivi nei CAS erano circa 83mila.
Il sistema di accoglienza in Italia, spiegato
Quando sbarcano in Italia i migranti vengono portati nei cosiddetti hotspot, centri di prima assistenza dove vengono identificati e ricevono le prime cure. Dopo avere manifestato la volontà di chiedere una forma di protezione internazionale – lo fanno praticamente tutti, perché altrimenti verrebbero trasferiti nei controversi centri di permanenza per i rimpatri – vengono inviati al sistema di accoglienza, una rete di strutture pubbliche finanziata dal ministero dell’Interno e affidata alle prefetture e agli enti locali, che a loro volta ne assegnano la gestione ad associazioni o cooperative attraverso dei bandi.
Tutte le persone straniere che entrano in Italia hanno diritto a chiedere allo stato protezione internazionale. La domanda viene esaminata dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, un ufficio presente nelle prefetture italiane. A seconda dei casi può riconoscere vari tipi di protezione internazionale, fra cui l’asilo politico e la “protezione sussidiaria”. Fino ad alcuni mesi fa esisteva anche un altro tipo di protezione, la “protezione speciale”, che aveva requisiti assai meno rigidi e veniva garantita a persone che provenivano da contesti complessi ma difficilmente inquadrabili nei rigidi parametri delle altre.
La “protezione speciale” è stata sostanzialmente abolita con il cosiddetto “decreto Cutro” approvato a marzo dal governo, per ragioni che il governo Meloni non ha mai spiegato del tutto (dall’inizio del suo mandato il governo ha approvato diverse misure per impedire e rendere più complicato l’arrivo di richiedenti asilo in Italia).
Nel 2022 più della metà delle persone che avevano ottenuto una protezione internazionale lo aveva fatto grazie alla protezione speciale.
I migranti in attesa di una risposta sulla protezione internazionale dovrebbero in teoria essere ospitati in strutture pubbliche apposite, i CARA, che però hanno pochissimi posti.
Nella pratica quasi tutta la gestione dell’accoglienza è demandata ai CAS, che sono edifici privati o alberghi utilizzati per sopperire alla mancanza di posti nelle strutture pubbliche. La gestione dei CAS è affidata alle prefetture, che cercano le strutture private e si servono delle associazioni o delle cooperative per l’assistenza.
Lo stato di regola si limita a pagare il vitto e l’alloggio, senza alcun riferimento alla formazione o all’inserimento sociale, con il risultato che questi centri diventano di fatto dei dormitori e poco più.
Chi ottiene una protezione internazionale dovrebbe poi finire nel sistema di accoglienza integrata (SAI), il livello secondario di accoglienza fatto di strutture gestite dagli enti locali, dove sono previsti percorsi per favorire l’integrazione delle persone ospitate.
Le persone che saranno coinvolte nelle espulsioni dai CAS previste dalla circolare del ministero dell’Interno dovrebbero finire in questi centri, ma nella pratica per il momento finiranno in strada e non è chiaro tra quanto tempo potranno essere accolte in queste strutture.
I posti nei centri del SAI sono poche migliaia, da sempre inferiori al numero di persone che ne avrebbero diritto. E in generale l’organizzazione è molto carente e caotica: nelle ultime settimane ci sono state molte dispute tra le prefetture che gestiscono i CAS e i Comuni che gestiscono il SAI. A Vicenza ci sono stati casi in cui la prefettura ha abbandonato dei migranti davanti ai municipi senza alcuna spiegazione.
Fino a prima del decreto Cutro poteva accedere al SAI anche chi aveva solo fatto domanda d’asilo, cioè di protezione internazionale: ora può farlo solo chi ha già ottenuto una forma di protezione internazionale oltre ad alcune categorie specifiche di richiedenti asilo, come i minori stranieri non accompagnati o quelli provenienti da Ucraina e Afghanistan.
In questo modo la gran parte dei migranti che arrivano in Italia continua a stare nei CAS, che però non hanno più posto”
La protesta delle Ong
Ne dà conto, per Repubblica, Alessandra Ziniti. “No ad una nuova stagione di ghetti, no a decisioni illegittime che scaricheranno sui Comuni e i territori il disagio sociale di migliaia di migranti che si ritroveranno improvvisamente in strada nonostante abbiano diritto all’accoglienza.
E’ l’appello rivolto al presidente della Repubblica Mattarella da associazioni e ong dopo la circolare, anticipata ieri da Repubblica, con la quale il Viminale ( nel disperato tentativo di trovare posti alle decine di migliaia di migranti che continuano a sbarcare in Italia) chiede ai prefetti di effettuare un monitoraggio sui 93.000 ospiti dei centri di accoglienza straordinari disponendo la revoca per coloro che hanno ottenuto il riconoscimento della protezione internazionale anche se non sono ancora in possesso del permesso di soggiorno, e dunque di un tetto o di un lavoro.
Il no del Tavolo Asilo e Immigrazione
Le associazioni che si occupano di accoglienza da tempo lamentano la mancanza assoluta di programmazione del circuito dell’accoglienza. Il Tavolo Asilo e immigrazione si è riunito solo la scorsa settimana al Viminale, limitandosi a prendere atto di quelle che vengono definite “misure emergenziali”.
“Migliaia di titolari di protezione internazionale o speciale stanno per essere espulsi dai CAS e mandati per strada – spiegano le associazioni del Tavolo Asilo – in questa direzione si stanno muovendo le prefetture. Tale prassi risulta del tutto illegale in quanto i titolari di protezione internazionale e speciale hanno diritto di essere collocati tempestivamente dai Centri di accoglienza straordinaria verso il sistema SAI, e non abbandonati nel giro di pochi giorni. Una così clamorosa violazione di legge è altresì generatrice di enormi problematiche sociali nei diversi territori, dal momento che migliaia di rifugiati privi di mezzi e senza accoglienza si troveranno allo sbando in strada e dunque a carico del welfare locale. Facciamo appello al presidente della Repubblica, al governo, affinché si arresti immediatamente la deriva del sistema dell’accoglienza e perché non si rinnovi una stagione di ghetti e di produzione di disagio sociale estremo, scaricato sui territori”.
Fortemente critico il responsabile immigrazione del Pd Pierfrancesco Majorino che definisce “sciagurata” la circolare Piantedosi. “Questa è la conseguenza del progressivo smantellamento, a livello nazionale, del sistema d’accoglienza. Diversi sindaci da settimane denunciano tutto ciò palesemente inascoltati. Il governo di fronte alla situazione dei centri esistenti spesso assolutamente sovraffollati reagisce nel modo peggiore. Invece di pensare a un nuovo piano per la redistribuzione ordinata dei titolari di protezione accelera la loro uscita dalle strutture esistenti. Questo, come già avvenuto durante la tragica parentesi rappresentata dalle scelte del ministro Salvini, produrrà un unico risultato: aumenteranno le persone destinate a vivere per strada”.
(da Globalist)
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Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile
SCHLEIN: “BASTA PERDERE TEMPO”
Ha avuto il via la raccolta firme organizzata dalle opposizioni, “Salario minimo subito”. Dopo meno di due ore dal lancio, il sito è andato temporaneamente in tilt per il grande numero di accessi.
Elly Schlein è tornata sul tema in un’intervista a Repubblica, dove ha sottolineato che chiedendo l’intervento di Renato Brunetta (presidente del Cnel) “stanno solo prendendo tempo, perché non hanno né risposte alla nostra proposta di legge, né proposte loro da avanzare”.
E ha tracciato la linea da non superare le trattative: “Due capisaldi. Il primo: rafforzare i contratti collettivi, facendo valere per tutti i lavoratori e le lavoratrici di un settore la retribuzione del contratto firmato dalle organizzazioni più rappresentative. Il secondo: la necessità di fissare una soglia legale, 9 euro l’ora, sotto la quale nemmeno la contrattazione collettiva può scendere”.
Pochi minuti prima del lancio della campagna, anche il deputato dem Arturo Scotto, capogruppo in commissione Lavoro, aveva diffuso una nota sul salario minimo: “Meloni non faccia perdere tempo al Paese, non può permetterselo lei e non possiamo permettercelo noi. Ci vuole serietà politica, non solo cortesia istituzionale”.
Via alla campagna di raccolta firme “Salario minimo subito”
In attesa che il Cnel elabori una sua proposta, comunque, l’opposizione prosegue con la strada della raccolta firme. Alle feste di partito, ma anche online: “Partiamo con una raccolta firme, anche nelle feste dell’Unità”, ha detto Schlein.
Il sito è stato lanciato questa mattina dai profili social dei partiti coinvolti. La campagna si chiama “Salario minimo subito”, e il sito riporta la petizione delle opposizioni.
Oltre a un link per il testo della legge, si trova la risposta ad alcune domande frequenti sul tema del salario minimo e sui dettagli tecnici della proposta. Sui social, Elly Schlein ha lanciato lo slogan “Mettici la firma”, mentre Azione ha invitato a “invertire la rotta” per “garantire a cittadini che lavorano rispetto e dignità” e Sinistra italiana ha chiesto di firmare “a supporto di una retribuzione giusta”.
L’obiettivo non ufficiale, ma fatto trapelare dal Movimento 5 stelle nei giorni scorsi, sarebbe di raggiungere un milione di sottoscrizioni. Con una quantità importante di consensi si potrebbe “rendere più difficile per la premier accantonare il problema del salario minimo con diversivi”, ha detto Cecilia Guerra.
Le modalità di firma, che non richiedono l’accesso con identità digitale o pagamenti – trattandosi di una petizione e non, ad esempio, della raccolta firme per presentare un referendum – potrebbero contribuire ad aumentare i numeri.
Da una parte si procederà online, quindi, e dall’altra sul territorio. Il Pd ha già fatto sapere che ci saranno banchetti alle feste dell’Unità, mentre il Movimento 5 stelle ha da poco inaugurato 90 nuove sezioni territoriali che saranno subito messe al lavoro. Per arrivare a settembre, quando riapriranno le porte del Parlamento, e poi a ottobre quando arriverà la fatidica proposta del Cnel, con un forte appoggio al testo originale della proposta. Ed evitare che, con rilanci continui ad altre priorità, il governo eviti il confronto sul tema del salario minimo a 9 euro l’ora.
(da FaNpage)
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Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile
OGNI ESTATE, CI RACCONTIAMO LA FAVOLA CHE ‘IL TURISMO È IL PETROLIO ITALIANO’, POI I DATI NON SONO COSÌ CONFORTANTI: PREZZI ALLE STELLE, AEROPORTI IN FIAMME, EXTRAPROFITTI DEI BALNEARI, INFRASTRUTTURE CARENTI, ORDE DEL MORDI E FUGGI, DISSERVIZI, FERRAGOSTO SENZA SOLD OUT
L’Albania sta registrando un boom di turisti italiani. Ora siamo diventati noi i profughi del turismo.
Su Instagram ci piace far saper agli amici, intruppati e incazzati a Rimini o a Varigotti, che prendiamo il sole su spiagge albanesi incontaminate: il brivido dell’esotico ma a prezzi abbordabili
Siamo ombre che vogliono abbronzarsi chiedendo lo sconto. Un tempo era il turista che selezionava un posto, adesso è il posto che seleziona i turisti.
Infatti, come ogni estate, ci raccontiamo la favola che «il turismo è il petrolio italiano», secondo il verbo di Flavio Briatore, il teorico dell’economia fondata sul turismo di lusso.
Poi i dati non sono così confortanti: prezzi alle stelle, aeroporti in fiamme, extraprofitti dei balneari, infrastrutture carenti, orde del mordi e fuggi, disservizi, Ferragosto senza sold out. I diversamente agiati vanno in Albania perché da noi è tutto un Twiga.
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile
CANCELLO CHIUSO, OSPITI BARRICATI E TELECAMERE PUNTATE SULLA STRADA: A FARLE VISITA, COME NOVELLI RE MAGI, ANDRANNO SOLO CROSETTO, CIRIANI E FITTO … L’IPOTESI DI UN VIAGGIO PER SPIAGGIARSI IN GRECI
Giorgia Meloni, anche quest’anno, ha scelto una masseria per le vacanze con la famiglia allargata, il compagno Andrea Giambruno, la figlia Ginevra, la sorella Arianna, il cognato ministro Francesco Lollobrigida con le loro due figlie. Se Fratelli d’Italia ha deciso di lanciare una campagna sulle spiagge italiane, la leader non sembra volerne far parte. La premier è qui, ma nessuno o quasi l’ha vista.
Meloni da cinque giorni si è rinchiusa in un resort chic ma non vistoso, con un piccolo complesso di trulli e una piscina, nella campagna di Ceglie Messapica, lo splendido borgo della Valle d’Itria che ha dato i natali tra gli altri a Rocco Casalino. Se l’obiettivo è distrarsi un po’ dalle tante rogne romane, questo sembra il posto giusto: campi di ulivi, silenzio assoluto, lontano dalle strade trafficate del Ferragosto pugliese.
Attesi per un saluto anche alcuni amici, ministri compresi, come Luca Ciriani e Guido Crosetto, che frequentano spesso questi luoghi. Nella struttura, affittata in esclusiva, la riservatezza è totale, e la presenza delle forze dell’ordine discreta. Impossibile per i curiosi avvicinarsi. In paese nessuno dice di averla ancora vista passeggiare tra i vicoli, ma tutti sono certi che dietro all’organizzazione della vacanza ci sia Luigi Caroli, consigliere regionale di Fratelli d’Italia, legato a Raffaele Fitto, che è stato sindaco di Ceglie per oltre nove anni.
Tra le ipotesi che circolano c’è quella di trascorrere qualche giorno in Grecia, mentre il presidente albanese Edi Rama è ancora fiducioso di un blitz sull’altra sponda dell’Adriatico. Per il momento la premier ha deciso di uscire il meno possibile dalla tenuta, ma qualche eccezione l’ha già fatta: una cena a base di panzerotti in una masseria di Polignano, a cinquanta chilometri da Ceglie.
Blindatissima, sotto i raggi del sole e tra gli ulivi della Valle d’Itria. La zona prescelta per le vacanze è sempre l’entroterra pugliese, ma quest’anno, se non ha cambiato spiaggia, la leader della destra diventata premier ha cambiato stile. Riposo e sobrietà nella «luxury villa» a quattro stelle dove si è letteralmente rinchiusa con familiari e amici. Anche per ragioni di sicurezza le uscite sono ridotte al minimo e gli incontri politici quasi azzerati, il massimo dello svago presidenziale per ora sono i libri, il ripasso dei dossier di governo, i tuffi con la figlia Ginevra nella piscina a forma di cuore e le partite a burraco internazionale.
Per arrivare alla masseria da cui la premier medita di «non uscire mai» bisogna lasciarsi alle spalle i lidi off limits dell’Adriatico e dello Ionio che distano rispettivamente 20 e 40 minuti e infilarsi nelle campagne di Ceglie Messapica
Cancello chiuso, telefoni staccati, ospiti barricati e telecamere puntate sulla strada. Meloni la scovò anni fa, grazie al consigliere regionale Luigi Caroli che le fa da Cicerone sul territorio. La premier e il compagno Andrea Giambruno hanno prenotato per due settimane l’intera struttura, lontana da tutto e tutti e immersa in un grande parco punteggiato di palme e fichi d’india. I Meloni alloggiano nelle sei suite in pietra leccese dallo stile rural chic. Oltre alla sorella Arianna e al marito ministro Francesco Lollobrigida c’è la famiglia del sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato.
Alfredo Mantovano, che è di Lecce ed è stato invitato, dopo dieci mesi inchiodato a Palazzo Chigi ha una gran voglia di trascorrere le sue ferie d’agosto nella sua casa di Roma. D’altronde anche l’organizzazione del G7, alla quale il sottosegretario tiene moltissimo, sarebbe già chiusa: i grandi della Terra dormiranno a Borgo Egnazia.
(da La Stampa)
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Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile
“LA TASSA SUGLI EXTRAPROFITTI DELLE BANCHE? UN’AZIONE AUTOLESIONISTA. I MERCATI FINANZIARI NON SI FIDERANNO MAI PIÙ DI UN GOVERNO CHE SI SVEGLIA AL MATTINO E DICE CHE I MARGINI DEL SISTEMA BANCARIO SONO INGIUSTI”… “IL GOVERNO NON INTERVIENE LÀ DOVE TOCCA GLI INTERESSI DEI PROPRI ELETTORI, TASSISTI E I BALNEARI”
«Capitalismo parrocchiale». È così che Carlo Alberto Carnevale Maffè, professore di Strategia e Imprenditorialità alla Sda Bocconi, definisce “l’interventismo” del governo Meloni, che con l’operazione Mef-Kkr ha dimostrato «di non essere contro il mercato, ma contro il mercato libero», imponendo di fatto «un capitalismo sorvegliato dallo Stato, per cui se vuoi investire in Italia lo fai alle nostre condizioni: i soldi ce li metti tu, ma le decisioni le prendiamo noi».
Salire a quota 20% nella nuova infrastruttura di Rete costerà allo Stato italiano 2,6 miliardi, una somma non facile da reperire. Era davvero necessario?
«Kkr ha fatto una scelta intelligente, sbloccando tra l’altro investimenti congelati da anni visto che qui nessuno disponeva delle risorse. Il governo più che puntare al 20% avrebbe fatto meglio a lavorare sul lato della domanda, cioè sulla digitalizzazione del Paese, rendendo appetibili gli investimenti sulla Rete. E invece ha agito in senso opposto, da rialzo del tetto del contante al tentativo di abolire lo Spid».
Con l’ultimo decreto si è deciso anche di calmierare i prezzi dei voli e di incassare parte degli extraprofitti delle banche.
«A giudicare dai commenti dei mercati internazionali l’ultimo decreto ha avuto l’effetto della tela di Penelope: in una notte ha disfatto la fragile tela di credibilità che il governo era riuscito faticosamente a costruirsi».
Il prelievo sugli extraprofitti però ha raccolto un certo consenso, al di là del centrodestra.
«Si tratta di un’azione autolesionista, priva di fondamento economico. I mercati finanziari non si fideranno mai più di un governo che si sveglia al mattino e dice che i margini del sistema bancario sono ingiusti perché negli ultimi sei mesi hanno incassato profitti non dovuti».
Allora ha ragione l’ad di Ryanair, Eddie Wilson, che accusa il governo di interventismo di tipo sovietico?
«Non sta al governo dire loro quali algoritmi usare, o imporre qualunque altro meccanismo di definizione dei prezzi. Intervenire d’imperio sui prezzi tra l’altro è un’azione regressiva che tratta allo stesso modo ricchi e poveri, mentre il governo dovrebbe intervenire, con risorse pubbliche, solo a sostegno dei meno abbienti».
Al contrario il governo è molto poco interventista nei confronti di categorie come i tassisti e i balneari.
«Non interviene là dove tocca gli interessi dei propri elettori. Ha un concetto del Made in Italy ottocentesco, un capitalismo parrocchiale che non premia l’imprenditoria che fa grande l’Italia, quella legata alle grandi catene internazionali del valore. Una visione paternalistica di un Paese autoreferenziale, che ha bisogno di una stretta sorveglianza da parte della politica perché altrimenti rischia di essere saccheggiato dalle multinazionali cattive».
(da la Repubblica)
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Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile
L’ISMEA, ENTE DA POCO COMMISSARIATO DAL MINISTERO DELL’AGRICOLTURA, HA AVVIATO UNA MAXI PROMOZIONE: A BENEFIARNE CON 100.000 EURO ANCHE LA CONCESSIONARIA MEDIASET
Una campagna di comunicazione sulla pasta, con una spesa di oltre mezzo milione di euro, mentre i produttori italiani di grano attendono risposte da un anno.
In bilico tra i vecchi problemi del settore e le incognite sui prezzi legati alle questioni geopolitiche, a cominciare dalla guerra in Ucraina. La sovranità alimentare del ministro Francesco Lollobrigida si ferma agli slogan, mettendo a bilancio dei costi per l’auto-promozione, scaricati sull’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea), ente pubblico controllato dal ministero dell’Agricoltura e della sovranità alimentare (Masaf), recentemente affidato al commissario Livio Proietti. Un volto storico della destra ex missina nel Lazio, uomo di fiducia del ministro.
A maggio non è iniziata la semina del grano, bensì della «promozione dei prodotti appartenenti alla filiera della pasta». L’iniziativa dell’Ismea, ribattezzata “pasta integratore di felicità”, ha messo in conto un esborso di oltre 500mila euro attraverso tre diverse delibere. La prima prevede una collaborazione con la Federazione italiana pallavolo fino al 30 settembre 2023, con estensione dei diritti sino al 31 dicembre 2024, per una spesa di oltre 200mila euro.
I campioni del mondo della nazionale saranno testimonial della bontà della pasta che, raccontano dall’Istituto, «è alla base della piramide alimentare, cardine della dieta mediterranea, gratifica il nostro gusto ed è amata da nutrizionisti e sportivi, perché al tempo stesso energetica e leggera».
A questa prima cifra si aggiungono i 26mila euro messi a disposizione per le promozioni social, su Facebook e Instagram, e oltre 300mila per l’acquisto di spazi pubblicitari, su radio, televisione e web. La principale beneficiaria dell’operazione, grazie a un’intesa da 100mila euro, sarà la creatura berlusconiana Publitalia ’80, concessionaria che gestisce gli spazi sulle reti Mediaset, Canale5, Italia1, Rete4, più canali meno noti come La5 e Italia2. A Rai pubblicità ne andranno 10mila per la campagna radiofonica sull’emittente Radio Italia solo musica italiana.
GRANO INCOLTO
Mentre il ministro sventolando in favore di telecamera anche le misure bandiera contro il divieto di carne coltivata, i produttori di grano duro italiano arrancano. A un anno dall’insediamento ci sono stati solo passi indietro. Il prezzo della pasta aumenta e di pari passo cresce la richiesta di importazione del prodotto, indebolendo il made in Italy. Il motivo? Molti campi restano incolti, perché i proprietari preferiscono non affrontare l’incertezza di un settore sempre meno remunerativo.
Il tavolo convocato lo scorso 3 agosto al ministero, alla presenza di Lollobrigida e del sottosegretario Patrizia La Pietra, si è chiuso con un nulla di fatto. I produttori hanno chiesto l’istituzione della commissione unica nazionale (cun), che dovrebbe individuare la giusta formazione dei prezzi e garantire la trasparenza per scongiurare fenomeni di speculazione nella filiera della pasta. Un meccanismo che garantirebbe un controllo su tutti i livelli, evitando rialzi che vanno oltre le reali esigenze del mercato.
Ci sarebbe così una tutela per le produzioni italiane con effetti a cascata sulla qualità e sul costo, meno caro, per il consumatore sempre più alle prese con una tracciabilità deficitaria. Insomma, con minori preoccupazioni legate al conflitto in Ucraina
Appena insediato, Lollobrigida ha sospeso la sperimentazione della commissione. Dopo la riunione al Masaf, il ministro si è limitato a dichiarare «la disponibilità a riprendere in via sperimentale la cun». Nei fatti si tratta è un rinvio: la commissione deve superare la «fase sperimentale e diventare effettiva», hanno chiesto i produttori durante il vertice. L’eccezione? La Coldiretti, che ha sostenuto la posizione del ministro sulla sperimentazione della cun, confermando un sodalizio inscindibile.
«Non si può perdere tempo sulla regolamentazione di un mercato fondamentale per la nostra alimentazione quotidiana», attacca l’ex senatore Saverio De Bonis, presidente dell’associazione Granosalus. «Il ministro – aggiunge – indichi una data e faccia partire subito la commissione , senza fare melina». Ma non è questo il solo problema: è fermo pure il registro telematico dei cereali, strumento pensato per monitorare le scorte di grano a disposizione. L’introduzione, prevista per il 2023, è slittata al 2025.
(da editorialedomani.it)
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Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile
IL LAVORO SOTTOPAGATO INDIGNA TRE ITALIANI SU QUATTRO, COMPRESI GLI ELETTORI DEL CENTRODESTRA
Il lavoro è, a prescindere da tutto, il primo tra i pensieri, le priorità e le preoccupazioni degli italiani. Al di là delle classifiche e di come se ne voglia intendere, il lavoro rappresenta per ogni persona la possibilità di poter avere una vita dignitosa se non si hanno altre fonti di sostegno. Di fronte a questo tutti gli altri problemi passano in secondo piano.
Negli ultimi anni nel ranking delle ansie dei cittadini il lavoro è stato scalzato dal podio fondamentalmente in due situazioni che si possono definire particolari: nel primo anno della pandemia (2020/2021), dove il Covid-19 ha fatto emergere tutta la nostra fragilità proprio di fronte al tema della salute, e nell’autunno dello scorso anno (2022), dove l’inflazione e l’aumento dei prezzi lo hanno fatto scorrere al terzo posto anche alle spalle della crisi energetica e di poco avanti alla denuncia dell’aumento delle forniture di luce e gas.
Alla fine dello scorso anno, chiedendo agli italiani di fare un bilancio prospettico e mettendo in ordine di importanza le loro preoccupazioni per il futuro, il risultato ha presentato una classifica con al primo posto la possibilità di rispettare le scadenze per il pagamento delle bollette (36,3%), la salute (27,3%) e il lavoro (21,8%).
Il tema è sicuramente caldo, come questa estate sferzata a ritmi alterni da ondate soffocanti. Del resto, si sa che prima dei 30 anni in Italia si è considerati privi di esperienza lavorativa e dopo i 60 risulta più complicato rimettersi in gioco.
Se si riflette su alcune sfumature, si intravedono tutte le complessità del mondo lavorativo: la qualità del lavoro, i contratti, gli orari, lo smart-working, lo stipendio, la sicurezza, l’equilibrio casa-lavoro-famiglia, eccetera. Ma è corretto mettere sullo stesso piano il tema lavoro e la povertà?
Ancora nell’aprile del 2023, quasi il 40,0% degli intervistati, ha sottolineato che il lavoro in Italia oggi è sottopagato.
Su questa linea, nella suddivisione dei target per età, ben un ragazzo su 2 tra i 18 e i 24 anni lo ha denunciato, mentre l’interpretazione degli over 65 ha offerto anche una lettura legata alla dignità della persona.
Ben più del 70,0% degli italiani condivide la proposta del salario minimo e sollecitati su una possibile cifra simbolo di 1.400,00 euro mensili, il 75,7% ne condivide la proposta suddivisi tra chi ne apprezza la soluzione in toto (46,4%) e chi la approverebbe solo se supportata con incentivi alle imprese (29,3%).
Rimane comunque forte il dubbio tra interpretazione della cifra lorda o netta, sensibilmente rilevante per il possibile fruitore, e sul quale esiste oggi un reale misunderstanding (malinteso, ndr) tra la gente.
Affrontando la discussione del salario minimo si passa direttamente alla questione del “Reddito di cittadinanza” (Rdc) oggi modificato in “Reddito di inclusione”. Questo intervento si è dimostrato una priorità per questo governo, soprattutto per quanto dichiarato in campagna elettorale, anche per un partito come la Lega di Matteo Salvini, che nell’accordo di Governo (2018-2019) con il Movimento 5 Stelle lo aveva sostenuto dando il via all’attuazione.
In questo smarcarsi si riconoscono anche le scelte del Partito Democratico, strenui oppositori della misura allora, mentre oggi si dichiarano molto perplessi sulla nuova via intrapresa dall’esecutivo.
Dai suoi esordi su questo provvedimento sempre un italiano su 3 si è dichiarato favorevole riconoscendosi anche nelle indicazioni delle scelte del proprio partito, come dimostra un sondaggio dello scorso marzo dove risultava evidente la chiarezza di visione sulla questione per gli elettori della maggioranza di governo che, con una media del 90,0%, erano consapevoli che il proprio partito fosse contrario alla misura; e per gli elettori dei 5 Stelle che per l’83,4% si dichiaravano coscienti dell’importanza rispetto al sostegno del proprio partito al Reddito di cittadinanza. Sempre su questo argomento più freddi e forse più confusi i sostenitori del Partito Democratico, allora sicuramente in attesa di quelle che sarebbero state le indicazioni del nuovo segretario Elly Schlein.
Coloro che oggi difendono il Rdc, così come è stato concepito, hanno sempre affermato che finché il lavoro offerto ha una paga e delle condizioni pessime è normale che venga rifiutato e quindi la misura risulta assolutamente necessaria.
Tuttavia, quasi il 40% degli italiani lo ritiene uno strumento sicuramente utile, ma organizzato in maniera pessima e tra questi si collocano pure il 60% degli elettori del Partito Democratico. Un cittadino su 4 lo ritiene uno schiaffo per chi lavora e produce.
(da La Stampa)
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