Agosto 11th, 2023 Riccardo Fucile
SCHLEIN: “NON HA IDEE CHIARE, NE’ PROPOSTE”
Restano le distanze tra Meloni e le opposizioni sul salario minimo. “Sostanzialmente ognuno resta sulle proprie posizioni. Palla al centro”, spiegano fonti dei partiti di minoranza dopo l’incontro convocato dalla premier a Palazzo Chigi.
Meloni ha ribadito la propria di contrarietà all’introduzione della misura, motivandone le ragioni, nel suo intervento di apertura. La premier, secondo quanto si apprende, ha spiegato che “in 60 giorni”, il tempo del rinvio della discussione in Parlamento sul salario minimo, si possono “coinvolgere le parti sociali” per arrivare a una proposta di legge da sottoporre a Parlamento e governo per dare piena attuazione” all’articolo 36 della Costituzione.
Articolo che recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
Meloni ha quindi proposto un percorso con il Cnel per arrivare a una proposta condivisa per i salari. “Ci interessa quando viene posta la questione del rafforzamento dei salari, il tema del contrasto al lavoro pove, purché ci si comprenda. Ci sono divergenze sugli strumenti e ho proposto un confronto molto più ampio che coinvolga il Cnel”, ha spiegato.
A Palazzo Chigi per il Pd erano presenti la segretaria Elly Schlein e Maria Cecilia Guerra, responsabile dem per il lavoro. Per il Movimento 5 Stelle il leader Giuseppe Conte e l’ex ministra Nunzia Catalfo, per Azione Carlo Calenda e Matteo Richetti, mentre per +Europa hanno partecipato Riccardo Magi e Benedetto Della Vedova. Per Alleanza Verdi e Sinistra a Palazzo Chigi c’erano Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni insieme a Franco Mari e Eleonora Evi. Il suo intervento è stato seguito da quello delle opposizioni , che in ordine alfabetico, hanno illustrato le loro proposte.
Le opposizioni
Dure le parole della segretaria del Pd Schlein al termine dell’incontro:“Il governo non ha una sua proposta, non ha le idee chiare. E’ rimasto sulle sue posizioni”. E ha precisato: “Andremo avanti sulla nostra proposta, su cui c’è un grande consenso popolare, lanciamo la raccolta firme già annunciata. Ma la nostra proposta è già incardinata in Parlamento e lì ci aspettiamo emendamenti o proposte del governo sul salario minimo. Oggi non ci hanno convinti”.
Schlein ha poi spiegato che “a margine dell’incontro abbiamo chiesto conto delle mancate dimissioni di De Angelis (dopo il suo post sulla strage di Bologna, ndr) e dei ristori dopo l’alluvione in Emilia Romagna, abbiamo chiesto che si usassero le risorse stanziate ma non spese, vorremo che arrivassero presto queste risposte. Non sono arrivate le risposte che speravo, continueremo a insistere”.
Il leader 5S Conte sottolinea: “Siamo venuti con spirito costruttivo. Meloni aveva chiesto questo confronto ma non c’è da parte sua nessuna controproposta. È stata una palla buttata in tribuna. Il governo non ha le idee chiare. Noi faremo partire una raccolta firme da presentare sul tavolo alla ripresa dei lavori parlamentari. La nostra una posizione ideologica? I nostri interventi sono stati tutti nel merito che il governo non ha ancora approfondito”, polemizza il leader 5S Conte.
“È stato un incontro interlocutorio ma il fatto positivo è che nessuno ci ha sbattuto la porta in faccia”, ha affermato Calenda. “La proposta che ci ha fatto la presidente del Consiglio – ha aggiunto – riguarda un intervento più ampio sui redditi bassi, ha continuato, e non c’è pregiudizio sulla proposta di salario minimo”. “Io personalmente sono soddisfatto, nessuno ha sbattuto la porta tutti sono disponibili ad andare avanti ognuno sulla proprie posizioni. Da domani raccogliamo le firme sul salario minimo”.
Fratoianni spiega che “Meloni ci ha detto che il governo vuole confrontarsi sulla materia complessiva: consideriamo questa disponibilità un primo risultato della nostra iniziativa e continueremo nelle prossime settimane la nostra battaglia politica sulla nostra proposta di legge che consideriamo solida e utile a risolvere uno dei problemi del mercato del lavoro non la panacea di tutti i mali”.
(da agenzie)
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Agosto 11th, 2023 Riccardo Fucile
BALLISTI SENZA RITEGNO: IL CALO DEI PREZZI E’ DOVUTO ALLA DISCESA DEI PREZZI DELL’ENERGIA A ALLA STRETTA MONETARIA DELLA BCE, LA STESSA CONTRO CUI IL GOVERNO ITALIANO SI SCAGLIA QUOTIDIANAMENTE
Sarà il caldo agostano o, più probabilmente, la solita smania dei politici di attribuirsi meriti altrui che, portata all’eccesso, può talvolta produrre effetti grossolani. Il partito di Giorgia Meloni pare aver adottato una strategia comunicativa a dir poco azzardata. Secondo il presidente del gruppo dei meloniani al Senato Lucio Malan, se l’inflazione in Italia sta calando il merito è delle politiche attuate dall’esecutivo: “Il governo precedente ci ha lasciato l’inflazione all’11,8%. Ora è al 5,9%: dimezzata. E andiamo avanti”, ha twittato. A stretto giro è stato emulato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, con l’aggiunta di un po’ di enfasi agonistica: “Dopo i dati positivi su occupazione ed esportazioni, anche il calo dell’inflazione conferma che la direzione intrapresa dall’Esecutivo è quella giusta. Grazie al lavoro del Governo Meloni l’Italia torna a vincere”.
Lo sforzo propagandistico nasce dalla diffusione di giovedì da parte dell’Istat dei dati sull’andamento dell’indice dei prezzi al consumo. A luglio l’inflazione in Italia si è attestata al +5,9% rispetto al +6,4% di giugno. Un dato migliore della stima preliminare e che segna per la prima volta un calo sotto la soglia del 6% che non si vedeva da aprile 2022. La dinamica dell’inflazione, “ancora fortemente influenzata dall’evoluzione dei prezzi dei beni energetici”, ha spiegato l’istituto di statistica, “riflette anche il rallentamento su base tendenziale dei prezzi dei prodotti alimentari lavorati (che tuttavia restano su ritmi di crescita relativamente sostenuti) e dei servizi”. Rallenta, inoltre, l’inflazione di fondo, che a luglio si attesta al +5,2%.
Il calo è dovuto, ha aggiunto l’Istat, alla discesa dei prezzi in alcuni settori. In particolare, nei servizi, l’indice risente principalmente delle dinamiche dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (da +4,7% a +2,4%, +0,4% rispetto a giugno) a causa dell’attenuazione di quelli del Trasporto aereo passeggeri (da +23,5% a +0,8%; +2,2% rispetto al mese precedente) e, in misura minore, del Trasporto marittimo e per vie d’acqua interne. Nota a margine: le misure previste dal Governo Meloni con il Dl Asset per contrastare il caro-voli non c’entrano nulla, perché sono state adottate successivamente al periodo cui fanno riferimento i dati Istat, e anche perché si applicano in particolare ai voli nazionali verso la Sicilia e la Sardegna. La decelerazione dei prezzi dei beni invece è dovuta principalmente all’andamento dei Beni energetici, (la cui variazione su base annua passa da +2,1% a +0,7%; -1,4% il congiunturale), essenzialmente per effetto della componente non regolamentata.
In altri termini, come avviene da diversi mesi, i prezzi scendono perché sta calando costantemente il prezzo dell’energia elettrica e del gas, ovvero la causa scatenante della corsa inflazionistica. A riprova di questo, il calo è generalizzato in tutta Europa e negli Stati Uniti, dove l’operato del Governo Meloni non produce effetti. In Francia a luglio l’indice dei prezzi al consumo è rallentato al 4,3% su base annua, rispetto al 4,5% di giugno. I prezzi dell’energia sono scesi del 3,7% su base annua a luglio, mentre i prezzi degli alimenti sono aumentati bruscamente del 12,7%, ma in misura minore rispetto a giugno. In Spagna l’indice è al 2,3%, in Portogallo è al 3,1%, in Germania al 6,2%, negli Stati Uniti è al 3,2%.
L’andamento è generalizzato e riflette diversi fenomeni. Come detto, superata la crisi energetica scatenata dalla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, i prezzi energetici stanno registrano continui e costanti cali da mesi. Ma anche un altro elemento ha contribuito al rallentamento, ovvero le politiche monetarie adottate dalle banche centrali per cercare di deprimere la domanda e frenare così la corsa dei prezzi. Quelle stesse politiche della Banca Centrale Europea che il Governo Meloni critica puntualmente da settimane perché – non a torto – rischiano di innescare una recessione economica.
Nel secondo trimestre del 2023, secondo le stime preliminari dell’Istat, il prodotto interno lordo, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è sceso dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e aumentato dello 0,6% in termini tendenziali. Tra aprile e giugno, l’economia italiana ha registrato quindi un risultato inferiore agli altri principali partner europei. Il Pil è diminuito dello 0,3% in termini congiunturali, e se questo calo dovesse proseguire anche nel terzo trimestre il Paese entrerebbe ufficialmente in recessione. Risultati non edificanti che il Governo Meloni si è ben guardato dal rivendicare, e che molti si sono ben guardati dall’attribuirgli perché alla base delle spinte al ribasso c’è la forte stretta monetaria delle banche centrali e i loro effetti sul sistema del credito per famiglie e imprese a circa un anno dal primo rialzo dei tassi deciso dalla Bce. Tra maggio 2023 e maggio 2022 i prestiti bancari alle imprese italiane (società non finanziarie) sono calati del 5% (-33,3 miliardi di euro) e tra i 20 Paesi dell’Eurozona solo Cipro ha avuto un risultato peggiore del nostro, secondo i dati della Cgia di Mestre. Non solo: secondo i dati del IV trimestre 2022, ovvero prima di ulteriori rialzi dei tassi decisi dalla Bce, in Italia le convenzioni notarili per mutui, finanziamenti e altre obbligazioni con costituzione di ipoteca immobiliare sono calate del 10,2% rispetto al trimestre precedente e del 17,2% su base annua. Numeri destinati a salire, contribuendo al rallentamento del mercato immobiliare.
Come giustamente notato qualche giorno fa dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, “sui risultati” del Pil hanno influito “la flessione del ciclo internazionale dell’industria, il rialzo dei tassi di interesse e l’impatto della fase prolungata di rialzo dei prezzi sul potere d’acquisto delle famiglie; in Italia, come nel resto d’Europa, la fiammata inflazionistica è stata una delle conseguenze negative del conflitto in corso, che continua a rappresentare il principale fattore d’incertezza”. Quando le cose vanno male, insomma, la colpa è da ricercare in fattori esterni ma se i dati sono positivi allora il merito dell’esecutivo appare indubbio. Un modo da operetta di propagandare la realtà, un esercizio grossolano nel quale – benché quelli precedenti abbiano certamente brillato – il Governo attuale intende primeggiare.
(da agenzie)
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Agosto 11th, 2023 Riccardo Fucile
NEL FUMETTO NON E VERO CHE IL PROGETTO SIA CELEBRATO, BENSI’ RISULTA INUTILIZZABILE E VIENE DISTRUTTO: MA CAZZO. MAI UNA VOLTA CHE PRIMA DI PARLARE TI LEGGI IL TESTO DI QUELLO CHE CITI A SPROPOSITO
Il Ponte sullo stretto di Messina è uno dei progetti su cui il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha puntato e insiste di più a livello comunicativo. Ieri sera ha deciso di farlo con un numero di Topolino risalente al 1982, che in copertina aveva un riferimento al Ponte. Ma non si è accorto che, nella storia, il ponte non fa esattamente una bella fine.
Non è un mistero che il Ponte sullo stretto abbia una storia lunga e travagliata, e da quando l’attuale governo l’ha rilanciato si è cercato di stringere i tempi: al momento, la promessa è che i cantieri apriranno entro l’estate del 2024, per un progetto che costerà 13,5 miliardi di euro (e che di recente ha visto aumentare i compensi dei dipendenti della società Ponte sullo stretto e del suo presidente).
Ieri Salvini ha evidenziato che un numero di Topolino uscito 1982 riportava in copertina proprio un’immagine del Ponte di Messina, tenuta in mano da Paperon de’ Paperoni: “Celebrava i cantieri, i lavori per il Ponte sullo stretto. Sono passati 41 anni, non c’è traccia del Ponte, anche se i progetti agli italiani sono già costati dei quattrini. Però è un diritto alla continuità territoriale per milioni di siciliani, senza dover aspettare i traghetti. Vogliamo dare una risposta, dopo 50 anni di chiacchiere”.
Il numero in questione era il 1401 di Topolino, uscito il 3 ottobre del 1982. Un anno prima era nata la società Ponte sullo stretto, e si era svolto il primo sopralluogo.
Nel fumetto, la prima storia – che occupa 36 pagine – è quella chiamata proprio “Zio Paperone e il Ponte di Messina”. Sembra probabile, però, che Salvini non si sia dedicato alla lettura della storia, dato che nel finale il Ponte risulta completamente inutilizzabile e il progetto fallisce.
Cosa c’è nella storia di Topolino in cui il Ponte crolla
Il racconto parte dalla volontà di Paperone di costruire un ponte per collegare Sicilia e Calabria. Prima, con l’aiuto di scienziati e modellini, testa il progetto di un ponte a campata unica (che per coincidenza è anche il progetto scelto dal governo Meloni). Ma il modello non funziona. Paperone, scoraggiato dalle difficoltà tecniche, decide di costruire l’intero ponte usando del corallo, che cresce da solo e se disposto opportunamente collegherà le due sponde con “una barriera corallina solida, ecologica e soprattutto economica”. Tuttavia, il rivale Rockerduck si mette in mezzo e si intesta questo progetto, riuscendo a costruire il ponte di corallo e prendendosene il merito.
Nel finale, però, arriva il colpo di scena. Il Ponte costruito con il corallo attira i turisti, che vogliono portarsene a casa ciascuno un pezzo. Così risulta inutilizzabile e viene lentamente distrutto. Paperone chiude la storia rivolgendosi ai lettori: “Al prossimo appalto”, dice.
Insomma, la storia non è proprio un’esaltazione delle potenzialità del Ponte sullo stretto, anzi. Metteva in evidenza in modo ironico molti dei rischi, dalla fattibilità tecnica alla tendenza a cercare la soluzione più economica e meno sicura. In un modo non troppo diverso dai “signor no, gufi, menagramo” criticati da Salvini nella diretta Facebook. Anche perché quell’anno non c’erano “cantieri e lavori” per costruire il Ponte, come detto dal ministro. La progettazione era ancora in corso, e sarebbe rimasta in stallo per diversi anni.
(da Fanpage)
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Agosto 11th, 2023 Riccardo Fucile
IL MINISTRO CALDEROLI GARANTIVA CHE PER LA SECESSIONE DELLA PADANIA ERA PRONTO A ‘METTERE IN GIOCO’ LA SUA VITA”
Ci sono episodi della recente storia che il buonsenso s’incarica di dimenticare. Eppure questi momenti offrono se non un insegnamento, almeno una spiegazione del presente, e dunque: che Paese è mai quello in cui a pretendere l’autonomia differenziata è lo stesso personale che ammainava il tricolore, istituiva la Guardia Nazionale Padana, batteva moneta creando da zero un microcosmo nazional-parallelo con previsioni meteo, campionato di calcio, scacchisti e a un certo punto addirittura un circo padano
In tale contesto l’odierno ministro Calderoli garantiva che per la secessione era pronto a “mettere in gioco” la sua vita; mentre il giovane Salvini, allora con l’orecchino, si baloccava coi simboli celtici commutandoli in braccialetti e ciondoli – là dove oggi tiene il Sacro Cuore di Gesù e il logo smaltato del Papeete.
Forse non tutti ricordano che la proclamazione della Padania con l’acqua santa sul Monviso, la catena umana sul Po e il Va pensiero a Venezia evidentemente non bastava più, così nell’ottobre del 1997 Umberto Bossi, uso a infliggere la sua più stralunata fantasia alla più pervicace creduloneria dei suoi adepti, s’inventò lo svolgimento di vere e proprie elezioni padane con liste, candidati, conteggi e seggi-gazebo per farsi un Parlamento su misura.
A quell’incredibile vicenda dedica un tesoro di cura e di meticolosità Gabriele Maestri, infaticabile blogger (www. isimbolidelladiscordia.it) nonché pontefice massimo dell’emblematica elettorale all’italiana in Padani alle urne (Youcanprint). Nel mentre Roma era divisa tra chi sghignazzava, chi si scandalizzava e chi richiedeva le forze dell’ordine, in Padania la situazione andò presto fuori controllo e invece dei cinque o sei previsti raggruppamenti si presentarono quasi 90 liste, poi ridotte a 68 con relativi simboli: aquile, spade, paesaggi, fiaccole, corone, planisferi, elmi medievali, scudi sannitici, aironi, strette di mano, homines vitruviani e Che Guevari.
Ma solo Maestri poteva sapere e oggi rivelare che dietro al profluvio c’erano i più impenitenti e pazzotici protagonisti della micropolitica meta-condominiale. Votarono, secondo la Lega, più di sei milioni di cittadini; molto probabilmente erano dieci volte meno; Salvini fu eletto con i comunisti padani.
(da agenzie)
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Agosto 11th, 2023 Riccardo Fucile
L’UOMO AVEVA DETTO AL BAMBINO COGLIONAZZO: “INFILATI IL CAPPELLO SU PER IL CULO, IDIOTA”
Le autorità russe vogliono un nuovo processo per un uomo che ha criticato un bambino per aver indossato un cappello a favore della guerra della guerra in Ucraina.
Un tribunale della città di Ekaterinburg, sui monti Urali, a giugno ha inflitto ad Alexander Neustroyev una multa di 7.000 rubli (70 dollari) con l’accusa di “teppismo” nell’ambito di un accordo giudiziario anziché di una condanna penale.
Neustroyev, 57 anni, è stato accusato ad aprile di aver detto a un ragazzo di 11 anni, che indossava un cappello con il simbolo della Z militarista, di “infilarti il cappello su per il culo, idiota”.
L’ufficio del procuratore generale russo ha dichiarato che intende sollecitare un tribunale superiore a rivedere il verdetto del tribunale di Ekaterinburg a seguito delle critiche di figure a favore della guerra, tra cui il legislatore federale Alexander Khinshtein e il sindaco di Ekaterinburg Alexei Orlov.
“Il procedimento penale non può essere chiuso”, ha dichiarato l’ufficio del pubblico ministero in una nota
Ha sostenuto che il crimine commesso era “cinico e diretto non solo contro lo scolaro, ma ha anche causato danni all’educazione sociale e morale delle giovani generazioni e agli interessi della Russia”,
Prima di emettere la multa di 7.000 rubli, il ministero dell’Interno russo ha pubblicato le scuse videoregistrate di Neustroyev dopo il suo arresto.
Il ragazzo di 11 anni, il cui padre sarebbe un veterano della guerra russa di 17 mesi in Ucraina, ha ricevuto un premio dalle autorità locali e si è offerto di parlare con altri scolari degli obiettivi dell’invasione russa.
(da Globalist)
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Agosto 11th, 2023 Riccardo Fucile
IL ROSSO NEI SALDI DI CASSA AMMONTA A UNA VENTINA ABBONDANTE DI MILIARDI. COME FARANNO MELONI E SALVINI A RISPETTARE LE COSTOSE PROMESSE ELETTORALI IN MANOVRA?
L’aspetto che più fa riflettere nel decreto sulla tassazione delle banche varato lunedì sera in Consiglio dei ministri è all’articolo 7, quello sulla destinazione del gettito. Lì si afferma che le maggiori entrate derivanti dal provvedimento saranno — tra l’altro — «destinate per interventi volti alla riduzione della pressione fiscale di famiglie e imprese».
In sostanza, oltre ai previsti sussidi per chi fa fatica con il mutuo, l’imposta sulle banche dovrebbe finanziare la colonna portante della politica economica del governo: la riforma fiscale.
Dunque il decreto stabilisce un nesso fra la tassazione delle banche e le coperture per la prossima, imminente legge di bilancio. E teniamo da parte per ora il dettaglio che il prelievo sulle banche vale solo sugli ultimi due anni, mentre il taglio delle tasse lo si vuole permanente: un po’ come cercare di pagare le prime rate del mutuo, in mancanza di meglio, vendendo i mobili di casa.
E dopo? Ma questo non sarebbe il primo, né l’ultimo governo che cerca di coprire ammanchi permanenti con entrate estemporanee. Più urgente è chiedersi cosa ci dice questo episodio della finanza pubblica oggi in Italia.
Perché quella promessa di coprire parte dei costi della manovra d’autunno con gli «extraprofitti» era inclusa in una prima versione del decreto, che implicava un gettito sostanziale: almeno 5,5 miliardi e, secondo certe stime, anche sette o più. Caccia alle risorse Ciò suggerisce che il governo è in cerca di soldi. Molti soldi. Soldi che servono urgentemente per far tornare i conti della manovra di bilancio d’autunno.
Ed è comprensibile. La Ragioneria informa che nei primi sei mesi dell’anno il fabbisogno dello Stato è salito a 95 miliardi di euro, ben 52 miliardi in più rispetto a un anno fa. Possibile che il saldo fra entrate e uscite correnti del bilancio sia peggiorato di più del doppio, rispetto alla prima metà del 2022?
Alcuni fattori contribuiscono a spiegare. Una decina di miliardi di minori entrate vengono, in primo luogo, dai crediti d’imposta dei bonus-casa che ora molti stanno usando per pagare meno tasse: si sapeva, era previsto, ora succede. Altri 19 miliardi di fabbisogno in più registrati a metà anno si spiegano con il ritardo nell’erogazione della terza rata del Piano nazionale di ripresa. Che tra breve però arriverà.
Resta un’altra ventina abbondante di miliardi di rosso in più nei saldi di cassa: quella parte lì è in cerca d’autore. E soprattutto in cerca di soluzione, ora che il tempo stringe per realizzare le promesse elettorali dei tagli di tasse da realizzare subito in legge di bilancio. Va concesso al governo il beneficio del dubbio, perché ne sapremo di più alla pubblicazione dell’aggiornamento del Documento di economia e finanza tra quattro o cinque settimane.
E certo ci sono tante piccole spiegazioni per questo ammanco, ma una sembra sovrastare tutte le altre: le entrate fiscali non stanno andando bene, gli italiani stanno versando meno imposte di quanto uno poteva aspettarsi; per essere un po’ più precisi, data la crescita e l’inflazione dell’ultimo anno, si poteva immaginare che a questo punto lo Stato avrebbe avuto quasi il 10% di entrate fiscali in più, rispetto a ciò che gli italiani hanno concretamente versato. E, espresso in euro, questo 10% scarso equivale a un po’ più di venti miliardi: esattamente quanto manca nel fabbisogno.
Non sappiamo ancora se questo ammanco nelle entrate sia duraturo; se derivi da un ritorno di evasione innescato da alcuni segnali del governo (il «pizzo di Stato»…); se ci si è sbagliati, illudendosi che gli aumenti di gettito degli anni scorsi fossero permanenti; o se questa debolezza fiscale è un segno — possibile — che l’Italia in realtà è già in recessione.
Quel che sappiamo è che i conti per il momento non tornano e che, per raddrizzarli, il governo sta ricorrendo ad alcuni interventi piuttosto bruschi. Uno di questi è stato il taglio di parte del reddito di cittadinanza via messaggio telefonico. Un altro, l’intervento sugli «extraprofitti»: qui resta da capire cosa accadrà ora che la revisione del decreto ridurrà di molto il gettito e come si finanzierà la manovra a questo punto.
In altri tempi misure del genere si sarebbero chiamate «austerità», a maggior ragione in un’economia che ormai si è fermata. Il taglio del sostegno non aiuta i redditi più bassi. E gli aumenti di tasse sulle banche rischiano di rendere l’offerta di credito più scarsa e più costosa, piuttosto che aiutare chi ha un mutuo. Ma a pensarci bene il decreto di lunedì non è il primo segnale che la finanza pubblica in Italia è sotto pressione. Nei primi sei mesi di quest’anno, l’eterno superbonus 110% ha già assorbito altri 18 miliardi, che diventeranno subito altro deficit e presto nuovo debito.
E a marzo era passato inosservato un grosso aumento netto del deficit: fu rivista con Eurostat la contabilità dei bonus-casa e furono spostati indietro ad anni passati ben 90 miliardi di deficit creati dai crediti d’imposta. A quel punto i deficit attesi negli anni futuri avrebbero dovuto essere ridotti […] invece gli obiettivi di disavanzo sono rimasti uguali. Di fatto si è creato così spazio per generare 90 miliardi di deficit in più durante l’attuale legislatura. Eppure, a quanto pare, neanche questo basta.
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 11th, 2023 Riccardo Fucile
CON IL PRELIEVO SUGLI EXTRA-PROFITTI DELLE BANCHE DECISO DAL GOVERNO, I CONSUMATORI TEMONO ULTERIORI RINCARI, DAL CANONE ALLA CARTA DI CREDITO
A pagare per il prelievo sugli extra-profitti delle banche deciso dal Governo potrebbero essere le famiglie. Il pericolo dietro l’angolo è che il mondo bancario reagisca alla nuova tassazione con un aumentando dei costi dei conti correnti. Questo tipo di spesa era già in salita.
Adesso le associazioni di consumatori parlano di rischio fiammata. Il timore è stato sollevato da Assoutenti che ha ricordato come già lo scorso febbraio Bankitalia sia scesa in campo contro l’incremento dei costi dei depositi applicati alla clientela dagli istituti di credito.
Ieri l’Istat ha comunicato, insieme al dato sull’inflazione, un aumento annuo delle tariffe del 6,4% per la voce “spese bancarie” a carico dei cittadini. «Un dato che conferma l’allarme lanciato a febbraio da Bankitalia secondo cui alcune banche hanno aumentato il costo dei conti correnti con modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali, adducendo come motivo gli elevati livelli di inflazione» spiega Assoutenti
Di recente, a rincarare sono state soprattutto le spese fisse ed è su questo fronte che gli istituti adesso potrebbero nuovamente intervenire. «L’ultimo report della Banca d’Italia ha registrato una crescita della spesa di gestione dei conti correnti di 3,8 euro, che ha portato il costo medio a 94,7 euro a cittadino, a causa soprattutto delle spese fisse, in particolare quelle per l’emissione e per la gestione delle carte di pagamento – analizza Assoutenti –. Partendo da questo dato, e considerato l’andamento al rialzo già monitorato dall’Istat, ulteriori rincari delle tariffe bancarie potrebbero portare il costo di gestione dei conti correnti a quota 105 euro annui a utente, con un incremento di +10,3 euro a conto».
L’associazione calcola che considerando il fatto che in Italia i correntisti sono 47,7 milioni, la stangata per la collettività raggiungerebbe quota 491,3 milioni di euro annui a causa dei possibili rincari dei costi di gestione di carte e conti correnti.
Cos’altro potrebbe aumentare in banca? «Difficile fare previsioni – dice Giuseppe D’Orta, Consulente finanziario indipendente -. Certo è che il mondo bancario ha moltissime leve su cui può intervenire, dai costi fissi, come quelli chiesti per il canone o per la carta di credito, fino alle spese una tantum come i prelievi agli sportelli».
Per fare qualche esempio, il semplice rilascio della carta di debito (bancomat) può costare anche 17 euro, a cui poi va sommato il canone che può essere anche di un euro al mese. A questa cifra va aggiunta poi la spesa per un eventuale rinnovo della carta (dai 5 ai 10 euro).
Ci sono poi le spese per l’invio della rendicontazione cartacea a casa (0,70 euro al mese) fino alle somme chieste nel caso di richiesta di documentazione da archivio (si arriva a pagare anche 10 euro per il singolo documento). I bonifici in filiale sono una delle voci che adesso costano di più: si arriva a sborsare anche più di 5 euro così come pure il prelievo di contante tramite carta di credito all’estero.
Di recente l’Osservatorio ConfrontaConti.it ha analizzato il panorama dei conti correnti. I dati raccolti hanno evidenziato due tendenze opposte: da una parte ci sono le banche online che propongono costi più bassi rispetto allo scorso anno, con un leggero calo del canone (-8%), dei costi delle carte di debito (-8%) e delle carte di debito (-6%).
Dall’altra parte, invece, ci sono invece le banche tradizionali, alle prese con costi di gestione ben più alti, che fanno registrare un aumento netto delle spese fisse dei conti. Più nel dettaglio, secondo l’analisi di ConfrontaConti.it, le banche tradizionali fanno pagare un canone medio di 62,68 euro all’anno, un livello più basso di quello rilevato dall’Istat, comunque in crescita del +25% rispetto ai dati dello scorso anno.
(da La Stampa)
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Agosto 11th, 2023 Riccardo Fucile
LA PSICOTERAPEUTA STATUNITENSE MARTHA CROWFORDIL HA CREATO “CLIMATE DREAMS PROJECT”, UN ARCHIVIO ONLINE CHE RACCOGLIE SOGNI LEGATI AI CAMBIAMENTI CLIMATICI… SECONDO UN SONDAGGIO DI “TIME”, IL 57% DEI MILLENNIAL USA FA INCUBI LEGATI AL CAMBIAMENTO CLIMATICO
«È buio. Un Ufo annuncia la morte del sole e l’innalzamento dei mari. Da una barca con un amico vediamo una balena con persone sul dorso, come fosse una nave da crociera. Si tuffa con il suo carico. Andiamo nella casa del mio amico e sua madre morta mi dice che la mia andrà da lei quando tutto sarà finito». È solo l’ultimo sogno sottoposto proprio ieri, giornata funestata dall’immenso rogo che sta devastando le due isole maggiori delle Hawaii, al Climate Dreams Project: archivio online che raccogliere sogni legati ai cambiamenti climatici.
A crearlo è stata Martha Crowford, 59 anni, psicoterapeuta di Santa Fe, New Mexico: sempre più pazienti le raccontavano incubi legati agli sconvolgimenti della Terra e pure lei faceva sogni a tema («espliciti: ero a scuola e il professore di scienza mi accusava di non prestare abbastanza attenzione…»).
L’inventario è evidentemente composto soprattutto da incubi, ma non mancano esperienze oniriche più ottimiste e a disposizione di tutti, perché «le paure collettive vanno affrontate quanto quelle intime. Il climate change sta cambiando il modo in cui sogniamo, riscrivendo l’alfabeto degli archetipi. Dobbiamo renderci conto che la cura dell’anima passa anche per quella del Pianeta» come dice a Repubblica raccontandoci la genesi del progetto.
«Ho iniziato occupandomi di psicosi e cercando di comprendere l’origine delle visioni simboliche dei pazienti. C’è voluto l’11 settembre per spingermi ad affrontare le paure collettive. All’epoca frequentavo un corso sui sogni dove ci facevano tenere un diario. Trascrivevamo quelli dei pazienti e i nostri. Dopo l’attentato, notammo che tutti avevano elementi comuni: città che si sgretolavano, il cielo insanguinato. Ma sono diventata una “collezionista seriale” solo dopo l’elezione di Donald Trump».
Interpretare i sogni può essere scivoloso anche per il terapeuta più esperto. Ma dati concreti – un sondaggio condotto su 1009 persone da The Harris Poll a giugno per conto della rivista Time – dicono che oltre un terzo degli americani ha fatto almeno una volta sogni legati alla salute del Pianeta. Soprattutto i giovani: il 57 per cento dei millenial e generazione Zeta (ovvero coloro che hanno fra i 18 e i 34 anni). Percentuale impressionante confrontata al 35 della generazione X e al 14 dei boomer (over 55).
Più si sale con l’età, insomma, meno si è sensibili al tema. Le emozioni provate al risveglio sono varie: paura nel 37 per cento dei casi, speranza nel 36, felicità nel 27, tristezza nel 26 e ancora curiosità, angoscia, rabbia.
A sorpresa, i più speranzosi sono proprio i millennial : «Gli incubi catastrofici solo terrorizzanti: un mio paziente mi ha raccontato di uno stadio allagato capace di contenere l’umanità intera dove calciatori giocavano galleggiando su camere d’aria. All’uscita, la Terra era gelata…» racconta ancora Crawford. «Altri invece trovano nel sogno una consapevolezza e una voce che non avevano prima. Ad esempio si scoprono capaci di urlare alla folla che bisogna agire».
Notando che fra i sogni angosciosi più ricorrenti c’è la perdita di un ambiente amato. Una spiaggia ora contaminata. O un albero su cui ci si arrampicava da bambini incendiato. L’eco-ansia di cui ha parlato poco tempo fa la studentessa Giorgia Vasaperna al nostro ministro dell’Ambiente Fratin, sembra essere male diffuso fra i ragazzi: «Sono persone sensibili, vanno ascoltate» conclude Crawford
(da agenzie)
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Agosto 11th, 2023 Riccardo Fucile
LA GIUSTA SCELTA POLITICA DELLA KERMESSE DIVENTATA FAMOSA PER I BALLI DELL’EX PREMIER SANNA MARIN
Al FlowFestival di Helsinki, con le lattine, si fanno affari d’oro. Quelle abbandonate a terra (e sono tante), se riportate ai punti di ritorno, sono compensate con la cauzione da un euro e per le bottiglie in vetro, anch’esse vuote, il compenso è addirittura un biglietto da dieci.
In quello che è il festival musicale più importante, la sostenibilità è legge: addirittura, lo scorso anno, si decise per menu totalmente “no meat” ai chioschi che mise i carnivori in crisi.
Altrettanto marcata è la sensibilità politica, soprattutto di questi tempi e in una terra che con la Russia condivide 1.340 chilometri di confine. Una sensibilità così profonda da decidere di rinunciare alla birra Heineken durante il festival (11-13 agosto): il colosso olandese avrebbe dovuto lasciare la Russia durante la primavera, ma pur avendolo annunciato, il ritiro dal mercato russo non è avvenuto.
Da minuscola birreria (fu fondata nel 1864 ad Amsterdam) Heineken oggi è un colosso mondiale, presente fra l’altro in tutti i maggiori festival musicali, compreso il Flow: fino ad oggi, almeno, perché a poco più di 24 ore dall’inizio delle danze (è il caso di dirlo: l’anno scorso, fece notizia il ballo dell’ex premier Sanna Marin) l’organizzazione dell’evento musicale dà il benservito de facto a Heineken Silver, che non sarà quindi acquistabile entro il perimetro del festival.
A spiegare la situazione sono gli stessi organizzatori del Flow: “Una prima decisione sulla presenza dei prodotti al festival è stata presa in primavera: sembrava che Heineken dovesse lasciare la Russia durante la primavera: abbiamo atteso ma finora non è accaduto nulla”. Va detto che Heineken ha comunque confermato la volontà di un disimpegno dalla Russia, che però è ancora in corso.
Fuori dai mega impianti nel quartiere semicentrale di Suvilhati (un esempio virtuoso di riconversione di un’ex centrale elettrica, affacciate sul mare) fervono gli ultimi preparativi per l’inizio del festival, l’11 agosto sera.
L’anno scorso, quando Nick Cave aveva intonato Red Right Hand, utilizzato anche come sigla di Peaky Blinders, il boato del pubblico era stato da scossa tellurica: quest’anno, i nomi forti sono quelli di Suede, Blur, Lorde e i nazionali Anna Puiiu, Paperi T, Olavi Uusivirta e Alma. Alla stazione di Helsinki i fan sono già arrivati (e con loro anche i raccoglitori di lattine). Nella zona del festival, prenotare un albergo oggi costa dai 400 in su e ci sono ancora pochi posti: un epilogo d’estate che genera un indotto notevole, mentre qui il clima è già autunnale, con scuole e uffici tornati a pieno regime.
E mentre l’atmosfera del festival si scalda, la “guerra della birra” imperversa e fa discutere. “La decisione (di escludere Heineken Silver, ndr) è stata presa dopo un confronto con il main sponsor Hartwall sulla presenza dei loro prodotti al Flow” commentano gli organizzatori. “Nelle scorse settimane ci siamo riaggiornati sulla situazione e abbiamo raggiunto la conclusione della brand-cooperation con Heineken. Heineken Silver sarà sostituita con altri prodotti della Hartwall al festival”.
Hartwall è uno fra i maggiori produttori di bevande della Finlandia, entrato esso stesso a far parte della galassia Heineken nei primi Anni Duemila. Galassia amplissima: Heineken possiede oltre 165 siti produttivi in oltre 70 Paesi. È il primo in Europa e il secondo al mondo dopo la fusione nell’ottobre 2016 dei principali concorrenti, AB-InBev e SABMiller, con una produzione di Produce oltre 200 milioni di ettolitri di birra divisi in 250 marchi.
Ma niente festival a Helsinki: “Alla luce dei fatti, abbiamo riconsiderato lo scenario. Heineken Silver sarà sostituito con gli altri prodotti di Hartwall nell’edizione 2023 festival”, afferma Suvi Kallio, ceo del festival.
“La decisione di tenere fuori il marchio dal festival è giusta” è il commento più ricorrente, scambiando due parole con i fan in arrivo da mezza Europa (tanti tedeschi e inglesi, qualche italiano, per la maggior parte dal Nord Europa).
Russi, ovviamente, non pervenuti: un tempo arrivavano con il pendolino Allegro, collegamento diretto tra il centro di San Pietroburgo e Helsinki coperto in circa tre ore e mezzo: dal dal 27 marzo 2022 il treno è sospeso. In compenso, la frontiera è sempre più blindata e al check-point di Imatra, 250 chilometri a Nord-est della capitale, prosegue la costruzione del muro con la Russia, nella parte della Carelia rimasta finlandese: qui le cascate sul fiume Vuoksi (che dal lago Saimaa, finlandese, corre fino al lago Ladoga, russo) sono sempre state un’attrazione forte. In estate, ogni sera, il rilascio d’acqua è in pompa magna e a suon di musica: sinfonica e patriottica, soprattutto Sibelius, il massimo compositore finlandese di inizio Novecento. Sempre un bello spettacolo, con o senza birra.
Per i finlandesi il cibo è una questione di principio: a distanza di 18 anni, non hanno ancora perdonato all’Italia le battute di Berlusconi quando si trattò di portare a Parma la sede dell’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare – era in lizza anche Helsinki, ma la spuntò l’Italia e Berlusconi commentò in seguito: “Quando si insegue un risultato bisogna usare tutte le armi che si hanno a disposizione e quindi io ho rispolverato tutte le mie arti da playboy, ormai lontane nel tempo, e utilizzai una serie di sollecitazioni amorevoli nei confronti della signora presidente”.
(da agenzie)
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