Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
IL GENERALE RIMANE A FIRENZE A DISPOSIZIONE DEL COMANDO FORZE OPERATIVE TERRESTRI… AL SUO POSTO MASSIMO PANIZZI
Il provvedimento, tanto richiesto al ministro della Difesa Guido Crosetto, è arrivato, con un dispaccio dello Stato Maggiore dell’Esercito questa mattina.
Il generale Roberto Vannacci è stato rimosso dalla guida dell’Istituto geografico militare di Firenze. A darne notizia, tra i primi, è Repubblica. Dal 20 agosto, cioè da dopodomani, sarà sostituito da Massimo Panizzi, in passato è portavoce dell’ammiraglio Giampaolo Di Paola quando quest’ultimo era ministro della Difesa del governo Monti.
Dato il clamore non si terrà alcuna cerimonia di avvicendamento. Vannacci è finito nella bufera in merito ad alcune frasi contenute nel suo libro autoprodotto Il Mondo al contrario.
«Cari omosessuali, non siete normali, fatevene una ragione», è solo uno dei tanti pensieri del generale che hanno scatenato polemiche.
Il ministro della Difesa si era unito al coro di critiche sollevate contro l’opera. Vannacci ha replicato alla sua rimozione mentre era ospite a Diario del Giorno su Rete4: «Quando scrivevo questo libro sapevo che avrebbe dato da discutere ma sicuramente non mi aspettavo questo polverone. Non replicherò a decisioni che arrivano da una catena gerarchica. Lo farò nelle sedi opportune».
Dove finirà Roberto Vannacci
Adesso Vannacci – spiega la testata – sarà a disposizione del Comando delle Forze operative terrestri, che ha sede Roma, anche se potrà restare di stanza a Firenze.
La destituzione bypassa il fascicolo disciplinare con l’analisi delle violazioni che vengono contestate al generale, in particolare l’articolo 1472 del Codice dell’ordinamento militare (“Libertà di manifestazione del pensiero”) e quella dei doveri del militare attinenti al giuramento di fedeltà alla Repubblica Italiana.
(da Open)
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Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
NEGLI ULTIMI TEMPI IL RESPONSABILE DEL DICASTERO DELLE IMPRESE NON NE HA IMBROCCATA UNA TRA CAOS DEI PREZZI DELLA BENZINA E SCAZZI CON LE COMPAGNIE AEREE
E sì che a tanti sembrerebbe in affanno. E invece – per dire di come la vanità può essere il miglior rifugio di chi annaspa – Adolfo Urso in questi giorni si compiace non poco di sé: per questo condivide con amici e compagni di partito un sondaggio che lo vorrebbe come il ministro col maggiore indice di gradimento popolare.
Ha pasticciato con la benzina, ha innescato una mezza zuffa diplomatica con Bruxelles sui voli, deve scansare gli sbuffi dei suoi collaboratori e il malcontento che sul suo operato nutrono i suoi colleghi di governo, insomma ha messo in fila una serie di figure un po’ così.
E però, lui, se la gode per l’amore che gli elettori gli tributano. Dunque perché sorprendersi se, insediatosi a Palazzo Piacentini, ordinò al suo ufficio stampa: “Voglio un’intervista al giorno”.
Poi, siccome Giorgia Meloni lasciò intendere che certe smanie comunicative non erano gradite, lui, indefesso, volle stupirla. Era fine gennaio, e Urso s’era messo in testa di fermare i rincari della benzina. Il suo rapporto travagliato coi carburanti nasce lì.
Meloni era ad Algeri. Lui la chiamò e le garantì: “Accordo fatto coi rappresentanti di categoria, lo sciopero dei benzinai è revocato”. Convocò una riunione a Via Veneto con le varie sigle, prima però allertò i telegiornali: “Pronti per la notiziona?”. Poi finì come si sa, con lo sciopero dei benzinai. E con lui che ingiuriava il suo staff, minacciando licenziamenti in massa. Non proprio un trionfo.
Ma almeno si pensava potesse valere, quella delusione, a suggerirgli cautela quando si parla di prezzi di verde e gasolio. E invece al primo accenno di rincaro, ecco che Urso è tornato alla carica. Prima se l’è presa coi benzinai. Poi ha detto che s’era sbagliato, che i colpevoli della speculazione erano i raffinatori. Sempre additati con la terza persona plurale, sparacchiando nel mucchio. Poi, al dunque, l’illuminazione: è colpa delle accise.
Col sollievo che s’immagina da parte di Meloni, proprio lei che le accise, parzialmente sterilizzate da Draghi, in legge di Bilancio le aveva rialzate. Dunque alla fine la ricerca spasmodica del colpevole da parte dell’ispettore Urso ha dato i suoi frutti: la colpa è del governo. Cioè di Urso. E allora si spiega anche l’insofferenza mostrata dai suoi colleghi di partito in queste ore nei confronti della sua “sovraesposizione”.
Un bel clima, insomma. Che è poi grosso modo quello che si respira anche in certi corridoi del Mimit. Dove alcuni collaboratori di Urso, alcuni suoi direttori generali, lamentano l’insostenibilità di un metodo per cui “prima annunciamo le cose, poi ci chiediamo se e come possiamo farle”.
Confidenza di uno di loro: “E certo che anche la faccenda del cartello coi prezzi medi regionali della benzina in bella vista sapevamo che era di dubbia efficacia. Ma qualcuno deve aver detto al ministro: ‘Noi ora spingiamo questa iniziativa, tanto poi i prezzi scendono e il merito sarà anche nostro’”. Del resto, e forse con la stessa logica, due settimane fa Urso ha anche rivendicato il successo nell’aver contribuito, lui col suo sedicente “monitoraggio dei prezzi”, a fermare l’inflazione. Roba che manco Napoleone.
E forse è una baldanza che stride un po’ con la cedevolezza mostrata invece di fronte alle rimostranze dei tassisti: in quel caso il ministro ha deposto serenamente i suoi propositi di promuovere una sia pur timida liberalizzazione delle licenze.
Nel frattempo, incredibilmente, i suoi colleghi di governo non sono proprio entusiasti di lui. Giancarlo Giorgetti, per dire, ha fatto in modo di continuare a gestire lui la trattativa coi turchi su Whirlpool, facendo valere l’affezione a una crisi che interessa la sua Varese. Alla Difesa lamentano che la delega all’aeropsazio, che Urso ha fortemente voluto, non viene gestita dal Mimit come si dovrebbe. E di qui, insomma, le voci di una Meloni intenzionata a farlo candidare alle europee per allontanarlo dall’esecutivo. Proprio lui, il più amato dagli italiani.
(da agenzie)
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Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
OGNI GIORNO IL GOVERNO RISPOLVERA VECCHIE ISTITUZIONI E PROGETTI BLOCCATI
Diceva Ambrose Bierce: «Il conservatore è un uomo politico affezionato ai mali esistenti; il progressista, invece, aspira a rimpiazzarli con mali nuovi». E che vuol conservare, questo governo diretto dai conservatori? Non i mali esistenti, bensì quelli preesistenti. Scelta che parrebbe rivelare un’anima reazionaria, più che conservatrice. Ma sta di fatto che nel bel mezzo dell’estate c’è stato tutto un fiorire d’interventi per riesumare questa o quella istituzione, per liberare dalla polvere progetti già bocciati, per riproporre vecchie idee, vecchie soluzioni, benché sperimentate già senza successo.
Le province, per esempio. Erano 59 nel 1861, all’indomani dell’unità d’Italia; adesso sono 107, però più morte che vive. Qualche giorno fa il ministro Salvini ne ha promesso il rilancio, innervandole di nuove competenze e ripristinando l’elezione diretta dei loro presidenti. Si torna insomma al punto di partenza, come nel gioco dell’oca. Fu infatti il governo Monti, nel 2012, a ridurne numero e funzioni, anche se la Consulta poi annullò la decisione. E fu la legge Delrio, nel 2014, a cancellare l’elettività delle province, il posto fisso dei loro dipendenti, gran parte delle attribuzioni provinciali. Due anni più tardi la riforma Renzi intendeva addirittura espellerle dalla Costituzione, ma s’infranse contro il referendum. C’era insomma un malanimo diffuso contro quest’ente intermedio che non ha più molto senso dopo l’istituzione delle città metropolitane, e che all’epoca era al centro d’inchieste giornalistiche per i suoi tanti sprechi. Come la partecipazione della provincia di Palermo al salone della moda di Parigi, o le sovvenzioni della provincia di Genova per il Parco del basilico. Acqua passata, è in vista una controriforma. L’eterno ritorno dell’uguale, avrebbe detto Nietsche.
E poi c’è il Cnel, un altro zombie delle nostre istituzioni. Non campa e non crepa, benché abbia conquistato un record di progetti di legge per la sua soppressione. Dalla Bicamerale di D’Alema al programma del governo gialloverde guidato da Conte, tutti d’accordo: il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è un ente inutile, non consiglia e non lavora, pur essendo costato un miliardo di euro dalla sua fondazione. Tanto che nel 2016 la sua sede (sontuosa) di Villa Lubin era stata prenotata dal Csm, il più lesto a impadronirsi delle spoglie. Dopo di che, colpo di scena: il 12 agosto, durante il tavolo con le opposizioni sul salario minimo, la presidente Meloni affida al Cnel la stesura d’una proposta complessiva, la soluzione del problema più spinoso all’ordine del giorno. Un miracolo, come la risurrezione di Lazzaro narrata nel Vangelo.
Nemmeno il ponte sullo Stretto è un’idea nuova di zecca. Negli ultimi decenni l’hanno sposata tutti, da Berlusconi a Prodi, senza cavare mai un ragno dal buco. Finché, nel 2013, il governo Monti mise in liquidazione la società Stretto di Messina: basta, non se ne parli più. Ma invece se ne parla, e il grillo parlante è ancora Salvini, che ha promesso la posa della prima pietra entro la prossima estate. Ripescando il vecchio General Contractor, senza uno straccio di gara. E nonostante i dubbi degli ingegneri, il rischio eolico, il rischio sismico, il rischio democratico, perché non puoi spendere 11 miliardi, non puoi cambiare la geografia della Sicilia senza un dibattito pubblico, senza misurare il consenso delle popolazioni interessate.
Ma dopotutto il pregio di tutte queste iniziative è il medesimo del vino o del prosciutto: sono idee stagionate, nel senso che appartengono a un’altra stagione. Come l’idea del ministro Nordio, dopo il doppio suicidio (11 agosto) di due detenute a Torino: usiamo le caserme per decongestionare le carceri italiane, dove s’affollano 10 mila reclusi in più dei posti letto. La stessa idea messa nero su bianco in un decreto dal ministro Bonafede, nel 2020; e rimasta poi lettera morta, giacché nessuna caserma risponde ai canoni moderni d’un penitenziario. Ma a quanto pare i morti sono divenuti la principale occupazione dei vivi. È questa l’impresa che affaccenda il nostro esecutivo: la riesumazione del cadavere.
(da agenzie)
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Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
DOPO I RINCARI ESTIVI ARRIVERANNO QUELLI D’AUTUNNO: ALIMENTARI, SCUOLA, MUTUI, BENZINA E RISTORAZIONE
Non bastava la stangata estiva, con i rincari record per le vacanze, ma anche per la benzina. Il ritorno dalle ferie rischia di essere altrettanto traumatico per le famiglie italiane. Assoutenti parla già di una stangata d’autunno, con rincari che potranno costare fino a 1.600 euro in più a famiglia.
L’inflazione, insomma, non solo non è sparita, ma sembra proprio non voler rallentare. Nonostante il netto calo dei costi energetici, i prezzi continuano a salire. Vediamo quali e di quanto.
Le stime prendono in considerazione cinque voci di spesa, da settembre fino alla fine dell’anno: alimentari, scuola, mutui, benzina e ristorazione. Partiamo dal carrello della spesa: oggi costa il 10,7% in più rispetto allo scorso anno. Se il trend venisse confermato anche nei prossimi mesi, per una famiglia tipo la spesa aumenterebbe di circa 205 euro nell’ultimo quadrimestre dell’anno.
A settembre c’è anche il ritorno a scuola: i prodotti di cartoleria aumentano del 9,2% su base annua. Tradotto: per ogni famiglia la spesa per zaini, diari, penne, etc aumenta di 50 euro rispetto allo scorso anno. E non è finita, perché aumentano anche i prezzi dei libri, forse addirittura del 10%. Così si aggiungono altri 45 euro rispetto al 2022.
Del caro benzina sappiamo già tutto: l’aumento dei costi del carburante può portare, ipotizzando due pieni al mese a famiglia, un incremento delle spese per 103 euro. in quattro mesi. Un altro rincaro riguarda i ristoranti: mangiare fuori costerà 28 euro in più a famiglia in quattro mesi. Sempre con l’incognita delle bollette che potrebbero tornare a salire con la ripresa della domanda di gas.
LA STANGATA DEI MUTUI
La voce che sarà probabilmente più cara è quella dei mutui. In attesa di capire le prossime decisioni della Bce, già oggi un mutuo a tasso variabile costa mediamente il 60% in più rispetto a inizio 2022. Con ulteriori ritocchi dei tassi, Assoutenti stima una spesa per le rate mensili più alta di 1.170 euro rispetto al 2022. In totale, insomma, siamo a circa 1.600 euro in più di spesa per i quattro mesi finali dell’anno.
(da La Notizia)
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Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
LA RIFORMA LEGALIZZA LE DISEGUAGLIANZE ESISTENTI E I TAGLI DI FITTO AL PNRR HANNO AVVIATO LA MACCHINA
Sarà un caldissimo autunno quello che ci aspetta perché le diseguaglianze sociali, se gli scellerati obiettivi governativi dovessero essere centrati, sono destinate a diventare ancor più significative. A preoccupare particolarmente è il disegno di legge sull’autonomia differenziata che porta la firma di Roberto Calderoli e che gode del sostegno dei promotori di quella che è stata, non a torto, ribattezzata come la “secessione dei ricchi”.
Inutile negare la quota parte di responsabilità del centrosinistra nella modifica del titolo V nel lontano 2001, così come è innegabile che l’effetto della regionalizzazione della sanità abbia visto nei Lea più che delle soglie sotto le quali non scendere per garantire i livelli minimi di assistenza, una chimera a cui tendere e che è impossibile da raggiungere se sei nato nel Mezzogiorno. Perché il divario tra il Nord e il Sud non è una narrazione fittizia, ma una triste realtà che potrebbe diventare ancora più pesante.
I diritti dei cittadini devono essere per Costituzione garantiti in egual misura in tutto il territorio nazionale e, secondo un principio di solidarietà di cui beneficerebbe il Paese intero, le aree maggiormente in difficoltà andrebbero risollevate con interventi strategici mirati (infrastrutture, ospedali, scuole…) supportati da investimenti adeguati di risorse economiche e umane. Il Pnrr nella sua storica straordinarietà avrebbe permesso proprio di mitigare, seppur parzialmente, questo divario ma – a quanto pare – la revisione tanto decantata dal ministro Raffaele Fitto in nome dell’efficienza del piano ha colpito una serie di misure che avrebbero proprio aiutato le aree meridionali più disagiate.
Questo atto è perfettamente in linea con la visione del governo che vuole un’Italia a due velocità, riassumibile nel refrain esistono i “virtuosi” ed esistono i “fannulloni”. È ormai tristemente noto che se c’è un problema, la colpa è di chi lo vive: lo abbiamo visto con la sospensione del reddito di cittadinanza per gli occupabili che erano in una condizione di indigenza solo perché non avevano – era la vulgata delle destre – voglia alcuna di lavorare.
ITALIA A DUE VELOCITÀ
Così viene tolto al Sud, dove peraltro il numero di percettori del reddito di cittadinanza è decisamente più alto, la possibilità di risollevarsi dalle difficoltà in una logica di becero utilitarismo che lede il principio unitario su cui poggia la nostra Repubblica. Le previsioni dell’autonomia differenziata sono funeste in termini sociali e toccherebbero capitoli decisivi come la scuola. Nascere al nord o al sud farebbe ancora più differenza perché i programmi formativi non sarebbero gli stessi, così come gli aspetti valutativi e la possibilità di supportare i percorsi curriculari con strumentazioni digitali ed esperienze didattiche adeguati.
Qui vengono in soccorso i Lep (si cerca di definirli da anni con enorme difficoltà) ma basta traslare quello che accade con la sanità sulle altre competenze che diverrebbero regionali per intuire la catastrofe sociale a cui si va incontro. Non a caso la mobilitazione sta crescendo sempre più nel paese, come dimostrano i risultati che sta conseguendo la raccolta firme su salariominimosubito.it e come certamente confermerà l’appuntamento del 7 Ottobre de “La Meglio via”. Più che caldo, la previsione è che l’autunno diventi rovente e la Meloni potrebbe uscirne scottata.
(da La Notizia)
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Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
SI TRATTERA’ DI UNA NETTA CENSURA SIA SUL MERITO CHE SUL METODO
La Banca Centrale Europea invierà al governo italiano una lettera sulla tassa degli extraprofitti delle banche. La governatrice Christine Lagarde la sta scrivendo e l’invio è previsto tra un paio di settimane al massimo. Si tratterà, scrive oggi il Corriere della Sera, di una netta censura.
Sia sul merito del provvedimento, che la Bce ritiene potenzialmente dannoso per l’economia. Sia sul metodo, visto che il governo non ha comunicato la decisione alla Banca d’Italia e a Francoforte.
Mentre il Trattato dell’Unione Europea stabilisce la consultazione da parte delle autorità nazionali su ogni progetto di legge di sua competenza. E la memoria non può che tornare al 2011, quando Jean Claude Trichet e Mario Draghi mandarono a Berlusconi la lettera che chiedeva il risanamento dei conti dell’Italia.
Francoforte e Roma
Oggi la situazione è completamente diversa. E di certo non drammatica come all’epoca. Ma Francoforte non rinuncerà a dire la sua sul provvedimento. Come finora ha sempre fatto. Ma il punto è che la tassa sugli extraprofitti rischia di aprire un nuovo fronte tra Roma e Francoforte. Anche perché il governo italiano ha protestato in più occasioni per gli aumenti dei tassi d’interesse da parte della Bce. Con in prima linea Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Secondo i quali sono stati gli incrementi di Francoforte a gonfiare i margini delle banche. Costringendo l’esecutivo a intervenire. Ma a meno che Lagarde non rilevi infrazioni dei Trattati (ma non pare questo il caso) il parere della Bce non conterrà (perché non le può contenere) indicazioni vincolanti per il governo. Mentre una tassa ad hoc sulle banche non è esclusa dalla Bce.
Il problema
Ma, è il ragionamento, deve andare a finanziare gli schemi di garanzia sui depositi o i fondi per le risoluzioni bancarie. Come accade in Germania. Destinare il ricavato della tassa ad obiettivi generali di bilancio è invece sbagliato. Ed è quello che ha fatto il governo italiano. Intanto il provvedimento arriverà in Parlamento nella seconda settimana di settembre. E lì sarà battaglia. Sia con l’opposizione che con la maggioranza.
(da agenzie)
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Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
IL VIAGGIO PROMOZIONALE ALLA SCOPERTA DELLE BELLEZZE DELL’ITALIA SI E’ INTERROTTO ANZITEMPO
Che fine ha fatto la Venere di Open to Meraviglia? Questa è a domanda che sorge spontanea guardando i profili social ufficiali della virtual influencer la cui carriera è stata lanciata lo scorso aprile.
Da allora su Instagram si sono susseguiti numerosi post, almeno uno, ma spesso di più, a settimana, dedicati alle bellezze dell’Italia. Dal Cilento a Venezia, passando per la costa dei trabocchi in Maglia Rosa fino ai grandi laghi del Nord.
Attività su Instagram che è durata fino al 27 giugno, quando a essere pubblicato è stato un post su Taormina. Da allora nulla. E non che sugli altri social vada meglio.
Introvabile su Facebook, profilo chiuso su Twitter: l’unico modo di vedere eventuali post è farsi accettare come follower, e non è chiaro se il profilo sia ancora gestito dal ministero del Turismo. Non molto pratico. Assente da TikTok. Sul sito, poi, appare solo il link a Instagram.
L’ultimo post
L’attività della virtual influencer era iniziata lo scorso 20 aprile. La promessa ai follower, al momento sotto i 190 mila, era di portarli in un viaggio alla scoperta delle meraviglie italiane.
«Proprio così – si legge invece nella descrizione dell’ultimo post – la bellezza di questa perla dello Ionio dice tutto. Con il celebre teatro Greco-Romano, l’Etna sullo sfondo, i vicoli fioriti e la vista mozzafiato dalle sue terrazze, questo affascinante angolo della Sicilia incanta tutto l’anno. E una volta qui, seguite il consiglio: non perdetevi un giro nella vicina baia di Giardini Naxos e nel canyon delle gole dell’Alcantara. L’acqua è “freschina”, però vale la meraviglia. Ma un momento… Qualcuno ha detto granita?».
E nei commenti non manca chi fa dell’ironia: «Mi sa che non hanno pagato il social media manager sto mese, non pubblicano più da un mese quasi».
Il sarcasmo dei follower
Qualcuno risponde: «Il sito istituzionale che dovrebbe pubblicizzare l’Italia all’estero: ultimo post 3 settimane fa. Speriamo nella campagna invernale». E ancora: «Ogni volta che influencer Venere crea un post, un grafico, un fotografo, un social media manager e una persona mediamente intelligente, muoiono».
Così c’è chi si domanda se l’interruzione dell’attività sia da imputare alla fine dei 9 milioni spesi per il progetto. Mentre c’è chi si preoccupa per la salute di Venere: «Tutto okay? Sono quasi 20 giorni che sei sparita».
Un utente definisce il «prepensionamento» una scelta «onorevole» dopo le numerose polemiche suscitate dalla campagna pubblicitaria. Da quella per il video promozionale dell’Italia girato in Slovenia, al dominio non acquistato passando per i follower falsi.
(da Open)
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Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
NEL MONDO DI MELONI, OGGI, È TUTTO STRATEGICO
Un tempo era tutto sovrano, oggi è tutto strategico. Nello spassoso vocabolario preso in prestito allegramente dalla maggioranza di centrodestra c’è una parola che negli ultimi mesi ha fatto capolino con una certa frequenza negli interventi dei più importanti ministri del governo.
E’ una parola apparentemente neutra, ma dietro la quale si indovina una storia che rappresenta uno dei grandi fili conduttori di questa pazza esperienza di governo. Un tempo era tutto sovrano, oggi è tutto strategico.
Dal giorno del suo insediamento come presidente del Consiglio, Giorgia Meloni non fa altro che usare questa parola: strateggico. La usa con insistenza, la usa in modo reiterato e la usa ormai senza imbarazzi. Nel mondo di Meloni, oggi, è tutto strategico. E l’utilizzo di questa parola – che sta alla premier, e ai suoi ministri, più o meno come il “ma anche” stava a Walter Veltroni, più o meno come le “interlocuzioni con” stavano a Giuseppe Conte, più o meno come il “Yes because” stava a Matteo Renzi, più o meno come il “diciamo” stava a Massimo D’Alema – ha un significato importante, stavamo per scrivere strategico, ed è un significato che risulta autoevidente se si mettono insieme alcuni puntini.
Sulla rete unica, l’obiettivo del governo resta “il controllo strategico della rete”, qualsiasi cosa voglia dire. “Tra Italia e Stati Uniti”, ha detto Meloni dopo la visita alla Casa Bianca, dal democratico Biden, durante la quale i due hanno discusso, come detto da Meloni, degli “interessi strategici comuni”, “vi è una solida alleanza strategica, che è stata ribadita e rafforzata”.
Sulle grandi nomine, Meloni ha rivendicato di aver trovato “un giusto equilibrio per posti strategici”, anche per giustificare alcune scelte a sorpresa fatte in continuità con i governi precedenti.
Sull’Europa, è essenziale portare avanti “una strategia a lungo termine di sostegno finanziario alla competitività nella forma di un fondo per la sovranità europea volto a sostenere gli investimenti strategici”, e d’altronde quando devi chiedere all’Europa di fare più debito per sostenere paesi molto indebitati come l’Italia non puoi fare a meno di dire che quella opzione è ovviamente strategica. E il Piano Mattei, cos’è? Ovviamente “un obiettivo strategico”. […] E le revisioni del Pnrr su che basi vengono fatte? Ovviamente, per “compiere scelte strategiche”.
E il rapporto con l’Europa e con la Nato su che basi si andrà a rafforzare? “Sulla base di un partenariato strategico che lega Unione europea e Nato”. E per ottenere maggiore flessibilità sull’Europa qual è la strada? Quella di – e qui siamo di fronte a un piccolo capolavoro – lavorare “a un portale di sovranità che non solo ha come obiettivo semplificare le informazioni e le procedure per i finanziamenti europei, ma concede flessibilità nell’uso dei fondi europei per favorire e finanziare gli investimenti nei settori strategici” (sovranità e strategicità insieme: what else?).
I pensieri strategici permettono a Meloni di identificare delle aree franche dove poter dialogare anche con gli avversari, dandosi un tono, senza sporcarsi le mani, senza dover creare convergenze imbarazzanti, senza dover rimettere in discussione il proprio credo politico. E più l’imbarazzo è forte e più lo strategico fa capolino nel racconto della premier.
Prendete il caso della conferenza stampa congiunta fatta con Emmanuel Macron all’Eliseo, qualche mese fa. Per Meloni, trovare punti di contatto con Macron non era semplice, […] e così la premier italiana si è rifugiata lì, nella sua comfort zone.
Tutto strategico (e tutto in soli 5 minuti e mezzo). “A Bruxelles, il rapporto con la Francia si consolida attraverso la difesa della sovranità strategica sulla quale spesso ci siamo trovati d’accordo”. Un secondo dopo: “Ci troviamo entrambi esposti nelle nostre produzioni strategiche”.
E ancora, un attimo dopo, sul G7 che l’Italia ospiterà: “Per noi sarà strategico in tema di rapporto con Mediterraneo”. E sulle sfide legate al futuro? “La transizione digitale e ambientale sono cruciali per il raggiungimento di una piena autonomia strategica”. E ancora: “Vorrei infine concentrarmi sulla cooperazione nel settore della difesa, un’assoluta eccellenza a livello strategico”.
E infine: “La sfida dell’Eurozona oggi è l’economia strategica della difesa”. E per il domani? “Nella nuova governance europea, gli investimenti sulle materie strategiche non possono essere considerati come tutti gli altri”. E sull’energia? “E’ tempo di raggiungere gli obiettivi senza precludere quello che le nostre aziende strategiche sono in grado di fare”.
La proliferazione del pensiero strategico quando non è un’uscita dettata dalla modalità Antani (supercazzolismo strategico) […] segnala alcune questioni interessanti. Ogni tanto nasconde un imbarazzo. Alcune volte mostra un tentativo di colmare distanze con i propri interlocutori. Altre volte mostra un tentativo di costruire ponti con mondi diversi dal proprio.
In qualche occasione mostra uno sforzo da parte della premier di nascondere deviazioni della propria traiettoria politica. Ma più in generale, nel vocabolario del perfetto sovranista, prestare attenzione al numero di volte che viene utilizzata l’espressione strategica/o può essere utile a misurare quante volte il sovranista, di fronte all’azione di governo, è costretto a prendere atto, in modo strategico e con qualche imbarazzo, delle numerose e poco strategiche fesserie dette nel recente passato. In attesa di un pensiero stupendo ci si può accontentare di un pensiero strategico.
(da il Foglio)
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Agosto 18th, 2023 Riccardo Fucile
L’ATTACCO AI BALNEARI: “HANNO PRIVATIZZATO LE COSTE ITALIANE CON CANONI IRRISORI”
Un breve commento che accompagnava una foto di un mare cristallino davanti a una spiaggia quasi deserta erano bastati a Mario Tozzi per scatenare un fiume di commenti e qualche polemica. In particolare contro i balneari, presi di mira dal geologo che nel suo post su Facebook aveva mostrato il luogo scelto per le sue vacanze contrapposto al caos estivo in Italia, tra boom dei prezzi in spiaggia e posti liberi sempre più introvabili. Tozzi nel post non rivela il luogo in cui si trova, ma lo descrive come se fosse una specie di paradiso per la vacanza low cost: «Qui è dove, invece, ombrellone e lettini sono a gratis. Domando al chiosco là sopra se si deve consumare per forza, rispondono che no, solo se si vuole. Distanze fra gli ombrelloni impensabili, doccia calda, bagni strapuliti, km di spiaggia senza nessuno. Acqua come la vedete. Pieno agosto. Costo zero. Non viene il sano desiderio di mandare a quel paese qualcuno dei nostri bravi balneari?».
Il posto fotografato da Tozzi si trova in Grecia, nella zona di Rodi, come ha ammesso lo stesso geologo al Corriere della Sera. Dopo il polverone sollevato, lui si dice sorpreso: «Se mi aspettavo che il post ricevesse migliaia e migliaia di reazioni? Onestamente no. Tutti mi chiedono dove mi trovo e se sto facendo pubblicità a qualcuno. Abituato agli influencer, non ho neanche scritto il Paese». Da tutta questa faccenda, il geologo ne trae una sorta di lezione: «Le spiagge ci sono dappertutto, ma solo da noi se ne abusa così. Qui in Grecia, per quanto non ci sia l’attrezzatura della Romagna, il mare, che fino a prova contraria è patrimonio di tutti, è gestito in modo diverso. A Polignano ti chiedono 60 euro per lettino e ombrellone in mezzo al cemento, fra centinaia di altre persone».
Secondo il geologo, il vero problema in Italia non è tanto il caro prezzi, ma il fatto che «i privati si sono appropriati delle spiagge con canoni irrisori, perché i Comuni non sanno gestirle. E così si arricchiscono pagando spese bassissime e spennando i bagnanti. Qui sono gratis pure i sorrisi – dice parlando della Grecia, almeno nel luogo in cui si trova lui – Da qui il mio post. Di questi tempi stupisce ritrovare traccia di questa maniera sostenibile di gestire il bene comune accogliendo le persone e non mungendole come mucche».
(da agenzie)
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