Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
“UNA MISURA POPULISTA, SE METTI UNA TASSA SUGLI EXTRAPROFITTI DEVI ESTENDERLA A TUTTI I SETTORI”… “EPPURE MELONI HA A DISPOSIZIONE 16 MILIARDI DI CUI SI PARLA POCO”
Professore, partiamo dal duello Musk-Zuckerberg. Cosa ne pensa?
Come cittadino sono allibito che il governo possa anche solo prendere in considerazione l’idea di permettere uno spettacolo del genere. Ci sono cose che non si vendono. Non puoi vendere le nostre memorie storiche per due cretini che vogliono fare il duello di arti marziali. Ma che se ne vadano a Las Vegas. È incredibile come il governo italiano stia lì a scodinzolare di fronte a questi due. L’atteggiamento del ministro Sangiuliano nei confronti di Elon Musk è umiliante per lo Stato italiano di fronte a chi ha miliardi e miliardi da buttare via e niente di meglio da fare a quanto pare.
A questo punto ha ragione il senatore forzista Maurizio Gasparri? “Paghino le tasse” ha sbottato…
Le tasse le devono pagare comunque. Non c’è dubbio che vadano fatte pagare. Ma ci sono comunque cose che non si possono vendere. Pensi se uno di questi miliardari offrisse all’Italia dieci miliardi di euro per mettere il loro brand sul tricolore italiano, a mo’ di sponsor. Che facciamo? Accettiamo perché sono dieci miliardi?
Ne approfitto, dato che ha iniziato a parlare di miliardi, per cambiare argomento. Siamo sulla via della Nadef, la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, che dovrà essere presentata entro la fine di settembre. Lo scorso dicembre la maggioranza garantiva: “La nostra prima vera manovra è quella per il 2024”. Si erano appena insediati, il ragionamento ci stava. Ecco, come sarà la prima vera manovra di Giorgia Meloni?
Stretta. Nonostante il governo abbia avuto un colpo di fortuna inaspettato che ha liberato 16 miliardi di euro per il 2024 e di cui si parla poco. Spazi di bilancio disponibili che sono conseguenza della decisione di Eurostat di riclassificare i crediti d’imposta dei bonus edilizi, in primis il Superbonus, all’interno dei deficit di 2021 e 2022. Mentre i deficit di 2023 e 2024 sono stati sgonfiati. Per il 2024 sono 16 miliardi. Senza questi, nel 2024, invece del tesoretto di 4 miliardi indicati nel Def di aprile ci troveremmo già ora un buco di 12 miliardi.
La Lega vuole abolire la riforma Fornero, Forza Italia aumentare le pensioni minime e Fratelli d’Italia ridurre l’Irpef… Ci sarà spazio per piazzare le bandierine elettorali dei partiti di maggioranza o sarà una carneficina?
Fare tutto non è possibile. A livello di entrate la situazione è complicata. Servono dieci miliardi solo per confermare i tagli delle tasse in busta paga già in vigore adesso. Altri tre-quattro miliardi servono a rifinanziare le politiche invariate, per confermare interventi che vengono rinnovati di anno in anno e che sono difficili da tagliare, come le missioni internazionali. Ci sono anche i miliardi richiesti per l’adeguamento all’inflazione degli stipendi pubblici. La strada è molto stretta. E non è un caso che abbiano introdotto, la scorsa settimana, la tassazione straordinaria sulle banche. Perché si sono resi conto di non avere spazi in vista della manovra. Normalmente sa cosa succede ad agosto? La Ragioneria Generale dello Stato tira fuori un po’ di denari. È come se dicesse: “Guardate, abbiamo rilevato spese inferiori impreviste in alcuni capitoli del bilancio” oppure “entrate maggiori non previste”. Alla Ragioneria sono bravissimi a scovare queste riserve e a metterle a disposizione dell’esecutivo di turno. La scelta di Meloni e Salvini di andare a raschiare qualche miliardo dalle parti delle banche mi suggerisce che quest’anno le riserve siano assottigliate all’osso.
L’anno prossimo entrerà in vigore il nuovo patto di Stabilità. In primavera la Commissione europea aveva pubblicato alcune simulazioni. All’Italia, in base alle regole della proposta di nuovo Patto della Commissione, servirebbero manovre correttive da 14-15 miliardi l’anno per stare in carreggiata. Mi corregga subito se ho capito male: questo significa che questa prima vera manovra del governo Meloni, in realtà, sarà paradossalmente anche l’ultima dove la maggioranza potrà permettersi qualche libertà in più?
Il vincolo principale viene dal fatto che l’anno prossimo, dovrebbe tornare operativo il tetto del 3% da rapporto deficit/Pil. Nel Def abbiamo messo il 3,7%. Il che vuol dire 14 miliardi in più. Il calcolo del governo è però ragionevole: è probabile che la Commissione chiuda un occhio, in un modo o nell’altro. Un pregio/difetto della bozza del nuovo Patto di Stabilità è che ci sarà maggiore flessibilità sulle regole e meno puntualità rispetto al Patto pre-pandemia. Teniamo inoltre conto del fatto che il prossimo è l’anno delle elezioni europee: la Commissione deve essere rinnovata. Mi sembra improbabile che puntino i piedi con un Paese come l’Italia in questo frangente.
Torniamo alle banche. La tassa sugli extra profitti è stata annunciata una sera di agosto non dal ministro dell’Economia ma dal ministro delle Infrastrutture. Le borse il giorno dopo hanno bruciato quasi 10 miliardi. Il ministro dell’Economia ha corretto il tiro limitandone il perimetro. E poi dalla maggioranza si sono levate voci di forte dissenso a partire da Forza Italia, nel silenzio generale delle banche… Che figura ci fa l’Italia?
Siamo di fronte a una misura molto populista. Quello che dovrebbe fare questo governo – di cui fanno parte partiti che si dicono liberali – è prendere misure che non siano distorsive dell’attività economica. Che non siano punitive nei confronti di uno specifico settore. Se si è convinti che nell’economia si siano sviluppate situazioni dove, per cause macroeconomiche, i profitti sono particolarmente alti, allora il governo doveva casomai mettere una tassa straordinaria sugli extra profitti. Ecco, a parte la difficoltà di definire cosa sia un extra profitto, se lo fai lo devi fare per tutti i settori. Non c’è alcun motivo economico per dire che lo fai solo per le banche. Mettiamoci inoltre il fatto che le banche, per anni, hanno avuto profitti ridotti dall’attività di intermediazione proprio perché i tassi di interesse erano zero. O quasi zero. I tassi sui Bot, sui quali le banche dovevano investire per avere una certa liquidità, avevano rendimenti negativi. Insomma, non è che ora, tutto ad un tratto, puoi annunciare una misura che, tra l’altro, a giugno era stata accantonata dal ministro dell’Economia in persona. E lo dico io che, per storia personale, non sono mai stato tenero con le banche. Quando ero al Fondo Monetario Internazionale avevamo raccomandato l’introduzione, a livello globale, di una tassa sulle banche per compensare il fatto che sui servizi bancari non è prevista l’Iva. Ma quella sarebbe stata una misura strutturale e razionale. Non improvvisata come quella del governo Meloni.
È vero quello che hanno detto alcuni media e osservatori, soprattutto internazionali, sul fatto che, nell’ultimo anno Meloni ha lavorato duro su conti in ordine e credibilità internazionale, ma che tra ritardi sul Pnrr, attacchi continui alla Bce e tasse “bolsceviche” alle banche si è giocata quel “tesoretto” di credibilità?
Che si sia ridotta, in parte, la credibilità del governo non c’è dubbio. Ma Meloni ha un merito: quello di intrattenere ottime relazioni internazionali con Stati Uniti e Unione Europea, che sono i due punti di riferimento fondamentali per la nostra economia e credibilità.
Salario minimo. Che idea si è fatto non delle proposte in campo, che ormai conosciamo bene, ma di come si sta sviluppando il dibattito tra governo e opposizioni? Saranno capaci di trovare una soluzione condivisa da qui a qualche mese?
Condivisa non credo proprio. Credo però che il governo debba trovare comunque qualcosa da mettere sul piatto, perché il tema del salario minimo mi sembra abbastanza sentito da buona parte della popolazione. Averlo posticipato di due mesi tramite la mossa del Cnel, permette al governo di arrivare in dirittura di arrivo con la legge di bilancio per capire che spazi hanno in termini di risorse da mettere in campo.
Professore lei è noto per aver evitato sensazionalismi di ogni genere sul Pnrr. Ad oggi, in piena fase di rimodulazione, lei è ottimista o pessimista sugli obiettivi che si pone il governo?
Per quanto riguarda la rimodulazione della spesa va detta una cosa che in pochi hanno fatto notare. Si tratta di un intervento abbastanza parziale. Circa l’8% del totale. Quindi il 92% del Pnrr resterà tale e quale a quello fissato dal governo Draghi. Ora però c’è un fatto politico nuovo: da qui in avanti il governo non ha più scuse e il Pnrr diventa a tutti gli effetti “suo”. La parte che mi preoccupa di più sono le riforme: la condizionalità per cui io ti do i soldi se tu fai qualcosa funziona bene se tu fai cose facilmente misurabili in termini quantitativi (ad esempio il numero di posti per asili nido o alloggi universitari). Tutt’altra storia è la qualità delle riforme. Se fai una riforma della giustizia, per capire se questa è valida bisognerà aspettare anni, magari rischiamo di perdere solo l’ultima rata nel 2026 se non centriamo l’obiettivo della riduzione del 40% della durata dei processi civili. Ma così non va bene: è interesse dell’Italia assicurarsi fin da subito che la riforma cambi il volto della nostra giustizia civile. Ed è qui che non sono molto ottimista. Lo dimostra il rinvio a fine anno dei decreti attuativi previsti dalla riforma Cartabia. E adesso hanno anche richiesto di eliminare l’obiettivo di riduzione del 15% dell’evasione fiscale entro il 2024, in pratica gettando la spugna. Mosse che mi preoccupano.
(da Huffpost)
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Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
IN ATTESA DEL GOVERNO, AL SALARIO MINIMO CI PENSANO I GIUDICI
Salari più alti del 20% dal primo settembre. E “un percorso progressivo che porterà a un aumento del 38%” nei prossimi anni. Dopo la stangata dei magistrati, Mondialpol si adegua.
Il colosso dei servizi di vigilanza nelle scorse settimane era finito sotto controllo giudiziario per via di un provvedimento emesso dalla Procura di Milano, con il pm Paolo Storari, che aveva coordinato un’inchiesta della Guardia di Finanza per caporalato e sfruttamento dei lavoratori. Dalle indagini erano emersi stipendi da fame, “al di sotto della soglia di povertà”, per centinaia di guardie, che riuscivano a metter su una paga accettabile solo grazie a decine di ore di straordinario. Gli investigatori avevano accertato retribuzioni orarie in media di 5 euro lordi.
Adesso la Procura revoca il provvedimento, come fa sapere la stessa Mondialpol, che punta a riconoscere “salari più equi” e ammette: “Abbiamo individuato nella posizione della magistratura la via per sostenere i lavoratori al fine di superare un momento economicamente difficile e, da qui, la decisione di aderire a queste indicazioni è stata immediata”.
La situazione all’interno del colosso della vigilanza privata era una di quelle definite “tossiche” nel mondo del lavoro. Un migliaio di dipendenti, secondo le stime, doveva accettare paghe molto basse e quelli che “osavano lamentarsi delle condizioni contrattuali” venivano minacciati con la prospettiva di un cambio di impiego ancora meno remunerativo. Per questo era stato nominato anche un amministratore, Giovanni Falconieri, per “affrancare l’impresa da relazioni patologiche” e riportarla nei binari della legalità.
Agli atti dell’inchiesta sono finte le testimonianze dei lavoratori. Oltre quaranta quelli sentiti nei mesi scorsi. “Ho un contratto a tempo indeterminato impostato su 40 ore settimanali (…) a 4,39 euro all’ora – ha raccontato uno – in sede di firma (…) mi hanno ripetuto più e più volte se fossi disposto ad accettare la somma di 950 euro lordi, come compenso mensile”, una sorta di offerta “prendere o lasciare”. Un collega ha spiegato di avere “un contratto a tempo determinato impostato su 40 ore settimanali (…) a 5 euro all’ora, senza nemmeno 10 minuti per la pausa pranzo” e una dipendente ha messo a verbale che, quando doveva firmare l’assunzione, “hanno provato a diminuire il compenso orario da 5 euro l’ora a 3 euro l’ora, ma assieme ad altri colleghi abbiamo richiesto l’intervento dei sindacati e la situazione è rimasta invariata”.
Per avere in busta paga tra i 1.200 e i 1.300 euro al mese, c’era chi doveva fare 70/80 ore di straordinario, altrimenti si sarebbe dovuto accontentare di 800 euro netti. Senza contare i “turni di 12 ore, soprattutto in giornate festive come Natale/Pasqua” o di notte.
(da agenzie)
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Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
ACCORDI BURLA CON LA TUNISIA, FINANZIAMENTI AI CRIMINALI DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA, RIMPRATRIATO SOLO IL 3% DI CHI ARRIVA: UN FALLIMENTO TOTALE… E CHI ARRIVA NON VIENE INTEGRATO MA LASCIATO IN MEZZO A UNA STRADA
Superata la soglia delle 100mila persone arrivate in Italia navigando il Mediterraneo. Proprio il 15 agosto 2023 (fino a ieri il Viminale segnalava 99.771 persone) è arrivata la cifra tonda negli sbarchi.
Un anno fa nello stesso periodo erano stati 48mila, l’anno prima ancora 33mila.
E il numero di 105mila migranti (cioè quanti ne sono arrivati in Italia in tutto il 2022) verrà raggiunto nelle prossime ore.
I morti nel tentativo di completare la traversata, invece, sono già stati più di 2mila dall’inizio dell’anno.
In un’intervista al Messaggero, il ministro dell’Interno Piantedosi ha detto che il record di sbarchi è dovuto alla situazione eccezionale in Tunisia, e che se non fosse per quella i numeri sarebbero in calo.
Peccato che da tempo è noto a tutti che è dalla Tunisia che avvengono gli imbarchi della massa di disperati che cercano di raggiungere l’Europa.
Ma il governo non aveva pubblicizzato un mese fa i nuovi accordi con la Tunisia per contenere il flusso, in cambio di milionate di finanziamento?
E come mai allora gli arrivi sono aumentati, invece di diminuire?
Piantedosi retromarcia sulle Ong
Il ministro parlando Ong ha fatto retromarcia sulla teoria fasulla del ‘pull factor‘, secondo cui la presenza delle navi aumenterebbe le partenze.
Il governo “non ha mai avuto pregiudizi” nei confronti delle navi di Ong, ha detto il ministro, nonostante in passato gli attacchi a queste organizzazioni siano arrivati più volte e da diversi esponenti del governo, incluso Piantedosi. Con il decreto Ong di febbraio, però, il governo “ha voluto solo affermare che, in uno scenario così complesso, non ci fossero soggetti privati che si muovessero autonomamente, sottraendosi al doveroso coordinamento delle autorità nazionali stabilito dall’ordinamento internazionale”.
Il ministro ha poi ribadito che “se guardiamo comunque ai numeri dei salvataggi in mare, non c’è nessuna opera particolare di supplenza da parte delle Ong. Il soccorso in mare è assicurato dallo Stato: su 72.046 salvataggi in zona Sar, quasi tutti sono stati fatti dallo Stato mentre le Ong ne hanno effettuati 4.113″. Un dato spesso citato proprio da chi contestava il governo Meloni, che ha più volte sostenuto che la presenza delle Ong fosse un elemento di attrazione, o un “pull factor”, che aumentava le partenze.
Il ministro ha anche ribadito di aver già “ottenuto nell’ultimo anno un incremento delle espulsioni del 30%”, un dato corretto sulla carta ma che in realtà è molto meno positivo di quanto sembri, considerando che gli sbarchi sono aumentati del 150% circa.
I dati ufficiali che abbiamo disposizione da Eurostat mostrano che, nei primi tre mesi di quest’anno, ci sono stati effettivamente 190 rimpatri in più rispetto allo stesso periodo del 2022: 885 contro 675.
Basta guardare i numeri in percentuale. Nel primo trimestre del 2022, il numero di rimpatri fu pari al 9,9% delle persone sbarcate in Italia dal Mediterraneo. Nel primo trimestre del 2023, la percentuale è scesa al 3,2%.
Questo non significa esattamente che il 3,2% dei migranti arrivati dal mare sono stati rimpatriati perché, come detto, il numero di rimpatri non riguarda solo le persone che arrivano dal Mediterraneo. Ma rende l’idea delle proporzioni del fenomeno.
La stima di Piantedosi: anche restando larghi, la percentuale di rimpatri è calata
Il periodo da aprile a giugno del 2023 non ha ancora un dato ufficiale sul numero di ordini di rimpatrio, né sui rimpatri effettivi effettuati dall’Italia. Ci si può solo basare sulla cifra citata dallo stesso ministro Piantedosi: “Circa seicento persone in più rimpatriate”, nel primo semestre dell’anno.
Facendo i dovuti calcoli, si può quindi stimare che mentre da aprile a giugno 2022 furono rimpatriati circa 670 migranti, la cifra per il secondo trimestre del 2023 superi di poco le mille persone.
Tuttavia, facendo un’ipotesi generosa e per eccesso, si può ipotizzare che i rimpatri siano stati 2mila, complessivamente, nei primi sei mesi del 2023. Esattamente 655 in più dei 1345 avvenuti nel 2022.
Ma anche in questo caso, le percentuali saltano all’occhio. Nel 2022, il numero di rimpatri nei primi sei mesi dell’anno fu pari al 4,9% degli arrivi via mare. Nel 2023, anche con la stima più ‘benevola’ basata sulle parole di Piantedosi, si parla di un 3%. Insomma, il miglioramento vantato dal ministro non torna, se si guardano i numeri per bene.
(da agenzie)
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Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
SOPRANNOMINATO “EL PELUCA” (“IL PARRUCCA”) PER LA CAPIGLIATURA FOLTA E DISORDINATA, HA OTTENUTO IL 30% DELLE PREFERENZE DEGLI ELETTORI… MILEI È CONTRO LA POLITICA, LA BANCA CENTRALE, I GAY E L’ABORTO, ED È FAVOREVOLE ALLA VENDITA DEGLI ORGANI, ALL’USO DELLE ARMI E ALLA PRIVATIZZAZIONE DELLA SANITA’
«È la fine della casta parassitaria, ladra e inutile di questo Paese». Per capire perché Javier Milei sia etichettato come la versione argentina di Donald Trump basterebbe forse questa frase. O, forse, i suoi detrattori potrebbero dire che basta il soprannome “El Peluca”, “il parrucca”, per via della capigliatura folta e diciamo poco ordinaria che lo accomuna colore a parte al tycoon americano.
Ma, comunque la si voglia vedere, resta che l’esponente populista e ultraliberista di «La libertad avanza» – partito del quale è fondatore, leader e unico candidato – ha dominato le primarie in vista delle presidenziali del 22 ottobre.
Un appuntamento cui partecipano tutti i partiti e che dà sempre indicazioni di massima importanti su quello che poi è l’esito delle presidenziali vere e proprie. Milei è stato scelto dal 30% degli elettori, risultando il candidato più votato anche tra quelli delle altre formazioni, più “di massa”.
Milei ha spesso ammesso pubblicamente di essere un ammiratore dell’ex presidente americano. Al punto da contemplare un programma politico che abbia al suo interno punti forti della società americana, dalla liberalizzazione del possesso di armi all’uso del dollaro come moneta a corso legale del Paese.
Ma, se vogliamo, Milei va anche oltre alcune posizioni estreme di The Donald. È nemico di ogni casta politica, negazionista sul cambiamento climatico, contrario all’aborto e all’educazione sessuale, vista come una specie di complotto contro la famiglia tradizionale. E ancora: insegue la privatizzazione di sanità e istruzione, i tagli drastici nella pubblica amministrazione e l’eliminazione della Banca Centrale.
È persino favorevole alla vendita di organi per risolvere il problema delle liste d’attesa per i trapianti. «Siamo di fronte alla fine di quel modello la cui massima espressione è l’aberrazione chiamata giustizia sociale che solo produce deficit fiscale. Abbiamo fatto il primo passo per la rinascita dell’Argentina», ha esultato dopo l’esito delle urne.
Milei è nato a Buenos Aires nel 1970, il 22 ottobre (sì, lo stesso giorno in cui correrà per la presidenza…), da una famiglia modesta con avi italiani: padre autista di autobus, madre casalinga.
È stato prima docente universitario di macroeconomia, poi, dal 2014, è diventato un volto noto con un’impennata di ospitate in programmi di radio e tv. Nelle sue apparizioni ha attaccato tutti: prima il presidente conservatore Mauricio Macrì, poi il suo successore peronista Alberto Fernandez. Fino al 2021 quando è entrato in Parlamento e ha mantenuto subito una delle sue promesse elettorali: regalare il suo stipendio attraverso un sorteggio.
(da il Messaggero)
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Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
SORA GIORGIA PROVA A SCARICARE SU DI LUI LE IRE DEI SINDACI: “PARLATENE CON FIGLIUOLO”. LUI REPLICA: “IO HO FUNZIONI OPERATIVE, NON DI SPESA”
Gli amici, per sdrammatizzare un po’, gli hanno mostrato anche i meme che lo vorrebbero altrimenti “commissario”: “Al posto di Mancini, come ct della Nazionale, il generale Figliuolo”. E lui ne ha riso. Sobriamente
E sempre sobriamente, però, ha condiviso un certo malessere per ritrovarsi esattamente dove temeva di finire: preso nel mezzo, in una baruffa tutta politica tra Giorgia Meloni e Stefano Bonaccini. E’ un po’ come l’eroe triste della canzone di Aznavour. Io, l’alpino con la penna sul cappello, tra di voi.
Certo è che, come spiega Massimo Isola, sindaco di quella Faenza travagliata dall’alluvione di maggio, “a questo gioco di Meloni per cui tutte le complicazioni vanno scaricate su di lui, su Figliuolo, non ci stiamo”.
Non ci sta neppure Bonaccini, evidentemente. Che tra le molte “strambe” ragioni addotte dalla premier per giustificare quelle che il presidente del Pd ritiene “inadempienze del governo”, ha trovato “strambissima” quella per cui la capa di FdI confuta la tesi dei mancati contributi agli amministratori e alle comunità locali dicendo che “abbiamo già stanziato 4,5 miliardi”, per cui, insomma, di che lamentarsi?
“Come se stanziare, di per sé, equivalga a spendere”, sorride amaro Bonaccini. “Da quando con gli stanziamenti si riparano i canali e si ricostruiscono le case?”.
Né può tranquillizzare il governatore, e qui si arriva agli imbarazzi di Figliuolo, il fatto che proprio all’alpino di Potenza Meloni abbia rimbalzato le lagnanze dei sindaci romagnoli. Come a dire: “Vedetevela con lui”.
Se non fosse che con lui Bonaccini aveva già sollevato quei problemi, ed era fine luglio, per sentirsi rispondere che “in quanto commissario, io ho funzioni operative, non di spesa”. Insomma, non dipende da Figliuolo
Da lui dipende, invece, il trovare ora una soluzione, un equilibrio su cui, per quanto precario, la complicata opera di ricostruzione possa camminare. E certo l’aver convocato una riunione operativa per il 24 agosto, a vacanze smaltite, non è stata una mossa apprezzata dai sindaci.
Quando Meloni lo scelse, i malumori dalle parti delle alte gerarchie della Difesa – condivise in parte anche dal ministro Guido Crosetto – furono dissimulate a stento. E forse anche perché dietro quel suo atto di abnegazione assoluta – “Sissignora, obbedisco!” – ci fu chi vide la mossa ambiziosa di un generale che, dopo la campagna vaccinale con Draghi, puntava a dare un’ennesima dimostrazione di affidabilità che gli possa valere, al prossimo giro di nomine, l’apoteosi verso il vertice dell’Esercito o, perché no, la promozione a Capo di stato maggiore della Difesa.
Prima, però, c’è l’Emilia: un campo di battaglia da cui difficilmente, in tempo brevi, Figliuolo potrà tornare col dispaccio di “missione compiuta”. E questo in una situazione normale. Figurarsi con la zuffa politica che si preannuncia.
(da agenzie)
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Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
A TASSO SPEDITO VERSO IL BURRONE: DOPO IL CROLLO DEL RUBLO, LA BANCA CENTRALE RUSSA ALZA IL TASSO AL 12% PER “LIMITARE I RISCHI PER LA STABILITÀ DEI PREZZI”
La Banca centrale russa alza il suo tasso di riferimento al 12%, all’indomani dalla caduta a picco del rublo. Banca centrale russa alza tasso al 12%
La decisione di aumentare il suo tasso di interesse chiave al 12% dall’8,5% precedente “è stata presa per limitare i rischi per la stabilità dei prezzi”, ha dichiarato la banca centrale russa in un comunicato diffuso dopo aver convocato una riunione straordinaria questa mattina.
“Putin è una testa di c… e un ladro. 100 rubli x $ – ti sei fottuto quella tua testa di c…”. Un pensiero che è impossibile stimare quanto sia diffuso in Russia, ma comunque esiste. A Surgut, in Siberia, hanno hackerato la scritta elettronica su questo palazzo di uffici
Sono stati presentati, dai vari organi della propaganda di stato, come “hacker burloni”, ma forse hanno intercettato un sentimento non così raro, e soprattutto un problema di enorme portata nella Russia di Putin [.
(da agenzie)
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Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
LA OCEAN VIKING HA FATTO 15 OPERAZIONI DI SALVATAGGIO SU INDICAZIONE DELLA GUARDIA COSTIERA
I numeri degli sbarchi continuano a crescere a un ritmo più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo del 2022, così anche il governo Meloni viene meno alle proprie dichiarazioni d’intenti e torna ad affidarsi anche al lavoro svolto dalle ong che operano nelle acque del Mediterraneo.
La nave Ocean Viking della SOS Méditerranée ha infatti effettuato ben 15 operazioni di salvataggio consecutive, portando in salvo 623 naufraghi.
Un’operazione sulla carta vietata dal codice di condotta per le ong contenuto nel decreto Cutro approvato solo a febbraio e voluto dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Un’operazione che, scrive l’organizzazione sul suo profilo Twitter, è però avvenuta dall’inizio alla fine con il coordinamento delle autorità italiane.
Così Roma coordina i salvataggi multipli che voleva vietare
Il riassunto del cambio di rotta del governo sulle operazioni in mare, mentre quotidianamente si assiste a tragedie al largo del Mediterraneo, è tutto nel breve thread Twitter di SOS Méditerranée: “La più grande operazione di soccorso di sempre della Ocean Viking – esultano la sera dell’11 agosto – Dopo 48 ore di operazioni in mare, il nostro team ha completato il 15esimo e ultimo salvataggio. 14 dei salvataggi sono stati effettuati sulla rotta tra Sfax e Lampedusa, nella regione di ricerca e salvataggio maltese, coordinati dalle autorità italiane. In totale sono state salvate 623 persone da piccole imbarcazioni non adatte alla navigazione. Tra i sopravvissuti ci sono 15 bambini, 146 minori non accompagnati e 462 adulti, tutti ora al sicuro e accuditi a bordo della Ocean Viking. Le principali nazionalità sono Sudan, Guinea Conakry, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Benin e Bangladesh. La Ocean Viking si sta dirigendo a Lampedusa, su indicazione delle autorità italiane, per procedere a uno sbarco parziale, e poi si dirigerà a Civitavecchia, assegnata come POS per lo sbarco dei restanti superstiti”.
Un messaggio breve che evidenzia un punto fondamentale nella strategia dell’esecutivo in tema d’immigrazione: in situazioni considerate emergenziali come quella attuale il governo può avvalersi (e ha deciso di farlo) del supporto delle ong in mare. Una linea che sorprende, dato che con l’ultimo decreto il ministero dell’Interno, contenente il cosiddetto codice di condotta per le ong, aveva messo in campo evidenti restrizioni nei confronti di chi presta soccorso in mare. C’era, appunto, il divieto implicito di effettuare salvataggi multipli, costringendo in molti casi navi dalla grande portata a dirigersi verso i porti assegnati dopo il primo soccorso. C’era poi la prassi di assegnare porti di sbarco anche molto distanti dal luogo di salvataggio, formalmente per non sovraccaricare le strutture più sottoposte alla pressione migratoria, allungando però i tempi di soccorso e impedendo alle navi di tornare velocemente in mare aperto. Erano poi previsti pesanti provvedimenti nei confronti dei trasgressori, con multe da 10mila a 50mila euro, fino alla confisca della nave.
Cosa è cambiato, quindi, dall’approvazione del decreto Cutro a oggi? In realtà niente, dal punto di vista formale, ma il governo ha semplicemente giocato con il testo stesso della norma che non vieta esplicitamente i salvataggi multipli, ma obbliga la nave a richiedere subito l’assegnazione di un porto di sbarco. Il Viminale ha però precisato che le navi possono svolgere altre operazioni di salvataggio “lungo la traiettoria del percorso che gli viene assegnato”. Inoltre, se nel corso delle comunicazioni con le autorità viene dato l’ok ad altri salvataggi, come successo in questo weekend, le ong possono dirigersi sul luogo del successivo naufragio. Una decisione presa arbitrariamente dalle autorità nazionali.
I numeri: sbarchi aumentati del 115% rispetto al 2022
Per spiegare il motivo di queste ‘concessioni’ da parte del governo è sufficiente guardare i numeri. Secondo l’ultimo rapporto Frontex, gli sbarchi di migranti sulle coste italiane sono aumentati del 115% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, arrivando a superare, come confermano anche i dati più recenti del Viminale, i 100mila dall’inizio dell’anno. Nella sola giornata di venerdì sono approdati a Lampedusa ben 36 barchini con 1.600 persone a bordo. Altre 250 sono arrivate a Pantelleria, mentre la nave di Emergency Life Support ha salvato 75 naufraghi partiti dalla Libia.
Non è infatti la prima volta che Roma deve chiedere aiuto alle ong per svolgere operazioni di soccorso: il 6 luglio scorso, secondo quanto riporta Vita, la Guardia Costiera ha chiesto l’intervento di Open Arms, proprio la ong che ha denunciato il ministro Salvini, per effettuare sei operazioni di salvataggio in coordinamento con il Comando generale delle capitanerie di porto di Roma.
A questo si aggiunge che altre 700 persone sono state recuperate grazie a più operazioni in serie compiute da altre ong: quattro soccorsi di fila per la Geo Barents e cinque per Humanity. Proprio in quell’occasione, Veronica Alfonsi, portavoce della ong spagnola, in un colloquio con il Foglio disse: “È paradossale il fatto che Salvini sia in un governo che ci chiede aiuto per fare salvataggi“.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
NEW YORK TIMES: “IN ITALIA LA STAMPA TENDE A RACCONTARE LA PREMIER COME LEI VUOLE ESSERE RACCONTATA”… “DEFINIRE MELONI ‘MODERATA’ E’ UN ERRORE”
Giorgia Meloni vuole «cambiare la narrazione» – per usare un’espressione cara al suo governo – e raccontare l’estrema destra come pragmatica, moderata, digeribile. La presa della «narrazione» è funzionale alla presa del potere. L’operazione è lampante: l’assalto alla Rai, gli attacchi alla libera informazione, i fastidi per le conferenze stampa. Ciò che non era scontato era la sindrome di Stoccolma.
«Il fatto è che, anche tra i principali media italiani, c’è la tendenza a raccontare Giorgia Meloni proprio nel modo in cui lei vuole essere raccontata». Si arriva persino a «riprodurre prodotti preconfezionati»: li chiama così, David Broder, colloquiando con Domani; e parla con cognizione di causa, visto che su Giorgia Meloni ha scritto un libro – Mussolini’s Grandchildren – oltre che un urticante editoriale sul New York Times (What’s Happening in Italy Is Scary, and It’s Spreading; Quel che accade in Italia è spaventoso, e dilaga).
Nelle stesse ore in cui Joe Biden si prestava alle foto e alle strette di mano con la premier italiana, Broder metteva in guardia dalla prima pagina: attenzione a non normalizzare l’estrema destra. Attenzione perché «se si racconta che Giorgia Meloni si è convertita da populista a pragmatica si tralascia quel che sta davvero facendo in Italia».
Peccato che proprio in Italia si racconti quella versione della storia. Daniel Verdú, che è il corrispondente di El País in Italia, non se ne capacita. Nei giorni delle elezioni spagnole lo ha anche denunciato pubblicamente: «Certo che è curioso, il Corriere chiama ultradestra Vox, ma non Meloni. L’ultradestra è sempre quella degli altri!». E a voce spiega che per lui «far finta che Meloni non condivida un’agenda con Vox è assurdo, definirla centrodestra per me è ridicolo».
Se è vero che in Europa il centrodestra dei popolari – con il grande “normalizzatore” Manfred Weber – ha sfondato il cordone sanitario verso l’estrema destra, non era scontato né inevitabile che oltre alla politica anche una fetta autorevole del mondo dell’informazione assecondasse l’operazione. Il cordone si è rotto anche sui giornali, invece, e gli osservatori esterni se ne accorgono.
Mentre Verdú di El País evidenzia le scelte di campo semantiche – l’estrema destra che in Italia viene presentata come moderata, conservatrice o «centrista» – Jacopo Barigazzi di Politico Europe lancia l’allerta sulla mancanza di dialogo.
I MONOLOGHI DI GIORGIA
Il 12 agosto Barigazzi da Bruxelles è arrivato a rivolgersi direttamente – su Twitter – al Corriere: «Caro Corriere, potresti per favore smetterla di pubblicare lettere di Meloni, che molto raramente accetta interviste? Lasciare che il potere tratti i giornali come una casella di posta non aiuta la democrazia (e il buon giornalismo)».
Che le interviste siano «rare» lo conferma ad esempio Verdú, che attende invano. Che Meloni spedisca lettere, lo si vede anche in frangenti delicati: è con un monologo che ha gestito questioni per lei complesse come l’anniversario della liberazione dal nazifascismo.
Broder osserva che «in generale Giorgia Meloni cerca di rilasciare prodotti preconfezionati; lo ha fatto in campagna elettorale e non solo; quando ha parlato ai media internazionali per smentire i rapporti tra il suo partito e il neofascismo, ha rilasciato il video senza possibilità di fare domande; quando è andata in Tunisia, ancora niente domande. Evidentemente fa parte della strategia di comunicazione di Fratelli».
Se sulla stampa finiscono le lettere-monologo, sulla tv pubblica dell’èra Meloni capita che vada in onda mezz’ora di video preconfezionato. La messa in onda – senza intermediazione giornalistica – di 27 minuti di “Appunti di Giorgia” (il monologo della premier) ha scatenato la protesta del comitato di redazione di RaiNews24.
«Mi sono rivolto al Corriere che è considerato il giornale più autorevole in Italia quando ho visto che l’abbondanza di lettere non corrisponde alle possibilità di dialogo», ricostruisce Barigazzi. Un paio di giorni dopo il suo appello, è comparsa una breve intervista “a media unificati” su Corriere, Repubblica e Stampa. «Rispetto al grande interesse che c’è in Europa nei confronti di Meloni, colpisce che la premier abbia un atteggiamento spesso riluttante a sedersi a un tavolo per confrontarsi a tutto campo. Abituarsi alle lettere vuol dire abituarsi ai monologhi», dice il reporter di Politico Europe. Che nota: «Meloni non è alle prime armi, è una politica navigata: preferire i monologhi stride…».
Secondo Broder, dietro questa attitudine c’è una strategia precisa: «Serve a farla apparire seria. La premier si atteggia da statista e non si getta nel campo del confronto, del dibattito; sono gli altri – magari i ministri – a farlo per lei».
Il corrispondente di El País, Verdú, constata «il rapporto problematico della premier coi giornalisti: è un segno chiarissimo di autoritarismo». Ma anche se il resto del mondo chiama tutto questo «far right, destra estrema», non è detto che lo si legga in Italia. Il controllo di Meloni sul messaggio si combina con l’operazione di normalizzazione del postfascismo.
(da agenzie)
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Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
OGGI GLI ARRIVI SFONDANO QUOTA 100.000, SONO RADDOPPIATI E IL GOVERNO CHIEDE AIUTO ALLE ONG
“In Europa sono preoccupati. Che succederà? Che è finita la pacchia”. Così diceva Giorgia Meloni parlando di immigrazione solo due settimane prima del voto.
Oggi, dopo dieci mesi di governo, gli arrivi dell’anno sfondano quota 100mila (leggi) e l’esecutivo ormai chiede ripetutamente aiuto alle organizzazioni non governative. Cosa direbbe la premier se fosse ancora all’opposizione? Ilfattoquotidiano.it ha raccolto alcune delle numerose soluzioni proposte dal 2015 a oggi.
L’ultima volta che, navigando tra i flutti di Twitter, si registra l’hashtag meloniano #blocconavalesubito è il 7 settembre 2020, quando in uno degli innumerevoli attacchi all’ex ministra dell’Interno Luciana Lamorgese (quella apprezzata “dagli scafisti e dai fattoni” dei rave party), Giorgia Meloni sentenziò: “Diamo il buongiorno al Governo che si è (forse) svegliato e comincia a capire la proposta di @FratellidItalia sul #BloccoNavale in accordo con le autorità libiche e tunisine per impedire la partenza dei barconi e fermare le morti in mare. Piano piano ci arriveranno pure il PD e il M5S“.
La ripetizione della litania martellante che ha caratterizzato la comunicazione di Giorgia Meloni quasi dieci anni orsono, allo stato attuale, è stata sostituita da un poco convincente intervento della premier il 22 marzo 2023 alla Camera, dove all’indomani della tragedia di Cutro e del Consiglio europeo ha rilanciato molto tiepidamente il vessillo del blocco navale “in accordo con la Ue e i paesi del Nordafrica”. Per il resto, la vecchia clava di Fratelli d’Italia è stata rimpiazzata dal silenzio, squarciato timidamente da qualche incursione del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (“Il blocco navale lo stiamo facendo con l’accordo la Tunisia e la Libia. Domenica la premier Meloni andrà in Tunisia per la firma del memorandum insieme a von der Leyen, un grande successo dell’Italia”, ha annunciato trionfante un mese fa a un evento pubblico di Fratelli d’Italia).
Oggi la situazione per Giorgia Meloni, che in campagna elettorale prometteva di “gestire dignitosamente” il fenomeno migratorio e che a marzo del 2023 da Cutro lanciava la fatwa contro gli scafisti da stanare “lungo tutto il globo terraqueo”, è molto complessa: i migranti sbarcati in Italia nel 2023, stando ai dati del 14 agosto, sono 99.771, il triplo di quelli sbarcati nello stesso periodo nel 2021 e il doppio di quelli del 2022.
In un video-blob abbiamo tracciato un excursus della propaganda meloniana sui migranti, una narrazione che ogni anno è stata scandita da refrain pittoreschi: dalla “tratta degli schiavi del terzo millennio” (i cui “complici” sono Minniti e Gentiloni, come l’attuale premier ha accusato nel 2017) al niet “all’immigrazione clandestina e musulmana” (a cui nel 2015 si aggiunse l’ambizioso proposito di combattere l’Isis) fino al “razzismo istituzionale di Stato” che spende per i migranti “37 euro e mezzo” al giorno (e “900 euro al mese”, anzi “1200”), mentre tanti “anziani mangiano alla Caritas”, “i pensionati sociali” campano con 480 euro al mese e ci sono italiani lasciati “crepare sotto i ponti”. Eravamo nel 2015, diversi anni prima la crociata della destra contro il “metadone di Stato” e i percettori del reddito di cittadinanza.
Se nel governo Conte Uno, Meloni si limitava a qualche buffetto al futuro alleato Matteo Salvini e a critiche un po’ più taglienti a Giuseppe Conte (“Forse per inesperienza si è fatto raggirare al Consiglio Europeo, perché rimangono le sanzioni contro la Russia“, disse il 29 giugno 2019), ben più severa è stata con la ministra della Difesa Elisabetta Trenta, rea di aver definito il blocco navale al largo delle coste libiche “un atto di guerra”.
Alla posizione dell’ex ministra, Meloni oppose l’invito a studiare e la spiegazione secondo cui si trattava di un’azione diplomatica in concerto con la Ue e in accordo con la Libia, tanto che la perseguì il governo Prodi nel 1997 per arginare l’esodo albanese. Le norme dicono in realtà che il blocco navale è un atto ostile disciplinato dal diritto di guerra, sempre esercitato contro un paese e mai in accordo con lo stesso. E quella scelta dell’esecutivo guidato da Prodi rappresentò una pagina nera delle nostre politiche migratorie. A oggi, in ogni caso, dopo quasi un anno di governo Meloni, nessun blocco navale, nessun “muro” eretto, nessuna “difesa dei confini nazionali”, ma un tragico boom di sbarchi sulle coste siciliane.
(da Il Fatto Quotidiano)
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