Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
A QUANDO LA FOTO CON GLI STIVALONI DI CRAXIANA MEMORIA?
Magari toccherà anche a lei, prima o poi, essere ritratta con gli stivaloni di craxiana memoria, e probabilmente lo prenderà come un omaggio: il decisionismo è il nuovo mood di Giorgia Meloni, una modalità ben visibile e addirittura ostentata che sta cancellando la fase “comunitaria” del suo rodaggio politico, quando ci teneva a presentare ogni decisione come frutto delle scelte di una squadra o addirittura di una comunità di intenti.
«Mi fido dei miei alleati» aveva debuttato dopo il giuramento, nella sua prima conferenza stampa in grande stile. In nove mesi la fiducia, se davvero c’era, si è diluita al punto che nell’intervista di Ferragosto la premier ha raccontato senza imbarazzi di non aver informato il suo vice Antonio Tajani dell’intervento sugli extraprofitti bancari: «È più facile fare una misura del genere se la notizia non gira troppo». Amen.
Segue lo stesso copione il confronto aperto sul salario minimo, convocato a dispetto di Matteo Salvini che avrebbe preferito attestarsi sul solito muro contro muro, così come la vicenda di Carlo Nordio lasciato solo nei suoi controversi giudizi su mafia, suicidi in carcere, giustizia.
E pure il viaggio a sorpresa di ieri nell’Albania di Edi Rama, appena bollata dal ministro Francesco Lollobrigida come meta cheap di vacanze senza qualità, racconta una Meloni che in rapida virata verso il fai-da-te: se gli altri non aiutano, intralciano, straparlano, ci si arrangerà tagliandoli fuori dalle decisioni o passandogli sopra con la forza del ruolo.
Nella svolta decisionista di Meloni c’è senza dubbio un vantaggio: lei appare assai meglio dei suoi amici e alleati e la maggioranza dell’elettorato di centrodestra alle prossime Europee non avrà neppure bisogno di vedere il suo nome sulla scheda: ogni buona cosa attribuita al governo risulterà “made in Giorgia” e si potrà votare FdI senza turarsi il naso.
Gli scarsi successi sul fronte dell’immigrazione, i tempi duri che annuncia il Pil, il possibile insuccesso sul fronte del lavoro povero e delle buste paga sotto-soglia, i dati poco esaltanti dell’estate turistica e ogni altro inciampo della ripresa autunnale, Pnrr compreso, saranno invece attribuiti agli altri, a chi non sa navigare o ha navigato male. Decisionismo è anche questo: decidere che ognuno se la cavi da solo, e peggio per lui se fatica a farlo.
Ma al vantaggio si associa un evidente rischio perché l’aura di onnipotenza che l’Italia ha sempre associato ai capi decisionisti può attivare meccanismi difficili da controllare. Non a caso l’altro leader massimo della destra di governo, Silvio Berlusconi, non ha mai usato questo tipo di racconto e ha sempre preferito raffigurarsi come prigioniero di alleati ignavi, capaci solo di produrre veti alle meravigliose cose che avrebbe potuto fare per l’Italia se avesse governato da solo. È stato per un ventennio il suo grande alibi e anche il ritornello di ogni campagna elettorale, quando chiedeva (e otteneva) voti indicando come meta il fatidico 51 per cento che gli avrebbe consentito di gestire il Paese senza vincoli e impicci. La modalità scelta da Meloni è il contrario, e il vero pericolo non è nei mugugni o nei possibili atti ritorsivi di Forza Italia, della Lega o di aree del suo stesso partito, ma nelle altissime aspettative che può suscitare l’idea – piuttosto infondata in un Paese democratico e complesso come l’Italia – di una leader con la bacchetta magica, che può aggiustare tutto a dispetto di tutti, e nelle conseguenti, inevitabili, delusioni.
(da La Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
SE SI PROVA A PRENOTARE UNA CORSA ESCE LA SCHERMATA: “LE PRENOTAZIONI SONO STATE BLOCCATE PER LA SEGUENTE RAGIONE: FERRAGOSTO”… UNICA ECCEZIONE AMMESSA È IL TRAGITTO PER L’AEROPORTO, PIÙ REMUNERATIVO PER I TASSISTI
A Ferragosto turisti e residenti che vorranno spostarsi in taxi a Roma faranno bene a intercettarne uno, perché le prenotazioni sono praticamente impossibili. Con musei e monumenti aperti per il 15 agosto e la capitale affollata di visitatori, i taxi che fanno riferimento alla Cooperativa Radiotaxi 3570, la più grande della capitale, non accetteranno corse prenotate, ma solo in tempo reale.
La batosta appare chiara sulla app ItTaxi, dove provando a prenotate un’auto bianca per il 15 agosto appare un messaggio forte e chiaro: «Non è possibile prenotare il taxi. Le prenotazioni sono state bloccate nel luogo e nell’orario richiesti per la seguente ragione: FERRAGOSTO».
E il maiuscolo sulla motivazione è già tutto un programma. Unica eccezione sarebbe il tragitto verso l’aeroporto di Fiumicino, ben più remunerativo per i tassisti rispetto alle altre corse. Continueranno invece ad accettare prenotazioni le app InTaxi e Samarcanda plus.
Le file interminabili di turisti in attesa di un taxi sotto il sole fuori dalla stazione Termini o a largo Chigi sono destinate a ripetersi quindi anche a Ferragosto.
Al Corriere della Sera, il presidente della cooperativa, Loreno Bittarelli, prova a spiegare il motivo della loro decisione: «Le centrali non prendono prenotazioni a Ferragosto perché non abbiamo la certezza di soddisfare la richiesta». Tutta colpa di «metro e bus a regime così ridotto», che impongono ai tassisti di accettare solo le chiamate che arrivano di volta in volta.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
SULLA COSTA DEL CETO MEDIO MELONIANO, DOVE UNA VOLTA ANDAVA AL MARE LA MELONI
Non è facile scovare la spiaggia più diffamata della penisola. Sulla costa del ceto medio meloniano. Quelli che hanno vinto le elezioni e controllano sobriamente il potere sbirciando dai villini disegnati dal geometra unico dell’architettura bifamiliare fronte mare, da Sabaudia a Capalbio.
Sì, uffa, la “piccola Atene della Maremma” che, caro ceto riflessivo chic, fattene una ragione, sopravvive ormai solo nelle stazzonate pagine estive (tipo questa). Dei quotidiani impigriti (non questo) dalla millesima molestia, sotto forma d’intervista, alla dolce e paziente Dacia Maraini, quando lei con Alberto, Pierpaolo, Enzo e, chissà, i Vianella si tiravano i gavettoni e la sabbia negli occhi perché a furia di trascorrere le vacanze intelligenti tutti insieme alla fine puoi starti sulle palle.
Per non sbagliare si percorra l’autostrada Roma-Fiumicino fino alla rotonda per poi girare a sinistra verso Ostia perché a destra c’è l’aeroporto, e qui una sosta è d’obbligo.
Poiché intendiamo rispettosamente dissentire dalla critica dei cosiddetti non luoghi sfoderata dall’antropologia della surmodernità e dal sommo Marc Augé (purtroppo da poco venuto a mancare) al quale avremmo tanto voluto dire che l’aerostazione Leonardo da Vinci è un non luogo meraviglioso, colmo di ogni comodità, modernità e prelibatezza.
A tal punto che candideremmo con entusiasmo i vertici di tale prodigio contemporaneo al posto dell’attuale giunta capitolina, che possiede il luogo ma non il logos (buona questa).
Si proceda lungo la fettuccia che costeggia le piste (con i jet che morbidamente decollano nel cielo sempre più blu) in attesa di svoltare verso il mare. Se girate troppo presto potreste ritrovarvi a Fiumaretta che, sentenziò un tellinaro stanziale a quelli della Rai alla ricerca delle Maldive dietro l’angolo, “ci sono posti come Ostia che ce l’hanno fatta, questo nun iela farà mai”.
Così ci ritroviamo a Focene, una Fregene che non ce l’ha fatta, però allo Youth bar della Baia servono un gustoso Frozen e un’indicazione in merito a quel chissà dove, impronunciabile, verso cui saremmo diretti. Un gesto vago eppure risoluto agitato nell’aria nell’evocare orizzonti sconosciuti, in forma non proprio dissuasiva ma perplessa questo sì. Un “vada dritto di là” che ci costringe al termine di questo vile preambolo a pronunciarla per forza ’sta Coccia di Morto (de morto) per confutare il generico ritrovamento antico sul litorale di ossa e teschi di imprecisata origine. Quando invece va riconosciuta l’esattezza etimologica del termine “coccia” che, duole dirlo, è il ventre rigonfio di acque fetide dei poveretti finiti nel Tevere, in genere suicidi (er barcarolo va), trascinati dalle correnti fino al delta del fiume e che a quel punto trapassati sicuramente saranno. “Prenda la terza a destra e poi di nuovo a destra troverà uno stabilimento”, ci viene indicato.
Facciamola breve. Non troverete mai il cartello Coccia di Morto, quello per capirci con il limite di velocità e il divieto di clacson (però il vialone si chiama così ma è fuori contesto). Entriamo infatti in un non luogo che si è fatto luogo per esigenze cinematografiche.
Toponomastica di aggraziato contesto marino: via del Pesce Luna che sbocca sui via dei Saraghi e da qui, finalmente, in una piccola baia con ai lati i massi frangiflutti. Sabbia meno sabbia di quella di Ostia, acqua non più sporca di quella di Ladispoli. Uno stabilimento sul mare, Azur, come si deve, ombrelloni, lettini e cocktail bar, molto apprezzato su Tripadvisor. Riguardo al litorale recensioni che vanno da “che schifo” a “che posto incantevole”. Dove Legambiente segnala di avere raccolto, in una sola battuta di caccia, ben 3.761 cotton fioc. Con l’idea di un museo dei reperti nel quale sistemare il modernariato ripescato dal fiume tra cui un dispenser di Felce Azzurra Paglieri e l’intera collezione di lattine Coca Cola degli anni 70.
Non c’inventeremo certo giudizi anonimi sulla premier (che ai tempi della sezione Garbatella sarebbe stata vista con mamma e sorella). Autentica la frase udita in conversazioni saltuarie su Giorgia: è tanto caruccia. Ora non occorrono certo Pagnoncelli o la Ghisleri per assodare che l’espressione “tanto caruccia” sulle labbra delle signore del ceto medio estivo fotografa una popolarità in solida e costante ascesa.
I mariti o quello che sono non parlano e neppure annuiscono, tanto non serve. Del resto, nessuno sa o finge di sapere cosa abbia detto il negazionista De Angelis o quali casini abbia combinato la Santanchè. Se percepita da qui la sinistra è un asteroide che trasmette segnali che provengono dal secolo scorso. Come sentenziò il generale De Gaulle “l’intendance suivrà”, per dire che le ragioni dell’economia seguono quelle della politica che poi, in ogni nucleo che si rispetti, è il pensiero femminile dominante.
Potrò dunque rientrare, sconfitto ma più consapevole (e lieto per non avere mai citato la nota pellicola che su Google è avvinta alla Coccia come l’edera al muro). Torniamo dunque nella Maremma dei casali dei pietra, protesa nell’Argentario delle ville imbiancate. Alla nostra conclamata minorità e irrilevanza. A sfogliare Proust (mentre qui spopolano le corna sabaude sputtanate in diretta video). Sì, caro Alain, ha vinto Coccia de Morto.
(da Il Fatto Quotidiano)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
“MA ALMENO LI VEDEMO, ‘STI VIP? ABBELLI, IO NUN POSSO MICA ACCENDE UN MUTUO PE’ BRIATORE”
Volevano un racconto per il giorno di Ferragosto. Bisognava andare sul sicuro. Capito: allora, Twiga.
Ma intanto: preparativi con partenza dalla Maremma, Capalbio e dintorni, stabilimento Ultima Spiaggia, un ventaccio ruvido e le foto in bianco e nero di Umberto Eco e Carlo Caracciolo, Alberto Asor Rosa e Furio Colombo, il ricordo di Andrea Purgatori che qui fu principe, una certa gauche dei tempi andati, memorie in dissolvenza tra figli e nipoti, adesso anche qualche tatuaggio, qualche perizoma, ma ancora scosse sinistrorse («Quando vedi la Santanchè, chiedile se a settembre si dimette») e graffi radical chic («Fai foto, eh»), come alla vigilia di un safari antropologico — e in effetti al Twiga, all’ingresso del bagno più famoso d’Italia, ci sono due giraffe di cartapesta a grandezza naturale; però, raccontano, in certe serate speciali Flavio Briatore sguinzaglia proprio quelle vere, un lampo di Kenya in Versilia, a Marina di Pietrasanta, dove arriveremo tra un paio d’ore.
La via Aurelia è per lunghi tratti sempre stretta e tortuosa e c’è un sole bollente, a picco. Suggestioni cinematografiche inevitabili. Guidi pensando a quel capolavoro di Dino Risi, Il Sorpasso, con Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant, con la bellezza definitiva di una giovanissima Catherine Spaak, niente a che vedere con le ragazzine piene di piercing che bevono shottini nei bar, le orribili Barbie-Birkenstock ai piedi: e poi, a Castiglioncello, per caso, o solo per grandiosa magia, alla radio dopo Tiziano Ferro passano pure «Don’T Play That Song» cantata da Peppino di Capri.
Ora seguitemi.
Il parcheggio del Twiga è piccolo, ordinato. Una Ferrari gialla, un paio di Porsche, molte biciclette colorate. Reception: biondina gentile, ma gelida, mi squadra con distacco (poi scoprirò che il personale è addestrato a capire chi è veramente ricco, e chi finge di esserlo). «Ha prenotato?». Si capisce che le piacerebbe dirmi che no, guardi, siamo overbooking. Invece ho prenotato. «Effettivamente… sì, ecco qui il suo cognome. La carta di credito, prego». Ci sono solo tende. Cinque file da nove. Ogni tenda: 600 euro al giorno (nota per l’amministrazione di via Solferino: ho la ricevuta).
Due conti
Entro facendo calcoli meschini. Con l’incasso relativo a un solo cliente, che per l’intero mese di agosto ammonta a 18.600 euro, il Twiga paga il canone d’affitto che deve allo Stato per la concessione annuale della spiaggia: 17.619 euro. Il resto è un fatturato che oscilla tra gli 8 e i 9 milioni. Più che uno stabilimento balneare, uno stabilimento per fare soldi, soldi e ancora soldi.
Fu aperto nel 2001 (genialata assoluta) da Flavio Briatore, Daniela Santanchè, Paolo Brosio e Davide Lippi, figlio di Marcello, l’ex ct della nazionale campione del mondo. Poi Lippi s’è sfilato e Brosio ha incontrato la fede: così tutto è rimasto nelle mani di Flavione, come lo chiamano gli habitué, e della ministra del Turismo. Finché al governo — i soliti sensibiloni — sono stati sfiorati dal sospetto di un possibile (possibile, eh) conflitto di interessi e allora lei ha ceduto le sue quote al compagno Dimitri Kunz d’Asburgo, noto per avere anche altri undici cognomi e un titolo nobiliare su cui penderebbe una diffida.
La tipa bionda fa strada verso la tenda. Atmosfera etnica, arredamenti Africa style, tipo Malindi. Camminiamo tra palme e vetrine di bambù (Valentino, Givenchy, Ferragamo, Bulgari), c’è un centro estetico, sulla destra una piscina, più avanti un bar con il tetto di paglia. Breve sentiero, poi la spiaggia. Il primo colpo d’occhio che scorre sulla tendopoli scatena una botta di stupore: tutto qua?
A Rimini, tra un ombrellone e l’altro, c’è più spazio. La ragazza indica la mia tenda: «Ora una mia collega le porterà due bottiglie d’acqua. Sono un omaggio». Perché Flavione sa essere generoso con i clienti. Comunque: volete sapere in cosa consiste questa tenda pagata come fosse un villino? Ci sono un divano, 2 letti, 2 lettini, un tavolo e una sedia da regista.
Esame sommario dei vicini. A sinistra, una famiglia di bergamaschi carichi d’oro, ma oro massiccio. Collane, anelli, orecchini. Madre e figlia si assomigliano, sembrano sorelle. La madre ha un viso da quarantenne montato su un corpo da settantenne. Aspettano un certo Dado. Se ho ben capito — siamo vicinissimi, è inevitabile impicciarsi — Dado dovrebbe arrivare da Montecarlo insieme alla Susy, dove hanno fatto serata nell’altro Twiga, sotto la supervisione di Flavione in persona. Qui non si capisce se comparirà la ministra. Sperano molto di incontrarla quelli accampati qualche tenda più avanti. Due sorelle romane con i rispettivi mariti. Sono in vacanza a Marina di San Nicola, sul litorale laziale, poco più a nord della leggendaria Coccia di Morto: però si sono voluti regalare una giornata da riccastri, alloggiano in un tre stelle di Viareggio, toccata e fuga, anche se il marito della più giovane, Sergio detto Sergione, suppongo per la pinguedine incipiente, non è d’accordo. «Dico io: ma che c’entramo noi qua?». È un’esperienza. «No: è una follia. Lei, scusi, è abbonato?». Come voi: solo oggi e poi vado via. «Dimose la verità: se semo venuti a fa’ spennà. Ma almeno li vedremo ’sti vip?».
Vip e politici
Può capitare, certo. Buffon e la Seredova si conobbero qui. Ancelotti e Galliani vennero a festeggiare la Champions vinta nel 2007. Chiara Ferragni e Barbara D’Urso prendono l’aperitivo, cenano e si fermano a ballare (pare che la piscina, con copertura automatica, si trasformi poi in pista). Passano in tanti: Kate Moss e la Marcuzzi, Bobo Vieri e Pippo Inzaghi. Il dogma è: esserci, farsi vedere, status, edonismo social, stories su Instagram, caccia ai like. Avvistati perciò, negli anni, anche molti politici. Compresi Matteo Salvini e Matteo Renzi. A fine luglio s’è riunito lo stato maggiore di Italia Viva: Bonifazi/Boschi/Nobili, più Andrea Ruggeri, il direttore del Riformista (Carlo Calenda furibondo: «Visita inopportuna, vista la situazione giudiziaria della ministra. Io poi sono taccagno: ho una madre valdese e quel posto, letteralmente, mi ripugna»). Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, invece lo adora. Anche perché sa che, da queste parti, si fanno affari notevoli: sua moglie Laura De Cicco e Dimitri Kunz d’Asburgo, nel giro di un’ora, hanno comprato e rivenduto la villa del sociologo Francesco Alberoni guadagnandoci sopra un milione d’euro netti.
Rolex (e patacche)
Passa un ambulante nigeriano e cerca di vendermi un Rolex Daytona tarocco. La faccenda un po’ insospettisce, perché qui tutti hanno orologi pazzeschi ai polsi. C’è anche un efferato sfoggio di borse Gucci e sandali Hermès. Mi ritrovo un altro ambulante seduto accanto: «Tu, amico, volere coperta di cachemire?». «No, grazie». «Tu poverello, vero?». Spunta un paparazzo: «M’hanno detto che dovrebbe presentarsi Belén con un gruppo di amiche». Intanto si presenta una cinese che offre un massaggio. La signora anziana della tenda accanto si stende chiedendo che non le venga però sfiorato il viso, tirato da una ragnatela di fili sottocutanei.
All’una, poi, succede quello che succede anche nel vostro stabilimento: si mangia.
Camerieri in divisa e svelti, cortesi, concentrati, tutti collegati con l’auricolare. Portano il menu, su cui si è molto favoleggiato. I prezzi del ristorante sono sul serio alti. Per capirci: spaghetti alle vongole, 30 euro. Linguine all’astice: 38. M’incuriosiscono gli «Spaghetti Flavio»: 20 euro. Cosa avranno inventato di così economico in omaggio al padrone?
Clientela: tedeschi, americani, una famiglia araba. Tre tavoli di italiani (si sente la voce di Sergione: “Mortacci… er tonno co’ i capperi 42 euro!”). Il cameriere va e viene come un farfalla e mi spiffera che mancano molto i russi, il Dom Perignon lo usavano pure per farsi la doccia. Chiedo di poter andare in bagno.
Mi indirizzano in due cessetti imbarazzanti (non ho capito se per i veri ricchi ce ne siano di migliori, può darsi). Questi sono stretti come quelli di un Frecciarossa. Uno ha pure la serratura sfondata, sono molto sporchi. Scatto qualche foto. Flavione, ma da quant’è che non vieni a controllare?
Al tavolo trovo i suoi spaghetti fumanti. In pratica: uno spago aglio e olio, senza peperoncino, e con due pomodorini due, tagliati a metà, che decorano il piatto. La cottura, però, è perfetta. Poi, un espresso Illy. Conto: 38 euro. Faccio il micragnoso: no, scusate, come ci siamo arrivati? Ah, beh, si, certo: una bottiglia di acqua la mettono 10 euro.
Tutti, lentamente, torniamo sotto le tende.
Molti già dormono. La vecchia qui accanto ronfa a bocca aperta. Siamo talmente attaccati che bisogna parlare a bassa voce. Tolgo la suoneria al cellulare. Un tipo con la pancia gelatinosa legge la Guida Michelin. Non vedo altri libri. Qualche iPad. Noto cani rarissimi. Una signora racconta che il suo norsk lundehund, uno spitz norvegese, ha le zampe con sei dita. I bambini sono pochi e tristi. Non corrono, non gridano, non costruiscono castelli, non giocano a pallone e osservano, con occhiate d’invidia, i coetanei felici degli stabilimenti accanto. Una bambina è vestita come fosse appena uscita da una sfilata di Pitti.
Il Burraco
Sono le cinque del pomeriggio e il mare è calmo, le Alpi Apuane si stagliano su un cielo celeste e c’è una leggera brezza che trascina l’odore dolciastro di creme solari. Lei, la Santanchè, compare di colpo: sfavillante e con un cappello bianco e gli occhiali da sole, preceduta da Dimitri Kunz, gran fisicaccio. Prendono posto nella tenda reale. La ministra è subito come sempre molto accogliente — «Il Corriere al Twiga! Ma che bello!» — è di ottimo umore e sorridente: mi presenta sua sorella Fiorella, silenziosa, sguardo distratto, arriva suo figlio Lorenzo, poi spunta Rita, la sorella di Flavione, e insomma il clima è familiare e spontaneo, rilassato, tra un po’ è prevista una partita a Burraco.
Sto per chiederle se in autunno, a causa delle accuse di «bancarotta» e «falso in bilancio», tema che possano farla dimettere. Ma lei ha una scossa di telepatia, e mi anticipa: «Sembro preoccupata? Guardi: un giorno qualcuno dovrà chiedermi scusa, altroché. E comunque: al Senato, il giorno della sfiducia chiesta da quei poverini dei 5 Stelle, visto come mi è stato sempre accanto Salvini? E quelli di Forza Italia? Dai, deliziosi». Alla buvette però facevano facce brutte. E comunque sono soprattutto quelli del suo partito, i Fratelli d’Italia, che non la sopportano tanto. «Scherza? Mi adorano. Sono state scritte un mucchio di falsità, mi creda». Prima di andare in vacanza il governo ha comunque combinato un bel pasticcio con le banche. «Cosaaa? Siamo stati coraggiosi e giusti, l’abbiamo fatto per gli italiani. Giorgia è una che vede lungo». A proposito: verrà? «No. Quest’anno è premier e qui è tutto troppo aperto: la sua scorta impazzirebbe. Meglio una masseria in Puglia» (Giorgia Meloni è venuta al Twiga tre anni di seguito, sempre accompagnata dalla figlia Ginevra e dal compagno, l’ormai — quasi — mitico Andrea Giambruno. Mai paparazzati, sempre molto low profile, c’è solo un ritaglio di Diva e Donna in cui si racconta che, nel luglio del 2020, una notte, alle 2, Giorgia incontrò il celebre sensitivo Solange e lui, dopo averle letto la mano, le predisse un periodo di grande successo).
La ministra Santanchè dice che domani c’è la serata Karaoke e che sarebbe da matti perdersela. Mi mostra la sua Birkin rosa («La prima me la regalò, a 18 anni, mio padre»), ci salutiamo, e lei inizia a giocare a carte. Vado alla tenda, raccolgo le mie cose. I camerieri cominciano a volteggiare sulla sabbia servendo mojito e spritz. Sergione, saggiamente, avverte i familiari: «A bbbelli, io nun posso mica accende un mutuo pe’ Briatore… l’aperitivo se lo annamo a prende fori».
Passo davanti a una signora vestita di nero, simil-direttrice, palestrata, un po’ canotto, che mi osserva disgustata, mentre parla al cellulare. «Sì, ce l’ho davanti… questo con i calzoncini a quadretti e la camicia blu… L’avevo notato, pessimo soggetto. Certo, tranquilla: lo seguo finché non esce».
Arrivo alla macchina, mi guardo intorno. Dove si pagherà? Torno dalla biondina alla reception: dovrei pagare il parcheggio. «È gratuito». In che senso, scusi. «Nel senso che è gratis».
Flavione, sei un grande.
(da Il Corriere della Sera)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
SI PERDE SOLO L’OCCASIONE DI UN RILANCIO
«L’Italia è un dono degli Dei. Da amare, da rispettare, da onorare», ha scritto in un tweet (in corretto italiano) Russell Crowe, che diventò immensamente famoso col film Il Gladiatore . Parole d’oro. Perché il nostro Paese è stato davvero baciato dalla buona sorte sotto il profilo paesaggistico, artistico, monumentale e, fino a qualche tempo fa, anche climatico. Ma noi italiani l’abbiamo amato, rispettato, onorato come meritava? Diciamolo: non sempre. Anzi, troppe volte la sciatteria, il pressappochismo, gli egoismi più gretti hanno fatto disastri tali da spingere già Indro Montanelli a perdere la pazienza: «L’Italia sarà, come dicono, la “culla dell’arte”. Ma in questa culla sgambettano i più biechi assassini del paesaggio. Sempre per quella smania di star tutti attruppati, il cemento travolge l’erba e sommerge le più belle valli e i più pittoreschi litorali». Cosa sia successo, sessant’anni dopo, è sotto gli occhi di tutti. Eppure, nel mondo, continuano a essere pazzi di noi. E non ce lo dicono solo le cronache estive che sventolano foto di Jennifer Lopez e Robert De Niro, Jeff Bezos e Bill Gates e video con Magic Johnson, Michael Jordan e Samuel Jackson che cantano Volare, ma anche tabelle come quella di Bloom Consulting Country Brand Ranking 2022/23 sul valore del nostro «marchio». Che ci vede secondi dopo la Spagna (ma a pari punti) davanti a Usa, Germania, Regno Unito, e gli altri (Francia compresa), dopo aver recuperato 5 posizioni sull’anno precedente .
Merito di Mario Draghi o prima ancora di Giuseppe Conte, visto che i dati si riferiscono al 2021? Sia come sia, una cosa è certa. In un momento di netta ripresa del turismo mondiale con 963 milioni di viaggiatori dopo il tracollo dovuto al Covid (-34,3% a livello globale) l’Italia è in prima fila. E primissima, secondo il World economic forum 2022, per il patrimonio culturale.
E sarebbe davvero un peccato perdere l’occasione di tornare agli antichi fasti del 1970, quando eravamo il Paese più visitato al mondo dagli stranieri. Possibile? Non è facile: è cambiato tutto. Ma la ricchezza del nostro patrimonio paesaggistico, culturale, gastronomico è tale da consentirci di fare di tutto per cogliere l’occasione.
Purché la si smetta di fare sempre gli stessi errori. Primo fra tutti, fatale, quello di pensare di essere gli unici al mondo a possedere dei tesori. Un’idea sballata («Se vonno vede ‘a civiltà de qua devono passà…» per dirla alla romana) montata nei decenni al punto da spingere Silvio Berlusconi a dire in uno spot poi soppresso che l’Italia ha «il 50% dei beni artistici tutelati dall’Unesco» o l’attuale assessore alla Cultura siciliano Francesco Paolo Scarpinato ad andare ancora oltre: «Il 25% dei beni culturali al mondo è nella nostra regione…». Non è così. Ovvio. La coscienza della Grande Bellezza italiana non ha bisogno di sparate: ha bisogno di cura. Manutenzione. Investimenti.
Così come la stragrande maggioranza di operatori seri impiegati nell’industria del turismo, che nonostante la perdita traumatica di oltre 200 mila posti dovuti alla pandemia dà lavoro secondo il World Economic Forum a 2.641.000 addetti diretti (poi c’è l’indotto), non meritano di finire in prima pagina, come è successo, per piccole furbizie d’ingordigia come i 2 euro di supplemento per un «piattino per la condivisione» in Liguria o gli altri 2 euro per il toast tagliato a metà sul Lago di Como. Men che meno per certi rincari in stabilimenti balneari più o meno famosi che, dopo l’aumento del canone demaniale minimo da 2.698,75 a 3.377,50 euro l’anno (fonte: mondoBalneare.com) si sono sentiti in diritto di rifarsi sui clienti sparando per l’affitto di un ombrellone e due sdrai cifre mai viste prima. Per non dire dei «500 euro al giorno per una tenda con due lettini, teli mare di Louis Vuitton» all’«Alpemare» di Forte dei Marmi o delle famose «capanne, in prima fila centrale, al Lido di Venezia» schizzate nel prezzo fino a 515 euro al giorno.
Certo, parliamo di bagni elitari dove, per dirla con una vecchia battuta di Sophia Loren, «se chiedi il prezzo vuol dire che non te lo puoi permettere». Ma i rincari di questa estate riguardano un po’ tutti i luoghi della tradizionale villeggiatura italiana, dal mare alla montagna, dai laghi alle città d’arte. E hanno spinto gli italiani ad accorciare le ferie su misura delle proprie entrate e il rapporto qualità prezzo. E se fino a poche settimane fa c’era un diffuso ottimismo (una cronaca fra le tante: «Questo 2023 potrebbe essere l’anno migliore di sempre per il turismo siciliano. I dati parlano infatti di un incremento dell’1,5% delle presenze rispetto al 2019 che era considerato l’anno dei record, oltre a essere l’ultimo pre-Covid. Un successo strepitoso che fa del comparto turistico…») i dati di agosto, compreso il post ironico ed esultante del premier albanese Edi Rama con le vecchie navi stracariche («1991 -Albanesi partono per l’Italia / 2023 – Italiani partono in ferie per l’Albania») han fatto capire che no, neanche quest’anno probabilmente si tornerà alle vacche grasse precedenti il Coronavirus…
Certo, sospirano un po’ tutti gli operatori, sono tempi complicati: prima il Covid, poi l’invasione e la guerra in Ucraina che ha spazzato via quelli che erano diventati i clienti migliori o almeno i più spendaccioni come i russi, poi ancora l’alluvione in Romagna su quel litorale dove la stessa demolizione della storica discoteca Paradiso di Rimini segna la fine dell’epoca dei «divertimentifici»… Di più: l’alluvione romagnola è stata solo la tragedia più grande e vistosa di una estate marcata come mai prima da una svolta climatica, le bombe d’acqua, le frane, i gommoni dei pompieri nelle piazze allagate, i raccolti agricoli al macero e insieme il caldo infernale, gli anziani uccisi dall’afa, le foreste in fiamme, le fontane di Roma prese d’assalto da turisti stremati, che minacciano un futuro pieno di incognite. Contro le quali non serve polemizzare come il compagno di Giorgia Meloni stizzito in tivù col ministro tedesco («Se non ti sta bene stai a casa tua. Stai nella Foresta Nera, no?») ma urgono scelte politiche assai diverse dal taglio di 16 miliardi del Pnrr per i progetti di contro i rischi idrogeologici.
Ultimo appunto. Viva gli stranieri che affollano i nostri alberghi, i nostri campeggi, le nostre trattorie, i nostri musei… Ossigeno, per la nostra economia. Ma ce li meritiamo? Certo non se li merita chi in questi anni, dal primo all’ultimo ministro del turismo, ha esposto l’Italia a essere svillaneggiata per le ricette suggerite ai turisti tedeschi in siciliano stretto del «cunigghiu a’ stimpirata» senza sottotitoli e le traduzioni automatiche sballate. Un errore di catastrofica ridicolaggine rifatto uguale identico pochi mesi fa. Dice tutto un confronto: per attirare i turisti di tutto il mondo sapete quante lingue usa il portale turistico spagnolo? Nove. Quello norvegese? Undici. Quello francese? Diciotto. Il nostro Italia.it? Tre: italiano, inglese, spagnolo. Fine. In compenso la Venere del Botticelli ammicca in bicicletta accanto al Colosseo in un giardino coi cipressi.
(da Il Corriere della Sera)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
ECCO COME IL GOVERNO PERDE MIGLIAIA DI EURO AL GIORNO REGALANDOLI ALLA LOBBY DEI BALNEARI
Prendete l’Augustus Beach Club, la celebre spiaggia di Forte dei Marmi in Toscana. Chiara Ferragni, 36 anni, come sempre ci è andata a giugno. Accompagnata dalla mamma, la scrittrice Marina Di Guardo, 61 anni. Giornate felici con le immancabili foto social della famiglia al completo: la nonna, l’influencer, Fedez e i bambini.
Non tutti i proprietari di stabilimenti balneari possono però permettersi tanta popolarità: quanto dareste del vostro regno per avere i Ferragnez o Matteo Salvini come clienti e il loro inevitabile indotto pubblicitario?
A questa domanda, comunque, ne segue un’altra: quanto pagate allo Stato per poter occupare da anni, per discendenza acquisita, il nostro appezzamento di sabbia in riva al mare?
Nostro perché, essendo un bene demaniale, dovrebbe appartenere a tutti ed eventualmente essere concesso a canoni di mercato. Ce lo chiede da anni l’Unione Europea.
La risposta ve la diamo qui, grazie al confronto tra i dati pubblicati dal ministero delle Infrastrutture nel suo Portale del mare e i bilanci custoditi dalle camere di commercio.
Scopriamo così la differenza tra quanto pagano allo Stato e quanto fatturano i gestori delle spiagge simbolo dell’estate italiana: ecco cosa abbiamo visto nel nostro viaggio-inchiesta da nord a sud. Ora che è arrivato Ferragosto, si può già trarre un bilancio delle abbondanti risorse che, ancora una volta, il governo ha rinunciato a incassare.
Che cosa fanno le lobby del mare
Va detto che tutto quanto raccontiamo è assolutamente legale. Le società di gestione degli stabilimenti balneari si limitano ad applicare norme e canoni stabiliti dalla legge. Una questione che ha visto sempre allineate maggioranze di destra e di sinistra molto attente, lungo i 7.500 chilometri di coste italiane, a non inimicarsi le lobby del mare.
Partiamo proprio dalla siepe che protegge da sguardi indiscreti l’Augustus Beach Club, in viale della Repubblica a Forte dei Marmi. Prima della guerra in Ucraina capitava di vedere, qui davanti, scintillanti Rolls-Royce targate Mosca. I magnati le facevano recapitare via camion, per trovarle già pronte nei garage delle loro ville sotto la pineta. Oggi, per schivare le sanzioni internazionali, dalla ricca località di vacanza sono scomparse le auto russe. E i loro proprietari preferiscono rimanere nascosti nella riservatezza delle dimore prese in affitto. Così sulle pagine social dello stabilimento balneare che dà ulteriore lustro all’omonimo hotel Augustus, quest’anno si leggono soltanto nomi italiani. Chiara Ferragni e parenti appaiono ben tre volte: il 5, poi il 14 e il 19 giugno. Un lancio importante per la stagione appena cominciata.
La società che gestisce la spiaggia e l’albergo di lusso, di proprietà della famiglia Maschietto, ha dichiarato lo scorso anno un fatturato di 12 milioni, con utili di oltre un milione. Ovviamente il valore si basa anche sui servizi garantiti e l’eleganza esclusiva delle ville-hotel immerse nel parco, tra le quali la residenza estiva appartenuta ad Edoardo Agnelli.
Ma in un resort a cinque stelle è ovviamente fondamentale lo sbocco alla spiaggia privata. E questa offre una piscina, aperitivi in riva al mare, musica dal vivo, le cabine anni Sessanta, il beach lounge bar e il ristorante Bambaissa, ispirato all’oasi descritta da Walt Disney nella storia “Paperino e la clessidra magica”.
L’ombra dei gazebo e i comodi letti allineati sulla sabbia sono compresi nel costo: “Bagno particolare e raffinato, frequentato anche da qualche nome noto. Le tende sono attrezzate perfino di cassaforte, manca solo il punto luce per la ricarica del cellulare. Naturalmente i prezzi sono alti tendenti al caro, ma i servizi offerti sono notevoli”, scrive su Tripadvisor un cliente soddisfatto.
Se volete sdraiarvi sulla sabbia calpestata da Jimi Hendrix, Charlton Heston e Vittorio Gassman, non chiedete sdraio e ombrelloni, perché sono arnesi da vacanze popolari. Eppure alla società titolare dell’Augustus Beach Club, lo Stato quest’anno ha concesso la superficie di spiaggia, da viale della Repubblica giù fino al mare, a un canone annuale da appartamento di periferia: 18 mila euro, l’equivalente di millecinquecento euro al mese. E gli stabilimenti accanto hanno pagato anche di meno. Così un concorrente che volesse oggi aprire un ristorante sulla spiaggia di Forte dei Marmi, con costi altrettanto vantaggiosi e servizi annessi, non potrebbe. Le concessioni vengono rinnovate in tutta Italia direttamente a chi già le possiede. Senza alcuna gara pubblica: sulle spiagge italiane la libera concorrenza è infatti impedita dallo Stato.
Per aprire un nuovo ristorante bisogna quindi cercare all’interno del paese e affidarsi al mercato.
Seguiteci e vedrete quanto costa. Una posizione prestigiosa come il lungomare potrebbe essere piazza Garibaldi. E proprio in questi giorni a Forte dei Marmi circola l’annuncio di un locale commerciale per uso ristorante in questa zona centrale. Sono duecento metri quadri da ristrutturare. Richiesta per l’affitto: 12 mila 500 euro al mese. Ma senza spiaggia intorno, né aperitivi in riva al mare, vista sul sole che affonda al tramonto. Nemmeno lo champagne da bere sdraiati sotto la tenda, tra la cassaforte e il punto luce per ricaricare lo smartphone. E chissà se Chiara Ferragni verrebbe mai a farsi un selfie davanti a un drink in piazza Garibaldi.
Se all’affitto a prezzi di mercato sottraiamo il canone mensile della concessione, otteniamo grossomodo quanto lo Stato rinuncia a incassare per ogni stabilimento balneare di Forte dei Marmi: undicimila euro al mese. È vero che la stagione in spiaggia dura poco. Ma questo vale anche per gli operatori che hanno attività all’interno del paese. E devono pagare cifre otto volte più care: 12 mila 500 euro contro millecinquecento. È la disparità di trattamento tra un imprenditore che può soltanto rivolgersi al mercato degli affitti e un suo collega benedetto dalle concessioni statali.
Flavio Briatore si autoaccusa al Twiga
Secondo gli ultimi dati della Corte dei conti, nel 2020 lo Stato ha incassato appena 92,5 milioni da 12.166 concessioni a “uso turistico”: una media annuale di 7.603 euro a canone, 633 euro al mese, valori da appartamento popolare. Non tutte le concessioni riguardano ovviamente spiagge in posizioni esclusive o frequentate da ricchi clienti. Ma ovunque ci sarebbero motivi per mettere, secondo l’Unione Europea, quasi tutti gli ultimi governi italiani sul banco degli imputati. La Commissione di Bruxelles aveva infatti avviato una procedura d’infrazione contro l’Italia per il mancato recepimento della direttiva Bolkenstein sulla gestione dei beni pubblici. Secondo la legge comunitaria, le spiagge andrebbero assegnate attraverso una gara “aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori”, ma trasparenti e oggettivi, nel caso in cui “il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità di risorse naturali”.
Appena trecento metri dopo la spiaggia frequentata da Chiara Ferragni, si entra nel regno di Flavio Briatore, 73 anni, proprietario del 56 per cento delle quote del Twiga Beach Club di Marina di Pietrasanta. Tra i soci c’era anche la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, 62 anni. Ma per la nomina nel governo ha ceduto il suo 11 per cento circa a Briatore e al presidente del consiglio di amministrazione, Dimitri Kunz D’Asburgo Lorena, 54 anni, cittadino della Repubblica di San Marino e compagno di Daniela Santanchè. In questo modo la ministra, il governo e lo Stato ritengono risolto ogni possibile conflitto d’interesse tra il ministero del Turismo e l’attività turistica che tuttora beneficia di concessioni ministeriali. Scusate il conflitto di parole.
Il Twiga nel 2023, secondo i dati catastali estratti dal portale del ministero delle Infrastrutture, ha pagato allo Stato 23.984 euro di canone di concessione demaniale: fanno poco meno di duemila euro al mese. Ma al 31 dicembre 2022 ha dichiarato un fatturato annuale di 8,2 milioni, con 636 mila euro di utile. Che sia un canone regalato lo ha detto lo stesso Briatore: “Parlo anche per me: per il Twiga, di concessione, dovrei pagare circa centomila euro”. Almeno quattro volte di più: l’ex socio della ministra Santanchè lo ha affermato durante un’intervista al Corriere della sera il 15 marzo 2019. Nel frattempo, sono passati più di quattro anni e una pandemia.
Matteo Salvini, ministro del Papeete
Scavalcato l’Appennino, si scende sull’Adriatico. A duecentocinquanta chilometri dal Twiga di Briatore ecco il Papeete Beach di Milano Marittima, nel cuore della Riviera romagnola. Lo conoscevano soprattutto i tiratardi della zona. Fino a quando, nell’agosto 2019, ha raggiunto la popolarità grazie all’inno nazionale ballato da cubiste molto scosciate davanti al ministro dell’Interno a torso nudo, che allora era Matteo Salvini.
Il Papeete, oltre a spiaggia, ristorante, bar e varie attività, ospita anche una discoteca. Il proprietario è il parlamentare europeo della Lega, Massimo Casanova, 53 anni, che a Strasburgo è membro della commissione Trasporti e turismo.
Dai dati catastali raccolti dal ministero delle Infrastrutture, affidato oggi proprio a Salvini, scopriamo che il Papeete Beach ha pagato poco più di diecimila euro di canone, come risulta da due diverse concessioni: una da 6.684 euro e l’altra, per lo specchio d’acqua di fronte alla spiaggia, da 3.377 euro, il minimo per una concessione demaniale, secondo l’ultimo aggiornamento pubblicato dalla Gazzetta ufficiale.
Stando ai bilanci del 2022, l’attività dell’eurodeputato Massimo Casanova rende ancora bene: tre milioni di fatturato con utili di circa 43 mila euro. Spalmati su tutto l’anno, sono 250 mila euro al mese. Contro un costo mensile di concessione di 838 euro: l’equivalente di quanto si paga in città per un loculo di venti metri quadri per studenti.
Giusto per un confronto, la scorsa primavera a Milano Marittima è stata messa in affitto una discoteca coperta, senza vista sul mare e nemmeno la pubblicità indiretta dell’inno nazionale con le cubiste e il ministro Salvini. Prezzo annuale richiesto: 350 mila euro, quasi 30 mila euro al mese.
A Capalbio il canone è di sinistra
Anche la sinistra nazionale ha i suoi feudi in costume da bagno, che però non hanno raggiunto la popolarità edonista di Augustus, Twiga e Papeete. Capalbio, centotrenta chilometri dal Parlamento, è il borgo della provincia di Grosseto più famoso. I canoni per l’occupazione esclusiva della spiaggia oscillano tra i 6 mila e i 15 mila euro l’anno. Insomma, si parte da 500 euro al mese. Con fatturati, però, che variano da mezzo milione a
un milione e mezzo. Ma utili dichiarati che non superano i 40 mila euro.Risalendo la penisola per altre due ore e mezzo di strada, ci si può sdraiare al sole sulla spiaggia frequentata dalla famiglia di Matteo Renzi, 48 anni. Lo stabilimento Bagni Genova è a Viareggio. Anche se l’ex premier oggi si fa vedere molto di meno. La società di gestione paga 16.588 euro all’anno per la concessione demaniale, equivalente a 1.382 euro al mese. Ci sono la piscina illuminata con vista sul tramonto, il ristorante, le serate musicali, i gazebo bianchi, qualche ombrellone. E ovviamente il mare della Versilia. Tutto questo nel 2022 ha garantito un fatturato di 469 mila euro, con 25 mila euro di utili.
Una delle regioni italiane con la percentuale più alta di costa occupata da stabilimenti balneari, come segnala il “Rapporto spiagge 2023” di Legambiente, è invece la Liguria. Nella piccola Zoagli, scelta anni fa dalla futura premier Giorgia Meloni per le sue vacanze, le concessioni annue pagate nel 2023 si fermano al minimo di 3.377 euro, 281 euro al mese. Ma il confronto con le altre località di vacanza è impossibile, per i pochi metri di scogliera disponibili tra il mare e la montagna.
La battaglia in Liguria del Baba Beach
Due ore di autostrada verso Ventimiglia ed ecco il Baba Beach di Alassio, in provincia di Savona. Lo stabilimento balneare tra i più eleganti della zona ha fatto della trasparenza lo strumento per difendersi dal rischio di perdere la concessione. “La Bolkenstein non mi spaventa – dichiara Andrea Della Valle, il titolare, alla rivista Mondobalneare –. Il mio stabilimento fattura un milione di euro all’anno e ha tre milioni di investimenti non ammortizzati: se arriverà un nuovo concessionario, dovrà riconoscermi tutto quanto”.
Nel 2023 il Baba Beach ha pagato poco meno di 5 mila euro di concessione, rispetto a un fatturato nel 2022 di 868 mila euro e utili per 67 mila. Ma molti bagni sul lungomare di Alassio pagano soltanto il canone minimo: 3.377 euro. Così come vicino a Portofino, nella Baia di Paraggi, dove gli stabilimenti sono griffati dai marchi della moda e del design: anche lì tre locali su quattro pagano il canone minimo.
Stesso valore versato allo Stato per la spiaggia “Le cinque vele beach club”, sul tratto di costa tra Torre Pali e Torre Vado. Siamo a sud, nel Salento, tra gli stabilimenti di alta fascia: l’hotel è circondato dal verde, con ristorante, Spa e spiaggia. Secondo i dati confrontati da Today.it i 3.377 euro di concessione, 281 euro e 40 centesimi al mese per essere precisi, hanno contribuito nel 2021 a un fatturato di 1,2 milioni con 53 mila euro di utili.
Mostra del cinema: solo a Venezia si paga di più
L’Hotel Ramazzino è l’equivalente dello stabilimento salentino in Costa Smeralda. Siamo ad Arzachena, provincia di Sassari, e per una sdraio e un ombrellone nella spiaggia della struttura a cinque stelle bisogna spendere 200 euro a persona. La società che gestisce tutto questo dichiara nel bilancio 2022 oltre 10 milioni di fatturato e 5 milioni di utile. La concessione demaniale versata allo Stato si è comunque fermata al minimo previsto: sempre 3.377 euro, i soliti 281 euro e 40 centesimi al mese. E in vista dell’imminente Mostra del cinema, non bisogna dimenticare Venezia.
Al Lido si pagano i canoni più cari d’Italia. Come nel caso dell’Hotel Excelsior: 105 mila euro nel 2023, ma per un’area parecchio estesa. La società titolare, la Hlu gestioni srl, nell’ultimo bilancio disponibile del 2021 dichiara un fatturato di 14,7 milioni e utili per 192 mila euro. A Venezia Lido i canoni sono comunque costosi per tutti. Variano da 50 mila e 240 mila euro l’anno. Di conseguenza anche i prezzi per i turisti non scherzano: una “capanna”, cioè una cabina con la tenda e una piccola veranda, può superare i 500 euro al giorno.
Gli stabilimenti balneari mantengono pulite le spiagge, offrono servizi per l’ospitalità dei turisti, garantiscono i bagnini per il salvataggio. Ma sulle concessioni, il braccio di ferro tra Europa e Italia entra nel vivo. Secondo il governo i permessi scadranno il 31 dicembre 2024. Secondo i giudici del Consiglio di Stato scadono il 31 dicembre 2023. Bruxelles intanto ci osserva: in caso di infrazione la multa non la pagheranno i gestori, ma tutti noi attraverso le tasse. Anche se in vacanza preferiamo la quiete della montagna.
(da today.it)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
L’AVVOCATO RISPONDE: “OCCORRE SOLO QUALCHE ACCORGIMENTO”, ECCO QUALI SONO LE REGOLE
Le spiagge si affollano con il picco della stagione estiva e assieme ai bagnanti spuntano come ogni anno divieti che regolano come e quali cibi possono essere portati nei lidi attrezzati.
L’ultimo caso è quello degli stabilimenti balneari pugliesi, alcuni dei quali proibiscono categoricamente di entrare armati di vettovaglie, sperando così di indurre i bagnanti ad acquistare i propri alimenti presso i chioschi da loro gestiti. Insomma, in molte spiagge attrezzate pare non ci si possa portare da mangiare.
Ma come stanno veramente le cose? Sulla questione si è espressa l’Associazione Nazionale consumatori e la risposta è chiara: si può portare il cibo in spiaggia, basta solo stare attenti a tenere un comportamento civile e rispettoso del luogo in cui ci si trova.
Le concessioni balneari
Si ricorda che, come stabilito dal codice civile italiano, gli arenili e le aree antistanti al mare appartengono allo Stato e non possono essere venduti. Semmai forniti in concessione a privati.
All’articolo 822 si legge infatti: «Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale».
La concessione non può essere caduta gratuitamente ma solo in cambio del pagamento di un canone che consente ai privati di installare strutture come chioschi e ombrelloni sulle spiagge. I dettagli di queste concessioni vengono definiti dai comuni.
La risposta
A dare una risposta, è l’avvocato e divulgatore Massimiliano Dona, presidente dell’Associazione Nazionale consumatori. Sarà possibile portare il proprio cibo all’interno dello stabilimento balneare? Sì, si può!. L’avvocato poi illustra la ragione:« Il fatto è che (giuridicamente) la concessione demaniale riguarda i “servizi spiaggia” (lettini e ombrelloni) e non la ristorazione, dunque non possiamo essere obbligati ad utilizzare il bar/ristorante del lido. A condizione di rispettare però il decoro del luogo, quindi una enorme borsa frigo potrebbe essere un problema».
La questione era emersa anche nel 2022, quando alcuni bagnanti erano stati perquisiti in cerca di cibo all’entrata di un lido di Bacoli (Napoli).
(da Open)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
IL SINDACALISTA: “LA PIAZZA DEL 7 OTTOBRE SARA’ STRAPIENA”
«Se il governo, anziché chiudersi nei resort, ascoltasse le persone che non possono andare in vacanza capirebbe perché la piazza del 7 ottobre a Roma sarà strapiena».
Maurizio Landini attacca frontalmente Giorgia Meloni. Che è proprio in vacanza in un resort in Puglia.
In un’intervista a La Stampa il leader della Cgil va all’attacco: «In questo anno di governo non ci sono state risposte alle nostre piattaforme, solo incontri finti e le diseguaglianze sono aumentate». Il segretario della Cgil vede «salari e pensioni in calo, profitti in crescita, prezzi e tariffe senza controllo, tagli alla sanità e all’istruzione, nulla sulle pensioni, precarietà e povertà che crescono, sino al taglio degli investimenti del Pnrr».
Salari e pensioni in calo
In tutto ciò, aggiunge nel colloquio con Marco Zatterin, «il governo vuole stravolgere anche la Costituzione con l’autonomia differenziata, il presidenzialismo e l’attacco all’autonomia della magistratura». E a Meloni che lo accusava di non parlare delle vere questioni, replica: «E se non è merito questo, non saprei che dire». La prima battaglia è sul salario minimo: «Chi lavora per vivere sa bene che con 5 o 6 euro l’ora si fa la fame. Per questo bisogna fissare un salario minimo orario sotto il quale nessuno può essere pagato. Insieme a una legge sulla rappresentanza che dia valore generale ai contratti, cancellando quelli pirata». L’esecutivo invece «ha allargato il part time involontario e la precarietà reintroducendo i voucher, liberalizzando i contratti a termine e il subappalto a cascata, tagliando il Reddito di cittadinanza e il fondo affitti e non intervenendo con il sistema bancario sull’aumento dei mutui».
La manifestazione
Landini il 7 ottobre si aspetta «una grande manifestazione intergenerazionale che apra un processo diffuso di partecipazione attiva, nei luoghi di lavoro e sul territorio. Il momento in cui le persone diventano protagonista del cambiamento, attuando la Costituzione, nell’indisponibilità ad accettare l’attuale livello di ingiustizia sociale. Chiederemo di vivere lavorando dignitosamente, mettendo al centro la questione della pace per fermare questa guerra assurda». Per il sindacalista, infine, «sulla precarietà, se non cambiano le leggi sui voucher e il tempo determinato, dobbiamo essere noi a cancellare gli strumenti che bruciano il futuro dei lavoratori». Come? «Valuteremo tutti gli strumenti, anche il referendum. Non escludo nulla».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 15th, 2023 Riccardo Fucile
LA PERDITA PIÙ PESANTE, E SIGNIFICATIVA, IN LOMBARDIA: -44%… E COSÌ GLI INTROITI DEL PARTITO SONO SCESI A 741MILA EURO RISPETTO AL MILIONE DEL 2021, IN SICILIA LE ENTRATE SONO RIDOTTE AD APPENA 7.600 EURO E GLI ANTI-SALVINIANI TORNANO A FARSI SENTIRE
Lombardia: perdita secca del 44 per cento. Veneto: 26 per cento. Piemonte: 28 per cento. Emilia: 43 per cento. Carta canta e la matematica lascia poco spazio alla propaganda del “va tutto bene”. Eccoli qui i numeri del tesseramento della Lega, messi nero su bianco nei 23 bilanci del 2022 delle varie ramificazioni territoriali del partito
Sommando i vari introiti e confrontandoli con quelli del 2021 viene fuori un -32 per cento. Da 1,078 milioni a 741 mila euro. Per un partito che ha sempre fatto della militanza e del radicamento sul territorio il proprio punto di forza, sono numeri che dovrebbero suonare come un pericoloso campanello d’allarme, specie perché l’emorragia è maggiore proprio laddove il Carroccio era nato e ha il suo fortino, per l’appunto in Lombardia.
In media ogni iscritto al partito – ci sono vari tipi di iscrizione, a seconda dell’anzianità – versa 25 euro alle casse locali. La divisione, a spanne, è presto fatta e quindi ad esempio i 14 mila militanti lumbard sono diventati 8 mila.
Ci sono regioni dove le cose vanno particolarmente male, tipo la Sicilia, passata da 36 mila euro di incasso a 7.600. Oppure la Basilicata, dove la Lega sembra ridotta ad una bocciofila: da 1.390 euro a 825 euro, qualcosa come una trentina di tessere.
E pensare che il Carroccio è alla guida della Regione con il centrodestra e nel 2019 prese il 19 per cento, secondo partito dietro il M5S. Sono solo quattro le regioni dove non c’è stato un calo ma un leggero aumento: Friuli Venezia-Giulia, Calabria, Liguria, Alto Adige (separato dal Trentino), numeri bassi però per recuperare le perdite del resto d’Italia.
All’orizzonte non c’è alcun congresso nazionale dove si potrebbe affrontare pubblicamente il tema, nonostante lo Statuto della ‘Lega per Salvini premier’ varato nel 2019 ne prevedesse la convocazione ogni tre anni. “Questione che meriterebbe un esposto in Procura”, ci si lamenta tra i non salviniani. E non è detto che questo non avvenga.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »