Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
ANCHE SINDACI DEL NORD DELLA LEGA CONTRO IL GOVERNO DI ROMA
Tutti contro tutti. Sindaci del Nord, molti della Lega, contro il governo di Roma, opposizione contro maggioranza, e questo ci sta, ma ora anche frizioni al vetriolo tra quelli che dovrebbero essere alleati.
Riassumono efficacemente il caos totale Francesca del Vecchio e Filippo Fiorini su La Stampa: “Mentre il governo si prepara per l’approvazione di un provvedimento sul modello dei decreti sicurezza voluti nel 2018 da Matteo Salvini, il tema immigrazione diventa materia di scontro, non solo tra maggioranza e opposizione e tra alleati di governo, ma anche tra Roma e il Nord.
Con il fronte dei sindaci – leghisti in testa – che si sente abbandonato. A partire dalla Lombardia dove, mettendo in fila i dati, al 31 luglio 2023 si registrano 16.232 migranti: 2.156 in più rispetto al mese precedente e 5.481 in più rispetto al 31 luglio 2022.
Secondo il piano di redistribuzione del Viminale, entro il 15 settembre la quota arriverà a 6.000. La fetta più grande, insomma, per cercare di ripartire gli oltre 50 mila richiedenti asilo.
«I comuni sono diventati i centri di costo dell’immigrazione. La politica si ricorda di noi solo quando ci sono le elezioni e ha bisogno di voti. Poi, ci lascia le grane da risolvere».
Roberto Di Stefano, sindaco leghista di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, parla di una situazione che «mette in ginocchio i bilanci: siamo costretti a distrarre fondi che potremmo spendere per gli anziani, per i disabili, per occuparci dell’accoglienza agli stranieri».
A destare maggiore preoccupazione, spiega ancora Di Stefano, sono minori non accompagnati che vengono assegnati ai comuni direttamente dal Tribunale. «Ho l’impressione che il ruolo dei sindaci non sia capito. Non basta il rimpatrio di qualche centinaio di persone, perché gli arrivi sono molti di più. E il lavoro va fatto a monte: investendo in democrazia nei Paesi da cui queste persone scappano».
Nella provincia di Brescia, l’insoddisfazione è la medesima: il sindaco di Edolo, Luca Masneri (civico), dalla Valle Camonica ricorda di aver chiesto alla Prefettura «di iniziare a pensare a una exit strategy. Negli anni passati abbiamo avuto anche 200 migranti su una popolazione di 4.400 persone. Ora siamo a 70 e vogliamo arrivare a 40».
Marco Togni, primo cittadino leghista di Montichiari (Brescia), non si pone proprio il problema: «Immigrati non ne voglio. Non ho posti in cui accoglierli e quindi non me ne preoccupo. Non posso impedire che strutture private nel mio comune partecipino ai bandi della Prefettura per l’accoglienza ma quando chiedono il mio parere dico sempre che sarebbe meglio non farlo».
E in mancanza di strutture in cui ospitarli, Togni ribadisce la sua «indisponibilità a qualsiasi conversione di strutture di proprietà comunale».
Anche Sebastian Nicoli, sindaco Pd di Romano di Lombardia, nella bergamasca, ha contestato l’arrivo di una trentina di richiedenti asilo nell’ex hotel La Rocca, struttura privata gestita da una cooperativa: «Ancora una volta affrontiamo un’emergenza calata dall’alto. La Prefettura mi ha avvisato solo informalmente dell’arrivo dei richiedenti asilo. Non mi è stato neanche comunicato il numero esatto».
In terra lombarda il tema degli alloggi è stato anche materia di scontro tra alleati in giunta regionale: l’assessore alla Casa Paolo Franco (in quota Fdi) era stato costretto a un dietrofront sulla proposta di utilizzare le case popolari non occupate (e pronte all’uso) per allargare la rete dei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) come richiesto dal governo. Immediate le proteste da parte della Lega con tanto di precisazione del governatore Attilio Fontana.
Seconda solo alla Lombardia, l’Emilia-Romagna ha ospitato nei primi sette mesi di quest’anno il 9% dei migranti sbarcati in Italia. Poco meno di 12 mila al 15 luglio, se ne attendono altri 4.000 tra la fine di agosto e settembre. Principalmente maschi, giovani e adulti, provenienti da Costa D’Avorio, Guinea, Egitto, Bangladesh, Pakistan, Tunisia, Burkina Faso, Siria, Camerun e Mali. I minori non accompagnati sono il 10%, ma rilevante è anche la quota dei nuclei familiari, che il sistema d’accoglienza prevede di tenere uniti. Da mesi, la crisi degli alloggi viene denunciata da prefetti, sindaci, cooperative di settore che reclamano più sostegno da parte di Roma ma anche collaborazione nella ricerca di soluzioni rapide. L’hub di via Mattei a Bologna, per esempio, accoglie da settimane i richiedenti asilo in una tendopoli, non essendoci più camere disponibili. Una soluzione che il sindaco Matteo Lepore (centrosinistra) definisce «non dignitosa» e «preoccupante» , segno che al ministero dell’Interno «non c’è alcuna idea su come gestire l’emergenza». Proprio al Viminale, l’assessore al Welfare del comune di Reggio-Emilia Daniele Marchi (Pd), ha minacciato di portare i molti rifugiati assegnati al suo distretto: «Se il governo va avanti così, carico dei pullman e li porto tutti a dormire al ministero».
Il Veneto, che dai piani del Viminale dovrebbe accogliere 3.000 migranti entro settembre, arriverà a quota 200 mila, secondo il presidente Luca Zaia: «Di questo passo avremo presto le tendopoli».
A Legnago, in provincia di Verona, il sindaco Graziano Lorenzetti ha riposto la fascia tricolore in protesta: «Tornerò a utilizzarla quando lo Stato metterà i sindaci e le forze dell’ordine nelle condizione di poter garantire la sicurezza ai propri cittadini».
Il sindaco leghista di Chioggia Mauro Armelao è stato chiaro: «Non disponiamo di strutture pubbliche in cui accogliere i migranti, abbiamo già famiglie in attesa di un alloggio».
(da Globalist)
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Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
IL PARTITO DI SALVINI DOVRA’ RISARCIRE LE ASSOCIAZIONI CHE AVEVANO FATTO CAUSA
“Saronno non vuole i clandestini. Vitto, alloggio e vizi pagati da noi. Nel frattempo, ai saronnesi tagliano le pensioni e aumentano le tasse, Renzi e Alfano complici dell’invasione”. Questo dicevano i cartelli affissi da Lega a Saronno, città di 40mila abitanti circa in provincia di Varese, nel 2016. Il contesto era quello di una manifestazione di protesta, convocata proprio dai leghisti perché a un centro di assistenza (messo a disposizione dalla parrocchia cittadina) erano state assegnate 32 persone migranti da ospitare.
Si trattava di uomini e donne che avevano fatto richiesta di asilo ed erano in attesa dell’esito della loro domanda: in nessun modo, quindi, erano immigrati irregolari o “clandestini”. Lo ha confermato la Cassazione, che il 16 agosto ha respinto il ricorso della Lega e ribadito l’obbligo di risarcimento verso le due associazioni che avevano intentato una causa sette anni fa.
“Gli stranieri che fanno ingresso nel territorio dello Stato italiano perché corrono il rischio effettivo, in caso di rientro nel Paese di origine, di subire un ‘grave danno’, non possono a nessun titolo considerarsi irregolari e non sono dunque ‘clandestini'”, si legge nel testo della sentenza. Hanno avuto ragione, quindi, l’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) e il Naga (associazione milanese di volontariato per i diritti dei cittadini stranieri). I due enti avevano portato la Lega (locale e nazionale) in tribunale sette anni fa, e i primi due gradi di giudizio avevano già dato loro ragione, nel 2017 e nel 2020.
La linea delle associazioni era che usare il termine “clandestini” fosse una “molestia discriminatoria” cioè “un comportamento idoneo a offendere la dignità della persona e a creare un clima umiliante, degradante e offensivo”.
Al contrario, gli avvocati della Lega avevano invocato il diritto di un partito politico a manifestare liberamente la sua posizione. Per la corte, però, “il diritto alla libera manifestazione del pensiero, cui si accompagna quello di organizzarsi in partiti politici, non può essere equivalente o addirittura prevalente, sul rispetto della dignità personale degli individui”, soprattutto per individui in situazioni di fragilità, come le persone migranti.
Da Asgi, l’avvocato Alberto Guarisio ha commentato: “La sentenza, benché riferita a una vicenda di anni fa, dice molto anche alla politica di oggi . In particolare sulla inaccettabile consuetudine di continuare a usare il termine ‘clandestini’ per coloro che arrivano sul nostro territorio, comunque arrivino, per cercare protezione: persone con una dignità da rispettare e non clandestini”.
(da Fanpage)
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Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
BENVENUTI NELL’EPOCA DELL’’OPEN TO TESSSORO’, IN CUI GIORGIA MELONI, TRAVESTITA DA GOLLUM CHE ESCE DA UNA CONCHIGLIA (MA FORSE È UNA COZZA), FA DA TESTIMONIAL ALL’ALBANIA
E niente, “Open to Meraviglia” è fallito. Benvenuti nell’epoca dell’”Open to Tesssoro”, in cui Giorgia Meloni, travestita da Gollum che esce da una conchiglia (ma forse è una cozza), fa da testimonial all’Albania.
Non soltanto il simpatico Edi Rama si è divertito a percularci come nazione troppo cara per andarci in vacanza, adesso fa anche l’ufficio stampa di Giorgia Meloni che, nei giorni di Ferragosto, ha pensato bene di andarsene anche lei a Valona, con famiglia governativa al seguito.
Il più grande spot all’Albania mai visto, anche perché la comunicazione è stata gestita da Edi Rama in persona. A lui infatti dobbiamo la conferma della presenza del nostro premier al di là dell’Adriatico, mentre l’ufficio stampa di palazzo Chigi taceva.
Non si sa se Giorgia Meloni sia andata con un traghetto di linea (ma strano che nessuno l’abbia vista) o con una imbarcazione privata o statale, o se abbia incontrato o meno Tony Blair, in visita al premier albanese negli stessi giorni.
E più latitava qualsiasi forma di comunicazione istituzionale, più il mistero si infittiva, più tutti guardavano alle coste albanesi in attesa di un cenno, fino alla magnifica foto pubblicata da Edi Rama, con la mano di Giorgia affettuosamente sulla sua spalla.
Grande spot di Edi Rama, che si è dichiarato “fratello d’Italia”, alla Meloni, e grande spot della Meloni a Edi Rama! Open to Tesssoro! Benvenuti in Albania!
(da www.mowmag.com)
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Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
AUMENTO DELL’8,4% RISPETTO AL TRIMESTRE PRECEDENTE: I SETTORI MAGGIORMENTE COLPITI SONO TURISMO, RISTORAZIONE E TRASPORTI
Record di fallimenti delle imprese nell’Unione europea nel secondo trimestre dell’anno, con un aumento dell’8,4% e ai massimi da quando è iniziata la raccolta dei dati nel 2015 da parte dell’ufficio europeo di statistica. Nell’eurozona i fallimenti aziendali sono aumentati del 9%, mentre in Italia del 2,9%.
La fotografia sui fallimenti offerta da Eurostat sembra indicare che si sia interrotta per l’Italia la riduzione proseguita per otto trimestri consecutivi a partire da inizio 2001, dopo l’inversione già iniziata in realtà tra gennaio e marzo di quest’anno (+7,7% i fallimenti del primo trimestre).
Il trend attuale italiano resta comunque di un aumento meno spiccato dell’Ue a 27, che invece risulta in crescita ormai da sei semestri, e dell’area dell’euro, dove complessivamente i gli insuccessi aziendali sono in crescita da sette trimestri. I fallimenti aumentano in tutti i settori, a partire dai servizi di alloggio e ristorazione (+23,9%), dai trasporti e magazzinaggio (+15,2%) e da istruzione, sanità e attività sociali (+10,1%).
Rispetto al quarto trimestre del 2019, quello cioè precedente alla pandemia, i maggiori fallimenti si sono registrati nei servizi di alloggio e ristorazione (+82,5%). Sono calati invece nell’industria (-11,5%) e nell’edilizia (-2,7% ).
Tra i singoli Paesi, l’Ungheria registra un aumento particolarmente intenso, con un balzo del 40,8%, dopo aver visto già due trimestri di crescita intensa e addirittura un picco superiore al 133% nel terzo trimestre del 2022. Rialzi sensibili si segnalano anche in Estonia (+24,6%). Calano con forza i fallimenti delle imprese a Cipro (-48,5%), ma dopo che erano più che raddoppiati nel primo trimestre dell’anno (+109,7%). E scendono anche in Croazia (-23,6%), dopo già un buon calo in avvio d’anno, in Danimarca (-15,9%), Bulgaria (-14,3%) e Polonia (-9,1%).
Tra i grandi Paesi, non sono disponibili i dati della Germania, mentre i fallimenti aziendali risultano in crescita del 4,6% in Francia.
(da agenzie)
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Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
PRATICA RELIGIOSA IN COSTANTE CALO: DAL 36,4% DELLA POPOLAZIONE CHE SI CONSIDERAVA PRATICANTE NEL 2001 SI E’ SCESI SOTTO IL 19% NEL 2022
In Italia, le chiese stanno vivendo un progressivo declino di partecipanti. Nel 2022, si è registrato un punto basso storico delle presenze, con solo il 18,8% della popolazione che prende parte a un rito religioso almeno una volta alla settimana. Inoltre, coloro che non sono mai entrati in un luogo di culto durante tutto l’anno, eccetto per eventi speciali come matrimoni o funerali, costituiscono il 31%.
Nel corso di due decenni, la pratica religiosa in Italia ha subito un costante calo, riducendosi della metà: dal 36,4% della popolazione che si considerava praticante nel 2001, si è scesi al di sotto del 19% nel 2022.
Questo calo si è accentuato in modo evidente durante la pandemia. Sebbene la diminuzione fosse graduale nel corso degli anni, il declino più significativo è avvenuto tra il 2019 e il 2020, in concomitanza con l’arrivo della pandemia. Durante quell’anno, le messe hanno perso il 4% dei loro frequentatori abituali. Anche se era consentito recarsi in chiesa, le celebrazioni in presenza sono state sospese durante il periodo critico della pandemia. Nonostante la fine dell’emergenza sanitaria, la partecipazione alle attività religiose non è tornata ai livelli precedenti e, anzi, è ulteriormente peggiorata. Nel corso degli ultimi vent’anni, la percentuale di “mai praticanti” è raddoppiata, passando dal 16% nel 2001 al 31% nel 2022.
I dati provenienti dall’Istituto nazionale di statistica (Istat), elaborati dal portale di informazione religiosa “Settimana News”, emergono da un’indagine campionaria. Anche se la religione cattolica non è menzionata esplicitamente (a causa della privacy), è chiaro che la questione riguarda principalmente questa fede, considerando che la maggioranza della popolazione italiana appartiene alla tradizione cattolica.
Anche i battesimi stanno subendo una forte diminuzione. Secondo le recenti informazioni provenienti dalla diocesi di Milano, una delle più grandi al mondo, i battesimi sono scesi dagli 37-38 mila registrati negli anni 2000 ai soli 20 mila attuali. Anche considerando la bassa natalità, questa cifra è notevolmente ridotta. Per quanto riguarda i matrimoni nella diocesi, si è passati dagli 18 mila annuali degli anni Novanta agli attuali 4 mila.
Lo svuotamento delle chiese coinvolge tutte le fasce d’età, ma è particolarmente evidente tra i giovani (18-24 anni) e gli adolescenti (14-17 anni). Complessivamente, la partecipazione religiosa è diminuita del 50% nei vent’anni più recenti, ma per i giovani è stata addirittura del due terzi. Questa tendenza ha spinto la Chiesa italiana a dare particolare attenzione alla recente Giornata Mondiale della Gioventù, svoltasi a Lisbona, alla quale hanno partecipato circa 70 mila giovani italiani. Più di cento vescovi li hanno accompagnati, con l’intento non solo di guidarli, ma anche di valutare come invertire questa tendenza tra i giovanissimi.
(da agenzie)
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Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
ERA IL 2022 QUANDO MELONI ATTACCAVA DRAGHI: “IL GOVERNO RIDUCA SUBITO ACCISE E IVA E COLPISCA CHI SPECULA SUL CARO BENZINA”… ORA CHE I PREZZI DELLA BENZA SONO ALLE STELLE E LORO AL GOVERNO PERCHÈ NON INTERVENGONO?
In autostrada il pieno sale ancora, e sale anche il pressing sul governo per un intervento sul caro benzina, a partire dal taglio delle accise. “Le accise non si toccano”, ha però ribadito il ministro delle Imprese del Made in Italy, Adolfo Urso intervistato da Repubblica.
La posizione del ministro finiscono per disattendere le promesse elettorali di Giorgia Meloni e Matteo Salvini, più volte arrembanti in passato su un tema popolare come quello del caro carburanti. Nel programma elettorale della Lega è scritto che tra le proposte c’è quella di “proseguire con misure transitorie di riduzione delle accise di gasolio, benzina e GPL”.
Il leader del Carroccio Matteo Salvini parla di riduzione delle accise anche dai banchi del Governo. L’8 febbraio 2023 promette che “se si arrivasse sopra i 2 euro, il Governo interverrà, come è stato già fatto l’anno scorso“. Nello stesso giorno sempre il ministro Urso minimizza le richieste di Salvini sostenendo che i prezzi stessero scendendo.
Un mese prima, gennaio 2023, la stessa Giorgia Meloni aveva spiegato perché il Governo non avrebbe tagliato le accise. La premier è intervenuta pubblicando un video in cui ne ha commentato un altro risalente al 2019, che la vedeva alle prese con un pieno e in cui pretendeva con vigore l’abolizione delle tasse sui carburanti: “Quando io faccio 50 euro di benzina il grosso deve finire nella mia macchina, non in quella dello Stato”.
“Gira da più parti il video del 2019 . – precisa la leader FdI nel frattempo salita a palazzo Chigi – Sono ancora convinta che sarebbe ottima cosa tagliare le accise sulla benzina, il punto è che si fanno i conti con la realtà con cui ci si misura. Dal 2019 a oggi il mondo intorno a noi è cambiato e purtroppo stiamo attraversando una situazione emergenziale”.
In realtà la premier era tornata sull’argomento con le stesse modalità del primo video, ai tempi del governo Draghi. “Il Governo riduca subito accise e Iva e colpisca chi specula sul caro benzina”, aveva twittato il 15 marzo del 2022.
(da agenzie)
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Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
URSO: “NON SI PUO’, COSTEREBBE UN MILIARDO AL MESE”… LE OPPOSIZIONI: “URSO DISTORCE LA REALTA'”
Mentre continuano i rincari su benzina e diesel, oltre 103mila cittadini italiani hanno firmato la petizione di Altroconsumo in cui si chiede al governo il ripristino dello sconto sulle accise e l’azzeramento dell’Iva sui carburanti.
«Il governo ha adottato misure blande, i cartelli con i prezzi medi, che, come prevedibile, si sono rilevate del tutto inefficaci. Fino all’inizio di quest’anno era in vigore lo sconto sulle accise, una misura straordinaria che, pur non essendo incisiva come l’azzeramento dell’Iva, un po’ di respiro agli automobilisti lo aveva dato. Il governo deve ora intervenire in maniera rapida e senza indugi», spiega l’associazione.
Urso: «Il taglio delle accise ci costa troppo»
Richieste di cui, però, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, non vuole sapere. «Tagliare le accise della benzina costerebbe un miliardo al mese, 12 miliardi l’anno. Il governo ha invece utilizzato questi fondi per tagliare due volte il cuneo fiscale e ha intenzione di farlo ancora con la prossima legge di Bilancio», ha detto ad Agorà Estate.
Una versione, quella del ministro, che non convince le opposizioni. «Secondo Urso l’inflazione si sarebbe dimezzata grazie al decreto trasparenza. Che dire? Che il ministro non sappia che pesci pigliare è evidente. Ma questo non lo autorizza a distorcere la realtà. L’unica misura attuata, l’obbligo dei cartelli col prezzo medio dei carburanti, è in vigore da venti giorni. Per i risultati di questo intervento, suggeriamo al ministro di scendere dalla sua auto blu, andare a fare benzina e chiedere agli altri automobilisti», dichiara il senatore Antonio Misiani, responsabile economico del Pd.
Alza la voce anche Riccardo Magi, segretario di +Europa, che punta il dito contro «anni e anni di retorica populista sulle accise sui carburanti da parte di Meloni e Salvini e poi oggi Urso si sveglia, fa un’intervista e ci spiega che è colpa dell’Opec. Delle due, l’una: o Meloni e Salvini hanno preso in giro gli italiani in tutti questi anni dicendo che le tasse sui carburanti si potevano tagliare, oppure Urso ha il mandato chiaro da parte del governo di fare cassa in vista della finanziaria mettendo direttamente le mani nelle tasche degli italiani».
(da agenzie)
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Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
IL GOVERNO DRAGHI, DA MARZO A NOVEMBRE 2022, TAGLIO’ L’ACCISA DI 25 CENTESIMI AL LITRO, UN PROVVEDIMENTO CHE IL GOVERNO MELONI NON HA RIFINANZIATO
Oltre un euro sulla benzina, per l’esattezza 1,061 euro, e 921 centesimi sul gasolio. Tra Iva al 22% e accise, la componente fiscale dei carburanti in Italia vale il 56,6% del prezzo della verde e il 51,8% del diesel ed è la più alta di tutta Europa: la più elevata in assoluto per il gasolio e la seconda per la Super, dove il nostro Paese è secondo dopo la Finlandia. Con le quotazioni di petrolio e prodotti raffinati che sono salite nelle prime due settimane di agosto anche i prezzi alla pompa sono aumentati.
Di quanto lo sanno bene gli italiani che si sono messi in viaggio e che ieri, in base ai dati diffusi dal ministero delle Imprese si sono ritrovati con la verde a 2,019 euro di media e il gasolio a 1.928 in autostrada, mentre nella rete stradale ordinaria si spende meno — 1.939 euro in media per la benzina e 1.827,7 euro per il diesel — ed è per questo che il primo consiglio per risparmiare è quello di fare il pieno in città, per quanto possibile.
In Europa Secondo l’associazione delle imprese di categoria (raffinazione, logistica, distribuzione) i rialzi recenti dipendono dall’aumento delle quotazioni internazionali.
Dunque il problema sono le tasse, quel combinato di accise e Iva che fa lievitare il prezzo. Anche ieri le associazioni dei consumatori sono tornate all’attacco. Il Codacons ha annunciato la volontà di fare una denuncia contro il ministero dell’Economia e delle Finanze con «diffida a congelare gli introiti delle accise, 2,2 miliardi, che rappresentano un’appropriazione indebita e una speculazione da aggiotaggio nei confronti dei consumatori». L’altro ieri l’associazione aveva annunciato denunce a 104 Procure e alla Guardia di Finanza. L’appello generale è tagliare subito le accise.
Le accise per lo Stato sono tasse fondamentali per far quadrare i conti. Tanto che nessun governo è intervenuto in maniera strutturale sulla questione. L’ultimo provvedimento è del governo Draghi, poco dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina e la crisi con la Russia che è uno dei maggiori esportatori di greggio: da marzo a novembre 2022 ha introdotto uno sconto dell’accisa di 25 centesimi al litro, che valevano complessivamente 30,5 centesimi considerando l’Iva. Un provvedimento che il governo Meloni non ha rifinanziato e che è terminato a gennaio 2023. […] In Italia l’88% delle merci che arriva sugli scaffali viaggia su strada e l’aumento dei carburanti potrebbe avere un effetto sulla spesa.
(da Corriere della Sera)
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Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
PER LA PRIMA VOLTA IL MINISTERO DELLA SANITÀ SOSTIENE LE PROPOSTE ULTRACONSERVATRICI DELLA CHIESA RUSSA ORTODOSSA: CREMLINO VUOLE NUOVA “CARNE DA CANNONE” PER LE GUERRE CHE VERRANNO
In Russia vige un nuovo comandamento: “Donna, farai figli, non carriera”. È in pericolo come mai, da quando tornò legale nel 1955 dopo il divieto staliniano, il diritto d’aborto in Russia. Vacilla sotto le spallate di un governo sempre più preoccupato dal calo demografico in tempi di mobilitazione e caduti al fronte e di una Chiesa Russa Ortodossa sempre più padrona dello Stato.
L’ultimo assalto è arrivato dalla Repubblica di Mordovia, prima regione della Federazione russa ad avere introdotto il “reato d’influenza all’aborto”, bislacca invenzione giudiziaria che vieta di “influenzare” le donne a interrompere una gravidanza “attraverso la persuasione, le offerte, la corruzione, l’inganno o imponendo altre richieste”.
Per anni il ministero della Sanità aveva sostenuto, dati alla mano, che il divieto di aborto non aumentasse affatto il tasso di natalità
Dopo l’inizio dell’offensiva in Ucraina, la Russia ha urgente bisogno di compensare le perdite che subisce sul campo di battaglia.
Settimane fa il ministro della Sanità Mikhail Murashko è arrivato a dire che le donne dovrebbero fare figli presto invece che proseguire gli studi o fare carriera: una “responsabilità” nei confronti del Paese
Murashko ha anche appoggiato pubblicamente le proposte della Chiesa d’introdurre “controlli rigorosi” sulla vendita delle pillole abortive
A parole la legislazione russa è tra le più progressiste al mondo: consente alle donne di abortire fino alla 12esima settimana di gravidanza e, in casi eccezionali come lo stupro o la morte del marito, fino alla 22esima. Ma di fatto, nel pubblico, la strada è lastricata di ostacoli. Dal 2011, ad esempio, su pressione della Chiesa, è in vigore quella che qui viene chiamata la “settimana del silenzio”, un tempo di riflessione obbligatorio che va dai 2 ai 7 giorni prima della procedura durante i quali la donna viene costretta a sottoporsi a una consulenza che dovrebbe essere volontaria. I medici vengono ricompensati se la donna ci ripensa
Alle spalle c’è la Chiesa che continua la sua crociata per un divieto totale. Il patriarca Kirill propone da anni di rimuovere l’aborto dalle prestazioni coperte dal servizio sanitario nazionale. Dal suo punto di vista, i contribuenti non dovrebbero pagare per l’infanticidio. A dargli man forte il capo della Commissione patriarcale per la famiglia, Fjodor Lukjanov, che ha persino suggerito che le donne abortiscano soltanto con il consenso del coniuge. Le donne però non ci stanno. L’anno scorso la domanda di farmaci abortivi in Russia ha raggiunto il massimo storico: sono stati venduti in totale 1,4 milioni di farmaci che inducono aborti e 2,2 milioni di pillole del giorno dopo, rispettivamente il 60% e 53% in più rispetto al 2021.
Il motivo dell’impennata? “Il lancio dell’operazione militare speciale della Russia in Ucraina, le sanzioni occidentali, il calo dei redditi della popolazione e la parziale mobilitazione”. Per dirla con le parole della femminista Zalina Marshenkulova, la Russia ha bisogno di “carne da cannone” per alimentare l’offensiva russa in Ucraina, ma le donne finché possono si oppongono.
(da agenzie)
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